alberto marvelli

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alberto marvelli
ALBERTO MARVELLI
Alberto Marvelli (1918-1946) è una esemplare figura
di laico cattolico. Fin da ragazzo visse con grande
impegno la propria fede, alimentandola con
un’intensa vita di preghiera e testimoniandola
nell’impegno dei propri doveri quotidiani di studio e
di lavoro, nella Chiesa, nella società, nella carità
verso i poveri.
Nel periodo dell’ultima guerra e del dopo-guerra,
nella Rimini martoriata e distrutta dai
bombardamenti, fu figura di grande rilievo, non solo
per l’integrità di vita, ma anche per l’impegno
sociale e politico.
Visse da protagonista i grandi avvenimenti storici
dell’epoca, anticipando profeticamente il ruolo e la
vocazione del laico cristiano proposti poi dal Concilio
Vaticano II.
Alberto, un giovane, amico dei giovani, innamorato della vita, degli uomini e di
Dio. Sempre presente fra i ragazzi, i poveri e i sofferenti. Ha vissuto da
protagonista coraggioso i difficili anni della guerra.
Altruista negli oratori, tenace nella scuola, intrepido nello sport, impegnato
nella scuola, battagliero in politica, che intendeva come servizio. Una vita
spesa nell’instancabile e dinamica ricerca della verità e dell’amore.
Di lui, morto a soli 28 anni in un incidente stradale Giovanni Paolo II ha
affermato: “Ha mostrato come, nel mutare dei tempi e delle situazioni, i laici
cristiani sappiano dedicarsi senza riserve alla costruzione del Regno di Dio nella
famiglia, nel lavoro, nella cultura, nella politica, portando il Vangelo nel cuore
della società”.
La riflessione sulla spiritualità che il Concilio Vaticano II ha rinnovato, la ricerca
di una spiritualità per l’uomo d’oggi - di una vita vissuta nella docilità allo
Spirito del Signore in questo nostro tempo - possono trovare proprio nella vita
di Alberto Marvelli una indicazione significativa per fare emerge meglio i
connotati di quella che viene chiamata la spiritualità laicale: la spiritualità della
incarnazione, della condivisione, del discernimento della testimonianza di un
amore che Dio ci ha donato e che vuole rinnovare la mente ed il cuore delle
persone, che vuole rinnovare la storia.La Chiesa lo propone quale modello di
“santità nel quotidiano” per i cristiani del terzo millennio.
Alberto Marvelli e l’Azione cattolica
Se il primo impatto formativo, fuori della famiglia, fu con l'oratorio salesiano, è
nell'Azione Cattolica, quale la pensò e la volle Pio XI negli anni del suo
pontificato, che Alberto realizza la maturazione del suo cammino spirituale.
Alberto Marvelli aveva aderito all'Azione Cattolica entrando a far parte del
gruppo fanciulli cattolici, quando aveva appena 12 anni, nel 1930, vi rimase
fino alla morte, nel 1946.
A 15 anni il parroco gli affidò l'incarico di delegato aspiranti. Negli anni 193436 frequentò il gruppo studentesco cittadino, “P. G. Frassati" presso la
parrocchia dei Servi, che svolgeva attività culturali, caritative, ricreative.
Fu chiamato poi nella "Federazione" di Azione Cattolica, cioè nel Consiglio
diocesano, guidato allora dall'assistente don Giuseppe Garavelli e dal dinamico
e battagliero presidente Luigi Zangheri, che gli affidò la Segreteria diocesana.
Nel 1935 fu delegato diocesano studenti e vice presidente diocesano. Il parroco
di Maria Ausiliatrice, intanto, lo aveva chiamato a reggere la presidenza del
Circolo di Azione Cattolica. Al momento della morte era anche presidente dei
Laureati cattolici. Il presidente nazionale, Luigi Gedda, con nomina diretta, gli
aveva dato l’incarico di delegato regionale degli studenti medi.
Alberto amava l’Azione Cattolica; la viveva intensamente; la diffondeva con
entusiasmo. Aveva capito l'importanza, per un giovane, dell'appartenere ad
una associazione comunitaria: vivere insieme l'esperienza di Dio e
dell'apostolato era la certezza di non perdersi. Superando ogni individualismo
aveva deciso di camminare in una associazione, nella quale poter esprimere la
ricchezza personale in armonia con quella di tutti e sperimentare la dimensione
comunionale della chiesa.
Com'era nel suo carattere Alberto non aveva mezze misure: capita
l'importanza dell'Azione Cattolica, vi spese tutte le sue energie e il suo tempo
libero. Anche lontano da Rimini, a causa degli studi, del lavoro o della vita
militare, lavorava sempre per l'Azione Cattolica.
L'Azione Cattolica fu l’ambito principale nel quale Alberto educò la sua
giovinezza alla generosità, all’impegno, alla santità. Ma non il solo: egli aprì la
sua giovinezza a tutte le altre esperienze che l’associazionismo cattolico
esprimeva: Fuci, Laureati cattolici, Conferenze S. Vincenzo, Società Operaia,
ACLI. Diede le sue migliori energie a tutte le associazioni giovanili cattoliche di
allora, superando le polemiche e le distinzioni esistenti tra esse, donando con
piena generosità e letizia il suo cuore di apostolo e divenendo, anche in ciò,
segno di unione e collaborazione.
Ovunque si recherà, a Bologna, Milano, Torino, Treviso si inserirà sempre
nell’Azione Cattolica e lavorerà instancabilmente partecipando a convegni,
tenendo conferenze, promovendo associazioni parrocchiali, e anche gruppi in
caserma. "Come giovane di Azione Cattolica è mio obbligo imperioso fare
dell'apostolato continuamente e ovunque. L'esempio di S. Paolo, il suo
infaticabile sforzo per convertire il mondo a Cristo, sopportando tanti dolori,
deve spingere me a non temere qualche piccolo sacrificio".
Preghiera e azione
Alberto fu uomo dal carattere forte, deciso, portato all’azione, instancabile.
“Agire sempre, sempre, non stare mai un attimo in ozio. Non perdere tempo”
scrive nel Diario e fa sua una frase di Pio XI: “La vita non si può concepire
senza azione se non come morte”. La sua passione per l’azione si esprime
soprattutto nell’Azione Cattolica. La mole di lavoro che svolge in Diocesi, con
ammirevole costanza e con entusiasmo che ignora stanchezza e sconforti, è
straordinaria. Eppure non corre il rischio di tanti uomini d’azione, che vedono a
poco a poco impoverita la loro vita interiore e disperdono, proiettati
unicamente verso l’esterno, “gli aromi dell’interiorità”, perché egli aspira a
“una spiritualizzazione delle azioni” e radica la sua attività nella preghiera e
nella spiritualità dell’Azione Cattolica.
Rafforza la sua vita interiore nei ritiri e negli esercizi spirituali, nella
meditazione quotidiana, nelle letture della Parola di Dio e delle vite dei santi,
nella attività catechetica. Di fatto, della vita interiore fa l’anima del suo
apostolato.
Alberto fu un grande apostolo perché fu ricco di vita interiore. Non fu mai
preso “dall’eresia dell’azione”, come si diceva ai suoi tempi, perché tutto
riconduceva alla preghiera: “Preghiera continua, mentale e di intuizione: porre
ogni nostra fatica, lavoro, divertimento sotto lo sguardo di Dio, affinché Egli sia
sempre presente in noi. Sacrificarsi continuamente per il bene degli altri con
gioia, serenità, amore; è un obbligo che abbiamo di ricambiare verso il
prossimo ciò che Dio concede a noi”.
La sua preghiera era in piena sintonia con l’azione; non era evasione, ma
impegno di vita. Possiamo dire che tutta la sua vita era preghiera, perché egli
”viveva in continua unione con Dio", "tutta la sua vita era un atto di amore a
Dio". In Alberto preghiera e azione sono modalità diverse di un unico impegno
di vita spirituale. Preghiera e azione si fondono nel compimento della volontà di
Dio e della comunione con Lui: attraverso la preghiera partecipa all’essere e al
progetto di Dio; attraverso l'azione partecipa all'agire di Dio nella storia.
"Sapeva armonizzare l'amore di Dio con l'amore del prossimo”. Nella vita di
Alberto non ci fu frantumazione o discontinuità, ma unità profonda.
Alberto era convinto che l'azione apostolica non fosse sufficiente per sostenere
tutta la vita spirituale, che non basta lavorare per il Signore, ma bisognasse
dedicare molto tempo alla preghiera. L'impegno costante della sua missione di
apostolato si traduceva in attività orante, soprattutto nell’azione di grazie e
nella domanda.
"Il carattere soprannaturale dell'apostolato esige dall'apostolo una conoscenza
approfondita della Buona Novella e del Disegno di salvezza". Alberto non
possedeva della Sacra Scrittura e della Teologia una conoscenza solo teorica,
ma personale e meditata. La Parola di Dio era viva in lui.
Alberto era abituato a vedere il mondo con lo steso sguardo di Dio; la
preghiera lo predisponeva ad assimilare la sua volontà alla volontà divina.
Molte volte nel Diario o nelle lettere ricorre questo
abbandono alla volontà di Dio.
Innamorato dell’eucaristia
Scrive sul suo Diario, nell’estate del 1937: “Da questo
mese, o Signore, un’altra vita, la vera vita si inizia e
desidero ad ogni costo seguirla. Aspirazione alla
purezza, desiderio di apostolato, brama
dell’Eucarestia, necessità di vita interiore, di
raccoglimento, di studio, di santi e nobili propositi, di
costanza nel bene, di spontaneità nella carica”.
Numerose pagine del Diario ci danno la misura della
sua vita interiore e indicano nell’Eucarestia, sentita come presenza viva di Dio
nella storia del mondo, la fonte da cui attingere forza ed energia per
l’instancabile impegno verso gli altri. “Tutto il mio essere è pervaso dall’amore
di Dio, in quanto egli viene in me col suo corpo e con la sua anima e divinizza
tutto il mio corpo, i miei pensieri, le mie azioni, le mie parole”. Quello
dell’Eucarestia era tra i carismi particolari di Alberto. “Aveva il carisma
dell’Eucarestia”. La spiritualità di Alberto è cristocentrica ed eucaristica. Aveva
iniziato a ricevere l’Eucarestia ogni giorno,
forse già a quindici anni; si confessava tutti i sabati, attendeva al servizio
liturgico della Messa. Alberto è innamorato dell’Eucarestia. Non c’è per lui
gioia più grande sulla terra della contemplazione di Gesù, ricevuto nel proprio
cuore. “Che cosa sono i divertimenti del mondo - scrive a diciannove anni - in
confronto alla gioia che Tu procuri a chi ti ama ? Che cosa sono il piacere, il
divertimento fittizio in paragone del puro e sublime benessere che uno prova
contemplandoti e ricevendoti in se stesso, nel suo cuore ? Men che nulla”.
Attraverso l’Eucarestia entra in profonda intimità con Cristo in una preghiera
fatta di silenzio e di ascolto, che noi possiamo solo intravedere attraverso le
parole del Diario.
L’intimità con Gesù eucaristico, la contemplazione della presenza reale di Gesù
“ricevuto nel cuore” non diventa mai ripiegamento su se stesso, comodo rifugio
dalle responsabilità, alienazione dalla storia. Alberto gode della presenza di
Cristo, come dono inestimabile, guarda al divino come risposta ad una
personale aspirazione alla pienezza, ma quando avverte che il mondo attorno a
lui è sotto il segno dell’ingiustizia, della povertà, del peccato, allora l’Eucarestia
diventa forza per intraprendere un lavoro di redenzione, di liberazione, capace
di umanizzare la faccia della terra. Tutta la sua vita è una testimonianza della
forza promanante dall’Eucarestia, sostegno del suo impegno nella storia, a
servizio dei fratelli.
Un cristiano in politica
Quando nel 1945 o, forse, nel settembre del ‘44, Benigno Zaccagini gli propose
di lavorare nel partito della Democrazia Cristiana, Alberto rispose che non
aveva obbiezioni di principio, che ci avrebbe riflettuto, ma che si sentiva già
molto impegnato in un’azione più concreta ed immediata sul piano della carità.
Ci pensò alcuni giorni; probabilmente ne parlò col Vescovo, come era suo stile.
Infine accettò. Non avvertiva fratture tra l’attività nell’Azione Cattolica e
l’impegno politico a cui veniva chiamato, perché credeva che solo attraverso
l’impegno politico potessero incarnarsi nella prassi e informare la società che si
andava ricostruendo quegli ideali di solidarietà e di giustizia che la chiesa
predicava e che lui ben conosceva dalla lettura delle encicliche pontificie.
Alberto inizia il suo lavoro nel partito in un momento difficile; all’iniziale
collaborazione con le sinistre si era sostituito un duro scontro ideologico. La
lotta fra i partiti era assai accesa; la contrapposizione delle idee radicale;
spesso degenerava in risse vere e proprie: si abbattevano i “pulpiti” degli
oratori, si tagliavano i fili degli altoparlanti... Anche in questa atmosfera, così
poco favorevole al dialogo, Alberto sapeva trovare l’atteggiamento giusto:
appassionato assertore dei principi ispiratori del suo partito, si teneva però
lontano da ogni faziosità. Alberto attribuiva massimo valore ai principi e
considerava spiacevoli incidenti le lotte che ne conseguivano.
Fare comizi non era un “mestiere” facile. Si doveva procedere tra fischi, urla,
provocazioni di ogni sorta. Spesso si finiva per venire alle mani. Il fiducioso
ottimismo di Alberto, espressione di un atteggiamento positivo di fronte agli
uomini e alle cose, intuiva sempre la strada giusta per riuscire a comunicare.
La sua parola era valorizzata dalla vita, che mai aveva deflettuto dai quei
principi che egli divulgava fra il popolo. Per questo non aveva nemici, neppure
in politica. La politica per lui era amore, era l’estrema conseguenza della carità
sociale e strumento di verità”. Egli metteva in pratica ciò che, nel lontano
1927, parlando ai Fucini, Pio XI aveva detto: “Il campo politico è il campo di
una carità più vasta, la carità politica”. La vita di Alberto, la sua testimonianza,
gridavano più forte di ciò che diceva con le parole.
Anche le riunioni interne della D.C. non erano facili: c’era un’acuta tensione fra
gli anziani, provenienti dal vecchio Partito Popolare e i giovani, provenienti
dalle associazioni cattoliche. Ancora una volta l’autorevolezza morale di Alberto
diventava un insostituibile elemento di equilibrio.
Il nuovo impegno politico - nel frattempo era stato nominato anche membro
del Comitato provinciale D. C. - lo portò a rallentare il suo lavoro in Azione
Cattolica e a lasciare la presidenza della associazione della sua parrocchia.
Il suo gesto non venne compreso da tutti.
“Egli intervenne - ci racconta Masinelli - e precisò che agiva in quella maniera
perché pensava che erano i tempi in cui i cattolici dovevano impegnarsi uniti;
che in quel momento lavorare nella D.C. era il modo migliore di esercitare il
suo apostolato e aggiungeva che quando si fosse accorto che lavorare nella
D.C. non era più utile per il mondo cattolico, avrebbe lasciato la politica”. Così
Alberto ci dà la chiave di lettura del suo impegno nel partito: esercitare un
apostolato
Lo volevano sindaco
21 novembre 1944. Gli alleati entrano in Rimini. Tutto intorno sono paesi e
boschi che bruciano, ingorghi di carri, camion, macchi-ne. Morti e desolazione.
Alberto vi torna con la famiglia. Trova la sua casa (colpita, ma ancora
abitabile) oc-cupata da ufficiali inglesi. I Marvelli si sistemano alla meglio nello
scantinato. In quel terribile inverno (l’ulti-mo di guerra) Alberto diventa servo
di tutti. Il Comitato di Liberazione lo incarica dell’ufficio alloggi, il comune gli
affida il genio civile per la rico-struzione, il vescovo gli consegna i «Laureati
cattolici» della diocesi. I poveri assediano in permanenza le due stanzucce del
suo ufficio, lo seguono a casa quando va a mangiare un boccone con sua madre. Alberto non ne allontana mai neppure uno. Dice: «I poveri passino subito, gli altri abbiano la cortesia di aspettare». Dopo la pace, la miseria della
gente continua. Nella guerra molti hanno perso tutto.
L’anno 1946 è mangiato gior-no per giorno da infinite necessità, tutte urgenti.
Alberto va a messa, poi è a disposizione. Alla fine di quell’anno ci sono le prime
elezioni amministrative. Battaglie roventi tra comunisti e democratici cristiani.
Un comunista, che vede ogni giorno in Marvelli non un democristiano ma un
cristiano, dice: «Anche se perde il mio partito... purché risulti sindaco
l’ingegnere Marvelli». Non lo diventerà. La sera del 5 ot-tobre cena in fretta
accanto alla mamma, poi esce in bicicletta per tenere un comizio a San
Giuliano a Mare. A 200 metri da casa sua, un camion alleato correndo a velocità pazzesca lo investe, lo scaglia nel giardino di una villa e scompare nella
notte. Viene raccolto dal filo-bus. Due ore dopo muore. Ha 28 anni. Quando la
sua bara passa per le strade, i poveri piangono e mandano baci. Un manifesto
proclama a caratteri cubitali: «I comu-nisti di Bellariva si inchinano rive-renti a
salutare il figlio, il fratello, che ha sparso su questa terra tanto bene».
Alberto Marvelli, La santità nel quotidiano, a cura di Fausto Lanfranchi,
San Paolo 2004, pp. 116 - 8 euro
È il diario personale di Alberto, il suo itinerario spirituale. Il linguaggio è quello
del suo tempo, ma testimonia l’intensità delle sue convinzioni e delle sue scelte
di vita.
«Fra cinque giorni compio 21 anni: sono 7665 giorni: sono molti. Se in ognuno
di essi avessi compiuto solo una buona azione, quante ne avrei sommate!»
(37).
«Fare ogni giorno mezz’ora di meditazione senza mai tralasciarla, salvo casi
imprevedibili. Mezz’ora al giorno di lettura spirituale e possibilmente anche
più» (36).
«Voglio farmi santo: per questo sono pronto a rinunciare a qualsiasi sogno o
affetto terreno, per essere tutto di Dio. Con Te, o Gesù, fino alla morte» (42).
«Voglio riuscire, voglio tentare la via dei santi» (43).
«Dobbiamo lavorare in profondità. In alcuni posti si lavora molto, ma non si
conclude niente» (60).
«Ormai è tempo di stringerci tutti fraternamente la mano, per procedere
nell’immenso lavoro che ci attende in tutti i campi della vita sociale e nazionale
(60).
«Sono sempre occupato dal mattino alla sera fra la scuola, l’Amministrazione
comunale, il lavoro privato, l’attività dei Laureati cattolici e un poco anche nel
Partito, ma cerco di non trascurare anche la vita spirituale…» (61).
«Figuro un attivo, degno di essere additato a esempio, e giro a vuoto,
brancolando qua e là come un mulino a vento, senza concludere. Non do un
tono alle mie attività, mi sembrano estranee, pur essendo desideroso di vivere
per esse. Forse è troppo lavoro professionale o la preoccupazione del presente
e dell’avvenire» (63).
«Vivere come se questo giorno fosse l’ultimo. Lavorare come se non dovessimo
mai morire» (86).
«Mettere tutta la propria vita, le forze, l’intelligenza, la propria gioventù, i
propri beni a servizio e per l’utilità degli altri è la prova più bella di amore… Io
credo che una vita spesa solo per se stessi non abbia alcun senso» (92).
Dal Diario di Alberto:
Ho compiuto 21 anni (21 marzo 1939).
Il tempo passa, vola anzi; non rimaniamo indietro con la vita
spirituale.
Come ogni giorno si assomiglia al precedente formando quella che è
la vita materiale, così il nostro procedere nella vita materiale deve
essere un salire continuo e deciso, somma delle esperienze
precedenti e delle grazie attuali continue che il Signore
costantemente ci elargisce.
Devo progredire, continuamente, gradino per gradino, giorno per
giorno, minuto per minuto; sempre aspirando quella che è la vetta
massima, Dio.
Lo devo, lo voglio. "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
che è nei cieli". Questo ha detto Gesù, questo dobbiamo
raggiungere, almeno per quanto sta in noi e nella nostra volontà.
Saremo degli incipienti continui, sforziamoci di essere dei
progredienti, su su verso le rampe del palazzo meraviglioso ed
infinito che è la perfezione.
Lanfranchi. “Alberto Marvelli. Ingegnere manovale della carità”, Edizione
S. Paolo 1966,
Alberto Marvelli. “Diario e lettere”. A cura di F. Lanfranchi, con prefazione di
Giuseppe Gervasio. Edizione S. Paolo
F. Lanfranchi. “In preghiera con Alberto Marvelli” E. “Il Ponte”
Diego Zorzi, “Alberto Marvelli: pienezza di vita cristiana e civile.
Proposta per la nuova generazione di cristiani”, ed. Il Ponte
Lanfranchi-Fiorini. “Un beato che resta amico” Ed. San Paolo
Fausto Lanfranchi, “Alberto Marvelli. Ingegnere dei poveri” Ed. Ave,
Alberto Marvelli, “La santità nel quotidiano. Itinerario spirituale”, Ed. San
Paolo 2004
Fausto Lanfranchi, “In preghiera con Alberto Marvelli”, Ed. Il Ponte
“Testimone dell’amore. Veglia di preghiera con Alberto Marvelli” a cura
del Punto Giovane, Ed. Il Ponte Rimini 2000,
N. Valentini-R. Di Ceglie, “Alberto Marvelli. Fedeltà a Dio e fedeltà alla
storia”, atti del Convegno di Studi, Rimini 19/20 marzo 2004, ed. Messaggero
di Sant’Antonio, pp. 32 - euro 15,50.
Beato A. Marvelli, “L’amore non è mai riposo. Il cammino spirituale di un
laico cattolico”.