Partiamo da un`affermazione che fino a qualche decennio fa era

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Partiamo da un`affermazione che fino a qualche decennio fa era
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1. LA VITA È CRESCITA VERSO LA PIENEZZA DALLA NASCITA FINO ALLA MORTE
Partiamo da un’affermazione che fino a qualche decennio fa era impensabile, ma che oggi è
comunemente accettata: la persona umana è chiamata a crescere fino alla conclusione della sua esistenza. Non è vero che dopo un certo punto essa è “determinata” da quello che è. La persona umana può e
deve camminare e crescere: essa è un progetto che non sarà compiuto che al momento della morte.
Quello che conta è che noi ce lo ricordiamo per non crederci mai degli “arrivati”, ma anche per non
scoraggiarci davanti alle difficoltà. Anzi, l’esperienza ci dice che proprio i momenti difficili possono
diventare momenti privilegiati per camminare verso la scoperta del proprio io, per la propria crescita
personale. Essi si rivelano momenti di passaggio (transizione) da una tappa all’altra della crescita umana.
Ciò che conta è di esserne coscienti e di accoglierli come momenti, esigenti, spesso dolorosi ma importanti e necessari, per giungere alla conoscenza del proprio io autentico.
1.1. Le tappe della vita: momenti di scelta e di maturazione/crescita 2
Per noi che viviamo nel tempo, gli avvenimenti della nostra storia sono il luogo dove possiamo
cogliere qualcosa del mistero di Dio, della sua azione creatrice che continua ad agire in noi e dei suoi
progetti su di noi. Mentre si sviluppa e cresce la nostra esistenza, c’imbattiamo in fatti e situazioni che
hanno un particolare significato per noi e per la conoscenza di noi stessi. Sono quei passaggi impegnativi, e per questo difficili, che comunemente si chiamano crisi e che, meglio, dovremmo chiamare sfide,
perché si tratta di avvenimenti e/o stati d’animo che ci fanno riflettere; sono appelli a guardare avanti, a
superarsi e a crescere nella propria identificazione interiore, sono momenti che ci portano a maturare.
Essi ci avvertono che siamo a un tornante del cammino umano o spirituale e ci stimolano a prendere una
decisione. L’importante è riconoscerli secondo il detto della saggezza greca: “kairòn gnôthi” 3 . Questi
tempi particolari sono degli autentici kairoí, momenti importanti e fecondi: essi ci dicono chi siamo,
dove andiamo, come dobbiamo rispondere. Sono momenti privilegiati nella nostra vita.
Questi momenti non sono dei fatti esclusivi dell’esperienza umana; riguardano anche la vita
spirituale e l’esperienza religiosa come provano la Bibbia e gli scritti dei mistici di ogni religione. Pensiamo ad esempio ad Abramo (Gen 12.22), Giacobbe (Gen 28,16), Giuseppe (Gen 37-46), Mosé (Es
2,15ss.), Geremia (15,10ss; 20,7ss), Elia (1 Re 19,1-8), Maria (Lc 1,34-38; Gv 2,4-5), Pietro (Mt 16,22La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
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23; Gv 21,15-19), Paolo (At 9,3-9; 2Cor 12,7-10) , e soprattutto Gesù nelle sue tentazioni e nella
sua passione (Mt 4,1ss; 26,36-39).
Prendiamo, come esempio e icona, la storia di Nicodemo: Gv 2,23-3,15.
- Nicodemo è stato colpito dalla predicazione del Signore; sente che deve fare qualche cosa; si
reca da Gesù non per lasciarsi cambiare, ma per farsi confermare nelle sue sicurezze circa la Legge come
fonte di vita e entrata nel regno di Dio.
- Invece Gesù lo sfida a cambiare a “rinascere” nel mistero dell’incarnazione e della pasqua del
“Figlio dell’Uomo innalzato” che dà la vita a chi aderisce a lui.
- Nicodemo fa fatica a credere e a lasciare le sue sicurezze per accettare nuove proposte: è
vecchio, crede di aver già fatto tutto il cammino necessario; non vuole lasciare le certezze per avventurarsi nel cammino della fede.
- Ma la sua salvezza sta proprio nel fare quel passo avanti che Gesù gli chiede e alla fine vediamo
che egli il passo probabilmente l’ ha fatto: riconosce infatti in Gesù il Re di Israele e compera per lui una
misura regale di profumi :”cento libre di mirra e aloe” (Gv 19,39).
In questa sede vedremo di rispondere a una serie di domande: Quando incontriamo questi momenti particolari? Come li riconosciamo? Come li superiamo? C’è qualche costante e quindi qualche
suggerimento che si può dare per percorrere fruttuosamente queste tappe della nostra vita?
1.2. Lo schema e lo scopo della nostra riflessione.
Il nostro discorso prenderà le mosse dalla vita intesa come crescita e parleremo della situazione
di chi accetta e di chi si rifiuta di crescere (cap. 2). Vedremo poi la struttura e i tempi delle tappe della
crescita (cap. 3), e le leggi che guidano la crescita nella vita umana e spirituale (cap. 4). Vedremo poi in
dettaglio la crisi dell’età di mezzo e cercheremo di coglierne i sintomi (cap. 5) e di individuare la strategia per uscire positivamente da questi passaggi obbligati (cap. 6).
Scopo di questa conversazione è quello di
1) impostare correttamente la nostra vita alla mezza età, e anche nelle tappe successive, alla luce
dei provvidenziali richiami del tempo che passa;
2) riconoscere ed esaminare questi cammini per assumerli e viverli con libertà autentica, quella
libertà che consiste non nel fare quello che vogliamo, ma nel volere e nel scegliere liberamente quello
che facciamo;
3) ristrutturare la nostra vita per mezzo della gratuità dell’amore di Dio (grazia preveniente) e
organizzarla in modo che sia - come deve essere - un’epifania dell’amore di Dio incamminandola
fruttuosamente verso la terza età: “invecchiare bene” è un impegno da tenere presente fin dalla prima
formazione nella giovinezza!
Concludendo: rifletteremo su alcuni temi della vita spirituale alla luce della psicologia. Ma non
si deve cadere nell’equivoco di pensare che questo argomento sia un affare individuale staccato dalla
missione ecclesiale. Non è così: la nostra crescita nella libertà e nella carità è legata e orientata alla
missione: ci proponiamo di diventare soggetti sempre più liberi e adeguati per la missione.
2. La vita come crescita
L’uomo è tempo e quindi assume la propria identità nel tempo, attraverso tempi che lo plasmano.
La crisi della “mezza età” è una di queste tappe di crescita. Questa con i necessari passaggi o crisi che
l’accompagnano è una realtà iscritta nella natura umana dal Creatore: “Crescete e moltiplicatevi ...” (Gen
1,28). E’ una legge che anche Gesù Cristo ha accettato: anche lui è cresciuto “in sapienza, età e grazia”
(Lc 2,52).
Crescere è la prima vocazione dell’uomo, il suo compito permanente: “Il giorno della mia morte,
avrò finalmente finito di nascere”, dice Beniamino Franklin 4 . Noi diventiamo a poco a poco e grazie ad
un processo di continua formazione, quello che siamo destinati ad essere. E’ la strada tracciata all’uomo
dal progetto creatore di Dio: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv
1,12).
Tutto ciò che cresce e dà frutto, anche se attraverso la croce, dà gloria a Dio; mentre tutto quello
che blocca la crescita è peccato, rifiuto di Dio e delle sue offerte di vita.
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- Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
La “fatica” di crescere
Siccome la crescita non è semplicemente un fenomeno di ingrandimento (l’uomo adulto non è
un bambino ingrandito o gonfiato!), ma una trasformazione, essa è un processo doloroso che comporta
sforzo personale e anche rischio, cambiamento e, in una certa misura, morte 5 , perciò essa non è un dato
né facile né scontato.
Non tutti accettano la legge pasquale del cambiamento e della trasformazione, la potatura della
vigna (Gv 15), una legge che arriva fino alla morte del chicco di grano per rinascere moltiplicato nella
spiga (Gv 12,23-25).
La storia della salvezza è piena di esempi di questi rifiuti: da Israele che non vuol camminare nel
deserto e mormora (Es 16) a Nicodemo che non vuole rinascere (Gv 3), da Pietro che, dopo aver creduto,
cede alla paura (Mt 14,22) al giovane ricco che non osa avventurarsi con Gesù e se ne va triste, perché
rifiuta la crescita, il rischio, il cammino (Lc 18,19).
Chi non accetta la fatica di crescere
Chi non se la sente di fare questa fatica rimane nell’illusione di mantenere la quiete presente,
oppure lascia che la storia vada avanti e lui rimane indietro (“non progredi regredi est”). Incontriamo
allora delle persone che si rifugiano in forme nevrotiche segnate dall’ egocentrismo, dalla fuga dalle
responsabilità, dalla ricerca infantile della gratificazione facile, quelle persone che vorrebbero farsi sempre coccolare o attirare l’attenzione (gli “eterni” stanchi e/o ammalati), altre che cadono in forme di
legalismo 6 , o cercano riparo nel mondo dei sogni oppure, strana ma vera alternativa, nell’aggressività, o
quelle persone che finiscono nel pessimismo e, molto spesso, nella depressione.
San Gregorio di Nissa definisce la crescita spirituale una transizione che va “da un inizio ad un
altro inizio fino all’inizio senza fine della vita eterna” 7 . Sul piano della vita spirituale coloro che non
accettano la fatica della crescita e del ricominciare (la “seconda chiamata” come la chiama René Voillaume),
si bloccano e si condannano alla tristezza e alla mediocrità (cfr. Apoc 2,4-5; 3,15-16). Essi si precludono
la possibilità di giungere allo “stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di
Cristo” (Ef 4,13).
Le tappe che scandiscono la crescita umana
Romano Guardini vede le fasi della vita articolarsi attraverso delle “crisi” che sono dei traumi:
la vita nel grembo finisce nella nascita, l’infanzia nella pubertà, la giovinezza nell’impatto con il mondo,
l’età adulta nella crisi dei limiti, la maturità nella crisi del distacco e della fine, la vecchiaia nella morte 8 .
Le crisi della nascita e dell’adolescenza sono note a tutti e non ce ne occuperemo. In questa sede
analizzeremo invece la tappa della mezza età come un tempo paradigmatico di passaggio (transizione) e
di crescita dentro la vita spirituale della persona. Su questo schema sono anche le altre crisi o transizioni.
Le tappe della crescita spirituale
Per la vita spirituale sono stati elaborati vari modi di descriverne le fasi della crescita: oltre le
immagini proprie dei Maestri, come i “gradi di umiltà” di S.Ignazio di Loyola, le “dimore spirituali” di
S.Teresa d’Avila, le tappe nella salita del monte della perfezione e le purificazioni (“notti”) dei sensi,
dello spirito, di S.Giovanni della Croce, la tradizione spirituale ha elaborato la descrizione classica del
cammino degli incipienti-proficienti-perfetti, la via della purificazione-illuminazione-unione e simili.
Comunque si vogliano chiamare, le tappe si susseguono cronologicamente senza escludersi l’una l’altra,
anzi integrandosi.
3. LE LEGGI DELLA CRESCITA
La crescita della persona è un fatto individuale e talmente personalizzato che non è possibile
fissarne le leggi. Ci sono tuttavia alcune costanti che possono essere considerate come delle leggi della
crescita umana e spirituale.
3.1. Si cresce dentro una relazione di fiducia/intimità/gratuità
Non si cresce da soli. Ci vogliono dei punti di riferimento, cui rapportarsi, ci vuole un ambiente
e delle persone che offrano una relazione di fiducia e di gratuità. E’ un’affermazione vera e impegnativa
che chiede a chi vuol crescere di aprirsi e di mantenere delle relazioni autentiche non solo con sé (accettazione di sé), ma con gli altri (amicizie) e con Dio (orazione e contemplazione).
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
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Come ogni relazione autentica, l’apertura all’altro deve tendere all’oblatività e alla fiducia superando lo stadio della possessività e dell’aggressività. Crescere è un cammino d’amore che deve continuare tutta la vita, che è pronto ad accettare anche il distacco, l’assenza e la morte, che supera lo stato
fusionale e narcisista.
“E’ bene per voi che io me ne vada” (Gv 16,7), dice Gesù ai suoi annunciando loro l’inizio di una
nuova relazione che lo renderà ancora presente, ma in modo diverso. Invece noi spesso reagiamo come
i discepoli che si erano rattristati a questo annuncio e come Pietro che voleva restare sul monte a contemplare Gesù trasfigurato. Ma “non sapeva quello che diceva” (Lc 9,23).
3.2. Si cresce dentro la propria storia e nel tempo
Noi siamo tempo e quindi il tempo è un ingrediente necessario della crescita. E tuttavia vediamo
che, oggi soprattutto, la persona tende a prescindere dal tempo e vorrebbe “ tutto, subito e qui”. E’ un
segno di una maturità non ancora raggiunta. Ma ciascuno sa che i cambiamenti personali domandano
tempo e non è possibile crescere se non si accetta il fattore durata. Questa comporta una continuità di
passato, presente e futuro, vissuto rispettivamente nella memoria, nell’ accoglienza e nella speranza.
a) Il passato va rivissuto nella memoria riconoscente , nella fede che diventa azione di grazie e
che percorre con uguale attenzione la storia delle meraviglie di Dio, ma anche delle nostre miserie: “Ciò
che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai loro figli;
diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha compiuto,
(...) perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma osservino i suoi
comandi” (Salmo 78,3-4.7).
Il passato è la matrice del presente e non deve essere rifiutato né idealizzato, ma ricordato con
realismo carico di gratitudine. Un esercizio psicologicamente utile e un’occasione di riconciliazione e
crescita spirituale consiste nello scrivere la storia della propria vita rileggendola e sottolineandone - in
azione di grazie - il bene che si è ricevuto senza nascondersi il male, ma inserendolo nella trama generale
della vita stessa. Così possiamo rivedere la nostra vita come storia e la fede come memoria.9
b) Il presente va accolto nella fede e vissuto nella carità. La possibilità stessa della crescita sta
nella capacità dell’individuo di affrontare e guardare in faccia la realtà superando la tentazione di sognare ciò che non c’è. C’è un modo di sognare che è sano ed è quello che alimenta il desiderio, ma c’è un
altro modo di sognare che è una forma di evasione alienante. La persona che vuol crescere deve accettare
se stessa, il suo mondo, il suo ambiente familiare, la chiesa di oggi con questi suoi pastori, la comunità in
cui oggi si trova, il lavoro che oggi le è affidato, in una parola, il tempo in cui sta vivendo. La realtà da
accettare sono anche i propri limiti fisici, intellettuali, morali. Anch’essi sono “offerte di vita” che vanno
accettate. Rifiutarle è un rischio che potrebbe bloccarci nella crescita.
Se lo Spirito Santo ci permette di guardare avanti nel desiderio e nella speranza pasquale, lo fa
solo a partire dalla dura realtà della passione e della croce. “Guardatevi perciò, fratelli, che non si trovi in
nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a
vicenda ogni giorno finché dura quest’oggi, perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato “ (Eb
3,12-13).
Vivere l’oggi non è sempre spontaneo né facile, e di fatto i laudatores temporis acti abbondano
sempre, ma si deve sapere che essi fanno fatica a crescere.
c) Il futuro va atteso nella speranza che è attesa e vigilanza operosa (Lc 12,35-48). Bisogna
attendere il meglio che deve ancora apparire. “Ciò che noi siamo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1
Gv 3,2).
Ma per dire “sì” al dono che ci verrà fatto, è necessario disporci a fare un passo avanti, abbandonandosi nella fede e nella fiducia alla speranza. La legge è quella pasquale: “Chi vuol salvare la propria
vita la perderà” (Mt 16,25). In realtà noi siamo stati salvati “nella speranza” (Rom 8,24) e il meglio di
noi non è ancora apparso.
3.3. Si cresce passando dalla volontà di conversione all’accettazione della propria povertà
E’ l’esplicitazione dell’ultima affermazione sulla speranza. La crescita umana e spirituale rima
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- Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
ne sempre sottesa tra il desiderio della santità e l’accettazione e offerta della propria povertà.
Entrambi sono due ispirazioni che vengono dallo Spirito.
All’inizio della vita c’è una prima chiamata e una prima conversione. La vita poi si incarica di
aprirci gli occhi e fa cadere le illusioni mimetiche (“voglio essere santo come ...” 10 ) per farci toccare con
mano la nostra povertà.
Il rischio è di cedere alla vergogna o alla rassegnazione passiva: visto che non ce la faccio, mi
accontento di quello che sono e rinuncio a cercare la “follia della croce” (cfr. 1Co 1,18: la “stoltezza”
della croce). C’è il rischio che la morte delle illusioni faccia perdere anche la coscienza della chiamata.
Questa dolorosa presa di coscienza costituisce una purificazione, una seconda conversione e
quasi una “seconda chiamata” 11 , e ci porta ad accettare “una santità non più desiderata nella ricerca della
nostra perfezione, ma vissuta nell’offerta della nostra povertà” 12 .
Non mi devo rammaricare della mia povertà, ma accettare che Dio mi ami incondizionatamente,
ossia così come sono, non perché o se sono buono e bravo; devo accettare di essere povero e peccatore e,
nello stesso tempo, lasciarmi lavare i piedi da un Dio inginocchiato davanti a me con il grembiule,
secondo la suggestiva espressione di don Tonino Bello. Tutto questo fa parte del processo di crescita, così
come ammettere che non sono arrivato ad essere quello che avrei voluto essere, che la mia formazione
non ha fatto centro, che ho perduto delle occasioni, che i miei peccati mi hanno portato lontano dal
progetto che credevo essere mio ecc., in una parola, devo accettare la povertà senza perdere la speranza.
Malgrado tutto, Dio resta fedele alla sua chiamata e io sono sollecitato a rispondere con nuova
generosità, con rinnovata speranza. E’ l’esperienza di Paolo e della sua “spina nella carne” che egli
insistentemente chiede gli sia tolta: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente
nella debolezza”. E allora Paolo riprende fiato e continua come in un inno: “Mi vanterò quindi ben
volentieri delle mie debolezze ... perché quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12, 9-10). E’
a questo punto che inizia una nuova tappa della crescita spirituale, “una relazione totale [con Dio] da
persona a persona” 13 .
“L’avventura (ad ventura), l’accettazione di ciò che viene - persone o circostanze - è una dimensione fondamentale dell’esistenza” 14 . Insieme al verbo accettare, il verbo arrendersi nell’abbandono
confidente è altrettanto importante per la crescita: “Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza”, dice Isaia (30,15) al re Ezechia che si affanna a cercare le alleanze terrene contro l’Egitto (703-702 a.C.). La perfezione e la salvezza non saranno mai frutto
della nostra iniziativa, ma della grazia preveniente ed immeritata di Dio che è costituita da “ciò che egli
dona come Creatore, che è la natura, e [da] ciò che dona come Autore della grazia, che è il soprannaturale”, come dice sant’Ignazio 15 .
Questo della grazia è un dogma tanto centrale della nostra fede, quanto difficile da mettere in
pratica per chi è stato formato ad una spiritualità volontaristica e spesso incline ad un pratico pelagianesimo.
La fede che si abbandona liberamente e interamente nelle mani di Dio (Dei Verbum n. 5: “Obœditio fidei
qua homo se totum libere Deo committit”) resta un dato e un atteggiamento fondamentale nel processo di
crescita.
La coscienza della nostra povertà è provvidenziale per farci vivere in quella verità e umiltà
autentiche che producono in noi quella libertà interiore che ci fa guardare senza vergogna i nostri limiti
attendendoci solo da Dio la salvezza e ci dispone a fare volonterosamente quello che Egli ci chiede di
fare.
Abbiamo visto che qui accade la seconda conversione della persona “con la quale la persona si
sottomette totalmente all’azione di Dio e si propone di seguire sempre la mozione divina per giungere
alla pienezza della vita spirituale” 16 . E questo in modo più realistico e più completo della prima volta. E’
vero quello che diceva un prete: “Mi sono accorto di essere diventato prete parecchi anni dopo l’ordinazione”!
4. LA STRUTTURA DELLE SINGOLE TAPPE
Per questo nostro lavoro seguiamo uno schema abbastanza usuale delle tappe di crescita :
1. Nascita e infanzia (0-12); 2. Adolescenza (13-20); 3. Prima età adulta (20-40/45); 4. Seconda
età adulta o età di mezzo (40/45-65) in cui si distinguono gli anni quaranta e gli anni cinquanta 5. Terza
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
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età (65 >+) che porta verso la conclusione della vita.
Non è facile descrivere in modo preciso la struttura delle tappe di crescita della vita. Esse variano
da persona a persona e da tempo a tempo. Tuttavia possiamo notare che il passaggio da una tappa all’altra
della vita è messo in moto da un avvenimento esteriore o da una situazione interiore che introduce in un
periodo di turbamento, nel corso del quale si ha la sensazione che tutto il passato sia stato azzerato.
Questo conduce ad una nuova scelta o una nuova definizione di sé che riavvia il corso della vita in modo
nuovo rispetto al punto di partenza.
Secondo P. Charles A. Bernard S.J., ogni tappa è caratterizzata dalla presenza di due tempi: “uno
è un tempo di preparazione in cui il vivente cresce insensibilmente, l’altro un tempo di emergenza,
quando la maturazione precedente produce una mutazione profonda che segna una nuova tappa della
crescita” 18 .
Va ricordato che se alla conclusione della crisi non si produce una nuova scelta, il cammino della
persona subisce una battuta d’arresto e spesso una involuzione.
4.1. Ciò che mette in moto la “transizione”
Si parte da una posizione di sicurezza, una situazione di equilibrio consolidato. Ad un certo
punto interviene un avvenimento inatteso, a volte traumatico, o una situazione nuova che viene a interrompere il cammino: una malattia, una morte, un cambiamento inatteso o non voluto di attività, il distacco di una persona cara, la coscienza del tempo che passa, la scoperta di una verità importante, un momento di stanchezza o di flessione nell’impegno personale. Non sono estranei a questo cambiamento dei
fenomeni fisiologici, ormonali, che caratterizzano questo momento (v. la menopausa nella donna) 19 .
Rendersi conto di questo fatto produce choc, sconcerto, accompagnato da sentimenti di rifiuto o
fuga che normalmente si vivono sotto forma di stanchezza, depressione, di dubbio e incertezza persistenti, di paura o di rabbia, accompagnati dalla pericolosa tentazione di lasciar perdere tutto.
Sarebbe fatale - anche se è possibile - prendere una decisione in un simile stato d’animo 20 . Esso
non è segno di una realtà negativa per sé, ma l’invito a fare un passo avanti, a cercare un nuovo aggiustamento interiore. E’ un’ora di grazia (kairos), anche se essa mette in moto un periodo di sofferenza e di
purificazione dolorosa, una notte oscura, un cammino nel deserto, che non si supera in modo valido che
“attraverso un rinnovamento dell’interiorità” 21 .
Si tratta - per usare un’espressione tecnica - della fase destrutturate, il tempo nel quale viene
smontato tutto quello che è stato finora la sicurezza della persona, tutto sembra perdere senso. Ma non è
esattamente così. Si tratta di un momento di ricostruzione. Il medesimo materiale viene ricomposto in
una nuova maniera e secondo una nuova forma. Per questo si può dire che ne viene fuori una nuova, o più
esatta, identità, una migliore approssimazione al nostro vero io 22 .
4.2. Il cammino nel deserto
Questo è, propriamente parlando, la crisi o, con termine tecnico, la fase sub-liminale, cioè “il
superamento di una certa soglia che spontaneamente porremmo al nostro cammino spirituale e che invece [siamo costretti] ad oltrepassare: la soglia della nostra intelligenza e della pretesa di capire sempre
tutto, di avere il controllo della situazione e di muoverci solo quando sappiamo dove mettere il piede” 23 .
Questo è il momento doloroso della crisi.
La parola crisi nel contesto della formazione deve quindi essere intesa rettamente, dato che nel
linguaggio corrente essa ha normalmente una connotazione negativa, come si trattasse di un momento di
ripensamento destinato ad una conclusione sfavorevole. Crisi nella sua radice etimologica greca significa scelta, giudizio, esito, soluzione; in quella latina invece dice decisione, piega decisiva. In italiano la
parola crisi è usata di solito con una connotazione negativa, anche se nel gergo medico, per esempio, è un
termine positivo e significa la scomparsa delle manifestazioni morbose 24 .
Nel nostro contesto crisi significa un momento di cambiamento o di passaggio segnato da un
momento di difficoltà, di smarrimento e di sofferenza, nel quale emergono interrogativi, bisogni, urgenze inattesi che portano a rinnovare la scelta e che - alla fine - fanno emergere quasi una nuova identità.
La crisi è simile ad un bivio davanti al quale uno deve scegliere ancora una volta quello che
intende essere. E’ quindi un momento prolungato di prova (nell’accezione sinottica di peirasmós che si
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- Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
traduce di solito con tentazione, ma che sarebbe meglio tradurre con saggio, dal verbo saggiare), di
ricerca, di discernimento e quindi di sofferenza, ma anche di nascita, di novità: un momento di speranza
pasquale.
Questa fase richiede gli atteggiamenti propri di chi cammina nel deserto: la costanza nel cammino, il silenzio per l’ascolto, l’aiuto di una guida per essere orientato, la libertà interiore e - la sua matrice
- la povertà che attende e si dispone a ricevere l’aiuto.
4.3. Lo sbocco della crisi e la ripresa del cammino
Posto davanti al bivio, alla necessità di scegliere se procedere verso una nuova, rinnovata fedeltà
e nuovi orizzonti oppure se restare dove è, senza correre rischi, chi accetta di essere messo in crisi e di
fare un passo avanti, rinasce (cfr. Gv 3,3.5) e inizia una nuova vita. La crisi trova la sua conclusione
quando la si accetta e si prende la decisione di fare un passo avanti e di riprendere il cammino 25 .
Solo chi accetta di entrare e percorrere positivamente questo passaggio difficile (es. la malattia,
una destinazione inattesa e/o non desiderata, la morte di una persona ecc.) e vi entra con decisione e con
fede, cresce e matura camminando verso quell’ io reale, che è la realizzazione del progetto di Dio su di
lui.
E’ la fase ristrutturante 26 nel corso della quale emerge il vero “io” diverso dall’ io ideale e
idealizzato, quell’ io di facciata che ciascuno si costruisce per affrontare le traversie della vita. Si comprende che questo è il momento della verità e della libertà secondo la frase di Gesù: “Conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi” (8,32).
5. LA “CRISI” DELL’ETÀ DI MEZZO : LA CRISI DEI LIMITI
Vogliamo qui analizzare gli elementi di descrizione e i sintomi che rivelano la crisi dell’età di
mezzo. Ci renderemo conto che, pur nella loro ambiguità, essi portano in sé il germe della soluzione e
comunque possono offrire dei cammini per una positiva.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura ...” Non è solo l’esperienza
di Dante: tutti ad un certo punto della vita, dopo averne percorso un buon tratto, ci troviamo a passare per
una “selva oscura”, ci ritroviamo ad un impegnativo tornante della vita mentre ci rendiamo conto che
qualcosa sta cambiando.27 A questo passaggio dell’età di mezzo diamo una particolare attenzione perché
esso può servire da paradigma anche per gli altri analoghi passaggi della crescita umana e spirituale.
Per effetto di qualcuno di quei fattori spiegati sopra (3.1.) uno entra nel deserto, e si trova davanti
ad un bivio che lo costringe a prendere una decisione 28 . Si rende anzitutto conto dei limiti che emergono
ormai visibilmente e che non possono essere più ignorati. E sa che ormai ha percorso più della metà della
vita attiva e deve quindi guardare in faccia una dura realtà: sta arrivando al pieno dell’età matura e deve
cercare di fare quello che è possibile prima che il tempo si esaurisca: siamo infatti ormai in dirittura
d’arrivo della terza età.
I sentimenti più normali davanti a questa constatazione potrebbero essere lo smarrimento, il
vuoto, la scontentezza, la depressione e, soprattutto, la paura. E sarà solo la consapevolezza che la Provvidenza può usare positivamente questo momento che aiuterà a superarlo in modo fruttuoso.
5.1. Un momento di bilancio e di inventario della propria vita
A questo punto uno si sente ormai avanti nel cammino della vita e gli viene quindi spontaneo
(forse per la prima volta) di chiedersi: Che cosa ho fatto finora? Che cosa intendo fare? Come intendo
vivere il resto della mia vita?
Non è raro né strano che egli senta degli interrogativi angosciosi che riguardano la scelta fondamentale della sua vita: Non mi sarò per caso sbagliato? Non si deve impressionarsi per questi dubbi, ma
ascoltarli attentamente e cercare la risposta più adeguata.
5.2. La consapevolezza dei propri limiti fisici, psicologici, spirituali
Dopo anni di impegno per fare del proprio meglio, è gioco-forza ammettere i propri limiti fisici,
le insufficienze psicologiche, le inconsistenze e i peccati. Il volontarismo e il perfezionismo si sono
dimostrati insufficienti, quando non dannosi.
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
VII
Il corpo comincia a sentire la fatica, a riconoscere i primi acciacchi, a desiderare un po’ di pace.
La sessualità - specialmente tra i religiosi/e a causa del tipo di formazione - può arrivare al suo culmine
proprio attorno ai 40 anni creando un’ulteriore fonte di stress e di imprevedibili fatiche. Uno si può
trovare senza risorse con il rischio (più tra gli uomini che le donne) di fare fronte all’emergenza tanto
bene che male con dei mezzi che invece di liberare creano un’ulteriore dipendenza alla maniera di una
droga, ad esempio, gettandosi nell’attività, lasciandosi andare a bere, al sesso ecc.
5.3. La solitudine e il bisogno di intimità
In questo momento della vita diventa forte il bisogno di avere qualcuno con cui parlare di sé, che
tolga dalla solitudine. Se intorno ai 30-40 anni la persona sente il bisogno di avere qualcuno/a con cui
condividere le proprie scelte e le proprie e mozioni, verso i 50 anni sente forte la paura di finire come
“uno dei tanti”, perduto nella folla. L’essere solo è un’esperienza frequente nell’età di mezzo.
E allora fa capolino una domanda nuova: C’è qualcuno che pensa a me? Ci sarà qualcuno che
piangerà per la mia morte? Un’ulteriore causa di profonda sofferenza è sentirsi valutati solo in relazione
ai risultati e non al proprio valore e alla propria intrinseca amabilità. Questi sentimenti di solitudine,
insieme con la crescente coscienza dei limiti e del passare del tempo, possono portare a due sbocchi
possibili: a cadere nella depressione oppure, in positivo, ad aprire a nuove relazioni.
5.4. Il bisogno di pienezza e completamento della propria personalità
Il bisogno di intimità evidenzia e permette di realizzare quel bisogno di completezza che sta
iscritto nella nostra struttura personale (che non si realizza esclusivamente nel matrimonio) e di cui parla
C.G.Jung. Nella persona esistono due poli che lo psicologo svizzero chiama l’ anima (componente femminile dell’uomo) e l’ animus (componente maschile della donna) 29 .
Dopo avere sviluppato uno dei poli (quello più congeniale) nella prima parte della vita, l’età di
mezzo è il tempo opportuno per procedere alla necessaria integrazione del secondo che amplia così la
frontiera dell’io ed arricchisce e completa la personalità.
C’è un altro bisogno di pienezza e maturità che si fa sentire urgente a questo punto della vita ed
è quello della paternità/maternità (“second generativity”, come lo chiama Erickson). Chi è sposato a
questo punto vede i figli che si sposano o se ne vanno di casa e si sente inutile e gli pare che non gli resti
che morire; chi ha scelto il celibato e sente il bisogno di avere qualcosa cui offrire il proprio lavoro e le
proprie energie, a questo punto della vita può sentire la solitudine, l’inutilità del suo impegno, il vuoto ...
La persona che sente il bisogno di vedere i frutti del suo lavoro, se non sceglie di chiudersi in se
stessa in una sterile solitudine, viene condotta a cercare nuove maniere per esprimere questa apertura alla
vita e questo bisogno di dare (generativity) e ne viene arricchita interiormente. Se questo non accade, la
persona rischia di ricadere in ciò che Erikson chiama il blocco (stagnation), il ristagno della vita, qualcosa che sa di …marcio.
5.5. La difficoltà di accettare la storia in cui siamo inseriti
Una fonte di tensione e di sofferenza viene anche dall’incapacità di mettere sotto controllo la
propria storia, dalla constatazione di trovarci dentro un tessuto di avvenimenti che ci precedono (la
nostra storia personale) e non riusciamo a dominare (la storia fatta dagli altri). Un senso di scoraggiamento ci può prendere: “Ho forse generato io questo popolo?”, si chiede sconsolato Mosè nel deserto
(Nm 11, 11-12). Ed Elia prega Dio di essere lasciato in pace: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita,
perché io non sono migliore dei miei padri” (1 Re 19,4).
Lo scoraggiamento che nasce dalla stanchezza per un lavoro (ministero e altro) che non dà frutto,
il logorio prodotto da relazioni di lavoro non significative o da ruoli pesanti ... tutto questo porta la
persona alla tentazione di chiudersi in se stessa e ad evadere dal suo impegno storico oppure - al contrario
- ad immergersi in esso in modo acritico e ugualmente pericoloso. Ma queste reazioni, se accolte e messe
a frutto, possono aprire ad un nuovo modo, meno aggressivo, di affrontare la vita e il proprio lavoro.
5.6. La memoria del passato assale con sensi di colpa, di fallimento, di rabbia
Un altro sentimento che contribuisce a rendere pesante questo momento della vita è la rabbia che
VIII - Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
nasce dal ricordo delle opportunità (diplomi, carriera ecc.) che abbiamo perduto, dei “giochi di potere”
di cui siamo stati vittime, di una certa obbedienza del passato che ci ha mortificati, degli imbrogli di cui
abbiamo dovuto pagare le spese, imbrogli orditi da persone concrete magari investite di autorità. Tutto
ciò - al di là delle “buone” intenzioni di chi ha preso le decisioni - provoca sofferenza e riempie di rabbia.
Dall’esame degli anni passati possono sorgere sentimenti di colpa per fatti del passato, oppure di
fallimento per le occasioni perdute, oppure di rabbia per le ingiustizie subite. Accade così che persone
sempre obbedienti sentano d’un colpo dei sentimenti di avversione per i superiori e perfino per i genitori.
Persone che sono sempre state gentili, improvvisamente, diventano aggressive e dicono dei “no” che
nessuno si sarebbe aspettato.
Non vanno inoltre dimenticati i sentimenti tipici di alcune categorie di persone: la rabbia delle
donne che si sentono persone di seconda serie, dei religiosi fratelli che non possono avere autorità nelle
comunità, di altri religiosi/e che non hanno mai potuto replicare a un superiore e che oggi vedono i
giovani ascoltati e riveriti da tutti.
Piuttosto che scandalizzarsi di questi sentimenti inattesi, sarebbe importante che coloro che ne
sono spettatori ne colgano il messaggio, capiscano il senso di questa rabbia, le diano voce e aiutino le
persone a liberarsene in modo costruttivo. Purtroppo spesso questo non accade. Dato che, in genere, le
persone religiose sono state formate a sottovalutare i propri sentimenti, riesce loro difficile spiegarsi ed
esprimere questi sentimenti negativi; così si chiudono nel silenzio e rimangono al margine della comunità. Sono quelle persone che, in modo sbrigativo, i superiori e i confratelli/sorelle qualificano “sedute”.
Bisogna invece aiutarle a riconoscere, accettare ed esprimere questi sentimenti.
5.7. Il tempo che procede inesorabilmente verso la fine
Arrivati verso i 45-50 anni, uno comincia a impressionarsi per ogni malattia, in ogni disturbo
fisico sente i prodromi della morte, preparata da quella dei propri genitori, di amici, di conoscenti. E’
questo il momento in cui si comincia a puntare l’attenzione sull’età di chi muore, un dettaglio che prima
passava quasi inosservato e a non essere troppo felici per la celebrazione del proprio compleanno.
L’inevitabile processo di invecchiamento è spesso temuto e risentito come un’inconfessata sofferenza. Il rischio è di curarla o, meglio, anestetizzarla con evasioni o regressioni pericolose: attivismo,
alcool, ozio (mezze giornate davanti alla TV o internet), rigidità e forme di aggressività.
Sarebbe invece più saggio ascoltare quello che la morte ci vuol dire: un invito alla verità, alla
responsabilità, al realismo. Allora il tempo che passa cessa di essere il krónos che mangia i suoi figli, per
diventare kairós, uno spazio per la “grazia e la verità” .
6. LA STRATEGIA PER USCIRE DALLA CRISI PIÙ MATURI
Quello che si sta vivendo nella stagione della età di mezzo fa ricordare la tentazione (peirasmós)
di Gesù (Mt 4,1-11; Gv 12,27), quell’esperienza spirituale nella quale egli è posto davanti alla necessità
di scegliere tra due modi diversi di attuare la sua missione. Come lui, anche noi nella fede che si abbandona a Dio e nell’ascolto della Parola, troviamo la forza della fedeltà.
Paolo infatti ci assicura che “nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è
fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via
d’uscita e la forza di superarla” (1Co 10,13). La prima cosa da affermare è che per quanto possano essere
serie le crisi da passare, tuttavia esiste per tutti la possibilità di uscirne e di uscirne migliorati. I sintomi
della crisi di cui abbiamo parlato sono ambigui: possono portare a degli sviluppi negativi, ma possono
essere anche degli appelli positivi che contengono in sé la chiave di soluzione della crisi e la giusta
direzione per uscirne. La strada per uscire è triplice: arrendersi nella fede (6.1.), riconciliarsi nel perdono
dato e ricevuto (6.2.), integrare tutta la propria storia nella propria vita in una sintesi o spiritualità che sia
globale o, come oggi si dice, olistica (6.3.).
6.1. Arrendersi nella fede
“Conosco Colui in cui ho creduto e sono convinto che egli è capace di conservare il mio deposito
fino a quel giorno” (2Tm 1,12). Già abbiamo detto che i verbi “accettare” e “arrendersi” sono di cruciale
importanza in questa fase della vita. Nella prima parte della vita tutto viene tenuto sotto controllo (o
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
IX
almeno si crede ...), ma poi a poco a poco ci si rende conto che la storia è più forte di noi, che Dio ha piani
diversi dai nostri, che noi stessi non siamo quello che pretenderemmo di essere.
“Per sciogliere l’apparente assurdità della vita, non c’è che una via possibile: rimettermi continuamente di fronte ad essa senza sfuggirvi, e arrendermi contemporaneamente senza riserve nella mani
del Dio umile e sofferente, del Dio crocifisso. Solo abbandonandomi perdutamente a Lui, solo capitolando nelle sue mani, potrò riprendere nelle mie il bandolo della matassa intricata della vita” 30 .
La prima realtà da accettare e da mettere nelle mani di Dio, con tutta la libertà possibile, è
proprio la stessa crisi dell’età di mezzo, insieme con lo smarrimento e la sofferenza che essa produce.
L’accetteremo solo se riusciamo a credere che essa è un kairós, un’occasione provvidenziale che Dio ci
offre per crescere e maturare nella nostra esistenza. Dio infatti vuole il nostro vero bene: “Ogni tralcio
che in me non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto” (Gv
15,2). Chi rifiuta la potatura, rifiuta una grazia e si condanna a produrre poco frutto, a vivere ad un livello
più basso delle sue possibilità, come abbiamo già detto sopra (p. 3).
Insieme con la crisi, dobbiamo anche accettare tutto quello che essa comporta durante questo
cammino nel deserto: la percezione della propria povertà, dei limiti e delle proprie inadeguatezze e
miserie.
Cresce chi fa esperienza della sua povertà radicale e della immeritata bontà di Dio.
E’ giocoforza accettare i limiti personali ormai riconosciuti e affidarsi a Qualcuno che è illimitato e che ci offre quella sicurezza che da soli non troviamo. Ma è possibile fare un salto verso l’Illimitato,
Dio? Accettare i propri limiti senza illuderci e senza aver paura?
E’ solo la grazia preveniente di Dio che ce lo consente: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”
(Fil 4,13). Si tratta quindi di fidarsi della gratuità di Dio. E’ accettando i propri limiti che noi li possiamo
superare, riconoscendo la nostra radicale impotenza che diventiamo forti, ed accettando di dipendere che
diventiamo liberi.
Questa è la strategia della grazia, fondamentale nella vita di Paolo che si è sentito cercato da
Gesù Cristo proprio mentre era ancora un persecutore (At 9,4; cfr. Rm 5,8). Essa va dall’accettazione del
limite alla libertà interiore: Dio “non solo ci libera (Gal 5,1) ma ci dà la forza di usare pienamente questa
libertà:“Se voi credete, sarete veramente liberi” (Gv 8,31-32). Un ideale di perfezione? Molto più, la
fiducia data alla Parola dell’Altro, una fede che si dona e si impegna senza condizioni. Non si tratta più
di sottoporsi alla lente d’ingrandimento per cogliere ogni minimo difetto, quanto piuttosto di lasciarci
attirare da Colui che ha detto: “Attirerò tutti a me” (Gv 12,32)” 31 .
Nessuno è in grado di colmare i nostri limiti e di darci un sostegno durevole. Solo Dio nella sua
gratuità ci accetta come siamo e non guarda alla nostra bontà o valore per offrirci il suo aiuto. E Gesù
Cristo è la “Grazia-che-salva”, “Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue” (Ap
1,5).
“Essere accettati - Accettarsi - Accettare”.
E’ il cammino della crescita e della serenità personale. Accettati da Dio, ci accettiamo e riusciamo ad accettare gli altri. Ma c’è qualcosa che è per noi è inaccettabile: i nostri limiti fisici e morali
oggettivi, la malattia e soprattutto il peccato. La difficoltà nell’accettarli viene dal fatto che i limiti esistenziali ci rimandano ad un’immagine di noi stessi inaccettabile: il sogno mai confessato è quello di
essere sempre giovani, amabili e perfetti agli occhi altrui.
A questo punto è di fondamentale e prioritaria importanza per noi stessi fare l’esperienza di
essere accettati proprio per sentire che, mentre sentiamo in noi degli aspetti inaccettabili, tuttavia Qualcuno ci accetta come siamo 32 . In realtà noi non conosciamo veramente la gratuità di Dio e il suo vero
amore se non quando facciamo esperienza del suo perdono e della sua misericordia (cfr. Lc 1,77).
Accettati da Dio, diventiamo allora capaci di accettarci, e di volerci bene 33 : è la condizione
basilare per curare i propri mali e affrontare le regressioni che incontriamo nella nostra vita e alle quali,
diversamente, non sapremo mai dare un nome e un rimedio.
Accettati da Dio e da noi stessi, siamo in grado di accettare gli altri. Solo quando ci sentiamo
amati possiamo amare e accogliere gli altri: “Noi amiamo, perché Egli ci ha amato per primo” (1 Gv
4,10).
“Quando sarai vecchio un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18).
X
- Inserto
al
Notiziario
La vita è una continua crescita
Con il trascorrere del tempo e grazie all’esperienza, noi passiamo progressivamente dal “fare” al
“lasciarci fare”, da una vita attiva e sotto controllo ad una vita passiva e ricevuta da Altri. “Quando eri
più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani
e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Questa è stata l’esperienza di
Pietro, ma è quella anche del Battista (Gv 3,30) e di Paolo (2Co 12,7-10).
Se uno vive coerentemente la sua fede, finirà un giorno per rendersi conto che vive in modo
aggressivo la sua vita, che nel suo volontarismo sta facendo troppi sforzi per tenere sotto controllo tutto
e tutti, che inconsciamente fa violenza a sé e agli altri e, infine, che Dio non è più il signore che regna
nella sua vita.
Accettare di lasciarsi fare non è tirare i remi in barca, ma disporre le vele perché siano gonfiate
dallo Spirito di Dio “che soffia dove vuole” (Gv 3,8). E’ questa la fonte dell’equilibrio interiore, anche se
non è spontaneo accettare che il timone della nostra barca sia in mano di altri. Certamente questo è tutto
meno che quello che si chiama la “realizzazione di sé”. Ma “è bene aspettare nel silenzio la salvezza del
Signore” (Lam 3,26).
6.2. Riconciliarsi nel perdono e nella riparazione
Va detto - a scanso di pericolosi equivoci - che quando diciamo “accettare” non intendiamo
affatto “accomodarci” nei nostri limiti e difetti. Accettarsi e accettare non è che il primo passo; bisogna
continuare a camminare avanti, a superarsi (autotrascendersi) per giungere a quell’ “io ideale” che è
l’uomo nuovo risorto con Cristo.
“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di
nuove. Tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ci ha affidato il ministero
della riconciliazione. Vi supplichiamo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Co 5,17-18.20).
C’è una riconciliazione da fare all’interno di noi stessi con noi stessi e con gli altri, e c’è una
riparazione che non si deve dimenticare, perché è parte del perdono dato e ricevuto, ma che viene prima
della stessa riparazione, anche se questa è conseguenza necessaria del perdono ricevuto.
Nulla deve essere gettato
Se l’età di mezzo è un tempo di “straordinaria vulnerabilità e malleabilità” (Erickson) in cui,
anche se con sofferenza, è possibile rimodellarsi e ricostruire i rapporti, questo è il tempo giusto (kairós)
per accogliere se stessi e gli altri, per perdonare e perdonarsi per gli sbagli fatti e subiti, per i peccati, i
torti e i fallimenti. Anselm Grün dice che attraverso la contemplazione possiamo arrivare anche alla
guarigione.34
Nulla deve essere buttato via, neppure i peccati: tutto è parte della nuova creazione in cui anche
il male trova un suo posto per la composizione della nostra storia, come in un quadro che è fatto di tinte
chiare e solari, di chiaroscuri e di tinte decisamente oscure. Non è forse questo il senso della acclamazione pasquale: “O felix culpa”. Tutto è grazia.
A partire dal senso di colpa e dai torti ricevuti, dalla rabbia e dal risentimento, ma anche dalla
coscienza del perdono ricevuto, è possibile rendersi conto del bene che viene dal perdono e, quindi,
diventare compassionevoli e magnanimi.
Affrontare le dicotomie della vita
Una fonte di molte tensioni e conflitti interiori sono le dicotomie. Esse sono un dato culturale
della nostra civiltà occidentale che caratterizza la nostra vita come un’eredità della filosofia platonica e
del razionalismo. Le dicotomie si trovano accentuate nella nostra esistenza umana e cristiana come delle
contrapposizioni invece che delle complementarietà: a partire dalla dicotomia teologica (Dio e il mondo), cosmologica (l’ordine e il caos, la luce e le tenebre, il cielo e la terra), filosofica (spirito e corpo),
psicologica (spiritualità e sessualità), spirituale (spirito e carne), fino a quella antropologica (uomo e
donna), sociale (classe dominante e proletariato), pastorale (clero e laicato, evangelizzazione e liberazione ecc.), storica (escatologia e storia), ecc.
L’esperienza accumulata consente di rendersi conto che la vita non è divisibile in compartimentistagno, e che gli aspetti più contrastanti come il bene e il male sono destinati a coesistere come il grano
e la zizzania (Mt 13,24-30) oppure se si vuole come l’ “ombra” che accompagna sempre la luce. La
saggezza consiste nel comprendere che le diversità non sono dei mali, ma delle potenzialità, che non si
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
XI
devono contrapporre ma comporre, che possono diventare punti di forza e contrasti che permettono una
migliore comprensione di sé. La persona che ha estremo bisogno di raccogliersi e di fare in se stessa
unità attorno alle cose essenziali (cfr 5.3.4 a), trova qui un provvidenziale cammino da percorrere.
Non si tratta di escludere nulla, ma di includere, integrare e far interagire. E’ quindi questa l’ora
di fare sintesi nella vita e di superare i dualismi contrapposti, lasciandosi guidare dal vecchio, ma non
sempre praticato, principio della teologia scolastica: “La grazia assume e porta a perfezione la natura”.
Un atteggiamento contemplativo
Per raggiungere questa nuova sintesi all’interno dell’esistenza ed acquisire un nuovo stile di vita,
è necessario andare più adagio, fare una cosa alla volta, secondo il detto latino “age quod agis”, assumere un ritmo meno frenetico, più contemplativo nella vita di tutti i giorni. Un atteggiamento contemplativo
comporta (e consente) il senso della gratuità che permette di cercare il bello e il buono per se stessi, non
per quello che essi offrono di vantaggio immediato. Solo così si eviterà l’ aggressività nel modo di vivere
e si raggiungerà quella contemplazione della vita, della storia, della creazione che permette al cuore di
respirare.
Del resto la vita dovrebbe avere insegnato a chi è arrivato ai 50 anni che non può forzare più di
tanto, che alla fine esce vincitore non chi ha fatto molto, ma chi ha vissuto, che non vale tanto il fare o l’
avere, ma l’essere. E’ importante assumere questo ritmo pacifico fino da questa età: è un atteggiamento
fondamentale per accettare la decelerazione forzata della terza età.
Un nuovo ministero
Parte di questa riconciliazione con gli altri è la capacità di dare ascolto agli altri e accompagnarli
nel loro cammino. La strada ormai la si conosce. Anche se la sensazione della fatica aumenta e uno
potrebbe pensare di avere delle ragioni più che valide per ritirarsi e stare in pace, un nuovo ministero ci
viene affidato, importante e terapeutico: accogliere - dar tempo - ascoltare - condividere. Noi stessi
abbiamo sofferto per non essere stati ascoltati, portiamo in noi le ferite di una mancata comunicazione:
per questo siamo abilitati a dare attenzione e comunione agli altri.
Guardare con serenità la morte
Riconciliati con noi stessi e con gli altri, possiamo a questo punto guardare in faccia e con
serenità anche la morte e ogni sofferenza che della morte è come un inizio.35 A questo punto sappiamo
che la morte è una compagna scomoda della nostra vita, che è con noi dal giorno della nostra stessa
nascita, una realtà che ci chiama alla responsabilità e alla serietà, ma che deve essere considerata nella
sua verità: è un momento di crescita e un nuovo inizio: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Sarà sempre opportuno ricordare che la sofferenza e la morte non sono la fine, ma solo un passaggio necessario, doloroso ma fecondo. Esso non va sfuggito, ma vissuto con coerenza, lucidità e coraggio. E’ la porta della Vita.
6.3. Integrare tutto in una nuova spiritualità che prepara al futuro: la sapienza del cuore
“Ai tuoi occhi, Signore, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di
veglia nella notte. Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo
90,4.12). Chi arriva a questo punto si rende conto che la vita è stata davvero un soffio sia per la celerità
del suo passare che per la fragilità che l’ha caratterizzata.
La parola del Qohèlet “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà: non c’è niente di nuovo
sotto il sole” (1,9) ci ricorda che abbiamo bisogno di una nuova sapienza per non cadere nella disperazione o nel cinismo, ma per individuare “le vie del cuore” (Qo 11,9). Le troverà chi accetta i passaggi
difficili della mezza età e li vive positivamente. E grazie alle “vie del cuore” entrerà nella terza età con
gioia e speranza.
Tutti ci rendiamo conto che è importante invecchiare bene.36 Sarà possibile per chi arriva alla
terza età dopo aver fatto la sintesi del meglio delle sue esperienze, della contemplazione, della fedefiducia, della compassione, dell’amicizia, dell’accettazione di sé e dell’altro, della consapevolezza della
propria radicale povertà (2Co 12,9-10) che diventa la più grande ricchezza e la forza di sintesi nella
propria vita.
Questa fase della vita ci fa passare “da una stagione di forza, rapidità, resistenza e produttività a
XII - Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
una stagione in cui altre qualità possono maturare: saggezza, ponderatezza, magnanimità, compassione
non sentimentale, larghezza di vedute” 37 .
Per elaborare in modo dettagliato questa spiritualità, raccogliamo i suggerimenti attorno a tre
poli: l’atteggiamento contemplativo, le relazioni umane, un cuore di povero.
Un atteggiamento contemplativo che qualifica la vita.
E’ la base di una nuova maniera di vivere che comporta la capacità di vedere al di là delle cose.
Esso suppone un radicale mutamento del nostro rapporto con le cose e le persone: passare dal possesso
alla contemplazione, all’ascolto, alla gratuità.
a) Dare spazio alla contemplazione silenziosa. A questo punto della vita è necessario trovare un
modo nuovo, personalizzato, di pregare che diventerà non tanto l’esecuzione perfetta e puntuale di un
dovere, ma il bisogno del cuore di restare pacatamente alla presenza di Dio. “Fa silenzio e ascolta,
Israele” (Dt 27,9). Nel silenzio possiamo ascoltare l’Altro e la sua Parola di vita eterna (cfr. Gv 6,68) che
è “lampada per i passi [dell’uomo] e luce sul suo cammino” (Salmo 119,105). La contemplazione non è
isolamento, ma “solitudine” “liberamente scelta come modo di vita equilibrato e sereno” 38 .
La Parola da contemplare non è solo quella consegnata al sacro canone delle Scritture, ma anche
la bellezza della creazione e ogni avvenimento (dabar cfr Lc 2,19.51) che nel suo accadere porta in sé un
messaggio di Dio per l’uomo. Nel silenzio della contemplazione possiamo offrire ascolto gli altri, alle
loro attese e alle loro invocazioni silenziose. Possiamo sentire i richiami della storia che “attende con
impazienza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria della libertà dei figli
di Dio” (Rm 8, 21).
b) La capacità di stupirsi e di godere. Dice il salmo: “Aprimi gli occhi per vedere le meraviglie
della tua legge” (Salmo 119,18). L’atteggiamento contemplativo, che è il contrario dell’atteggiamento
aggressivo e possessivo, ci permette di gustare la bellezza della natura e di cogliere l’aspetto buono e
positivo delle persone e di tutte le situazioni anche quelle più ambigue e complesse.
c) Un nuovo coraggio per l’azione. L’atteggiamento contemplativo non autorizza a stare con le
mani in mano davanti ad un mondo che attende e cerca la salvezza, anche senza conoscerne il vero
autore. Contemplando il mondo con lo sguardo commosso di Gesù (Mc 1,41; 6,34: 8,2), nasce il coraggio che viene dalla compassione, e che ci fa intraprendere nuove iniziative per i nostri fratelli. E’ ancora
il tempo dell’audacia, una nuova audacia che si fonda sull’esperienza e sul cuore.
d) Fedeli e gioiosi nell’attesa. L’atteggiamento contemplativo diventa la gioiosa attesa del raccolto, la vigilanza attiva che ci fa aspettare non nell’ansia, ma nella fiducia operosa, l’arrivo dello Sposo
e la gioia delle nozze. Quello sarà il compimento dell’identità della persona. Così la vita scorre secondo
l’indicazione dell’Apostolo: “Lieti nella speranza e forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”
(Rm, 12,12).
e) Si arriva così ad una nuova spiritualità integrata 39 e globale che comprende tutte le dimensioni della vita, che produce “l’uomo saggio” 40 e che, secondo Walter Burghardt S.J., comporta una “relazione d’amore con il Dio vivente, ma all’interno di una comunità”; la ricerca di una vita alla presenza di
Dio, ma dentro la storia; una preghiera prevalentemente contemplativa, ma che sia ad un tempo frutto di
conoscenze intellettuali, di cuore e di voce, un grido che sale a Dio, a “un Dio che mi tocca e che io
sento”; una spiritualità cristologica e trinitaria, che possiamo sinteticamente chiamare eucaristica. Essa è
contemplazione del mistero di un Dio-uomo che si dona totalmente, e insieme perenne rendimento di
grazie. Una spiritualità che prende le mosse dalla celebrazione ma che conduce verso il mondo e prolunga “l’esperienza della comunione con gli altri “in un solo corpo”; una spiritualità che ingloba tutti gli
aspetti della vita e che “trova infine nella croce la sua autenticazione, dato che una spiritualità che non sia
intimamente inchiodata sul calvario è un’illusione cristiana”41 .
Curare la qualità delle relazioni umane.
Il secondo polo della nuova spiritualità ha riferimento alle relazioni umane, che sono molto
importanti a questo punto della vita. Ma va ricordato che questo è il tempo per curare più la qualità che
la quantità delle relazioni umane: non qualsiasi relazione umana è buona e costruttiva.
a) Questa è la stagione per legare delle autentiche amicizie fatte di amore oblativo, gratuito che
fa crescere la persona. L’amicizia, che in anni giovanili poteva essere temuta, e non sempre senza ragione, è benefica e, se è vera, toglie la persona dall’amarezza della solitudine, come pure dall’anonimato
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
XIII
della folla o dall’eccessiva attività per confermarla nei suoi impegni di vita e, in certi casi (per es. i
religiosi) metterla a disposizione di chi è povero d’affetto.
“L’amicizia vera promuove lo sviluppo affettivo in direzione eterocentrica e quindi verso la
maturità e la pienezza di vita” 42 . Essa si rivela come la strada della crescita “nell’ agápe che è contemporaneamente dono di Dio e conquista dell’uomo, che non solo non esclude l’eros e la filía, ma scaturisce
dall’armonizzazione con questi modi di amare” 43 .
b) Coloro che hanno accettato positivamente di entrare nel travaglio di questa tappa possono
ritrovare un nuovo gusto per la comunità, possono cominciare a spendere tempo ed energie per contribuire alla costruzione e al buon andamento della propria comunità, anche perché sentono il bisogno di un
“chez soi”, dove trovarsi tra amici, dove sviluppare quel bisogno di intimità che è proprio di questa fase
della vita.
Nello stesso tempo sentono anche il bisogno di una comunità dove si vive quella comunione che
fa “uscire da un mondo chiuso e fatto di apparenze convenzionali per aprirsi alla verità e ai veri valori
della vita” 44 .
c) Accettare gli altri senza porre condizioni, come ciascuno viene accolto da Dio: con magnanimità e compassione. L’esperienza fatta dei propri limiti, del perdono avuto, della comune storia aiuta a
diventare più generosi nell’accettare gli altri.
Questa è la stagione della magnanimità in cui si ama senza condizioni, con un amore che salva e
un perdono che guarisce. Ed è anche la stagione della compassione, quindi dell’empatia, della solidarietà, dell’ascolto cordiale delle sofferenze altrui. “Vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì
i loro malati” (Mt 14,14). Lo sguardo pieno di compassione di Gesù gli fa vedere quello che nessun altro
vede e lo porta a prendersi attivamente cura di chi ha bisogno.
d) In questo atteggiamento di comunione, condivisione e di compassione sta la possibilità di
farsi compagno di viaggio, (come Gesù con i discepoli di Emmaus, Lc 24,15) per accompagnare gli altri
sulla strada della vita e diventare per loro quello specchio che permette di conoscersi e offrire loro quella
saggezza che la vita ha poco a poco insegnato.
Una nuova spiritualità
Nasce così una nuova saggezza, bagaglio indispensabile per il futuro: la saggezza del povero
amato e del peccatore perdonato.
a) Chi nel corso della mezza età è riuscito ad assumere tutta la sua realtà e i suoi limiti, chi si è
messo in pace con se stesso e con gli altri, riceve il dono della autentica povertà di spirito che gli fa
sentire che tutto sta nelle mani di Dio e che in fin dei conti l’uomo vale nella misura in cui è amato da Dio
e da lui perdonato. Questa è la radice della saggezza, “la scienza dei semplici”, come la chiama il filosofo
Nicola Abbagnano 45 , quella di coloro che hanno raggiunto l’essenziale nella vita.
Di qui viene una forma di pacatezza, che diventa tolleranza per chi sbaglia, mitezza e accoglienza per tutti. La coscienza della propria povertà rende liberi per vedere la storia in modo realistico, ma
spinge anche all’impegno per la giustizia ed alimenta una grande speranza per il futuro, quella di costruire la pace. Questo è il cammino evangelico delle Beatitudini. Si rivela molto saggio e vero il proverbio
irlandese che dice: “Ogni santo ha il suo passato e ogni peccatore il suo futuro”.
b) Lungo questa tappa, nota acutamente il Card. Carlo Maria Martini 46 , si impara “a contare i
propri giorni e si giunge alla sapienza del cuore (Sal 90,12), la consapevolezza amorosa e riconoscente
della vita come dono, della vita così come è adesso, mentre scaturisce dal Padre, come misericordia e
pazienza (...) Questa contemplazione è l’inizio di ogni autentica religiosità e ne è il continuo nutrimento.
Senza di essa tutta la costruzione religiosa rischia di essere artificiale”. Questo cammino è illuminato
dall’esperienza di Dio il cui sguardo ci fa vivere: “Dio vede, ossia volge la sua faccia verso l’uomo e con
ciò stesso dà all’uomo il suo proprio volto. Io sono me stesso proprio perché Egli mi vede. L’anima vive
dello sguardo d’amore che Dio rivolge su di lei” 47 .
Le persone possono così approfondire la loro esperienza religiosa di Dio, dalla quale dipende
l’impostazione e la qualità della vita; crescono nella capacità di visione sapienziale; superano quell’aridità del cuore che - sempre secondo il Cardinale di Milano - è il contrario della conoscenza cordiale di
Dio e che comporta “un certo accecamento pratico di cui forse non ci accorgiamo, ma che avvelena tutta
la vita rendendola amara, scettica, faticosa, pesante da portare, pur se qua e là ci sono avvenimenti buoni,
XIV
- Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
belli, favorevoli” 48 .
Non è raro vedere appunto - alla luce del suo contrario - come la sapienza del cuore non sia
sempre raggiunta. Tutti conosciamo quelle persone, anche anziane, con cui tutti sarebbero disposti a
passare una vita e - per converso - quelle persone che sono inevitabilmente destinate a far fuggire qualsiasi persona che le avvicini.
Senza dire che l’aridità di cuore può diventare una forma di ateismo pratico che, secondo il Card.
Martini, “può essere presente e contiguo con esercizi di pratiche religiose”.
c) Grazie all’ascolto del loro cuore 49 queste persone riescono a “contare i loro giorni” e a valutare i dati della vita in modo più profondo e più vero; davanti al male non si disperano, ma trovano il
coraggio per cambiare quello che si può cambiare e la serenità per accettare quello che non si può cambiare; restano incantati e stupiti come bambini davanti alle bellezze della creazione e della storia; rendo
no grazie e lodano, ridono e piangono condividendo i loro sentimenti con gli altri (Cfr. Rom 12,9-21).
E si rendono conto che questa stagione di mezzo dai colori già sfumati, è tuttavia come il primo
autunno, quando si annunciano i primi frutti maturi, una stagione che è bella ed interessante, forse la più
ricca della vita, una stagione che ha il suo fascino, come la gioventù.
d) Ma soprattutto si sentono dei poveri felici e fortunati che hanno affidato le loro sorti alle mani
amorose di Dio “che vede l’affanno e il dolore, che tutto guarda e prende nelle sue mani” (Sal 9-10,35),
alla cura di un Pastore che li conosce personalmente e che è pronto a offrire per loro la sua vita (Gv
10,11.14).
Sono pieni di fiducia e possono dire con Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la
tribolazione, l’angoscia, la persecuzione...? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di
Colui che ci ha amati” (Rom 8,35.37). Questa è la fonte della sapienza e la ragione della pace.
Tavernerio, 23 settembre 2003.50
Gabriele Ferrari s.x.
Per la riflessione personale:
a) Ti riconosci nel cammino qui descritto? A che punto sei arrivato?
b) Quali aspetti dell’esposizione ti sembrano essere stati particolarmente veri nella tua esperienza personale?
c) Quali sono stati i mezzi che ti hanno aiutato di più nell’affrontare questi momenti difficili?
d) Quali ti sembrano essere i punti fermi per una spiritualità adatta al momento che stai vivendo
nella tua vita?
Per la riflessione di gruppo:
a) Vi sembra che il cammino delineato sia realistico? E’ così che l’avete vissuto? E se no, come?
b) Ti pare che la comunità abbia attenzione per queste situazioni personali? Quali sono i segni di
questa attenzione?
c) Quali possono essere i mezzi che suggerisci alla comunità per aiutare i confratelli o le sorelle
che si trovano a passare questi momenti?
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
XV
INDICE
1. LA VITA È CRESCITA VERSO LA PIENEZZA DALLA NASCITA ALLA MORTE
1.1.Le tappe della vita: momenti di scelta e di maturazione/crescita
1.2.Lo schema e lo scopo della nostra riflessione
2. LA VITA COME CRESCITA
3. LE LEGGI DELLA CRESCITA
4.1. Si cresce dentro una relazione di fiducia/intimità/gratuità
4.2. Si cresce dentro la propria storia e nel tempo
4.3. Si cresce passando dalla volontà di conv. all’accet. della propria povertà.
4. LA STRUTTURA DELLE SINGOLE TAPPE
3.1. Ciò che mette in moto la transizione
3.2. Il cammino nel deserto
3.3. Lo sbocco della crisi e la ripresa del cammino
5. LA CRISI DELL’ETÀ DI MEZZO : CRISI DEI LIMITI
5.1.Un momento di bilancio e di inventario
5.2.La consapevolezza dei propri limiti fisici, psicologici e spirituali
5.3. La solitudine e il bisogno di intimità
5.4. Il bisogno di pienezza e di completamento della personalità
5.5.La difficoltà di accettare la stoia in cui siamo inseriti
5.6. La memoria del passato assale con sensi di colpa, fallimento e rabbia
5.7. Il tempo che procede inesorabilmente verso la fine
6. LA STRATEGIA PER USCIRE DALLE CRISI PIÙ MATURI
6.1.Arrendersi nella fede
6.2. Riconciliarsi nel perdono e nella riparazione
6.3. Integrare tutto in una nuova spir. che prepara al futuro: la sapienza del cuore
XVI - Inserto al Notiziario
I
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VI
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VII
VII
VII
VII
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VIII
VIII
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IX
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XII
La vita è una continua crescita
NOTE
1
Ref. arch.:crescita umana e spirituale.doc (ex-sabbatic013).
2
Bibliografia: non ho trovato molti libri in italiano che trattano questo argomento: Michel Rondet S.J. Claude Viard S.J., La crescita spirituale, tappe, criteri di verifica, strumenti, Bologna 1988; Erik H. Erikson, I cicli
della vita, Armando Editore Roma 1984; Romano Guardini, Le età della vita, Milano 1992; Idem, Accettarsi,
Brescia 1991; Idem, Lettere di Autoformazione, Brescia 1994; Pierre de Locht, Difficile maturité, in _La Vie
Spirituelle_, Mai-Juin 1993, pp. 363-371; Amedeo Cencini, Amerai il Signore Dio tuo, Bologna 1987, pp. 69-138;
Charles A. Bernard, Teologia Spirituale, Cinisello Balsamo 1989, pp. 473-491; Walter Burghardt S.J., Seasons that
Laugh and Weep, Musings on the Human Journey, New York 1983; Jean-Paul Mensior, Percorsi di crescita umana
e cristiana, Qiqajion 2001; Jean-François Catalàn S.J., Expérience spirituelle et Psychologie, Paris 1991; Luigi Di
Candido, Crisi, in _Nuovo Dizionario di Spiritualità_, Roma 1979, pp. 336-353; René Voillaume, Sulle strade del
mondo, Brescia 1960, pp. 3-22; Giuseppe Sovernigo, Vivere la carità, Maturazione relazionale e vita spirituale,
Bologna 1995; Bruno Giordani, La donna nella vita religiosa, Milano 1993; Giovanni Salonia, Kairós, Bologna
1994; Mary Batchelor, 40 anni e più, Edizioni Paoline Milano 1995. Anselm Grün, Il cielo comincia dentro di te,
Queriniana Brescia 20002; Timothy Radcliffe, La promesse de vie, in Je vous appelle amis, La Croix-Cerf Paris
2000, pp. 2001-243 (traduzione italiana: Cantate un canto nuovo, Bologna 2001); Emmanuelle-Marie, La pazienza
dell’istante, Padova 2001; Itinerari di maturità umana e ricerca religiosa (manoscr. 1995); Enzo Brena, La crisi
della mezza età, in Testimoni, 2000, nn. 19-20.
3
Cfr. G. Delling, Kairós in: Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol III, p. 1364ss.
4
Citato da Pierre de Locht, art. cit., p. 368. E’ quanto afferma, con un’espressione molto efficace, anche
Roger Garaudy in Parole d’homme: la persona umana nasce vecchia e muore giovane; infatti alla nascita veniamo
al mondo carichi delle tare ereditarie e delle inclinazioni che riceviamo nel nostro codice genetico. La formazione
è in questo senso un’opera di liberazione e la morte il vero dies natalis!
5
Cfr. Varillon François, Vivre le Christianisme, Paris 1992, pp. 278-284.
6
“Non resta allora che l’immobilismo rigido, l’impossibilità di cambiare, la paura del rischio. Si potrebbero
evocare qui certe forme d’integrismo. Uno resta fedele, sì, ma fedele a un’immagine e, quindi, rifiuta la vita che
cresce verso il futuro. Una tale maniera di immaginare la perfezione conduce facilmente al legalismo e al fariseismo.
Osservare la legge alla lettera: ecco l’ideale di quelli che il Vangelo chiama i farisei” (J.F.Catalàn, op. cit., p. 120.
7
Citato da Charles A. Bernard, op.cit., p. 474.
8
Romano Guardini, Le età ..., p. 82.
9
E’ parte della tradizione cristiana il genere autobiografico (Agostino, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila,
Teresa di Lisieux, Giovanni XXIII per es.).La rilettura della propria storia è diventata un prezioso strumento di
crescita spirituale non solo per chi l’ha scritta, ma più ancora per i futuri lettori. Dopo l’iniziale esitazione tutti
hanno testimoniato di averne tratto un vero profitto spirituale. Il passato ha suscitato in loro un profondo senso di
azione di grazie, anche quello che poteva essere segnato dal dolore della colpa, ad es. le Confessioni di Agostino.
10 Lo aveva capito il giovane Angelo Roncalli nel 1903 : “E’ un sistema sbagliato [quello di copiare i santi, ndr].
Delle virtù dei santi io devo prendere la sostanza e non gli accidenti. Io non sono San Luigi né devo santificarmi
proprio come ha fatto lui, ma come il comporta il mio essere diverso, il mio carattere, le mie differenti condizioni.
Non devo essere la riproduzione magra e stecchita di un tipo magari perfettissimo. San Luigi se fosse quello che
sono io, si santificherebbe in modo diverso da quello che ha seguito” (Giovanni XXIII, Giornale dell’anima, n.
303, del 16.1.1903).
11
Voillaume, op.cit., pp. 7-13.
12
Rondet-Viard, op.cit., p. 26.
13
Bernard, op.cit., p. 477.
14
Pierre de Locht, art.cit., p. 369.
15
S.Ignazio di Loyola, Costituzioni X, 3, citato da Bernard, op.cit., p. 475.
16
Bernard, op.cit., p. 480.
17
Cfr. Progetto Formativo dei Frati Minori Cappuccini italiani, Bologna 1993, pp. 28-30. E’ forse il primo
progetto formativo che tratta ex professo questi problemi dell’età adulta di mezzo e della tarda età adulta (sezioni II
e III della Parte Seconda, La Formazione permanente). Ora Vita Consecrata tratta esplicitamente dell’argomento
(65.69-71).
18
Charles A. Bernard, op. cit., p. 474.
19
Pierre Teilhard de Chardin parla di “passività”, cioè di momento di stallo o di apparente perdita che noi
stessi incontriamo nell’esistenza: sconfitte, fallimenti, malattie, debolezze, età avanzata, ecc.. Sono tutti limiti necessari al nostro pieno sviluppo umano, non meno di quanto lo sono le forze attive (Cfr. Ambiente Divino II,3, citato
da Paola Moschetti in: Capacità di attesa, in _Testimoni_ 15/1994, p. 9).
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
XVII
20
“In tempo di desolazione non si facciano mai mutamenti, ma si resti saldi e costanti nei propositi e nelle
decisioni che si avevano il giorno precedente a tale desolazione o nella decisione che si aveva nella precedente
consolazione” (S.Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, edizione a cura di Pietro Schiavone S.J., Cinisello Balsamo
1988: 5a regola sulle mozioni dell’anima, n. 318, p. 227).
21
Pierre de Locht, art. cit., p. 368.
22
Cfr. Cencini, op.cit., pp. 69-79.
23
Cencini, op. cit., p. 81. Per tutta la descrizione di questa fase vedi lo stesso testo a pp. 81-90.
24
Cfr. De Candido, art. cit., p. 336. Nel Progetto Formativo dei Cappuccini la crisi è così descritta: “Se la
maturità consiste nel sentirsi a casa propria_ con se stessi, con i fratelli e con l’ambiente, ciò esige un itinerario di
continua conversione e di crescita che comporta sempre il travaglio profondo del perdere per ritrovare, del _morire
per risorgere_. Specialmente in determinate situazioni esistenziali tutto ciò produce smarrimento e sofferenza che
noi siamo chiamati a vivere con francescana serenità. Anche le situazioni di _stasi_ vanno vissute con la pazienza
dell’uomo evangelico che sa attendere, vigilante e fiducioso, il maturare dei frutti. Accogliamo ogni crisi della vita
come occasione positiva di interiore crescita” (Op. cit., p. 19).
25
Salonia, op.cit., p. 60.
26
Cencini, op. cit., pp. 91-138.
27
Romano Guardini in Le Età della vita, parla delle crisi del limite e del distacco, pp. 67-73 e 73-79.
28
“L’età adulta di mezzo vede il compiersi di vari progetti fraterni, ecclesiali, professionali ed assiste con
serenità all’alternanza di soddisfazioni e frustrazioni particolarmente nel periodo di transizione alla tarda età adulta” (Progetto formativo ... op. cit., p. 29).
29
Cfr. Giordani, La donna ..., p. 16.
30 Card. Carlo Maria Martini, Parlo al tuo cuore, Milano 1996, n. 9.
31
J.-F. Catalan, op.cit., pp. 123-124.
32"Lo sapete che significa essere investiti dalla grazia? Noi non possiamo trasformare la nostra vita se non permettendole di essere trasformata dalla grazia. Questo può avvenire o non avvenire. E’ certo che esso non accadrà
fintanto che cerchiamo di costringere la grazia a venire da noi e neppure finché nel nostro autocompiacimento
pensiamo di non averne bisogno. La grazia viene invece quando ci troviamo in una grande sofferenza ed inquietudine. Ci investe quando, anno dopo anno, una perfezione a lungo sognata tarda ad apparire; quando vecchie passioni regnano ostinatamente in noi per molto tempo; quando la disperazione distrugge ogni gioia e coraggio. A volte
proprio in quel momento un raggio di luce irrompe nelle nostre tenebre e sembra di udire una voce che dice: _Tu sei
accolto, sei accettato!_, da parte di uno più grande di te, il cui nome ti è sconosciuto. Non chiedermene il nome, lo
scoprirai magari più avanti. Ora non far nulla, lo farai semmai più avanti. Non cercare nulla, non fare nulla, non
fissarti in null’altro, ora. Accetta in tutta semplicità il fatto di essere stato accolto, accettato. Quando questo ci
capitasse, avremmo fatto l’esperienza della grazia” (Paul Tillich, You Are Accepted, in _The Shaking of the
Foundations_, New York 1948, Chapter 19). E ‘ interessante notare nel testo del Vangelo di Luca (7,36-50) il
contrasto tra la donna peccatrice viene accettata e perdonata e rinasce alla pace (eis tên eirênên) e Simone che non
sa amare e accogliere e quindi non sa neppure perdonare.
33
Joseph Ratzinger, Guardare Cristo, Milano 1989, pp. 77-79.
34
Anselm Grün, Il cielo comincia in te, pp. 173-181.
35
“Se e come questa (crisi della mezza età) verrà superata, dipende dal modo in cui si accetta la prospettiva
della morte e si segue l’indicazione contenuta nella caducità e nella labilità delle cose” (Romano Guardini, Le Età
..., p. 76).
36
Nicola Abbagnano dà alcuni suggerimenti per uscire dalla tristezza e per usare bene il tempo al momento
della mezza età e della vecchiaia: dare affetto e cura all’altro; coltivare le amicizie; passare del tempo assieme agli
altri; coltivare interessi culturali e artistici; pregare (La Saggezza della vita, Milano 1994, pp. 100-102.
37
W.Burghardt, op.cit., p. 71.
38
Nicola Abbagnano, op.cit., p. 109.
39Secondo Erikson la saggezza è il risultato della crescita nell’età di mezzo che permette di sfuggire alla disperazione e raggiungere l’integrazione, ossia la sintesi felice della vita (Erik H. Erikson, I cicli della vita, Roma 1984,
p. 59).
40
Romano Guardini, Le Età ..., p. 77-81.
41
W.Burghardt, op. cit., pp. 87-94.
42
Bruno Giordani, op. cit., p. 244.
43
Ibid. p. 245 che continua: “Per questo il processo evolutivo dell’affettività si può considerare come un
cammino che inizia con un amore goloso, captativo, egocentrico per orientarsi verso un amore-tenerezza, un amore
eterocentrico. Questo cammino di liberazione non è facile. Esso è punteggiato di progressi seguiti da pause o da
regressioni, da successi e da insuccessi, da slanci, da entusiasmi e da blocchi”.
XVIII - Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita
44
Nicola Abbagnano, op.cit., p. 94.
45
“Sono proprio i limiti che la vita umana incontra da ogni parte, l’incertezza e la difficoltà del destino, le cose
che rendono possibile la saggezza e la esigono per essere affrontate con successo” (Nicola Abbagnano, op.cit., p.
43). E Romano Guardini in Le Età ... (p. 77-79) parla dell’ “uomo saggio” come di colui che ha superato bene la
crisi del distacco, la labilità delle cose, la paura della morte, “colui che è conscio della fine e l’accetta” (p. 77).
Cresce in lui la pacatezza e la capacità di superare l’angoscia e la fretta di vivere; cerca l’eterno che non è ciò che
continua quantitativamente. L’eterno viene accettato nella caducità accettata (p. 78-79).
46
Carlo M. Martini, Il predicatore allo specchio, Milano 1986, pp. 18-19.
47
Romano Guardini citato da Jean Lafrance in “Prega il Padre tuo nel segreto”, Milano 1983, p. 20.
48 Carlo M. Martini, Ibid.
49
Un libro che aiuta a riflettere sulla crescita interiore della persona e sullo sviluppo di una adeguata spiritualità è: “Va’ dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro, Baldini & Castoldi, Milano 1994. Il suo successo editoriale
(16 edizioni in pochi mesi) mostra che esso ha saputo interpretare il sentire della nostra generazione.
50
Conferenza preparata per il Trimestre sabbatico dei Missionari Saveriani e dell’USMI nel settembre 1991,
rifatta nel marzo 1994 per le Missionarie di Maria. Rivista nell’agosto 1995, è stata aggiornata di nuovo nel luglio
2001.
La crisi dell’età di mezzo e il risveglio della vita spirituale
Inserto al Notiziario -
XIX
Inserto del numero 92 del Notiziario
della Provincia Minoritica di Cristo Re dei Frati Minori dell’Emilia-Romagna,
febbraio 2004
XX
- Inserto al Notiziario
La vita è una continua crescita