New Era Opened Medical Oncology Progress

Transcript

New Era Opened Medical Oncology Progress
New Era Opened
Medical Oncology Progress & Perspectives
NEO
M PP
Pubblicazione di informazione scientifica oncologica
a cura di
N° 6
Dicembre 2014
L’Editore non si assume alcuna responsabilità per qualsiasi lesione e/o danno a persona
o beni in quanto responsabilità di prodotto, negligenza o altrimenti, oppure a operazione
di qualsiasi metodo, prodotto, istruzione o idea contenuti nel materiale di cui trattasi.
A causa del rapido progresso nella scienza medica, l’Editore raccomanda la verifica
indipendente delle diagnosi e del dosaggio dei medicinali.
Direttore Responsabile: Giancarlo Martignoni
Comitato di Redazione:
Enrico Aitini
Antonio Ghidini
Fausto Petrelli
Registrazione Tribunale Civile e Penale di Milano n. 301 del 30 settembre 2013
EDIZIONI TECNOGRAF S.r.l.
Via Piave, 14 - 20010 Canegrate (MI)
Tel. (+39) 0331.404.444 - Fax (+39) 0331.410.508 - E-mail: [email protected]
Tutti i diritti riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione
o trasmettere sotto qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico,
per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione
senza autorizzazione scritta dell’Editore.
Progetto grafico: Tecnograf s.r.l.
Stampato in Italia da Tecnograf s.r.l.
Edizione speciale fuori commercio riservata ai Sigg. Medici
In copertina GIOVANNI SEGANTINI - Mezzogiorno sulle Alpi, 1891 - St. Moritz, Museo Segantini
1
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
SOMMARIO
EDITORIALE: : Eppur si muove…
Roberto Labianca
3
INCONTRO CON L’ESPERTO:
Aspetti caratterizzanti dell’angiogenesi tumorale
Romano Danesi
5
Tumore dello stomaco metastatico
Stato dell’arte del trattamento chemioterapico
Intervista raccolta da Antonio Ghidini
11
Tumore dello stomaco metastatico
Le terapie a bersaglio molecolare
Intervista raccolta da Matteo Zimatore
15
Carcinoma del colon-retto: il meglio del 2014
Michela Squadroni, Sergio Stinco, Maria Bonomi,
Maria Grazia Sauta, Giordano Beretta
19
Le novità del 2014 nei tumori dell’apparato gastroenterico:
tumori non colorettali
Fausto Petrelli, Andrea Coinu, Sandro Barni
29
Salute e ambiente….in a changing world
(con libere riflessioni filosofiche, storiche e musicali)
Enrico Aitini
35
GISCAD NEWS
N° 6 DICEMBRE 2014
3
EDITORIALE:
EPPUR SI MUOVE…
Ci riferiamo agli sviluppi della nota vicenda relativa allo sviluppo della
ricerca clinica indipendente nel nostro Paese e vi confessiamo volentieri
che vediamo finalmente qualche segnale positivo. Merito degli oncologi
medici italiani, che negli ultimi mesi sono comparsi più volte sul New
England Journal of Medicine, ma anche di quanto sta avvenendo a
livello istituzionale (europeo, nazionale e regionale), pur in presenza di
alcune sconcertanti decisioni delle autorità regolatorie. Ma procediamo
con ordine.
La più prestigiosa rivista di medicina del mondo ha recentemente
ospitato tutta una serie di contributi, per lo più presentati poco tempo
prima all’ASCO, nei quali la presenza di clinici italiani è stata veramente
massiccia. Basti pensare da un lato alla genetica della neoplasia della
mammella e ai nuovi sviluppi della endocrinoterapia adiuvante nella
medesima patologia (temi nei quali ho il particolare orgoglio di aver
visto coinvolta in modo rilevante la squadra bergamasca, in specifico
Carlo Tondini) e dall’altro agli strabilianti progressi registrati nel
trattamento del melanoma metastatico grazie alla combinazione di
BRAF-inibitori e di anti-MEK (e anche qui, chiedo un applauso per il
nostro Mario Mandalà, bergamasco di adozione …anche se l’accento
lo tradisce…). Ma soprattutto, parlando di tumori gastroenterici, vorrei
rivolgere una vera “standing ovation” alla pubblicazione dello studio
TRIBE (FOLFOXIRI + bevacizumab verso FOLFIRI + bevacizumab)
da parte della Scuola di Pisa e del gruppo GONO perché qui abbiamo
a che fare con uno studio davvero indipendente, che si colloca lungo il
percorso di una storia coerente e coraggiosa e che vede come primo
Autore un giovane oncologo (Fotios Loupakis) di grande e riconosciuto
valore scientifico. Accanto al significato intrinseco dello studio ne vanno
sottolineati gli importanti risvolti positivi su tutta l’oncologia medica
del nostro Paese e il GISCAD, come gruppo da sempre collaborativo
nei confronti del GONO, è grandemente entusiasta del lustro che ne
deriva alla ricerca nazionale concernente le neoplasie gastroenteriche.
4
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Il “take home message” è: continuiamo a generare studi derivanti dalla
creatività dei giovani talenti italiani e vediamo di unire le forze (TOSCA
insegna…!) per condurre tali sperimentazioni nel minor tempo possibile ed
essere realmente competitivi sulla scena internazionale.
A livello normativo vanno segnalati alcuni fatti molto importanti: la recente
rivisitazione della Direttiva Europea in termini di ricerca indipendente, le
proposte avanzate da più parti (ad esempio dal FADOI) per lo snellimento
delle procedure burocratiche in questo tipo di sperimentazioni e l’inclusione
del tema della ricerca nell’agenda delle reti regionali di oncologia (ad esempio
di quella lombarda o ROL).
Molto positiva è anche la volontà di AIOM, espressa chiaramente dal
presidente eletto Carmine Pinto, di rilanciare il tema della ricerca indipendente
su tutto il territorio nazionale e di porre sotto un unico ombrello tutti i vari
gruppi cooperativi in modo da incrementarne la competitività sulla scena
internazionale.
Chi è davvero in grave ritardo è AIFA: non solo non risulta che sia stato dato
seguito all’ultimo bando per la ricerca, ma si fa di tutto per escludere dalla
rimborsabilità tutta una serie di farmaci che hanno Oltralpe un ben diverso
spazio. Mi riferisco naturalmente, in primis, al regorafenib e più in generale a
tutta la farsa, se non tragedia, della famigerata fascia CNN.
Segnali positivi, quindi, anche se molto resta ancora da fare e se, accanto
all’ottimismo della volontà, non possiamo trascurare il pessimismo della
ragione. Non ci resta che rimboccarci le maniche e, alle soglie del
venticinquennale del GISCAD, proseguire la nostra battaglia con la consueta
passione e tenacia.
Roberto Labianca
Presidente GISCAD
Direttore Cancer Center
Ospedale Papa Giovanni XXIII – Bergamo
5
Romano Danesi
Dipartimento di
Medicina Clinica e
Sperimentale Università di Pisa Pisa
Incontro con l’esperto:
Aspetti caratterizzanti dell’angiogenesi
tumorale
Evoluzione temporale delle conoscenze sull’angiogenesi
L'angiogenesi consiste nella formazione di nuovi capillari da vasi sanguigni pre-esistenti e svolge
un ruolo essenziale sia nello sviluppo embrionale che in quello immediatamente postnatale, ed
è presente in alcune patologie come l’endometriosi e i tumori maligni.
Negli ultimi 10 anni di ricerca sull’angiogenesi sono stati identificati e studiati una varietà di
fattori di regolazione dell’angiogenesi, sia ad azione stimolatoria che inibitoria. La scoperta di
diversi fattori anti-angiogenici ha portato allo sviluppo di terapie antitumorali che hanno come
bersaglio la vascolarizzazione patologica del tumore.
L’angiogenesi tumorale inizia solitamente con il rilascio da parte delle cellule tumorali di fattori
di crescita che inviano segnali mitogeni al tessuto ospite circostante. Questo segnale molecolare
attiva alcuni geni nel tessuto ospite che, a loro volta, regolano la proliferazione di cellule
endoteliali e promuovono la crescita di nuovi vasi sanguigni. L'angiogenesi è un processo
complesso che avviene in più fasi e che comporta un'ampia interazione tra cellule, fattori solubili
e componenti della matrice extracellulare.
Le fasi principali dell’angiogenesi includono: (1) la degradazione della membrana basale da parte
di proteasi; (2) la migrazione delle cellule endoteliali nello spazio interstiziale; (3) la proliferazione
delle cellule endoteliali con attività migratoria alle estremità e lo “sprouting” vascolare cioè la
formazione di gemme vascolari a partire da vasi sanguigni già esistenti; (4) la formazione di
nuovi lumi vascolari, la generazione di una nuova membrana basale, il reclutamento di periciti,
la formazione di anastomosi e, infine, il flusso di sangue.
Nel corso degli ultimi 10 anni non sono stati raggiunti importanti progressi sulla conoscenza
del fenomeno angiogenico in aggiunta a quanto fosse già conosciuto. Si sono però meglio
caratterizzati i ruoli specifici dei vari fattori coinvolti nel segnale (ligandi, recettori, trasduttori
di segnale intracellulari).
Come detto in precedenza l'angiogenesi è un processo biologico complesso che viene stimolato
dall’ipossia, una condizione che si verifica frequentemente all’interno di un tumore. La mancanza
di ossigeno rappresenta un potente induttore del fattore di trascrizione HIF (Hypoxia Inducible
Factor) che, legandosi a frequenze specifiche di DNA, induce la trascrizione di geni che
promuovono la produzione di diversi fattori proangiogenici tra i quali VEGF, FGF e PDGF.
Insieme al consolidamento delle conoscenze sul ruolo fondamentale dei fattori proangiogenici
(Figura 1) e loro recettori, tra cui VEGF/VEGFR, bFGF/bFGFR, PDGF/PDGFR,
ANG1/Tie2 e TGF-β/TGF-βR ed unitamente alla consapevolezza del ruolo di primo piano
N° 6 DICEMBRE 2014
6
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
giocato dalla via VEGF/VEGFR, in questi ultimi anni una maggiore attenzione è stata dedicata alla conoscenza
dei cambiamenti metabolici nelle cellule endoteliali, che costituisce la base biologica per lo switch angiogenico.
(($&%
%&$#$#
')!&#$(!!&$+(($&
'&$!'(&$+(($&
!(!(&*&$+(($&
!#(!&$+(($&!
&#'$&"#&$+(($&
&#'$&"#&$+(($&
%&"!&$+(($&
(($&
#(#$#
(&,"(!!$%&$(#'
#$%$(##
#$'((#
#(&!) #
&$"$'%$##
#$'((#
#(&&$#
#$%$(##
Figura 1. Fattori pro- e anti-angiogenici
In particolare, l'attivazione del metabolismo glicolitico delle cellule endoteliali attraverso la via del VEGF
rappresenta un’evidenza scientifica recente. Inoltre, l’aumento di produzione di VEGF provoca infiammazione,
rilascio di ossido nitrico prodotto dalla ossido nitrico sintetasi endoteliale, inibizione della funzione delle cellule
dendritiche e dei lifociti T citotossici.
Ruolo dell’angiogenesi nei tumori maligni
Il fenotipo angiogenico è fondamentale per lo sviluppo di tumori maligni. Le cellule tumorali possono rilasciare
uno o più citochine pro-angiogeniche, mobilizzare i fattori angiogenici dalla matrice extracellulare e reclutare
cellule ospiti come i macrofagi (che a loro volta rilasciano fattori pro-angiogenici). L’angiogenesi tumorale è
mediata da fattori di crescita angiogenici secreti dal tumore stesso che interagiscono con i recettori di superficie
espressi sulle cellule endoteliali. I fattori di crescita angiogenici più comunemente conosciuti, come il VEGF e
il bFGF, si legano ai recettori tirosin chinasici sulla membrana delle cellule endoteliali. Questo legame porta alla
dimerizzazione dei recettori e all’autofosforilazione di tirosin chinasi nel dominio intracellulare con il conseguente
avvio della cascata di proteine di trasduzione di segnale (comprese PI3-chinasi e Src) e di attivatori della
trascrizione (STAT).
Il risultato del processo angiogenico è la formazione di uno stroma vascolarizzato che mostra:
1) disorganizzazione spaziale, eterogeneità di calibro vascolare e disordine strutturale dei nuovi vasi sanguigni;
2) presenza di vasi incompleti e irregolari con alta permeabilità alle macromolecole e formazione di essudati;
3) presenza di shunt artero-venosi unitamente ad un elevata tortuosità vascolare e vasodilatazione;
4) flusso di sangue intermittente e instabile a causa della forte pressione interstiziale;
5) spiccata eterogeneità di densità vascolare con zone di bassa densità vascolare frammiste a regioni con alta
attività angiogenica.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
7
Mediatori principali del processo angiogenico provocato dalla malattia tumorale
I fattori coinvolti nell'angiogenesi possono essere classificati in base al loro ruolo nel processo. Molti tumori
secernono alti livelli di citochine pro-angiogeniche, tra cui VEGF, PDGF, FGF e PlGF che agiscono come fattori
di proliferazione per le cellule endoteliali. I tumori producono anche fattori anti-angiogenici, tra cui angiostatina,
endostatina e trombospondina, che sono pro-apoptotici e contrastano la proliferazione delle cellule endoteliali.
È il bilancio netto tra la presenza dei fattori di stimolo dell’angiogenesi in contrasto con quelli inibitori che
determina il fenotipo angiogenico a livello locale.
Meccanismo principale di inibizione dell’angiogenesi tumorale
Esistono numerose terapie antiangiogeniche disponibili o in fase di sperimentazione in studi clinici in tutto il
mondo. Un importante passo avanti nel campo delle conoscenze sul ruolo dell’angiogenesi nelle neoplasie
maligne si è fatto quando il bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti-VEGF e primo farmaco antiangiogenico approvato per il trattamento dei tumori, è entrato nella pratica clinica dimostrando che l’inibizione
della via del VEGF/VEGFR si traduce in un effetto terapeutico significativo in alcuni tumori solidi.
Più di recente si sono avute conferme in questa direzione da parte di altri farmaci anti-angiogenici come
aflibercept e ramucirumab che hanno dato evidenze di efficacia in studi nel tumore del colon metastatico
(aflibercept) e nel tumore gastrico e polmonare metastatici (ramucirumab). Quest’ultimo farmaco, un anticorpo
monoclonale umano anti-recettore di tipo 2 del VEGF (VEGFR2), ha dato dimostrazione di efficacia in
monoterapia in seconda linea nel tumore gastrico e questo rappresenta una nuova evidenza di attività clinica
per un farmaco antiangiogenico.
Si può quindi ragionevolmente affermare che l’inibizione dell’asse VEGF/VEGFR rappresenta ad oggi il bersaglio
più importante per l’inibizione dell’angiogenesi (Figura 2).
DNA
Cancer cells
Endothelial cells
Figura 2. Meccanismo di azione degli anticorpi monoclonali anti-VEGF e VEGFR2
N° 6 DICEMBRE 2014
8
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Esistono tre diversi tipi di recettori per il VEGF, ma il recettore di tipo 2 (VEGFR2, Flk-1/KDR o fetal liver
kinase) è il più importante. Un’azione peculiare del VEGFR2 è l’attivazione di e-NOS (ossido nitrico sintetasi
endoteliale), che porta alla produzione di nitrossido, potente vasodilatatore e responsabile dell’aumento della
permeabilità vascolare, dell’infiammazione e dell’immunosoppressione. Questo spiega perché il blocco della
funzione del VEGF da parte dei farmaci antiangiogenici provoca una minore produzione di NO e l’insorgenza
di ipertensione a livello sistemico.
Modulazione o blocco dell’angiogenesi?
Mentre è chiaro da molto tempo che la crescita tumorale e la progressione dipendono dall’angiogenesi, solo di
recente sono stati compiuti progressi nel chiarire i meccanismi molecolari che regolano la fase più precoce del
programma di neovascolarizzazione, lo switch angiogenico tumorale. Questo “checkpoint” è caratterizzato dal
passaggio di un tumore dormiente, avascolare, ad uno attivo e vascolarizzato. Le terapie anti-angiogeniche sono
state progettate per sopprimere la neovascolarizzazione nei tumori già sviluppati. Tuttavia, l’identificazione dei
meccanismi che spingono un tumore ad acquisire un fenotipo angiogenico, può portare alla scoperta di nuove
modalità diagnostiche e terapeutiche che potrebbero essere utilizzate per ottimizzare il trattamento
antiangiogenico, impedendo così la successiva progressione tumorale. Un trattamento anti-VEGF/VEGFR
ottimale può provocare la normalizzazione vascolare e i cambiamenti nel microambiente tumorale, tra cui
l’aumento della pressione del fluido interstiziale. Ci sono diversi modi con cui la normalizzazione vascolare può
ridurre la pressione del fluido interstiziale tumorale; tra questi vanno ricordati la diminuzione delle dimensioni
del tumore, della permeabilità vascolare e della superficie delle cellule endoteliali e dei vasi, molti dei quali non
sono irrorati, per unità di volume di tessuto tumorale.
Razionale scientifico per la modulazione farmacologica del processo angiogenico
L’angiogenesi sembra essere attivata in molti tumori, tra cui i gliomi maligni di alto grado come i glioblastomi
(VEGF e PDGF), le neoplasie dello stomaco e della mammella (HER-2/VEGF/VEGFR), il carcinoma renale
a cellule chiare (dipendente da mutazioni VHL e attivazione del VEGF/VEGFR), le neoplasie del colon-retto,
dell’ovaio, del fegato e NSCLC. Pertanto l'inibizione dell'asse VEGF/VEGFR ha una forte base scientifica.
Sinergia di azione tra antiangiogenici e chemioterapici
Ci sono due diversi meccanismi di interazione positiva tra il trattamento anti-angiogenico e quello
chemioterapico: quello farmacocinetico (PK) e quello farmacodinamico (PD). Il trattamento anti-angiogenico
può essere combinato con successo con molti agenti chemioterapici perché, causando la riduzione della pressione
interstiziale e la normalizzazione vascolare, può migliorare l'erogazione di farmaci nel tessuto tumorale. Questo
è un tipo di interazione di tipo PK. Il secondo meccanismo di interazione reciproca è quello farmacodinamico
che si verifica, per esempio, quando si combina un farmaco antiangiogenico con un taxano perché quest’ultimo
è in grado, a seconda delle dosi, di inibire la migrazione delle cellule endoteliali e la proliferazione delle cellule
progenitrici endoteliali. Un altro esempio di interazione positiva tra antiangiogenici e chemioterapici si ha
quando si associa un antiangiogenico con l’irinotecano, perché quest’ultimo è in grado di ridurre la produzione
di HIF-1α (Hypoxia Inducible factor 1α) dalle cellule tumorali e quindi la produzione di VEGF. Un ultimo
esempio è l’associazione tra un antiangiogenico e una fluoropirimidina perché le floropirimidine competono
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
9
con la timidina fosforilasi, un enzima che metabolizza la timidina a 2-deossi-D-ribosio, un agente potente
angiogenico. Queste evidenze di interazione positiva di tipo farmacocinetico o formacodinamico rappresentano
il razionale farmacologico della combinazione.
Biomarcatori e terapia antiangiogenica, quali possibilità
I biomarcatori permettono la stratificazione dei pazienti su basi prognostiche e predittive e possono essere
molecolari o di imaging. Le terapie a bersaglio molecolare hanno costituito una sfida, per le tecniche di imaging,
nella valutazione della risposta tumorale perché i nuovi farmaci antiangiogenici possono provocare un consistente
effetto citostatico piuttosto che citotossico. Per questo motivo le tecniche di imaging sono state perfezionate
con lo sviluppo di traccianti avanzati, l'acquisizione e l’analisi più sofisticata delle immagini e si è cercato di
sviluppare traccianti per marcare le alterazioni fisiopatologiche caratterizzanti della neoplasia, con particolare
attenzione alla valutazione della vascolarizzazione tumorale. Le tecniche di imaging permettono la valutazione
del volume di malattia (MRI, TC), l’uso di traccianti PET per lo studio del metabolismo del tumore ([18F]fluorodeossiglucosio), del volume vascolare ([15O]-H2O), della proliferazione delle cellule tumorali
([18F]-fluorotimidina) e dei bersagli molecolari, compreso il VEGFR2 ([64Cu]-DOTA-VEGF). Al contrario,
i biomarcatori molecolari, tra cui la misurazione delle concentrazioni di citochine (VEGF, IL-8, bFGF), la
valutazione delle varianti genetiche di VEGF/VEGFR2 e la valutazione immunoistochimica dei bersagli
molecolari (fosforilazione di VEGFR2) sono stati ampiamente studiati, ma non sono stati convalidati e il loro
ruolo resta marginale.
Conclusioni
Si può concludere che VEGF e VEGFR2 hanno un ruolo pleiotropico nella biologia tumorale regolando
angiogenesi, l'infiammazione e l'immunità. La letteratura scientifica ha dimostrato in modo convincente che la
via del VEGF riveste un ruolo critico nell’angiogenesi e nella biologia dei tumori, e che vi è una correlazione
diretta tra la produzione di VEGF e il comportamento aggressivo di molti tumori, tra cui i tumori
gastrointestinali.
Infine, esistono evidenze sempre più convincenti che gli agenti antiangiogenici possono essere integrati con
successo in regimi a più farmaci contenenti agenti citotossici.
N° 6 DICEMBRE 2014
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
10
Bibliografia
•
Bergens G. and Benjamin LE. (2003) Tumorigenesis and the angiogenic switch.
Nature Reviews Cancer 3(6):401-410
•
Carmeliet P. and Jain RK. (2000). Angiogenesis in cancer and other diseases.
Nature 407(6801):249-57
•
Folkman J. (2006). Angiogenesis.
Annual Reviews of Medicine. 57:1-18
•
Nussenbaum F. and Herman IM. (2010) Tumor angiogenesis: insights and innovations.
Journal of Oncology 2010:132641
•
Jain RK. and Carmeliet PF. (2001) Vessels of death or life.
Scientific American 285(6):38-45
11
Tumore dello stomaco metastatico:
stato dell’arte del trattamento chemioterapico
Intervista a
Mario Scartozzi
Oncologia Medica
Università degli
Studi di Cagliari
Azienda Ospedaliero
Universitaria
Cagliari
Intervista raccolta da Antonio Ghidini (Casa di Cura Igea – Milano)
Il carcinoma dello stomaco metastatico è, tra le patologie oncologiche del tratto gastroenterico,
una di quelle a peggior prognosi, caratterizzata da una corta sopravvivenza mediana. Ciò è in
larga parte dovuto alla scarso numero di farmaci attivi che possano, in un’ottica di malattia
cronica, incrementare le possibilità di convivenza con tale neoplasia. Gli studi epidemiologici
dimostrano come tale problema sia rilevante anche a causa del progressivo invecchiamento della
popolazione che espone ad un rischio più elevato di malattia. La ricerca sta facendo molto,
soprattutto negli ultimi anni, per meglio comprendere i meccanismi genici che sottendono alla
proliferazione e al mantenimento nonché alla resistenza delle cellule tumorali nei confronti dei
farmaci; in particolar modo dovrebbe lavorare per ottimizzare le conoscenze che già possediamo
ma ancora di più per esplorare nuove vie di segnale intracellulare, potenziali nuovi target
farmacologici.
In questa breve intervista all’amico e opinion leader Mario Scartozzi, si cercherà di approfondire
più nel dettaglio quelli che sono gli argomenti fonte di maggior dibattito nella comunità
scientifica. In particolar modo si vorrebbe meglio chiarire il numero di farmaci nello standard
di prima linea, la durata ottimale del trattamento e l’eventuale terapia di mantenimento, e infine
quale la proposta di seconda linea oggi, sulla base degli ultimi studi pubblicati.
• Quale è, a tuo parere, il regime chemioterapico ottimale per il trattamento di prima
linea del carcinoma dello stomaco metastatico?
Le opzioni terapeutiche nel carcinoma gastrico avanzato si sono notevolmente
ampliate negli ultimi anni. Questa evoluzione ci mette di fronte a più possibilità
di scelta in base alle caratteristiche biologiche e cliniche. Nei pazienti con
carcinoma gastrico associato ad iperespressione di HER-2 non vi sono ormai
esitazioni nell’uso di una prima linea con cisplatino e fluoropirimidine in
associazione a trastuzumab, fatte ovviamente salve le giuste eccezioni legate ad
eventuali controindicazioni all’uso di questo schema. In caso di neoplasia
negativa per HER-2 le opzioni possono includere l’uso di derivati del platino
(oxaliplatino o cisplatino) e fluoropirimidine (5FU o capecitabina) in
associazione o meno ad antracicline. Il trattamento in termine di scelta
farmacologica e tipo di regime (q14, q21 etc) può essere quindi ritagliato sulla
base delle esigenze cliniche del paziente e sulle sue caratteristiche. Nei casi in
cui i derivati del platino siano contro-indicati, l’uso di una prima linea con
irinotecan e fluoropirimidine risulta accettabile.
Nelle forme localmente avanzate non resecabili a mio parere potrebbe trovare
la giusta collocazione anche l’uso di combinazioni a tre farmaci che includano
il docetaxel. In questo gruppo di pazienti, che sono prognosticamente e
N° 6 DICEMBRE 2014
12
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
clinicamente diversi da quelli con malattia metastatica a distanza, la risposta obbiettiva è
ancor più fondamentale per la possibile implicazione su una successiva chirurgia della neoplasia
primitiva. Nelle forme localmente avanzate non resecabili che divengono resecabili dopo
chemioterapia (ed in assenza di progressione a distanza!), la prognosi è infatti simile a quella
di pazienti che sono resecabili all’esordio. I regimi a 3 farmaci con docetaxel sembrerebbero
quelli con maggiore probabilità di risposta, anche se sono però gravati da un incremento del
rischio di tossicità midollare (in particolare neutropenia). Questo li rende poco adatti per i
pazienti anziani e ha inoltre portato allo sviluppo di regimi settimanali che sembrerebbero
mantenere l’efficacia con riduzione della tossicità. Questi ultimi sono quindi preferibili nella
maggior parte dei casi nella pratica clinica.
• Ci sono, a tuo avviso, vantaggi con l’utilizzo di regimi a tre farmaci? E se sì, quali?
Partendo dal presupposto che platino e fluoropirimidine siano da considerare come elementi
essenziali dello schema di prima linea per la maggior parte dei pazienti affetti da carcinoma
gastrico metastatico, rimane largamente irrisolta la diatriba se sia vantaggioso aggiungere
anche un terzo farmaco a questa doppietta (solitamente un’antraciclina, qualche volta il
docetaxel).
A parte infatti la passione di “scuola” e quasi scontata per i regimi a 3 farmaci con antracicline
degli oncologi anglosassoni (David Cunningham in primis!) una buona parte degli oncologi
ritiene comunque standard anche un regime a 2 farmaci. Questo è anche ampiamente
dimostrato nei bracci di controllo di diversi trial clinici che continuano a confrontare le opzioni
sperimentali con uno standard di trattamento, che spesso è composto da platino e
fluoropirimidine.
Un po’ di aiuto ci deriva dalle meta-analisi che hanno dimostrato come l’aggiunta di
un’antraciclina ad una doppietta contenente platino e fluoropirimidine sia in realtà
vantaggiosa in termini di sopravvivenza, ma con un margine molto limitato.
Su queste basi ritengo che l’uso di un regime a 3 farmaci (tipo ECF o EOX per citare quelli
forse più utilizzati nella pratica clinica) sia proponibile in tutti i casi in cui le condizioni
cliniche lo consentano e non esistano ovviamente controindicazioni generali o particolari al
loro uso. Penso inoltre che la decisione di utilizzare 2 o 3 farmaci debba comunque essere presa,
come sempre, insieme al paziente dopo attenta valutazione del rapporto rischi/benefici. Per
quanto riguarda invece l’eventuale aggiunta del docetaxel a una doppietta con platino e
fluoropirimidine ne abbiamo già discusso precedentemente.
• Il trattamento di prima linea deve essere continuato fino a progressione o interrotto dopo 4-6 mesi?
Nella maggioranza dei casi il trattamento dovrebbe essere continuato fino a progressione o
tossicità. Alle nostre latitudini la PFS mediana di questi pazienti raramente supera i 5-6 mesi
quindi di conseguenza spesso il trattamento non supera questa durata. Purtroppo quindi la
questione se interrompere o attenuare il trattamento prima della progressione (e non per motivi
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
13
legati a tossicità) non si pone molto spesso nella pratica clinica. In generale anche in questo
caso la decisione se interrompere o proseguire il trattamento è clinica e si basa su un’attenta
valutazione del bilancio rischi/benefici. Tutto questo sempre in perfetto accordo con il paziente
che deve essere completamente informato e partecipe del processo decisionale. Nella nostra
esperienza raramente proponiamo di interrompere completamente un trattamento di prima
linea in presenza di chiari segni di efficacia e buona tolleranza.
• C’è spazio per una terapia di mantenimento?
Nei casi in cui il paziente sia esposto ad un trattamento chemioterapico di prima linea con
dimostrata efficacia, dopo almeno 6 mesi di trattamento si potrebbe pensare a ridurre
l’intensità dello schema in uso proseguendo con un trattamento “semplificato”. Questo può
essere particolarmente valido in alcuni casi come, ad esempio, nelle situazioni in cui si sia
iniziato un trattamento di combinazione con oxaliplatino e si voglia ridurre il rischio di
neuropatia (o controllarne l’ingravescenza in caso si sia sviluppata). In queste ed in altre
situazioni simili l’ipotesi di proseguire con la solo fluoropirimidina può essere ragionevole. Se
il paziente sta ricevendo un trattamento che contenga trastuzumab (pazienti HER-2 positivi)
sarebbe ipotizzabile anche mantenere l’uso del trastuzumab. Queste considerazioni sono
comunque basate su ipotesi di pratica clinica e non sugli studi a disposizione e devono quindi
necessariamente essere considerate con grande cautela ed applicate in base alla situazione
specifica.
• Ci sono dati recenti per il trattamento di seconda linea?
Dopo anni di uso ante litteram, il trattamento di seconda linea è ormai divenuto uno standard
riconosciuto per i pazienti con carcinoma gastrico metastatico.
I dati a nostra disposizione hanno, infatti, indicato come l’uso di una seconda linea sia in
grado di migliorare in maniera significativa i parametri di sopravvivenza in questa
popolazione. Tra i farmaci chemioterapici potenzialmente utili ricordiamo l’irinotecan, il
docetaxel ed il paclitaxel. Queste opzioni sono tutte clinicamente valide e possono essere
selezionate in base alle diverse situazioni cliniche.
La vera novità in questo settore è però senza dubbio rappresentata dalla recente presentazione
dei dati relativi ad un nuovo agente a bersaglio molecolare, ramucirumab. Ramucirumab è
un anticorpo monoclonale anti VEGF-R2 ed è il primo agente con proprietà anti-angiogeniche
a dimostrare un ripetibile e significativo profilo di efficacia in pazienti con carcinoma gastrico
metastatico.
Ramucirumab è stato testato in 2 studi clinici randomizzati di fase III in pazienti affetti da
carcinoma gastrico metastatico in progressione dopo prima linea di chemioterapia contenente
platino e fluoropirimidine. Nello studio REGARD ramucirumab è stato somministrato in
monoterapia e confrontato vs. placebo. L’uso di ramucirumab ha portato ad un incremento
N° 6 DICEMBRE 2014
14
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
significativo sia in termini di sopravvivenza (obbiettivo primario dello studio) che di
sopravvivenza libera da malattia. Anche il DCR (disease control rate) è risultato migliore con
l’uso di ramucirumab. Nello studio RAINBOW ramucirumab è stato somministrato in
associazione con paclitaxel e confrontato vs. paclitaxel + placebo. Anche in questo caso tutti i
parametri di efficacia esaminati sono risultati migliori con l’uso di ramucirumab. In
particolare i pazienti trattati con ramucirumab hanno mostrato un incremento in termini di
sopravvivenza (obbiettivo principale dello studio), sopravvivenza libera da progressione, tasso
di risposte obbiettive e DCR. Il profilo di tossicità in entrambi gli studi è risultato in linea con
le aspettative per questa classe di farmaci e comunque del tutto gestibile.
Ramucirumab è attualmente disponibile in Italia solo nell’ambito di un programma di uso
terapeutico nominale, ma speriamo possa presto entrare nella pratica clinica comune.
15
Tumore dello stomaco metastatico: le terapie
a bersaglio molecolare
Intervista a
Stefano Cascinu
Clinica di
Oncologia Medica,
A.O Universitaria
Ospedali Riuniti
di Ancona
Università
Politecnica
delle Marche
Intervista raccolta da Matteo Zimatore
(Casa di Cura Ambrosiana – Cesano Boscone – Milano)
Nelle neoplasie del tratto gastro-enterico le terapie a bersaglio molecolare stanno diventando
sempre più predominanti, a partire da quelle colon-rettali nei confronti delle quali, vista la
maggior incidenza, si è sviluppata la maggior parte della ricerca clinica con gli studi più numerosi
ed i risultati più solidi.
Negli ultimi anni la ricerca si sta intensificando anche per altre neoplasie del tratto gastroenterico, in particolare per quelle gastriche che, sia pure con un trend di incidenza in calo rispetto
agli anni passati, si mantengono fra quelle a più elevata mortalità.
In tal ottica la recente scoperta dell’associazione con l’iper-espressione di HER-2 (sia pure solo
in un 16 % circa delle neoplasie, in particolare di tipo intestinale), ha di fatto modificato la
terapia in tal sottogruppo di pazienti.
A partire da ciò, si sono moltiplicati gli studi, spesso a partire da pre-esistenti scoperte sulle
neoplasie del colon-retto, sia sull’utilizzo dei farmaci anti-EGFR sia su quelli agenti sulla neoangiogenesi, oltre che nei confronti di altre vie enzimatiche, come per gli inibitori di c-MET e
di M-tor, con alterne fortune, ma con il pregio di aver acceso l’interesse nei confronti di una
patologia in cui non vi sono molte alternative terapeutiche, come potremo vedere negli altri
articoli di questo numero di neo-MOPP.
Abbiamo pertanto deciso di discutere delle nuove prospettive, e dei fallimenti purtroppo
registrati, per cercare di capire se sono definitivi o se sono dettati da nostre conoscenze biologiche
ancora insufficienti per un’adeguata selezione dei pazienti (analogamente a quanto sta accadendo
per gli anti-EGFR nel colon-retto), con uno dei maggiori esperti del trattamento delle neoplasie
del tratto gastro-enterico, nonché attuale presidente AIOM e da anni membro delle più
importanti società scientifiche internazionali, oltre che revisore della maggior parte delle riviste
più prestigiose al mondo, il Dott. Stefano Cascinu.
• L’utilizzo degli anti EGFR può considerarsi una partita chiusa?
A differenza del tumore del colon-retto dove gli inibitori hanno determinato
importanti vantaggi, nel carcinoma dello stomaco i risultati sono stati più che
deludenti. L’alterazione dell’asse EGFR non è probabilmente un driver nel
carcinoma gastrico e questo può spiegare le grandi delusioni avute dai risultati
degli studi clinici con cetuximab e panitumumab. Entrambi sono risultati
inefficaci in due grandi studi randomizzati e penso si sia chiusa qualsiasi ipotesi
futura. Per quanto riguarda invece HER-2 come bersaglio, la delusione
maggiore è stata il lapatinib. Anche per esso risultati completamente negativi
da un grande studio randomizzato. Qui è un po’ più difficile capirne le ragioni
considerando che il trastuzumab ha dato invece risultati interessanti. Il TOGA
trial rimane una pietra miliare nella terapia del carcinoma gastrico. Grandi
N° 6 DICEMBRE 2014
16
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
attese comunque sono rappresentate dal pertuzumab e dal TDM-1. Speriamo in un risultato
fortemente positivo.
• A che punto è lo sviluppo degli inibitori dell’angiogenesi?
Gli inibitori dell’angiogenesi hanno rappresentato una reale innovazione nella terapia di molte
neoplasie. Purtroppo i dati del bevacizumab nel carcinoma gastrico sono stati deludenti. Che
però l’angiogenesi tumorale possa essere un importante bersaglio terapeutico si è avuto conferma
da due studi randomizzati con il ramucirumab. Il ramucirumab, un anticorpo che si lega al
VEGFR2, si è infatti dimostrato in grado di migliorare la sopravvivenza di pazienti con
carcinoma gastrico pretrattati sia in monoterapia che in combinazione con paclitaxel. Penso
che i risultati di questi due studi rappresentino uno dei più importanti avanzamenti nel
carcinoma gastrico sia in termini clinici che di conoscenza biologica. Mostrano infatti che è
una pathway importante e che trovando il modo di selezionare i pazienti, aumentando quindi
il beneficio, si può realmente modificare il decorso di questa malattia. Qualche elemento di
dubbio potrebbe derivare dai dati di uno studio di fase II randomizzato in prima linea che ha
fallito di mostrare un vantaggio per il ramucirumab associato al FOLFOX. In realtà la metà
circa dei pazienti aveva un carcinoma esofageo che è una realtà biologica completamente
diversa dal carcinoma gastrico. Se l’analisi viene ristretta ai soli pazienti con carcinoma gastrico
anche in questo studio vi è un vantaggio per il ramucirumab. Attualmente è in corso uno studio
randomizzato in prima linea che chiarirà il peso di questo farmaco anche nelle linee più precoci.
• Ritieni ci sia spazio per gli inibitori di MET e gli inibitori multichinasici?
Amplificazioni di MET si vedono in circa il 10% dei pazienti con carcinoma gastrico.
Caratterizzano un gruppo di pazienti con cattiva prognosi. Gli inibitori di MET sono quindi
stati considerati un’importante arma terapeutica da cui aspettarsi molto seppure in un piccolo
gruppo di pazienti. Il Rilotumumab è sembrato essere promettente ma la press release del 24
novembre ad opera di AMGEN circa la chiusura delle sperimentazioni con questo farmaco per
tossicità, porteranno probabilmente se non all’abbandono sicuramente ad un rallentamento
dello sviluppo di questi agenti. L’aspetto più importante è che solo i pazienti con nota
alterazione di MET dovrebbero ricevere il farmaco e quindi è necessaria una selezione
molecolare dei pazienti. Aspettiamo comunque l’ analisi formale dei risultati.
• Quali effetti sono stati prodotti nella pratica clinica?
I farmaci biologici nel carcinoma gastrico si sono identificati sostanzialmente nel trastuzumab.
Certo il numero di pazienti con questa alterazione non è enorme, circa il 15-20% ma per essi
ha significato sfondare il muro dei 12 mesi di sopravvivenza.
La novità maggiore è però il ramucirumab. In pazienti pretrattati e non selezionati ha mostrato
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
17
un miglioramento in sopravvivenza libera da progressione e globale. Ha portato ad una
rivalutazione del ruolo dell’angiogenesi nel carcinoma gastrico che sembrava perso dopo i
risultati dell’avagast. Il trattamento è ben tollerato e potendosi somministrare sia in
monoterapia che in combinazione con paclitaxel il suo uso è modulabile in base alle
caratteristiche del paziente e alle sue necessità. La combinazione con chemioterapia è più tossica
ma da risposte obiettive che possono essere utili nella malattia sintomatica ed evolutiva. Nei
pzienti più anziani o con performace status non ottimale può essere raccomandabile
somministrare il ramucirumab in monoterapia. Dopo l’approvazione dell’EMA, aspettiamo
per la fine del 2015 la disponibilità del ramucirumab in Italia, anche se è già attivo un uso
individuale del farmaco per cui tutti possono richiederlo.
• Come dovrebbe svilupparsi la ricerca clinica?
E’ ovvio che molto di più ci attendiamo dalla ricerca. Una ricerca che non deve essere e non
sarà una semplice applicazione clinica di nuove molecole ma una conoscenza del cancro dello
stomaco e delle diversità individuali che le nuove tecniche di biologia molecolare ci potranno
indicare. E’ stato recentemente pubblicato un articolo dove attraverso l’analisi molecolare si
identificano 4 diversi sottogruppi di pazienti, tutti con specifiche mutazioni che possono
diventare bersaglio per la terapia. Solo partendo da queste conoscenze potremmo sviluppare
nuovi farmaci. Accanto a questo dovremmo ripensare il disegno degli studi clinici. Il quesito
non dovrà essere che beneficio ha una popolazione di pazienti ma che beneficio ogni singolo
paziente può ricevere. Questa è la scommessa, ovviamente non solo per il tumore del colonretto: come la genomica e la proteomica ci aiuteranno a sviluppare nuovi farmaci per ogni
singolo individuo con il suo specifico tumore.
N° 6 DICEMBRE 2014
www
ww
w.lill
lillyoncol
o ogi
ogia.it
Un servizio pensato e dise
egnato per il mediico oncologo e perr il suo paziente
SERVIZI PER IL MEDIC
EDIC
CO
Aggiornamenti scientificci
SERVIZI PER IL PAZIENT
AZIENTE
Materiale educazzionale
sul tumore polmonare
Gallery di immagini
Diagnosi e terapia del tumore
polmonare
Webcast
La corretta alimentazione
Congressi ed eventi
I diritti del malato oncologico
Applicazioni mobile
Risposte alle domande più
frequenti
Ricerca bibliografica e
disponibilità di Articoli
Scientifici
Mesotelioma pleurico
Il fumo e il tumore polmonare
Con un’unica registrazione potrà accedere all’area dedicata al medico ed usufruire di tutti i servizi racchiusi al suo
interno. Il paziente invece, potrà accedere all’area pubblica in maniera del tutto libera!
ITONC00224
Slide kit
19
Carcinoma del colon-retto: il meglio del 2014
Michela Squadroni, Sergio Stinco, Maria Bonomi, Maria Grazia Sauta,
Giordano Beretta
Unità Operativa Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni - Bergamo
Negli ultimi anni lo scenario del trattamento del carcinoma del colon-retto ha subito numerose
modificazioni soprattutto grazie al miglioramento delle conoscenze in ambito di biologia della
neoplasia, con risvolti importanti sulle decisioni terapeutiche. Nel 2013 i dati preliminari di
alcuni studi sulla malattia avanzata avevano dimostrato l’importanza delle mutazioni non solo
di K-RAS ma anche di N-RAS nel definire la resistenza al trattamento con anti-EGFR. Erano
stati inoltre presentati i dati preliminari di uno studio di confronto tra l’associazione della
chemioterapia a bevacizumab e quella ad anti-EGFR nel trattamento di prima linea della
malattia avanzata. Il 2014 ha portato alla pubblicazione in esteso della maggior parte di questi
dati ma anche alla presentazione di dati preliminari di un altro studio che indagava lo stesso
quesito di confronto tra biologici e che ha mostrato risultati discordanti rispetto ai precedenti.
L’ampliarsi della disponibilità di risultati non ha, al momento, consentito di dare una risposta
certa al quesito sulla miglior opzione terapeutica in prima linea, anche per la recente disponibilità
di dati sulla tripletta + bevacizumab e, sebbene ancora nel corso degli ultimi mesi del 2013,
della monoterapia + bevacizumab.
Altra pubblicazione rilevante ha riguardato l’impiego della terapia biologica nel trattamento
adiuvante che ha ormai definitivamente perso ogni ruolo. Nella nostra rivisitazione dei lavori
pubblicati partiremo proprio da quest’ultimo dato.
È noto da parecchi anni come il trattamento adiuvante del carcinoma del colon in stadio III
sia in grado di aumentare la percentuale di soggetti guariti. Lo schema di riferimento è
l’associazione tra oxaliplatino e fluoropirimidine. Diversi studi di Fase III randomizzata hanno
esplorato il quesito del possibile beneficio dell’aggiunta di farmaci biologici a tali combinazioni
tutti con esito negativo (1-3). Mancava il dato definitivo relativo allo studio PETACC 8 la cui
pubblicazione è arrivata nel luglio 2014 (4). Nello studio, che prevedeva la randomizzazione
tra FOLFOX4 e FOLFOX4 + cetuximab, sono stati arruolati, tra dicembre 2005 e novembre
2009, 2559 pazienti. Un emendamento del 2008 ha limitato l’arruolamento ai pazienti senza
mutazioni dell’esone 2 di K-RAS. All’analisi finale i pazienti K-RAS WT sono stati 1602 (791
nel braccio FOLFOX+cetuximab e 811 nel braccio FOLFOX) e su questi è stata effettuata
l’analisi intention to treat. L’end point primario era la Disease Free Survival (DFS). Dopo un
follow up mediano di 3,3 anni il DFS è risultato simile nei due bracci (HR 1.05, 95% CI 0.851.29, p=0.66) e pertanto non è stato raggiunto l’end point primario. I pazienti sono poi stati
analizzati, retrospettivamente, sulla base delle altre mutazioni di K-RAS e N-RAS e delle
mutazioni di B-RAF. Anche nei 984 pazienti all-RAS WT/BRAF WT non si è osservata
differenza in DFS (HR 0.99, 95% CI 0.76-1.28) confermando ulteriormente il non beneficio
della combinazione neppure dopo selezione molecolare dei pazienti. Ulteriori dati emergono
dall’analisi dei sottogruppi dato che, al momento della randomizzazione, i pazienti erano stati
N° 6 DICEMBRE 2014
20
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
stratificati in funzione di alcuni fattori di rischio. Nei sottogruppi T4 e N2 sembra evidenziarsi un possibile
beneficio del trattamento con cetuximab e gli autori concludono che ciò potrebbe suggerire una futura
rivalutazione del trattamento di combinazione in questi sottogruppi ad alto rischio. Nella realtà ci pare, però, di
poter concludere che, alla luce di tutti i dati attualmente disponibili, i risultati di questo studio non fanno che
confermare la non utilità dell’associazione dei farmaci biologici attualmente disponibili nel trattamento adiuvante
del carcinoma del colon.
Venendo all’ampio capitolo della malattia in stadio avanzato il 2013 ci aveva lasciato con la certezza che le
mutazioni di RAS più rare consentissero di evidenziare un ulteriore sottogruppo, che rappresenta circa il 15%
del totale dei pazienti, in cui l’impiego del trattamento con farmaci anti-EGFR risulta non efficace o addirittura
detrimentale. Già a settembre del 2013 la pubblicazione in esteso dei dati dello studio PRIME, che analizzava
il ruolo dell’aggiunta del panitumumab al FOLFOX, aveva dimostrato come nei pazienti all-RAS WT si
evidenziava un beneficio in sopravvivenza (26.0 mesi vs 20.2 mesi, HR 0.78, 95% CI 0.62.0.99, p=0.04) nel
gruppo trattato con la combinazione. Nei pazienti che presentavano mutazioni di RAS l’effetto dell’aggiunta di
panitumumab a FOLFOX comportava invece un effetto detrimentale sia in PFS (Progression Free Survival 7.3
vs 8.0, HR 1.31,95% CI1.07–1.60, p=0.008) che in OS (Overall Survival 15.5 vs 18.7, HR 1.21, 95% CI
1.01–1.45 p= 0.04) (5).
Ciò aveva portato alla determina AIFA che richiede, per poter intraprendere un trattamento con anti-EGFR, la
determinazione delle mutazioni di K-RAS esone 2,3,4 ed N-RAS esone 2,3,4.
Alla luce di questi dati sono stati rianalizzati, nel corso del 2014, diversi trials che avevano riportato i loro dati
solo in popolazioni inizialmente non selezionate e successivamente analizzate retrospettivamente sulla base di
K-RAS. L’aggiornamento ha riguardato la rianalisi sulla base di all-RAS evidenziando che il beneficio è limitato
ai pazienti all-RAS WT e che, in tali pazienti, si osserva un miglioramento del risultato dell’end-point (6-7). Il
limite di tali analisi retrospettive risiede da un lato nel non essere state pre-pianificate e dall’altro nella progressiva
riduzione della casistica analizzata che toglie in parte validità a tali risultati. Poiché però tutti i dati disponibili
mostrano una coerenza tra loro è ormai inconfutabile che la determinazione dell’analisi molecolare di tutte le
mutazioni di RAS rappresenti uno dei punti fondamentali della pianificazione terapeutica e che la sua
determinazione debba essere effettuata il prima possibile nella storia della malattia metastatica, oltre ad essere
requisito indispensabile per quanto concerne la possibilità normativa dell’uso di un anti-EGFR.
Un altro aspetto importante è rappresentato dalla definizione della miglior sequenza utilizzabile. Nel corso del
2013 erano stati presentati i risultati di uno studio di confronto in prima linea tra FOLFIRI + bevacizumab e
FOLFIRI + cetuximab (FIRE-3). I dati, presentati all’ASCO 2013 sembravano indicare un vantaggio iniziando
il trattamento con l’impiego di cetuximab in prima linea rispetto all’impiego di bevacizumab in I linea. Il dato
era presentato nell’ambito di una randomizzazione dei pazienti KRAS WT e ulteriormente migliorato nell’analisi
all-RAS, ed un secondo studio di fase II (PEAK) che analizzava lo stesso quesito impiegando
FOLFOX+panitumumab vs FOLFOX+bevacizumab confermava tale risultato. Nel corso del 2014 sono usciti
i lavori in esteso ed ulteriori aggiornamenti di questi trials ed è inoltre stato presentato all’ASCO 2014 e
successivamente aggiornato all’ESMO 2014 un terzo studio nord-americano (CALGB80405) che, con alla base
lo stesso quesito, ha riportato dei dati apparentemente completamente discordanti dai precedenti.
Lo studio FIRE 3 (8), nato inizialmente senza prevedere selezione per stato mutazionale KRAS, è stato
successivamente emendato consentendo solo l’arruolamento di pazienti con KRAS esone 2 WT. Confronta,
l’associazione di FOLFIRI con cetuximab o bevacizumab in 592 pazienti KRAS WT (297 nel braccio FOLFIRI
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
21
+ cetuximab e 295 nel braccio FOLFIRI + bevacizumab), ponendosi come end-point primario il tasso di risposta
globale (ORR) mentre la PFS e la OS costituiscono un end-point secondario. La ORR risulta sovrapponibile
nei due bracci nell’analisi intention to treat (62 vs 58% , odds ratio 1.18, 95% CI 0.85-1.64; p=0.18); per tale
motivo lo studio non ha raggiunto l’obiettivo primario e deve essere considerato formalmente negativo.
Analogamente il PFS è sovrapponibile nei due bracci (10.0 mesi nel braccio cetuximab vs 10.3 mesi nel braccio
bevacizumab, HR 1.06, 95% CI 0.88-1.26; p=0.55). Inaspettatamente, però, la OS evidenzia un vantaggio,
già limitandosi ai pazienti KRAS WT, del trattamento di prima linea con cetuximab rispetto al bevacizumab
(28.7 vs 25 mesi, HR 0.77; p=0.017). Il vantaggio in OS, già evidenziato, si accentua quando si prendono in
considerazione i pazienti con RAS WT (KRAS esone 2,3 e NRAS esone 2,3,4 non mutati) in cui viene raggiunta
una OS di 33.1 mesi nei pazienti trattati con cetuximab (vs 25 mesi con bevacizumab; HR 0.71; p 0.011); resta
invece invariata l’assenza di beneficio in PFS. A sottolineare l’importanza dello stato mutazionale di tutti i geni
RAS sono i risultati riguardanti i pazienti con KRAS WT ma con mutazioni in NRAS o su esone 3 di KRAS,
in questi pazienti infatti il cetuximab appare addirittura detrimentale rispetto a bevacizumab, con PFS dimezzata
(6.6 mesi vs 12.2; HR 2.2, p=0.004). L’ipotesi avanzata per giustificare un risultato in cui le risposte ed il PFS
siano equivalenti e la OS diversa tra i due bracci, è quella data dalla profondità della risposta e dalla precocità
della risposta, che potrebbero giustificare una maggiore sopravvivenza legata ad una minore massa di malattia
presente al momento della progressione. Inoltre una recente rianalisi delle risposte da parte di un comitato
indipendente esterno sembra evidenziare un beneficio in ORR a favore del braccio cetuximab (72,2% vs 63.1,
odds ratio 1.52, 95% CI 1.05-2.19, p=0.017). Tale analisi è stata effettuata sulla base di 493 pazienti valutabili
secondo i criteri RECIST che rappresentano l’83% del campione. Il miglioramento in termini di sopravvivenza
con l’impiego di cetuximab in prima linea sarebbe quindi legato anche ad una maggior percentuale di risposte.
Lo studio presenta però alcune criticità. Appare almeno inusuale la scelta delle ORR come end-point primario
in uno studio di fase III, dove usualmente l’end-point è la sopravvivenza. Il fatto poi che in uno studio con
ORR come end-point primario il 17% del campione non sia valutabile per risposta lascia dubbi circa la qualità
dello studio. Il dato sulla sopravvivenza è però cosi importante che, pur in presenza di una negatività formale e
del dubbio di scarsa qualità dello studio, non può essere tralasciato. Oltre che la profondità di risposta può essere
importante il ruolo delle seconde linee ma, non essendo disegnato lo studio come uno studio di strategia, i dati
attualmente disponibili su tale ipotesi non consentono di trarre conclusioni definitive anche se si osserva uno
squilibrio nell’uso di anti-EGFR tra i due bracci, che appare limitato al 40% per l’impiego di cetuximab in II
linea nei pazienti trattati inizialmente con bevacizumab. Il risultato dello studio tende però ad inficiare il ruolo
del PFS come surrogato della OS, particolarmente quando la sopravvivenza post-progressione sia, come in
questo caso, più lunga del tempo alla prima progressione. Questo dato costringerà quindi a ripensare al disegno
degli studi di prima linea nel carcinoma del colon-retto avanzato.
I risultati dello studio PEAK (fase II) che confronta il trattamento con FOLFOX e panitumumab a FOLFOX
e bevacizumab in prima linea nei pazienti con KRAS WT sono analoghi a quanto riportato da FIRE-3 (9). I
pazienti arruolati in protocollo sono stati selezionati sin dall’inizio per assenza di mutazione dell’esone 2 del
KRAS, con estensione dell’analisi a KRAS esone 3 e NRAS durante lo studio. Anche in questo caso non si
osservano differenze in PFS tra i due bracci di studio (che si aggira attorno ai 10 mesi in entrambi i bracci) e
della percentuale di risposte nei pazienti KRAS WT; tuttavia si conferma una significativa differenza in OS a
favore dell’associazione chemioterapica con panitumumab rispetto al bevacizumab (OS 34 vs 24 mesi, HR 0.62,
p=0.009). L’estensione dell’analisi a tutti i geni RAS mostra, invece, un vantaggio significativo per i pazienti
senza mutazioni (RAS WT) anche in PFS (13 vs 9.5 mesi; HR 0.65; p=0.029) e ORR, mentre la OS raggiunge
i 41 mesi nel braccio di trattamento con panitumumab (41 vs 28.9 mesi, HR 0.63, p=0.058). I limiti di questo
N° 6 DICEMBRE 2014
22
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
studio sono legati al disegno come fase II che non consente, dal punto di vista metodologico, di poterlo
considerare come uno studio di confronto tra due terapie, anche se la concordanza con i dati FIRE-3 avvalora
l’ipotesi di una preferenza, nei pazienti all-RAS WT, per iniziare con un’associazione che contenga un antiEGFR.
Risultati in apparente contrasto con i suddetti dati, sono quelli derivanti dallo studio di fase III
CALGB/SWOGG 80405 (i cui dati sono stati presentati all’ASCO 2014) (10) che non mostra differenze
significative tra cetuximab e bevacizumab in associazione a chemioterapia di prima linea (FOLFOX o FOLFIRI)
nei pazienti con carcinoma del colon retto KRAS WT. Anche in questo caso i criteri di inclusione dello studio
sono stati modificati dopo l’inizio dell’arruolamento, considerando eleggibili solo i pazienti KRAS WT (1137
pazienti in analisi). Nonostante i dati siano ancora non completi, si osserva una sovrapponibilità dei risultati sia
in PFS (circa 10 mesi) che in OS (circa 29-30 mesi) per i due bracci di studio, mentre sembra evidenziarsi un
maggior tasso di risposte nel gruppo trattato con cetuximab (66% vs 57%), differenza che non si osserva, però,
nel sottogruppo di pazienti trattati con FOLFIRI. I dati di PFS e OS sono analoghi anche stratificando per
trattamento chemioterapico, sebbene il confronto possa risultare in parte falsato dalla maggior percentuale di
pazienti sottoposti a FOLFOX rispetto a FOLFIRI. L’unica differenza, sebbene non statisticamente significativa,
risiede nella maggior probabilità di convertire a resecabilità la malattia avanzata con il cetuximab. Nonostante
in franco contrasto con i precedenti, i dati sono ancora non conclusivi, soprattutto perché carenti di molteplici
informazioni come l’analisi all-RAS (ancora in corso e solo parzialmente presentata all’ESMO 2014) e l’assenza
di informazioni sulla seconda linea o su eventuali terapie di mantenimento. Nell’ultima analisi presentata
all’ESMO 2014 le curve di sopravvivenza, sebbene in misura non significativa, tendono però ad assumere un
aspetto simile a quelle dello studio FIRE-3 e dello studio PEAK con la separazione delle curve dopo circa 30
mesi apparentemente a favore del braccio cetuximab. Quello che appare però dallo studio è l’assenza di un effetto
detrimentale dell’associazione FOLFOX-cetuximab confermando l’ipotesi, emersa dall’analisi di sottogruppo
dello studio COIN, che la modalità di somministrazione della fluoropirimidina sia la reale responsabile
dell’interazione con il cetuximab. Per analisi definitive e per ottenere una risposta certa circa il trattamento di
prima linea e la corretta sequenza, dovremo però attendere i dati definitivi dello studio CALGB che presenta,
purtroppo, anch’esso alcuni limiti metodologici importanti (numero di centri troppo elevati, analisi dei dati a
puntate, assenza di dati certi di II linea, analisi retrospettiva di una parte del campione anche per quanto attiene
K-RAS) pur se con un disegno metodologico formalmente più corretto rispetto ai due studi prima citati.
Sempre per quanto riguarda il trattamento di prima linea nella malattia avanzata, non possiamo omettere lo
studio italiano di fase III di confronto in prima linea tra FOLFOXIRI e FOLFIRI associati a bevacizumab (11).
Indipendentemente dallo stato mutazionale RAS, e pertanto della “selezione” biologica della neoplasia, lo studio
mostra come l’intensificazione del trattamento chemioterapico in prima linea risulti più efficace ed attiva rispetto
al FOLFIRI in associazione al bevacizumab. L’impiego del FOLFOXIRI in associazione al bevacizumab apporta
un miglioramento significativo della PFS (12.1 vs 9.7 mesi; HR 0.75; p=0.003) e della ORR (65-1% vs 53.1%;
HR 1.64; p=0.006), e questo beneficio si mantiene in tutti i sottogruppi analizzati, con l’eccezione dei pazienti
precedentemente trattati con chemioterapia adiuvante. Tali risultati si riflettono anche sulla sopravvivenza, con
una differenza tra i due gruppi pari a circa sei mesi (OS di 31 mesi nel gruppo sperimentale) sebbene in questo
caso non si raggiunga la significatività statistica (HR 0.79; p=0.054), probabilmente in relazione ai trattamenti
successivi alla progressione di malattia. Il fatto di non aver ottenuto un vantaggio significativo in sopravvivenza
è un limite dello studio ma tale dato non è tale da inficiare il valore dello studio stesso. Inoltre la OS risulta nella
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Presidente
Roberto Labianca
Segretario
Luciano Frontini
CdA
Sandro Barni
Stefano Cascinu
Giancarlo Martignoni
Gianfranco Pancera
Alberto Sobrero
Alberto Zaniboni
Ufficio Operativo
Responsabile
Luciano Frontini
Data managers
Lorena Cozzi
Silvia Rota
GISCAD-STAGE
Coordinatore
Luciano Frontini
Comitato Scientifico
Sandro Barni
Roberto Labianca
Sara Lonardi
Mario Scartozzi
Alberto Zaniboni
COMITATO SCIENTIFICO
Sandro Barni
Stefano Cascinu
Roberto Labianca
Sara Lonardi
Fausto Petrelli
Mario Scartozzi
Alberto Sobrero
Alberto Zaniboni
NEO-MOPP
Direttore Responsabile
Giancarlo Martignoni
Comitato di Redazione
Enrico Aitini
Antonio Ghidini
Fausto Petrelli
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
GISCAD NEWS
10 Dicembre 2014
CENTRAL
ColorEctalavastiNTRiALdh
First-line FOLFIRI and bevacizumab in patients with advanced colorectal cancer prospectively
stratified according to serum LDH
Centri partecipanti 19/Centri attivati 16/Reclutamenti 65/Accrual 75
LEGA Trial
LowtoxEoxGastricAdvanced
Randomized Phase III Study of low-Taxotere, Oxaliplatin, Capecitabine (low-TOX)
vs Epirubicin, Oxaliplatin and Capecitabine (EOX)
in Patients with Locally Advanced Unresectable or Metastatic Gastric Cancer
In collaborazione con CLIOSS s.r.l. Management Group
Centri partecipanti 33/Randomizzazioni 59/Accrual 210
GAP
Gemcitabine Abraxane Pancreas
A Phase II randomized trial comparing a combination of Abraxane and Gemcitabine versus Gemcitabine
alone as first line treatment in locally advanced unresectable pancreatic cancer
Centri partecipanti 40/Centri attivati 32/Randomizzazioni 22/Accrual 124
GIP-2
Gruppo Italiano Pancreas
In collaborazione con GOIM – GOIRC - GONO
Phase III multicenter study comparing the combination of 5-Fluorouracil/Folinic Acid, Oxaliplatin and
Irinotecan (FOLFOXIRI) versus Gemcitabine as adjuvant treatment for resected pancreatic cancer
Per informazioni: Enrico Vasile UO Oncologia 2 Univ.Polo Oncologico AOUP-Pisa
Tel: 050/992466 – 993251 / e-mail: [email protected]
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
23
globalità dei pazienti sovrapponibile ai dati degli studi FIRE-3 e CALGB, mentre, se si analizzano solo i pazienti
WT sembra poter raggiungere e superare, nel braccio FOLFOXIRI + bevacizumab, i 40 mesi, analogamente
allo studio PEAK.
Dall’analisi dei sottogruppi emergono alcune caratteristiche con significato prognostico negativo: mutazione di
BRAF, un cattivo performance status, la presenza di malattia extraepatica, la primitività nel colon destro. Va
inoltre sottolineato che circa 80% di controlli e 90% del gruppo di studio ha proseguito con terapia di
mantenimento, che potrebbe in parte influire sul risultato della OS ma anche sul risultato generale di neoplasia.
Nonostante i dati molto promettenti, questo tipo di trattamento ha alcuni limiti: la terapia ha un profilo di
tossicità importante che può essere affrontato solo in pazienti selezionati. L’assenza di una definizione del profilo
molecolare dei pazienti da sottoporre a tale trattamento consente il suo impiego in prima linea sia nei mutati
che nei WT contribuendo a complicare lo scenario della scelta della strategia terapeutica. Inoltre l’assenza di
beneficio nei pazienti precedentemente sottoposti a terapia adiuvante e la scarsa disponibilità di terapie di II
linea in caso di progressione precoce rendono difficile l’idea di impiegarlo come standard in tutti i pazienti.
Inoltre lo studio soffre di un limite metodologico. Dimostra infatti che l’aggiunta di oxaliplatino al FOLFIRI
migliora il risultato, e questo era già noto dal precedente studio dello stesso gruppo, FOLFIRI vs FOLFOXIRI,
ma non dimostra nulla circa la reale necessità dell’aggiunta del bevacizumab ad una chemioterapia intensiva
quale il FOLFOXIRI.
Considerati questi limiti, il trattamento non è facilmente proponibile a tutti i pazienti nella pratica clinica,
mentre appare avere un ruolo nei casi BRAF mutati. Questi pazienti hanno tipicamente una prognosi infausta,
con scarse probabilità di beneficio dai trattamenti chemioterapici, tuttavia l’intensificazione del trattamento
chemioterapico (FOLFOXIRI) associato a Bevacizumab in questi pazienti mostra una buona attività; questo
beneficio è stato dimostrato anche in un precedente studio di fase II in cui sono arruolati solo pazienti BRAF
mutati (12) la PFS è di 9 mesi e OS di 24 mesi (limiti dello studio il numero ridotto di pazienti arruolati,
l’assenza di controllo reale).
Detto questo ci si chiede: quando utilizzare uno dei due schemi? Quando anti EGFR in prima linea e quando
FOLFOXIRI? Probabilmente la scelta deve cadere sulle caratteristiche della malattia (sia cliniche che biologiche)
oltre che sull’obiettivo da porsi (terapia di “conversione” a resecabilità in malattia metastatica ma limitata ad un
organo? - terapia palliativa con obiettivo di aumentare la sopravvivenza?). Sicuramente nei pazienti con BRAF
mutato la scelta del FOLFOXIRI + Bevacizumab ha un ruolo importante, in quanto costituisce la scelta
terapeutica maggiormente attiva in una popolazione con prognosi particolarmente infausta, le probabilità di
beneficio dai trattamenti chemioterapici sono spesso estremamente limitate e, infine, i dati con EGFR sembrano
dare risultati insufficienti in tale sottogruppo. Analogamente, la scelta di intensificare il trattamento può essere
presa in considerazione nei pazienti con malattia non resecabile ma limitata ad un organo e potenzialmente
riconducibile a chirurgia, con la finalità di ottenere il maggior beneficio possibile in termini di risposta obiettiva
con lo scopo di rendere resecabile la malattia. D’altro canto, i risultati del cetuximab e del panitutumab nei
pazienti RAS WT sembrano, in attesa dei dati finali di CALGB, così importanti da non poter non essere presi
in considerazione quando si debba immaginare un trattamento di prima linea di questi pazienti, tranne nel caso
di BRAF mutati.
In tutto questo dobbiamo ricordare che la pratica clinica non sempre corrisponde alla realtà dei trial, la cui
popolazione è selezionata. Nella maggior parte degli studi clinici non vengono inseriti pazienti di età superiore
ai 75 anni o con performance status non ottimale. Il paradosso risiede nel fatto che tali pazienti costituiscano,
in realtà, una importante percentuale di quelli trattati nella pratica clinica; questo porta, in assenza di dati
N° 6 DICEMBRE 2014
24
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
scientifici, a ridurre l’intensità delle cure omettendo farmaci potenzialmente attivi per limitare il rischio di
tossicità. Lo studio AVEX si pone l’obiettivo di rispondere ad una domanda importante: l’utilizzo del
bevacizumab, in associazione a capecitabina in monoterapia, può migliorare i risultati ottenuti con la sola
capecitabina con profili di tossicità accettabili in pazienti anziani e non candidabili a terapie (13). Lo studio
prevedeva l’arruolamento di pazienti di età superiore a 75 anni, ma in buone condizioni generali, spesso con
almeno una comorbidità (arruolati 280 pazienti) non suscettibili di un trattamento con una doppietta. I risultati
mostrano che l’aggiunta di bevacizumab alla capecitabina migliora sia la PFS (9.1 vs 5.1 mesi) che la OS (20.7
vs 16.8 mesi). I profili di tossicità sono ovviamente peggiori nei pazienti trattati con la combinazione (fino a
40% di tossicità di grado 3-4 nei pazienti trattati con bevacizumab) ma ritenuti comunque accettabili dagli
autori dello studio. A conferma della selezione dei pazienti, più della metà, a sospensione del trattamento, non
ha ricevuto una seconda linea di chemioterapia; nonostante ciò il vantaggio si mantiene nel tempo (percentuale
di PFS a 18 mesi 16.2% vs 3-6%; percentuale di OS a un anno 73.6% vs 60%). Un potenziale bias dello studio
risiede nel limitare l’arruolamento ai soli pazienti in buone condizioni (performance status –PS- ECOG 0-1),
considerata la lunga sopravvivenza anche nei pazienti trattati con sola capecitabina (17 mesi circa). Inoltre lo
studio non definisce il criterio con cui i pazienti inseriti, a fronte di un buon PS, siano stati considerati non
candidabili al trattamento con una doppietta.
Altro capitolo di importanza sempre più rilevante, e che è tuttora oggetto di studio, riguarda il mantenimento
dopo risposta o stabilizzazione di malattia ad una prima linea chemioterapica. Tale aspetto è stato
ampiamente studiato in passato con studi di depotenziamento e di vacanza terapeutica, nonché con strategie di
STOP and GO (OPTIMOX 1 e 2, GISACD, COIN). La valutazione del trattamento di mantenimento è stata
recentemente analizzata anche per quanto concerne i farmaci biologici, in particolare il bevacizumab.
Lo studio CAIRO3 mostra un vantaggio di terapia di mantenimento con bevacizumab e capecitabina dopo
una prima linea di chemioterapia, rispetto all’interruzione della terapia. I dati definitivi di questo studio di fase
III non sono ancora pubblicati, ma i risultati finali sono stati presentati all’ASCO del 2014 (14).
Nello studio sono stati arruolati 558 pazienti, non in progressione dopo sei cicli di chemioterapia di prima linea
con XELOX e bevacizumab, randomizzati a terapia di mantenimento (bevacizumab + capecitabina) o nessun
trattamento. Il braccio di mantenimento dimostra un vantaggio significativo in termini di PFS (8.5 vs 4.1 mesi,
HR 0.43; p< 0.0001). Anche il time to progression (TTP) e la OS appaiono migliori nel braccio di studio ma
senza raggiungere la significatività statistica. Questi dati confermano che la prosecuzione di un trattamento
chemioterapico con ridotta intensità (monoterapia) associato a bevacizumab determina un miglior controllo
della crescita della neoplasia, anche se l’assenza di vantaggio in sopravvivenza e il tempo passato in trattamento
sono due aspetti che vanno considerati nel colloquio con il paziente. Uno studio analogo confronta la
prosecuzione della cura (XELOX + bevacizumab) con la prosecuzione di sola capecitabina + bevacizumab dopo
12 settimane di terapia con XELOX (15). Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, il braccio di terapia
deintensificata si associa a migliori outcome, con aumento della PFS statisticamente significativo (11.1 vs 8.3
mesi) ed un trend per il miglioramento della OS (23.9 vs 20 mesi). Lo studio conferma che il mantenimento
con capecitabina + bevacizumab è una opzione terapeutica valida e probabilmente più attiva della prosecuzione
della chemioterapia con XELOX. Il vantaggio osservato nel braccio con terapia deintensificata dipende
verosimilmente dal fatto che la prosecuzione di un trattamento più tossico porta ad una sospensione per
motivazioni cliniche e/o tossiche correlate al trattamento e non a progressione di neoplasia, con conseguente
riduzione della possibilità di ritrattamento stesso.
Tra i dati presentati all’ASCO del 2014, assumono rilievo sicuramente quelli dello studio AIO0207 (16), trial
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
25
clinico di fase III di non inferiorità che, in assenza di progressione di neoplasia dopo 6 mesi di chemioterapia
con FOLFOX e bevacizumab, pone a confronto la sospensione delle cure o la prosecuzione del bevacizumab
con la prosecuzione di bevacizumab + fluoropirimidina (considerato come il braccio di controllo). Si tratta di
uno studio di non inferiorità. L’endpoint primario dello studio è il time to failure strategy (TFS) che appare
sovrapponibile nei tre bracci di studio, come anche i profili di tossicità. Il braccio con bevacizumab in
monoterapia risulta formalmente non inferiore al braccio capecitabina+bevacizumab mentre per il braccio di
sola osservazione la non inferiorità non può essere esclusa. Confrontando invece le differenti PFS si osserva un
significativo vantaggio nella prosecuzione della combinazione (6.2 mesi) rispetto sia al bevacizumab (4.8 mesi)
che alla sola osservazione (3.6 mesi). La OS appare, invece, assolutamente sovrapponibile tra i 3 bracci ed in
particolare tra capecitabina+bevacizumab e sola osservazione. I risultati di questo studio, come i precedenti,
confermano la combinazione bevacizumab + fluoropirimidina come un potenziale standard di trattamento di
mantenimento a risposta a prima linea chemioterapica ma non escludono, in pazienti selezionati per malattia
non aggressiva, l’ipotesi di un solo follow up.
Se da un lato i dati relativi al mantenimento con bevacizumab sono piuttosto consolidati, quelli riguardanti il
cetuximab necessitano di ulteriori validazioni ed indagini, ma sono anch’essi sicuramente interessanti.
Un recente studio di fase II, analizza due differenti strategie terapeutiche dopo prima linea di chemioterapia
con FOLFOX associata a cetuximab, la prosecuzione del trattamento con intermittenza o la prosecuzione del
solo cetuximab (17). Nonostante la maggior percentuale di pazienti con fattori prognostici negativi nel gruppo
di mantenimento con cetuximab (BRAF mutati, età > 75 anni, ECOG 2), si osserva un tempo al fallimento
della terapia sovrapponibile nei due gruppi (circa 50% a 10 mesi), con un vantaggio a favore della monoterapia
(sebbene non confermato statisticamente) sia per la PFS dopo la sospensione della prima linea (5.8 vs 3.1 mesi)
che della OS (22 vs 16. 8 mesi). Sebbene il basso numero di pazienti e l’assenza di un confronto reale tra i due
gruppi di studio costituiscano un limite abbastanza importante, i dati di questo studio sono molto interessanti
e sicuramente degni di ulteriori approfondimento. Come per il bevacizumab, la prosecuzione della terapia meno
intensiva sembra associarsi a maggior controllo di malattia, probabilmente sia per motivi legati a tossicità e
resistenze alla chemioterapia quando proseguita ma forse anche al mantenimento dell’inibizione dello stimolo
biologico senza interruzione, potenzialmente responsabile di rebound di neoplasia. Un limite importante tuttavia
del mantenimento con il cetuximab potrebbe essere correlato alla tossicità cutanea, che influisce in maniera
significativa sulla qualità di vita del paziente.
Ultimi dati che ci sembra di dover riportare sono la pubblicazione dei dati finali dello studio 181 di confronto
tra FOLFIRI+ panitumumab versus il solo FOLFIRI (18), in cui l’aggiunta del panitumumab si associa ad un
miglioramento dei dati di ORR e di PFS ma non a significativa modificazione della sopravvivenza rispetto al
solo FOLFIRI confermando il ruolo controverso dell’impiego degli anti-EGFR in II linea a fronte del beneficio
che si osserva con il loro impiego in III linea e che è probabilmente il responsabile, a causa del cross over, proprio
dell’assenza di miglioramento della sopravvivenza nel braccio sperimentale.
Sono inoltre stati pubblicati i dati di sottogruppo dello studio Velour che confronta FOLFIRI con
FOLFIRI+aflibercept in II linea (19) che conferma l’attività di aflibercept anche nei pazienti precedentemente
trattati con bevacizumab (circa il 30%). Il pregresso trattamento con bevacizumab non appare infatti influenzare
l’attività del farmaco. Uno dei sottogruppi che appare avere un vantaggio maggiore dall’aggiunta del farmaco è
quello dei pazienti con malattia metastatica solo al fegato e, probabilmente, il beneficio in PFS statisticamente
significativo e in OS deriva da una maggior probabilità di andare incontro a resezione chirurgica migliorando
di conseguenza la prognosi del paziente.
N° 6 DICEMBRE 2014
26
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Nelle linee successive da ricordare, oltre ai dati dello studio CORRECT con regorafenib pubblicati nel 2013, i
recenti dati presentati a Barcellona dello studio di Fase III con TAS 102 che confermano quanto già riportato
nello studio di fase II pubblicato nel 2012. 800 pazienti (534 nel braccio di trattamento e 266 nel braccio
placebo) sono stati randomizzati 2:1. La OS, end point primario, è risultata superiore nel gruppo trattato con
TAS 102 (7.1 vs 5.3 mesi, HR 0.68). Il vantaggio si è evidenziato anche in PFS (HR 0.48) e questa nuova
fluoropirimidina, attiva nei pazienti refrattari alle fluoropirimidine, potrebbe rappresentare una nuova opzione
terapeutica in questo setting di pazienti (20).
In conclusione riassumiamo le novità degli ultimi 12 mesi:
1. Nessun beneficio dai trattamenti biologici nella terapia adiuvante dei tumori del colon resecati, i
recenti dati con cetuximab e i precedenti sia con cetuximab che con bevacizumab chiudono
probabilmente il capitolo di studio dei biologici in questo ambito
2. strategia di prima linea nei pazienti in relazione alla biologia: nei RAS WT il cetuximab e panitumumab
in associazione a chemioterapia sembrano poter conferire un vantaggio di sopravvivenza rispetto al
bevacizumab. L’assenza di conferma di questi dati da parte dello studio CALGB non consente di
mettere la parola fine a tale controversia ma la determinazione dell’analisi molecolare non può non
essere effettuata al momento di definire la terapia di I linea e la strategia terapeutica globale.
3. Nei pazienti RAS mutati la prima linea dovrebbe prevedere una doppietta chemioterapica associata
a Bevacizumab (FOLFOX+/-bevacizumab, FOLFIRI + Bevacizumab) in assenza di controindicazione.
4. Nei pazienti BRAF mutati FOLFOXIRI + Bevacizumab rappresenta presumibilmente la prima scelta
vista la cattiva prognosi e i buoni risultati ottenuti con questo trattamento, con attenzione alla selezione
dei pazienti a causa della elevata tossicità. Il FOLFOXIRI +/- Bevacizumab può essere considerato nei
pazienti con malattia da ricondurre a chirurgia.
5. In paziente in condizioni sub ottimali lo schema AVEX può diventare lo schema di riferimento essendo
più attivo della monoterapia.
6. La terapia di mantenimento con farmaci biologici è attiva e consente di prolungare il controllo di
neoplasia con una deintensificazione del trattamento chemioterapico. Per quanto riguarda il
bevacizumab, lo standard va considerata la combinazione con fluoropirimidina (alla luce degli studi
CAIRO3 e AIO0207). Esistono dati incoraggianti anche per il cetuximab (in questo caso in
monoterapia), ma da validare. L’opzione delle pause di trattamento, in presenza di malattia non
aggressiva e in risposta al precedente trattamento deve comunque essere sempre discussa con il paziente.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
27
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
Phase III trial assessing bevacizumab in stages II and III carcinoma of the colon: results of NSABP protocol C-08. Allegra CJ, Yothers G, O’Connell MJ, et al. J Clin Oncol 2011; 29(1):11-6
Bevacizumab plus oxaliplatin-based chemotherapy as adjuvant treatment for colon cancer (AVANT): a phase 3 randomised controlled trial. de Gramont A, Van Cutsem E, Schmoll HJ, et al. Lancet Oncol 2012 Dec; 13(12):1225-33
Effect of oxaliplatin, fluorouracil, end leucovorin with or without cetuximab among patients with resected stage III
colon cancer: a randomized trial. Alberts SR, Sargent DJ, Nair S, et al. JAMA. 2012;307(13):1383-93
Oxaliplatin, fluorouracil, and leucovorin with or without cetuximab in patients with resected stage III colon cancer
(PETACC-8): an open-label, randomised phase 3 trial. Taieb J, Tabernero J, Mini R et al. Lancet Oncol 2014;
15(8):862-73
RAS mutations in colorectal cancer. Douillard JY, Rong A, Sidhu R, et al. N Engl J Med 2013; 369(22): 2159–60
Treatment outcome according to tumor RAS mutation status in CRYSTAL study patients with metastatic colorectal
cancer (mCRC) randomized to FOLFIRI with/without cetuximab. Ciardiello F, Lenz H-J, Kohne CH, et al. J Clin
Oncol 2014; 32:5s (suppl; abstr 3506)
Treatment outcome according to tumor RAS mutation status in OPUS study patients with metastatic colorectal cancer (mCRC) randomized to FOLFOX4 with/without cetuximab. Bokemeyer C, Kohne C-H, Ciardiello F, et al. J
Clin Oncol 2014; 32:5s (suppl; abstr 3505)
FOLFIRI plus Cetuximab versus FOLFIRI plus Bevacizumab as first line treatment for metastatic colorectal cancer
(FIRE-3): a randomized, open label, phase 3 trial. Heinemann V, von Weikersthal LF, Decker LF, et al. Lancet Oncol
2014; 15(10): 1065-75
PEAK: a randomized, multicenter phase II study of panitumumab plus modified fluorouracil, leucovorin, and oxaliplatin (mFOLFOX6) or bevacizumab plus mFOLFOX6 in patients with previously untreated, unresectable, wildtype KRAS exon 2 metastatic colorectal cancer. Schwartzberg LS, Rivera F, Karthaus M, et al. J Clin Oncol 2014;
32(21): 2240–47
CALGB/SWOG 80405: Phase III trial of irinotecan/5-FU/leucovorin (FOLFIRI) or oxaliplatin/5-FU/leucovorin
(mFOLFOX6) with bevacizumab (BV) or cetuximab (CET) for patients (pts) with KRAS wild-type (wt) untreated
metastatic adenocarcinoma of the colon or rectum (MCRC). Venook AP, Niedzwiecki D, Lenze HJ t al. J Clin Oncol
2014; 232:5s (suppl; abstr LBA3)
Initial therapy with FOLFOXIRI and Bevacizumab for metastatic colorectal cancer. Loupakis F, Cremolini C, Masi
G, et al. N Engl J Med 2014; 371(17): 1609-18.
FOLFOXIRI + Bevacizumab as first-line treatment in BRAF mutant metastatic colorectal cancer. Loupakis F, Cremolini C, Salvatore L, et al. Eur J Cancer 2014; 50(1): 57-63.
Bevacizumab plus Capecitabine versus Capecitabine alone in elderly patients with previously untreated metastatic colorectal cancer (AVEX): an open label, randomized phase 3 trial. Cunningham D, Lang I, Marcuello E, et al. Lancet
Oncol 2013; 14(11):1077-1085
Final results and subgroup analyses of the phase 3 CAIRO3 study: maintenance treatment with capecitabine and bevacizumab versus observation after induction treatment with chemotherapy and bevacizumab in metastatic colorectal
cancer (mCRC). Koopman M, Simkens L, May A, et al. J Clin Oncol 2014; 32 (suppl 3; abstr LBA388).
Bevacizumab + Capecitabine as maintenance therapy after initial Bevacizumab + XELOX treatment in previously untreated patients with metastatic colorectal cancer: phase III ‘Stop and Go’ Study Results – A Turkish Oncology Group
Trial. Yalcin S, Uslu R, Dane F, et al. Oncology 2013;85(6):328–335
Maintenance strategy with fluoropyrimidines (FP) plus bevacizumab (Bev), Bev alone, or no treatment, following a
standard combination of FP, oxaliplatin (Ox), and Bev as first-line treatment for patients with metastatic colorectal
cancer (mCRC): a non-inferiority phase III trial: AIO 0207. Arnold D, Graeven U, Lerchenmueller C, et al. J Clin
Oncol 2014; 32:5s (suppl; abstr 3503)
N° 6 DICEMBRE 2014
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
28
17.
18.
19.
20.
Intermittent chemotherapy plus either intermittent or continuous cetuximab for first line treatment of patients with
KRAS wild type advanced colorectal cancer (COIN-B): a randomized phase II trial. Wasan H, Meade AM, Adams R,
et al. Lancet Oncol 2014; 15(6):631-39.
Final result from a randomized phase 3 study of FOLFIRI +/-Panitumumab for second-line treatment of metastatic
colorectal cancer. Peeters M, Price TJ, Cervantes A, et al. Ann Oncol 2014; 25(1):107-16
Aflibercept versus placebo in combination with fluoruracil, leucovorin and irinotecan in the treatment of previously
treated metastatic colorectal cancer. Prespecified subgroup analyses from the VELOUR trial. Tabernero J, Van Cutsem E, Lakomý R, et al. Eur J Cancer 2014; 50(2):320-31
Results of a multicenter, randomized, double-blind, phase III study of TAS-102 vs. placebo, with best supportive care
(BSC), in patients (pts) with metastatic colorectal cancer (mCRC) refractory to standard therapies (RECOURSE).
Yoshino T, Mayer R, Falcone A, et al. Ann Oncol 2014; 25 (suppl 2): abs O0022
29
Le novità del 2014 nei tumori dell’apparato
gastroenterico: tumori non colorettali
Fausto Petrelli, Andrea Coinu, Sandro Barni
Azienda Ospedaliera Treviglio, UO Oncologia, Treviglio (BG)
Introduzione
L’anno 2014 vede alcuni miglioramenti nella cura del carcinoma gastrico nelle linee successive
alla prima con l’avvento dei farmaci target (ramucirumab in primis) e con la chemioterapia
tradizionale (taxani). Nel carcinoma pancreatico una pubblicazione confermerebbe il ruolo
protettivo dell’aspirina nel tumore pancreatico come in altre neoplasie solide (es. colonrettali).
Nel carcinoma epatocellulare, nessun nuovo trattamento sistemico ha dimostrato efficacia
rispetto a quelli convenzionali e già approvati ma la conferma che in certi casi di early disease la
chirurgia è meglio della ablazione con radiofrequenza.
Neoplasie gastro-esofagee
Nel 2014 sia conferme che novità nel carcinoma dell’esofago e dello stomaco. Si vengono infatti
a determinare nuovi standard di cura nella malattia avanzata pretrattata (2° linea), e si viene a
definire per la prima volta una classificazione molecolare dell’adenocarcinoma gastrico. Per le
neoplasie esofagee, la conferma degli studi di combinazione con radioterapia e nuovi farmaci
(oxaliplatino). Infine una novità assoluta: gli stent esofagei radioattivi. Nuove linee guida della
Society of Thoracic Surgeons e della General Thoracic Surgeons confermano la necessità del
trattamento integrato del carcinoma esofageo localizzato e localmente avanzato (stadi II e III).
Veniamo alla nuova ridefinizione del carcinoma gastrico che supererebbe l’attuale classificazione
secondo Lauren, che possiede una relativamente limitata utilità clinica. Lo studio, condotto
come parte del Cancer Genome Atlas Project, è stato pubblicato a luglio sulla rivista Nature
[1]. Il team ha raccolto campioni di tessuto tumorale e di sangue di 295 pazienti con
adenocarcinoma gastrico primitivo che non erano stati trattati con chemioterapia o radioterapia.
I campioni di tessuto sono stati analizzati con differenti tecnologie di analisi molecolare. Circa
la metà dei campioni è stato descritto come "cromosomicamente instabile", con le cellule
tumorali che contenevano un mix di segmenti in più o in meno di geni e cromosomi. Questo
sottotipo di tumore è frequente nella giunzione gastro-esofagea e sta notevolmente aumentando
negli Stati Uniti. Si potrebbe quindi ipotizzare l’utilizzo di farmaci target visto l’alto numero di
amplificazioni geniche contenute. Un altro 20% sono tumori in cui il malfunzionamento dei
meccanismi di riparazione del DNA causano un alto tasso di mutazioni che potrebbero
potenzialmente essere il target di farmaci specifici. Circa il 10% erano tumori contenenti il virus
di Epstein-Barr, insieme con mutazioni nel gene PIK3CA, metilazioni del DNA, ed extra copie
di geni PD-L1 e PD-L2. Questi risultati suggeriscono che gli inibitori del pathway di PI3K
potrebbero avere grande utilità in questi tipi di cancro. Inoltre, i risultati di elevati livelli di PDL1 e PD-L2, regolatori chiave della risposta immunitaria, suggeriscono che gli agenti
immunoterapici emergenti dovrebbero essere testati in questi pazienti. Il restante 20% dei tumori
è stato definito come "genomicamente stabile", e non aveva le caratteristiche molecolari degli
altri 3 tipi. Questi ricadono nella categoria di cancro gastrico conosciuto come di tipo diffuso,
N° 6 DICEMBRE 2014
30
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
e che risultano "particolarmente letali a causa della loro capacità di metastatizzare rapidamente in mancanza di
terapie efficaci. La riclassificazione molecolare del cancro gastrico apre sicuramente ottimistiche possibilità di
cura future con i farmaci “intelligenti”.
Il 2014 ha visto la pubblicazione dello studio con ramucirumab, anticorpo anti-VEGFR-2, che è stato combinato
con paclitaxel in seconda linea nel carcinoma gastrico avanzato [2]. Gli autori hanno confrontato ramucirumab
più paclitaxel al paclitaxel da solo in 665 pazienti con carcinoma gastrico o della giunzione gastro-esofagea in
progressione dopo la prima linea di chemioterapia. La sopravvivenza mediana è risultata significativamente
maggiore con ramucirumab-paclitaxel (9,6 vs 7,4 mesi; p = 0.017), come riportato nella pubblicazione di Lancet.
I pazienti nel gruppo ramucirumab-paclitaxel hanno avuto anche più alti tassi di sopravvivenza a 6 mesi (72%
vs 57%) e 12 mesi (40% vs 30%) rispettivamente. La sopravvivenza libera da progressione è risultata inoltre
significativamente aumentata con ramucirumab-paclitaxel. Il trattamento sperimentale è risultato anche associato
a più alti tassi di risposte obiettive e di controllo della malattia, così come la durata mediana della risposta è stata
prolungata, rispetto al trattamento con solo paclitaxel. La tossicità è risultata inoltre simile nei 2 bracci di
trattamento. La nuova combinazione si configura quindi, nel prossimo futuro, come il nuovo standard di cura
nel cancro gastrico avanzato. Contrariamente l’uso di gefitinib non ha dato benefici come seconda linea nel
carcinoma esogafeo, dove tuttora non esiste uno standard di cura. Dato che la maggior parte dei tumori esofagei
esprimono EGFR, e questo si associa a una sopravvivenza peggiore, gli autori hanno ipotizzato un possibile
beneficio di gefitinib nei pazienti con tumore esofageo precedentemente trattati e con malattia avanzata,
reclutando 450 pazienti in 48 centri del Regno Unito (224 pazienti randomizzati a 500 mg di gefitinib al giorno
e 225 a placebo) [3]. Non vi è stata differenza tra i due gruppi per quando riguarda l'endpoint primario che era
la sopravvivenza globale, che è stata di 3,73 mesi per il gruppo gefitinib e 3,67 mesi per il gruppo trattato con
placebo. E’ stata osservata una differenza marginale in termini di sopravvivenza libera da progressione: 1,57
mesi per il gruppo gefitinib e 1,17 mesi per i pazienti trattati con placebo (p = 0,02). Si è dimostrato inoltre un
vantaggio nei pazienti trattati con gefitinib per il sintomo odinofagia. Gli eventi avversi nel gruppo gefitinib
sono stati la diarrea, nel 16% dei pazienti; la tossicità cutanea nel 21%; e la fatigue, nel 11%. La maggior parte
degli eventi avversi è stata di grado 2. Gli autori hanno concluso che, in assenza di dimostrati biomarkers predittivi
di risposta, l’uso di gefitinib nel carcinoma esofageo ha solo una modesta attività clinica per il carcinoma esofageo.
Naturalmente l’identificazioni di tali fattori predittivi permetterebbe di estenderne l’uso a sottogruppi definiti,
al momento non ancora identificati.
Lo studio di fase 2-3 PRODIGE/ACCORD ha invece “validato” la combinazione di FOLFOX in combinazione
con radioterapia in confronto alla classica doppietta cisplatino + 5FU [4]. I pazienti con carcinoma esofageo
sono stati assegnati al regime FOLFOX (134 pazienti) o al regime 5FU + cisplatino (133 pazienti). Tutti i
pazienti hanno ricevuto 50 Gy di radioterapia erogata in 25 frazioni (5 frazioni a settimana). Non vi è stata
alcuna differenza significativa nella sopravvivenza libera da progressione mediana (9,7 vs 9,4 mesi; P = .64) e
nella sopravvivenza globale mediana (20,2 vs 17,5 mesi; p = .70). Tuttavia, c'è stata una differenza significativa
nel numero di morti tossiche tra il FOLFOX e 5-FU + cisplatino (1 vs 6; P = 0,066). Inoltre i tassi di eventi
avversi G3-4 non sono stati significativamente e clinicamente differenti con i 2 regimi. Tuttavia, parestesie (47%
vs 2%), neuropatia sensoriale (18% vs 1%), AST (11% vs 2%), e ALT (8% vs 2%) sono risultati più comuni
con FOLFOX, mentre gli aumenti della creatininemia (3% vs 12%), le mucositi (27% vs 32%), e l’alopecia
(2% vs 9%) erano più comuni con cisplatino + 5-FU. In sostanza a fronte di una pari efficacia lo schema
FOLFOX + radioterapia sembrerebbe essere una valida e relativamente meno tossica alternativa allo standard
di cura attuale.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
31
Ricordiamo la pubblicazione di nuove linee guida da parte di 2 società di chirurgia toracica [5]. Esse
raccomandano che per lo stadio III di malattia e per lo stadio clinico II in pazienti ad alto rischio di malattia
sistemica (ad esempio pazienti con stadio cT3 N0): 1) il trattamento avvenga nell’ambito di un team
multidisciplinare; 2) la malattia venga ristadiata dopo la terapia neoadiuvante per escludere metastasi a distanza;
3) la resezione esofagea è indicata dopo la terapia neoadiuvante in pazienti senza malattia metastatica nei quali
la chirurgia può essere fatto in maniera “safe”; 4) l'ecografia endoscopica non è utile per la ristadiazione della
malattia locale residua, e altrettanto lo è la sola radioterapia prima della chirurgia. Al contrario, il panel
raccomanda la PET per ristadiazione dopo terapia neoadiuvante per individuare eventuali metastasi a distanza,
e la sola chemioterapia neoadiuvante (doppiette a base di platino) prima della resezione per i pazienti con
adenocarcinoma esofageo localmente avanzato. Le linee guida indicano invece la chemioradioterapia
neoadiuvante per il carcinoma localmente avanzato a cellule squamose e, chemioterapia o chemioradioterapia
neoadiuvante per l’adenocarcinoma localmente avanzato. Infine, i pazienti con adenocarcinoma che non hanno
ricevuto terapia neoadiuvante deve essere presa in considerazione la chemioradioterapia adiuvante se la malattia
presenta un interessamento dei linfonodi regionali. In sostanza due conferme: la necessità di un team
multidisciplinare e di un trattamento integrato preoperatorio.
Per la terapia della disfagia, l’uso di stent marcati con I-125 sembra essere di maggiore beneficio per i pazienti
con stenosi neoplastica, rispetto agli stent convenzionali. Uno studio cinese di fase 3 ha valutato infatti tali
dispositivi [6]. Il gruppo ha studiato 160 pazienti provenienti da 16 ospedali. Tutti erano affetti da disfagia
progressiva dovuta a tumori non resecabili per lesioni estese, metastasi a distanza, o una scadute condizione
cliniche. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere uno stent con I-125 a semi radioattivi o gli stent esofagei
convenzionali. La sopravvivenza mediana è stata di 177 giorni nel gruppo sperimentale ed è risultata
significativamente più lunga rispetto ai 147 giorni osservato nei controlli. Inoltre, le complicanze sono state
simili. Gli autori hanno concluso che l’uso di stent radio marcati è di utilità per alleviare la disfagia neoplastica
ed in grado di prolungare la sopravvivenza. Naturalmente saranno necessari studi di conferma prima di adottare
tale presidio in maniera universale, anche in relazione ai maggiori costi.
Neoplasie del pancreas
Il 2014 ha visto consolidarsi l’uso di nuovi schemi di combinazione nel carcinoma del pancreas metastatico
(GEM + nab-paclitaxel e lo schema FOLFIRINOX) nonostante la non approvazione da parte del NICE del
nuovo taxano stante la valutazione del rapporto rischio beneficio del trattamento. Una metanalisi di 29 studi
randomizzati prodotta dal nostro gruppo, che ha confrontato la GEM da sola con ogni polichemioterapia, ha
confermato che la doppietta (o schemi più intensivi) migliorano in maniera significativa OS, PFS e tasso di
risposte nel carcinoma del pancreas avanzato [7]. In particolare tale beneficio è maggiore per l’uso dei nuovi
farmaci, delle triplette e degli schemi che permettono di ottenere tassi di risposta > al 20%.
La chemio prevenzione sembra avere un ruolo anche in questa letale malattia come dimostrato dall’effetto
dell’aspirina sull’incidenza di neoplasia del pancreas in 362 pazienti affetti da tale patologia che sono stati
confrontati con 690 controlli sani da He [8]. Tutti i partecipanti allo studio sono stati intervistati di persona
per determinare quando hanno iniziato ad usare l'aspirina, il numero di anni in cui hanno usato l'aspirina, il
tipo di aspirina hanno usato (dose bassa o normale), e quando hanno smesso di usarla. Il 57% dei partecipanti
erano uomini, il 92% erano bianchi non ispanici, il 49% erano fumatori o ex, e al 19% era stato diagnosticato
il diabete nei 3 anni precedenti lo studio di registrazione. L'aspirina a basse dosi, di solito assunta per prevenire
le malattie cardiovascolari, è stata definita come una dose compresa tra 75-325 mg die. Aspirina a dosi
N° 6 DICEMBRE 2014
32
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
convenzionali, di solito impiegata per scopi di dolore o come anti-infiammatori, è stata definita come una dose
superiore a 325 mg assunti ogni 4 a 6 ore die. Per ogni anno di uso di aspirina, il rischio di cancro del pancreas
è risultato diminuito del 6% con le basse dosi di aspirina (odds ratio [OR], 0.94; 95% intervallo di confidenza
[CI], 0,91-0,98) e del 2%, con dosi convenzionali aspirina (OR, 0.98; 95% CI, 0,96-1,01). La riduzione del
rischio di cancro del pancreas è stata maggiore nelle persone che hanno iniziato a prendere aspirina a basso
dosaggio 20 anni prima della registrazione nello studio rispetto a coloro che avevano iniziato 3 anni prima
dell’inserimento (60% vs 48%). Inoltre, la sospensione dell’uso di aspirina nei 2 anni precedenti l'arruolamento
nello studio è stato associato ad un rischio 3 volte maggiore di cancro al pancreas, rispetto con l'uso continuato
(OR, 3.24; 95% CI, 1,58-6,65). Il messaggio che deriva da tale studio è che gli utilizzatori correnti hanno
potenzialmente un beneficio oltre che nella riduzione del rischio di carcinoma del colon anche nel rischio di
carcinoma del pancreas; inoltre coloro che presentano un potenziale rischio aumentato (es. per familiarità)
potrebbero beneficiare dell’uso di aspirina a basse dosi. Naturalmente saranno necessari studi prospettici prima
di prevedere un uso a larga scala del farmaco.
Per quanto riguarda nuove forme di trattamento una nuova formulazione di un vecchio agente chemioterapico
(irinotecan) ha dimostrato di essere vantaggiosa in pazienti pretrattati con GEM [9]. Il prodotto in fase di
sperimentazione, una sorta di incapsulamento dell’irinotecan in forma nanoliposomiale (MM-398, Merrimack),
ha dimostrato infatti di prolungare la sopravvivenza globale, così come la sopravvivenza libera da progressione,
quando aggiunto al 5-fluorouracile (5-FU) e leucovorin come terapia di seconda linea. I risultati provengono
da uno studio di fase 3 su oltre 400 pazienti noto come NAPOLI-1, presentato questo mese di giugno al 16 °
Congresso mondiale ESMO sul cancro gastrointestinale tenutosi a Barcellona. La combinazione di MM-398
con 5-FU e leucovorin ha migliorato la sopravvivenza globale di 2 mesi rispetto al gruppo di controllo con 5FU e leucovorin (P =0.012; hazard ratio [HR], 0.67). L'aggiunta di MM-398 ha anche migliorato la
sopravvivenza libera da progressione di 1,6 mesi (P =0.0001; HR, 0,56). Questo studio ha importanti
implicazioni cliniche in un setting difficile, perché se fosse aggiunto alla terapia standard potrebbe potenzialmente
aumentane l'attività e l'efficacia. Con quale schema combinarlo e confrontarlo sarà pero argomento di studio e
dibattito.
Epatocarcinoma
Finiamo con l’HCC dove sorafenib rimane ancora il caposaldo in prima linea, non ancora scalfito da nuove
alternative terapeutiche. Lo studio EVOLVE ha valutato sulla scorta di basi precliniche di attività di everolimus
nell’HCC se tale farmaco potesse essere attivo in seconda linea dopo sorafenib [10]. Lo studio, condotto in 17
paesi da maggio 2010 a marzo 2012, ha coinvolto pazienti con HCC avanzato la cui malattia è progredita
durante o dopo il sorafenib o che erano intolleranti ad esso. Dei 546 partecipanti, 362 sono stati randomizzati
a ricevere everolimus e 184 sono stati randomizzati a ricevere placebo. Entrambi i gruppi hanno ricevuto inoltre
la migliore terapia di supporto. Il trattamento è continuato fino alla progressione della malattia o a tossicità
intollerabile. Non vi è stata alcuna differenza significativa nella sopravvivenza globale mediana tra i 2 gruppi di
trattamento (7,6 vs 7,3 mesi). Ci sono stati 303 morti nel gruppo everolimus e 151 nel gruppo placebo (83,7%
vs 82,1%; HR, 1.05; 95% CI, 0,86-1,27; P=0.68). Il tempo mediano alla progressione con everolimus era di
3,0 mesi vs 2,6 mesi con il placebo (HR, 0,93; 95% CI, 0,75-1,15). Il tasso di controllo della malattia è stato
del 56,1% con everolimus e il 45,1% con il placebo. I pazienti con virus dell'epatite B, che ha costituito il 26,2%
del campione di studio, hanno avuto la sopravvivenza globale più prolungata con everolimus, ma le ragioni di
ciò non sono chiare. In sostanza lo studio EVOLVE si va ad aggiungere alla lunga schiera di studi negativi in
questa patologia, sia in prima che nelle successive linee di trattamento.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
33
La chirurgia invece riveste ancora un ruolo chiave soprattutto nelle forme di HCC iniziale, come ha confermato
una meta-analisi pubblicata da autori cinesi [11]. La meta-analisi ha incluso i dati provenienti da tre studi
randomizzati controllati e 25 studi non randomizzati. Un totale di 11.873 pazienti con HCC precoce come
definito dai criteri di Milano o dai criteri UCSF, 6.094 dei quali ha ricevuto radiofrequenza e 5.779 un intervento
chirurgico. Sulla base dei dati provenienti solo dai trial randomizzati, non vi è stata alcuna differenza nella
sopravvivenza a 1 e 3 anni. Tuttavia, la sopravvivenza globale a 5 anni era significativamente peggiore con RFA
vs la resezione (RR, 0,72). I tassi di recidiva a 3 e 5 anni sono stati più alti con RFA rispetto alla resezione (RR,
1.48 e 1.52, rispettivamente). Il tasso di complicanze con RFA, invece, era significativamente inferiore rispetto
alla chirurgia (RR, 0.18). I dati provenienti da studi non randomizzati sono stati simili. La sopravvivenza globale
a 1,3 e 5 anni è risultata inferiore con la radiofrequenza, che è stata anche gravata da un tasso di recidiva più alto
(P<0,05). I risultati confermano che nel paziente con HCC in stadio iniziale, che non ha controindicazioni alla
chirurgia, questa deve essere ancora preferita alla termoablazione.
Carcinoma neuroendocrino.
Nulla di nuovo ma solo una conferma. L'analogo della somatostatina lanreotide è risultato significativamente
migliore rispetto al placebo per il controllo della progressione dei tumori neuroendocrini metastatici (NET)
sulla base dello studio di fase 3 CLARINET [12]. Questo studio in doppio cieco randomizzato controllato con
placebo di lanreotide dimostra chiaramente il beneficio antitumorale di lanreotide nei pazienti con tumori
neuroendocrini pancreatici e intestinali, la sua ottima tollerabilità e il suo eccellente profilo di effetti collaterali.
Si tratta a nostro avviso di una sorta di studio registrativo di conferma, che dimostra come il farmaco sia dotato
di attività antitumorale oltre che di effetto sulla sintomatologia tipica del carcinoma neuroendocrino. In sintesi:
lanreotide, rispetto al placebo, è associato ad un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da
progressione (mediana non raggiunta vs mediana di 18,0 mesi, P <0.001; HR per progressione o morte, 0.47;
95% CI, 0,30-0,73). Non vi sono state differenze significative tra i 2 gruppi in termini di qualità della vita e di
OS globale. L'evento avverso più comune correlato al trattamento è stata la diarrea (nel 26% dei pazienti nel
gruppo lanreotide e il 9% di quelli nel gruppo placebo).
In sostanza, nei tumori esofago-gastrici ed epato-bilio-pancreatici, il trattamento ha consolidato i suoi standard
terapeutici curativi e palliativi di prima linea. Novità nell’ambito dei pazienti pretrattati, in entrambi i setting,
faranno si che la sopravvivenza globale venga probabilmente e progressivamente prolungata grazie anche alla
migliore definizione e selezione del trattamento in diversi sottogruppi molecolarmente definiti. Se i costi di
questi trattamenti, in funzione dei benefici e delle tossicità aggiunti saranno sostenibili, sarà il punto interrogativo
del prossimo futuro.
N° 6 DICEMBRE 2014
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
34
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Cancer Genome Atlas Research Network. Comprehensive molecular characterization of gastric adenocarcinoma.
Nature. 2014 Sep 11;513(7517):202-9.
Wilke H, Muro K, Van Cutsem E, et al. RAINBOW Study Group. Ramucirumab plus paclitaxel versus placebo plus
paclitaxel in patients with previously treated advanced gastric or gastro-oesophageal junction adenocarcinoma (RAINBOW): a double-blind, randomised phase 3 trial. Lancet Oncol. 2014 Oct;15(11):1224-35.
Dutton SJ, Ferry DR, Blazeby JM, et al. Gefitinib for oesophageal cancer progressing after chemotherapy (COG): a
phase 3, multicentre, double-blind, placebo-controlled randomised trial. Lancet Oncol. 2014 Jul;15(8):894-904.
Conroy T, Galais MP, Raoul JL, et al. - Fédération Francophone de Cancérologie Digestive and UNICANCER-GI
Group. Definitive chemoradiotherapy with FOLFOX versus fluorouracil and cisplatin in patients with oesophageal cancer
(PRODIGE5/ACCORD17): final results of a randomised, phase 2/3 trial. Lancet Oncol. 2014 Mar;15(3):305-14.
Little AG, Lerut AE, Harpole DH, et al. The Society of Thoracic Surgeons Practice Guidelines on the Role of
Multimodality Treatment for Cancer of the Esophagus and Gastroesophageal Junction. Ann Thorac Surg. 2014 Sep 25.
Zhu HD, Guo JH, Mao AW, et al. Conventional stents versus stents loaded with (125)iodine seeds for the treatment
of unresectable oesophageal cancer: a multicentre, randomized phase 3 trial. Lancet Oncol. 2014 May;15(6):612-9.
Petrelli F, Coinu A, Borgonovo K, et al. Polychemotherapy or gemcitabine in advanced pancreatic cancer: a
meta-analysis. Dig Liver Dis. 2014 May;46(5):452-9.
Streicher SA, Yu H, Lu L, et al. Case-control study of aspirin use and risk of pancreatic cancer. Cancer Epidemiol
Biomarkers Prev. 2014 Jul;23(7):1254-63.
Von Hoff D, Li CP, Wang-Gillam A, et al. Napoli-1: randomized phase 3 study of mm-398 (nal-iri), with or without
5-fluorouracil and leucovorin, versus 5-fluorouracil and leucovorin, in metastatic pancreatic cancer progressed on or
following gemcitabine-based therapy. Ann Oncol (2014) 25 (suppl 2): ii105-ii106.
Zhu AX, Kudo M, Assenat E, et al. Effect of everolimus on survival in advanced hepatocellular carcinoma after failure
of sorafenib: the EVOLVE-1 randomized clinical trial. JAMA. 2014 Jul 2;312(1):57-67.
Wang Y, Luo Q, Li Y, et al. Radiofrequency ablation versus hepatic resection for small hepatocellular carcinomas: a
meta-analysis of randomized and nonrandomized controlled trials. PLoS One. 2014 Jan 3;9(1):e84484.
Caplin ME, Pavel M, Ćwikła JB, et al. Lanreotide in metastatic enteropancreatic neuroendocrine tumors. N Engl J
Med. 2014 Jul 17;371(3):224-33.
35
Salute e ambiente….in a changing world
(con libere riflessioni filosofiche, storiche e
musicali)
Enrico Aitini
Dipartimento Interaziendale Provinciale di Oncologia (DIPO) - Mantova
William Turner o Jonathan Swift? Percival Pott o William Boyce? Charles Robert Watts o
Gordon Banks? Chi erano costoro?
E tra questi è presente anche quel chirurgo londinese che nella seconda metà del ‘700 dimostrò
come un tumore (nello specifico si trattava di un epitelioma dello scroto) potesse essere causato
da fattori ambientali?
La scoperta risale esattamente al 1775 e tale tipo di neoplasia, la prima nella storia della medicina
correlata a fattori occupazionali, fu anche definita il cancro degli spazzacamini in quanto fu
dimostrata una correlazione coi residui bituminosi presenti nella fuliggine (molto tempo dopo
si comprese come la sostanza incriminata fosse il benzopirene) che entravano in contatto con la
cute attraverso gli strumenti di lavoro che venivano infilati in una tasca posta in prossimità delle
regioni inguinali.
Strano modo di iniziare una conversazione scientifica! Sembra piuttosto un test di ammissione
ad una facoltà di Storia. Ci è unicamente dato di sapere che la nazionalità di quelle sei persone
è una sola: quella inglese.
Ne approfittiamo? Siamo disposti a valutare anche le nostre conoscenze extraprofessionali in
ordine di “apparizione” e, magari, a rinfrescarle nel caso ci scoprissimo un po’ arrugginiti?
Proviamoci.
William Turner (1775 – 1851) fu un pittore inglese considerato tra i più grandi dell’epoca
insieme a Constable, omonimo di un altro Turner, Henry Hubert, che nel 1938 descrisse la
sindrome che porta il suo nome, patologia caratterizzata da una particolare mutazione
cromosomica (44 autosomi e un solo cromosoma X).
Jonathan Swift (1667 – 1745) fu uno scrittore inglese nato a Dublino (a quel tempo l’Irlanda
era soggetta al dominio inglese), noto anche alle giovani generazioni per il suo romanzo più
conosciuto, “I viaggi di Gulliver”.
Percival Pott (1714 – 1788) fu invece il chirurgo londinese (il nostro ricercato) che per primo
intuì quanto descritto nelle prime righe di queste pagine.
William Boyce (1711 – 1779) fu un noto musicista inglese di epoca vittoriana.
Anche Charles Robert Watts, detto Charly, fu ed è tuttora un musicista, essendo il batterista
dei Rolling Stones, mentre Gordon Banks è a tutt’oggi considerato il miglior portiere britannico
di tutti i tempi, vincitore, con la nazionale inglese, della coppa Rimet nel 1966.
Come siamo andati? Quante risposte corrette?
Commento: facile mostrarsi saputelli con un tablet di fianco che ti racconta quanto hai voglia
di sapere da internet!
N° 6 DICEMBRE 2014
36
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Certo qualcuno potrebbe propormi una contro domanda: se pronuncio una sola parola, Ypres, che mi sai dire?
Bene. per rispondere ad un simile quesito non è necessario un supporto informatico estraneo alla mente o,
meglio, al ricordo.
Ypres è una cittadina belga, nelle Fiandre, nei pressi della quale, durante il primo conflitto mondiale il cui inizio
è stato celebrato quest’anno (si può mai celebrare l’inizio di una guerra? Ricordiamola per non ripetere gli stessi
o ben peggiori disastri…ma tant’è) l’esercito dell’impero tedesco (o prussiano?) utilizzò armi chimiche.
Era l’autunno del 1917, data che resterà per sempre nella mente di chi ama la Storia e la Pace tra i popoli: i
soldati dell’impero usarono gas tossici indirizzati verso le trincee francesi prima di sferrare una pesante offensiva.
Si trattava di una mostarda solforata che dalla località in cui si svolse la battaglia prese il nome di “iprite” che,
già in quei tragici giorni, provocò gravissimi effetti tossici tra i soldati francesi.
Qualcuno, tra presidenti o sovrani dell’epoca, comprese come quella nuova arma potesse divenire uno strumento
letale non solo per gli eserciti ma anche per intere popolazioni.
Purtroppo se ne scordò (o finse di scordarsene) troppo presto.
Infatti, un quarto di secolo più tardi, nel dicembre del ’43, in seguito ad un’incursione aerea della Luftwaffe sul
porto di una Bari da poco liberata, diciannove unità anglo-americane colarono a picco in seguito al furioso
bombardamento dell’aviazione tedesca. Tra queste affondò anche la John Harvey, mercantile proveniente da
Baltimora e giunto a Bari pochi giorni prima. La nave trasportava 100 tonnellate di mostarda azotata (simile,
quindi, alla sostanza tossica utilizzata ad Ypres) racchiusa in contenitori da usare come bombe chimiche. Pur in
tempo di guerra, l’attenzione delle autorità sanitarie era cresciuta verso questi fenomeni e questo tipo di tossicità,
soprattutto quella ematologica che si manifestava con gravissime infezioni ed imponenti emorragie.
Può sembrare un paradosso, ma lo studio della tossicità midollare delle mostarde azotate aprì gradualmente la
strada verso la ricerca di nuovi farmaci e della moderna chemioterapia.
Tutta la comunità oncologica infatti, pur tenendo in giusta considerazione quanto i farmaci chemioterapici
abbiano rivoluzionato in buona parte l’approccio a patologie ‘inapprocciabili’ e i conseguenti risultati ottenuti,
ben conosce anche la cancerogenicità di alcuni di questi farmaci: questo macroscopico ossimoro è ben
documentato, tra gli altri, in un articolo di Gianni Bonadonna del 1980.
Riprendiamo comunque il discorso da quegli anni 50 del secolo scorso quando si andò gradualmente
sviluppando, ad opera di alcuni illuminati epidemiologi, un’attenzione particolare a patologie di carattere
occupazionale, che, pur attraversando tutto il campo della medicina, si concentrò soprattutto in ambito
oncologico. L’attenzione, tuttavia, era (e tale rimase per alcuni decenni) quasi esclusivamente rivolta alle persone
direttamente esposte a determinate sostanze di cui si conosceva la tossicità, trascurando il rischio della popolazione
in generale.
In quel tempo erano scarse le conoscenze circa la possibile cancerogenicità da agenti chimici: erano fortemente
sospettati di azione quantomeno mutagena il cromo per le neoplasie polmonari, il cadmio, l’anilina, responsabile,
quest’ultima (come si dimostrò anni dopo) di tante morti per neoplasia vescicale tra i lavoratori dell’industria
IPCA (industria piemontese dei coloranti all’anilina) di Ciriè, cittadina del Canavese, terra crepuscolarmente
descritta da Guido Gozzano.
L’esiguità di tali informazioni non deve comunque stupire se consideriamo che i primi casi di avvelenamento
da metalli pesanti documentati con certezza risalgono solamente ai primi anni ’50 del ventesimo secolo. Persino
la cancerogenesi da amianto, causa di mesoteliomi e, pur in misura minore, di neoplasie polmonari, ha dovuto
attendere diversi anni tanto che la patologia da asbesto, tra cui quella da crocidolite o asbesto blu (il più
cancerogeno), è stata riconosciuta malattia professionale solo con la legge 257 del 1992. E in questi giorni di
novembre 2014 sono stati resi noti da parte del Ministero dell’Ambiente gli sconfortanti dati circa la diffusione
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
37
di zone inquinate da amianto ancora presenti nel nostro Paese: Si tratta di una drammatica cifra che si attesta
intorno a 40.000 siti in cui l’amianto è presente a fronte dell’avvilente dato dei siti completamente bonificati:
poche centinaia.
Ma la società e quindi il modo di vivere dei cittadini nell’occidente del mondo aveva iniziato un percorso
irreversibile di cambiamento che prosegue ancora al giorno d’oggi. Da quegli anni 50 gli eventi hanno iniziato
ad occupare uno spazio sempre più compresso, dal momento che ogni trasformazione, ogni innovazione
all’interno del mondo occidentale ha impiegato ed impiega un tempo di molto inferiore al previsto se questi è
calcolato su avvenimenti precedenti.
In quegli anni, ad esempio, ascoltavamo canzoni “accompagnate” da un costante, se pur lieve, brusio: erano i
così detti 78 giri che nel ‘56 mi fecero conoscere “Rock around the clock” di Bill Haley accompagnato dai suoi
Comets. Arrivarono poi i 45 giri e, un po’ più tardi, precedute anche queste da un breve fruscio, le canzoni
raccolte nei dischi in vinile, gli storici LP, fruscio da cui, sebbene appena acquistati, non risultavano immuni.
Poi comparvero le “cassette” e, più tardi, i compact disk, meglio noti come CD, quindi le “chiavette”, gli “Ipod”……..e mi accorgo di trovarmi in difficoltà nel elencare tecnologie che conosco appena superficialmente.
Torno allora, con la memoria, a quando, pochi anni dopo aver ascoltato di giorno e di notte i Beatles suonare,
ai tempi della mia laurea in medicina (ne ho cercata poi una seconda senza successo), a metà degli anni “70,
oltre ad alcuni nostri cantautori, primo fra tutti Francesco De Gregori con il suo “Rimmel”, mi sentivo molto
vicino ai suoni ed alle armonie della West Coast, dagli Eagles a Jackson Browne, da Joni Mitchell a James Taylor,
dagli America a Carly Simon. Molti erano brani apertamente contrari alla guerra in Vietnam, cosa che li faceva
sentire anche un po’ miei, anche se quegli eventi meriterebbero una storia molto più approfondita di questa.
Proseguendo la stesura di questa conversazione un po’ particolare, ricordo che in uno di quei long playng,
“Running on empty”, di Jackson Browne, compariva una canzone delicata, cover di “The road” opera di un
cantautore statunitense non molto conosciuto dalle nostre parti, Danny O’Keefe.
Su quella sequenza melodica, pochi anni dopo, Lucio Dalla scrisse una versione in lingua italiana dal titolo
“Una città per cantare” affidata alla voce di Ron, al secolo Rosalino Cellamare. Col trascorrere degli anni, day
after day, una frase che Lucio aveva scritto, mi ricorda ogni giorno la dimensione del tempo e di quanto il tempo
abbia raccolto in sé trasformazioni in maniera sempre più rapida, a volte incontrollabile: “[…] quante interurbane
per dire come stai, raccontare dei successi e dei fischi non parlarne mai […]”.
Mi è capitato di chiedere ai miei figli il significato del termine ‘interurbana’ ottenendo risposte corrette da un
punto di vista linguistico pur essendo ignari di quello che, nel ricordo di noi, allora ragazzi, per tutti significava:
una chiamata, tramite centralino, da una città ad un'altra. Poi si affermò la teleselezione (termine ormai obsoleto)
che, con l’arrivo dei cellulari, trovò rapidamente ampio spazio nel cassetto dei ricordi. Come sopra accennato,
questa cosa che noi chiamiamo mondo aveva da tempo iniziato ad aumentare la velocità dei suoi cambiamenti,
delle sue trasformazioni a partire dal secondo dopoguerra e, probabilmente anche i cellulari, che già stanno
divenendo minuscole “stazioni spaziali”, (con tutte le incertezze e affermazioni contradditorie di cui sono
circondati per le possibili patologie correlate ad un loro eccessivo uso) cadranno nell’oblio tra non molti anni.
Ci siamo resi conto di queste inarrestabili trasformazioni, sempre più rapide, sempre più incontrollabili? Ne
abbiamo una precisa consapevolezza? Siamo consci che lo stato dell’ambiente che ci circonda riguarda tutta la
popolazione, in particolare le fasce più vulnerabili quali bambini ed anziani?
“Panta rei”, aforisma attribuito al filosofo greco Eraclito, ovvero il “tutto scorre” racchiude in sé il senso di
un’esistenza (la nostra) costretta, consapevolmente, ad aprire le porte e ad accettare l’instabilità di valori,
conoscenze, certezze.
In ogni campo del sapere umano come in quello dei costumi.
N° 6 DICEMBRE 2014
38
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Nel secondo dopoguerra, anche in ambito medico si iniziarono a percorrere nuove strade per affrontare patologie
in costante ascesa, quali malattie cardio-vascolari e tumori, pur consapevoli delle difficoltà che le conoscenze, a
quel tempo piuttosto modeste, ponevano a ricercatori e clinici. Pensando al nostro sapere di oggi, risulta assai
difficile non cogliere il fascino di quella straordinaria avventura dai caratteri fortemente pionieristici che con il
contributo di migliaia di persone i cui nomi resteranno, salvo rare eccezioni, sconosciuti, hanno raggiunto vette
e superato barriere considerate inespugnabili. Ma il “panta rei” pone, a tutti noi che operiamo nel campo specifico
della medicina, nuovi e più complessi problemi che travalicano le sfide cliniche, le modalità di come affrontare
la patologia di un paziente, di quel paziente con nome e cognome definiti, con la propria biografia ed il proprio
genoma irripetibili. E’ il mondo che cambia senza sosta e che non ci consente di restare fermi, ancorati a modelli
d’approccio alla patologia neoplastica che probabilmente potevano essere validi fino alla fine del secolo scorso.
Esemplare l’articolo comparso una decina d’anni fa su “Clinical Medicine”, era il novembre del 2005, da parte
del “Royal College of Physicians” dal titolo: “Doctors in Society. Medical Professionalism in a Changing World”.
E questo “Changing World” risulta espressione di trasformazioni politiche, economiche, sociali e di valori etici.
Per tutti noi che abbiamo scelto di operare per il benessere, la cura e la possibile guarigione di pazienti affetti
dalle forme più svariate di neoplasia, la European Society for Medical Oncology (ESMO), consapevole di come
anche un oncologo “strettamente clinico” debba portare nel suo bagaglio di conoscenze tutto quanto riguarda
la storia naturale dei tumori, da alcuni anni ha ripreso con intensità, causa anche le note difficoltà economiche
attraversate attualmente dal mondo occidentale, a sviluppare programmi di prevenzione primaria e secondaria
con il condivisibile obiettivo di diminuire il numero assoluto dei pazienti oncologici o quanto meno di
incrementare il numero di diagnosi precoci, eventi che comporterebbero importanti ricadute sulla spesa sanitaria
di un Paese ed una più adeguata allocazione di risorse in ambito terapeutico da utilizzare con la massima
appropriatezza possibile.
I presupposti su cui ESMO propone le strategie per ottenere questi risultati consistono nell’individuazione di
fattori modificabili e fattori (almeno per ora) non modificabili, in parte tra loro pesantemente interagenti
(argomento quest’ultimo quanto mai affascinante che tuttavia non affronteremo in questo scritto). I primi sono
costituiti da ambiente e stile di vita, i secondi dall’età, dal sesso e dal patrimonio genetico. Di conseguenza appare
logico concentrarsi sui primi ed operare in modo tale che più azioni convergenti possano ridurre drasticamente
il rischio di sviluppare una patologia neoplastica.
Tralasceremo volutamente, nel corso di questa conversazione, gli aspetti relativi agli stili di vita, quali il tabagismo,
la sedentarietà, l’alimentazione etc….problematiche affrontate da molto tempo e che ci riportano ad una
responsabilità prioritariamente individuale ma anche sociale se pensiamo a quanto, in termini educazionali, può
essere fatto, a partire dall’adolescenza, per indirizzare la popolazione tutta verso corretti stili di vita. Allo stesso
modo non affronteremo un altro importante aspetto della cancerogenesi nei confronti della quale la vaccinazione
contro il virus dell’epatite B ha già dimostrato importanti risultati, gli stessi che ci aspetteremmo (ma qui occorrerà
attendere un po’ di tempo) per la vaccinazione contro il papilloma virus responsabile delle neoplasie della cervice
uterina.
Il problema che vorremmo cercare di affrontare è quello dell’ambiente che quotidianamente ci circonda,
ponendoci un primo, importante quesito: quante nuove sostanze, la cui tossicità legata ad esposizione cronica
non è ancora conosciuta, sono state immesse nell’ambiente a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale?
E ancora: quante certezze o incertezze abbiamo circa la tossicità da radiazioni sia UV che ionizzanti, da onde
elettromagnetiche e compagnia cantante, tanto per sdrammatizzare un po’?
Quale sostanze sono immesse nell’ambiente da sistemi di smaltimento rifiuti quali gli inceneritori?
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
39
Quale è lo stato di alcuni nostri fiumi o laghi, un tempo balneabili senza alcun problema ed ora fonte concreta
di rischio per la presenza di sostanze tossiche?
A parte la geniale intuizione di Percival Pott nel 1775 e l’osservazione, che risale a circa un secolo dopo, di
un’aumentata incidenza di neoplasie cutanee negli addetti alla lavorazione del catrame, lo studio della
cancerogenesi chimica nasce poco dopo l’inizio della prima guerra mondiale, nel 1915, quando viene pubblicato
uno studio che dimostra come l’esposizione prolungata a piccole dosi di catrame è in grado di provocare, nel
coniglio, l’insorgenza di tumori.
Ora, senza addentrarci nei vari steps della cancerogenesi chimica o fisica (dose soglia, tempo di latenza, iniziazione,
promozione, progressione etc…) elenchiamo, a puro titolo d’esempio, semplicemente quelli che oggi, tra i
metalli pesanti (una delle tante possibili categorie che alterano l’ambiente di vita e quello occupazionale), sono
considerati carcinogeni chimici con più o meno ricchezza di evidenze:
1)
Cancerogeni certi: arsenico, berillio, cadmio, cromo esavalente e loro composti; composti del nickel
e arseniuro di gallio.
2)
Cancerogeni probabili: carburo di tungsteno + cobalto (lega), fosfuro di indio, composti inorganici
del piombo.
3)
Cancerogeni possibili: nickel, cobalto e composti, mercurio e composti, triossido di antimonio e
anidride vanadica
Mi rendo conto come uno sterile elenco di queste sostanze sia quanto meno noioso.
Ritengo allora più utile descrivere quali siano stati, a mio giudizio, i cambiamenti della nostra società occidentale
negli ultimi cinquant’anni che ci impongono una riflessione “aggiornata” sui problemi ambientali.
Proverei a considerare alcuni numeri che risultano chiari a qualsiasi persona che voglia fare proprio il problema.
A metà degli anni ’70 la popolazione mondiale raggiunge i 4 miliardi (nel 1940 era di 2 miliardi). In quegli
anni si raggiunge il massimo della velocità di crescita (superiore al 2% annuo) che da quel periodo presenta un
graduale decremento. Sul nostro pianeta oggi abbiamo superato i 6 miliardi di esseri viventi di cui circa un
quarto costituito dalla popolazione cinese. Anche nel nostro Paese, in generale, si è registrata questa tendenza
con alcune peculiarità legate ad un forte tasso di emigrazione a partire dagli ultimi decenni dell’ottocento fino
agli inizi del XX secolo. Da questo periodo la popolazione riprende a crescere con una velocità che tocca il
massimo negli anni ’70 per poi stabilizzarsi tra il 1980 e la fine del secolo. Con l’inizio del terzo millennio si
registra una nuova fase di crescita legata soprattutto ai flussi immigratori, superando oggi i 60 milioni di
popolazione residente con un incremento di 10 milioni di unità rispetto al 1960.
E proprio in quel periodo inizia una vertiginosa crescita del traffico veicolare: se nel 1950 il numero di automezzi
circolanti non raggiunge le 500.000 unità, nei primi anni ’60 transitano sulle strade del nostro paese oltre due
milioni e 500.000 veicoli. A metà degli anni ’80 si tocca la quota di 24 milioni, agli inizi del nuovo millennio
quella di 30 milioni e attualmente la stima si attesta su oltre 37 milioni, con un incredibile rapporto di quasi 60
vetture ogni cento abitanti, il rapporto più alto di tutta la comunità europea. Di queste autovetture, circa un
terzo ha un’età superiore ai 12 anni con ovvie conseguenze sull’inquinamento atmosferico.
Inoltre, negli ultimi 50 anni, siamo stati spettatori di un’eccezionale espansione delle attività industriali e di una
profonda trasformazione di quelle agricole (con aumentato inquinamento idrico e del suolo, oltre che dell’aria,
da parte di entrambe). Tutto ciò ha comportato una sempre più massiccia presenza di molecole estranee agli
ecosistemi biologici, frequentemente dotate di attività mutagena e/o cancerogena, aggiungendosi in tal modo
agli agenti oncogeni già presenti nel nostro habitat.
N° 6 DICEMBRE 2014
40
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Un esempio di tale problematica è ben documentato in uno studio condotto in Veneto e pubblicato su Nature
nel 1997 col fine di valutare la relazione tra degrado ambientale e insorgenza di neoplasie. Questa ricerca, basata
sulla distruzione di forme di vita estremamente sensibili all’inquinamento aereo (i licheni), specie da metalli
pesanti, dimostrò che le aree di “deserto lichenico” coincidevano con aree di maggior mortalità per neoplasie
polmonari.
La massiccia espansione delle telecomunicazioni ha inoltre saturato l’etere di radiazioni elettromagnetiche il cui
rischio oncogeno, se pur non chiaramente definito, suscita certamente giustificate preoccupazioni. La diffusione
ormai totale della telefonia mobile pone ulteriori problemi per il fatto che i cellulari sono utilizzati anche da
fasce di popolazione particolarmente giovane.
Gli esempi che descrivono la profonda trasformazione sociale degli ultimi decenni sono innumerevoli, ma
preferisco fermarmi qui ed affrontare più dettagliatamente il problema del traffico veicolare, con particolare
attenzione alle possibili conseguenze sulla salute della popolazione in età pediatrica. E’ nota l’affermazione di
Roberto Romizi, presidente dell’International Society of doctors for environment (ISDE) sede italiana, che
afferma come la salute del bambino sia il principale indicatore della salute di una popolazione: da questa
condivisibile affermazione si evince quale enorme importanza rivesta la tutela della salute dell’infanzia. Uno dei
cardini di questa tutela, come ha correttamente sottolineato il pediatra Giovanni Fasani in un meeting organizzato
da ISDE e tenutosi a Cremona nello scorso ottobre, è strettamente connesso alla qualità dell’ambiente in cui
vivono i nostri bambini. A questo punto è lecito chiedersi se faccia parte della nostra cultura, oltre che della
legislazione in materia, mettere in atto tutte le misure atte a preservare lo stato di salute.
Un immediato indicatore della qualità dell’ambiente è certamente legato all’incidenza di patologie respiratorie
nell’infanzia.
Diversi sono gli studi che dimostrano come l’inquinamento ambientale sia dovuto per lo più a particolato/polveri
sottili, ozono, anidride solforosa, ossido di azoto e di carbonio, idrocarburi policiclici aromatici: il dato allarmante
è che gran parte di questi inquinanti derivano dal traffico veicolare, come dimostrato dal fatto che maggiore è
l’incidenza di patologie respiratorie nei bambini residenti nelle zone di maggior traffico. E il rapporto
autoveicoli/cittadini sovra citato non induce certo previsioni ottimistiche. In particolare le polveri sottili PM 10
e PM 2.5 vengono ritenute una causa altamente pericolosa per la loro azione tossica esercitata a carico
dell’apparato respiratorio e cardio-vascolare.
Esistono inoltre altri motivi per cui il bambino risulta più vulnerabile rispetto all’adulto: prima di tutto i livelli
soglia delle varie sostanze inquinanti sono calcolati su un adulto dal peso corporeo di 70 kg e risultano quindi
inaccettabili per un organismo di più ridotte dimensioni; inoltre il bambino, in relazione al peso corporeo,
mangia, beve e soprattutto respira molto più di un adulto, trascorre in genere più ore all’aria aperta, nel gioco
tende a respirare con la bocca piuttosto che con il naso, è piccolo e quindi più vicino alle fonti di emissione
incrementando quindi il rischio inalatorio, possiede un sistema di eliminazione delle sostanze tossiche molto
più lento rispetto all’adulto ed è più fragile causa le ridotte capacità di difesa immunitaria.
Ma il problema, già assai preoccupante, non finisce qui.
Giuseppe Masera, uno dei pionieri dell’oncologia ed ematologia pediatrica, nello stesso meeting di Cremona,
ha sottolineato come l’incidenza dei tumori nel bambino in Italia sia la più elevata dell’intera Comunità Europea,
in particolare nel primo anno di vita: nonostante da qualche anno sia segnalata una tendenza alla diminuzione
di tale incidenza, questa situazione permane di certo inquietante. Purtroppo nel piano nazionale di prevenzione
2014 – 2018 questo problema non è adeguatamente affrontato a tal punto che diverse società scientifiche, tra
cui AIOM, ISDE, AIE, hanno inviato al Ministero della Salute e a quello dell’Ambiente un documento con il
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
41
seguente oggetto: “Mancato trasferimento in Sanità Pubblica dei risultati degli studi SENTIERI e conseguente
richiesta di integrazione del Piano della Prevenzione 2014 -2018”.
Il termine SENTIERI, come a molti è noto, è un acronimo che in extenso va letto come Studio Epidemiologico
Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento. Questo processo ha consentito di
definire i territori italiani maggiormente inquinati e definiti con la sigla SIN, ovvero Siti di Interesse Nazionale.
I SIN sono circa 40 e tra questi ricordiamo Trieste, Porto Marghera, Mantova, Casale Monferrato, Massa,
Livorno, Piombino a scendere fino a Taranto e Gela.
Nel 2012, sull’onda dell’emergenza ILVA, a Taranto, viene pubblicato un aggiornamento di SENTIERI dedicato
unicamente a questo SIN che evidenzia, tra le altre problematiche, un eccesso anche di mortalità infantile.
Il problema diviene ancor più grave se si tiene conto della già dimostrata trasmissibilità di sostanze
mutagene/cancerogene dalla mamma al feto con conseguenze imprevedibili su un organismo in via di sviluppo.
Ad esempio, già da alcuni anni sono noti gli effetti negativi del bisfenolo A sostanza che fa ancora parte della
filiera alimentare e che può essere assorbito oltre che con l’ingestione di determinati alimenti anche per via
inalatoria e cutanea. Gli studi, condotti principalmente dall’agenzia francese per la sicurezza alimentare,
confermano, tra l’altro, la sua possibile trasmissibilità dalla mamma all’embrione o al feto con evidenti rischi di
tossicità imprevedibili. Da alcuni anni è stato documentato, tra l’altro, un aumentato rischio di diabete ed obesità
in bambini esposti durante la vita embrionale e fetale a tale sostanza.
Non è più possibile, quindi, da parte di tutta la comunità scientifica, e da quella oncologica in particolare,
ignorare il problema della cancerogenesi transplacentare e transgenerazionale.
Come agire, o meglio re-agire?
Quale può essere il ruolo di noi oncologi nel proporre misure che abbattano drasticamente o almeno che riducano
il rischio di malattia che aleggia sul capo della popolazione, soprattutto di quella (in pratica quasi l’80%) che
vive negli agglomerati urbani?
In base a quanto precedentemente esposto, l’inquinamento atmosferico, noto anche come smog (dai termini
inglesi “smoke” e “fog”, ovvero fumo e nebbia) può essere definito, in sintesi, secondo il gruppo di ricerca
dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma (Medicina del Lavoro) guidato da Francesco Tomei, “ogni modificazione
della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica dovuta alla presenza di una o più sostanze in
quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria stessa e da
costituire un pericolo per la salute delle persone e da alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi”. Curioso, per
i non addetti ai lavori, sapere che esistono almeno due tipi di smog definiti rispettivamente “tipo Londra” o
anche “classico” e tipo “Los Angeles” o fotochimico. Il primo è dovuto soprattutto all’azione del particolato e
del biossido di zolfo ed è caratteristico della stagione invernale e delle temperature fredde, mentre nel secondo
prevalgono ossido di azoto, ossido di carbonio ed ozono ed è caratteristico della stagione estiva, soprattutto nelle
ore centrali della giornata.
Ora, come ricorda anche ESMO, per affrontare e contrastare tale situazioni, sono necessari interventi pubblici
e comportamenti privati.
Informare e sensibilizzare la popolazione sullo stato di inquinamento e sui possibili effetti sulla salute è un
compito che spetta a tutti i medici ma, laddove gli effetti tossici possono esprimersi in un’aumentata incidenza
di neoplasie, il ruolo di noi oncologi diventa determinante.
Un approccio multidisciplinare che dovremmo contribuire a sostenere sta nell’ottimizzare la rete di trasporto
pubblico così come estendere le zone a traffico limitato e contemporaneamente incrementare le zone verdi
all’interno dei centri urbani. Altri provvedimenti dovrebbero prendere in considerazione la realizzazione di una
N° 6 DICEMBRE 2014
42
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
rete di piste ciclabili che si estenda per tutto il centro urbano e prosegua anche al di fuori dello stesso così come
risulta urgente pedonalizzare le aree dei grandi centri urbani. Anche se al momento queste scelte risultano più
complesse, andrebbe attentamente valutata la possibilità di utilizzare carburanti alternativi meno o non inquinanti
(biodisel, veicoli elettrici a batteria etc…).
Individualmente dovremmo adottare e proporre uno stile di vita che comporti l’uso del trasporto privato solo
se realmente necessario o, quantomeno, utilizzare una sola auto per il trasporto di più persone, incentivando
trasporti pubblici alternativi quali filobus o minibus elettrici. Nella guida andrebbero evitate le accelerazioni e
le frenate brusche, sarebbe importante il mantenimento di una pressione adeguata degli pneumatici (dal
novembre del corrente anno, tutte le nuove auto dovranno essere munite di un misuratore di pressione) in
quanto pneumatici con pressione inferiore a quella prevista consumano maggiormente carburante ed aumentano
le emissioni tossiche.
Comportamenti individuali e sociali responsabili dovrebbero inoltre comportare un risparmio energetico a livello
domestico con una conversione progressiva dei combustibili da riscaldamento, un regolare controllo e un
eventuale miglioramento degli impianti, una riduzione di sostanze tossiche volatili in uso per l’igiene domestica.
Non credo sia opportuno dilungarsi oltre: il mondo è cambiato, la società è cambiata, l’ambiente, l’aria, il suolo,
l’acqua, la nostra alimentazione sono inarrestabilmente cambiati; certo, viviamo in un’epoca di progresso ma,
ricordando Pasolini, il progresso tecnologico coincide sempre con il progresso umano?
Non credo ci sia bisogno di scomodare i posteri per emettere l’ardua sentenza: ognuno di noi, con sufficiente
buonsenso, esperienza ed onestà dovrebbe già aver ben compreso.
E nulla più.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
43
Riferimenti bibliografici
Prima di elencare alcune pubblicazioni di particolare significato, oltre a mie memorie personali, desidero
esprimere un particolare ringraziamento alle seguenti persone:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Patrizia Gentilini, Ruggero Ridolfi Ernesto Burgio, Bruno Castagneto, Giuseppe Comella e tutto il
gruppo di lavoro per Progetto Ambiente e Tumori (AIOM 2011)
Gianni Bonadonna, che mi ha concesso il privilegio di scrivere il capitolo sulla storia della Medicina
Oncologica nell’ultima versione del suo volume e regalandomi il ruolo di coautore insieme a lui,
padre dell’Oncologia Medica italiana
Roberto Romizi
Giovanni Fasani
Giuseppe Masera
Francesco Tomei e il suo numeroso gruppo di lavoro
Ho consultato inoltre:
7)
ESMO, Cancer prevention
8)
SENTIERI 2012 e 2014
9)
ISTAT, dati demografici 2013
10) AIRTUM Working Group, 2009
Voci bibliografiche più significative
11) Loeb L.A et al: advanced in chemical carcinogenesis: a historical review and prospective. Cancer Res
2008
12) Knox E.G: Childhood cancer and atmospheric carcinogens. J Epidemiol Community Health 2005
13) Tomatis L: Prenatal exposure to chemical carcinogens and its effect on subsequent generations. Natl
Cancer Inst 1979
14) Gabory A et al: Placenta contribution to the origins of sexual dimorphism in health and diseases: sex
chromosomes and epigenetics. Biol Sex Differ, 2013
15) Stern RS: The risk of melanoma in association with long-term exposure to PUVA. J Am Acad
Dermatol, 2001
16) Moan J et al: Ultraviolet radiation and malignant melanoma. Adv Exp Med Biol 2008
17) Savitz D.A et al: Association of childhood cancer with residential traffic density. Scad J Work Environ
Health, 1989
18) Dockery D.W: Health effects of particulate air pollution. Ann Epidemiol, 2009
19) Knox E.G: Roads, railways, and childhood cancers. J Epidem Comm Health, 2006
20) Belpomme D et al: The multitude and diversity of environmental carcinogens. Environ Res, 2007
N° 6 DICEMBRE 2014
Note:
www.giscad.org
Scansiona il codice QR con il cellulare
e scoprirai un mondo di informazioni