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FONDAZIONE STUDI
CONSIGLIO NAZIONALE DEI CONSULENTI DEL LAVORO
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Commissione dei principi interpretativi delle leggi
in materia di lavoro
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PRINCIPIO N. 10
Omissione contributiva nella previdenza complementare
e regime delle sanzioni
1. Premessa
Il tema della omissione contributiva e delle relative sanzioni nella previdenza complementare presenta una serie di aspetti
problematici.
Il primo aspetto riguarda l’operatività del Fondo di garanzia ex art. 5 del D.Lgs. n. 80/1992, i cui presupposti non sono
compiutamente disciplinati dalla legge e non hanno trovato ancora un chiarimento nella scarsissima produzione
giurisprudenziale sul punto.
Il secondo aspetto riguarda le azioni che il lavoratore subordinato può intraprendere qualora il datore di lavoro risulti
inadempiente nel versamento dei contributi.
Il terzo aspetto, probabilmente il più significativo e controverso della materia, riguarda la posizione del fondo pensione nei
confronti del datore di lavoro, e cioè se il fondo sia o no titolare di un diritto soggettivo autonomo alla contribuzione, con
relativa facoltà di agire in giudizio per recuperare le somme omesse.
Infine, vi è da chiarire se il fondo pensione possa prevedere nello statuto sanzioni civili, e se esse siano poi effettivamente
applicabili nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
2. Il Fondo di garanzia ex art. 5 D.Lgs. n. 80/1992
L’unico rimedio specifico previsto dal nostro ordinamento in materia di mancato versamento contributivo ai fondi di
previdenza complementare è il Fondo di garanzia di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 80/1992.
Tale Fondo interviene nel caso in cui le prestazioni di vecchiaia e superstiti dovute da una forma pensionistica complementare
non possano essere corrisposte in tutto o in parte a causa dell’omesso o insufficiente versamento delle quote di TFR.
In tal caso, il lavoratore rimasto insoddisfatto ha il diritto di richiedere al Fondo di garanzia l’integrazione
dei contributi omessi presso il fondo pensione, il quale provvederà poi ad erogare la prestazione di
previdenza complementare.
Presupposti di tale intervento sono che l’omissione contributiva sia rilevante per la mancata erogazione
della prestazione e che il credito sia rimasto insoddisfatto all’esito di una delle procedure concorsuali
previste dalla legge (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa,
amministrazione straordinaria).
In base all’art. 5, comma 1 del D.Lgs. n. 80/1992 è il lavoratore il soggetto legittimato alla insinuazione al passivo; infatti, la
norma precisa che“il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito a una delle procedure
indicate al comma 1, può richiedere al Fondo di garanzia…” (in questo senso si è espresso Trib. Bari 7 aprile 2004, Cantatore
c. Inps e Previndai; ritiene, invece, che sia legittimato il fondo pensione, Corte App. Bari 3 giugno 2004, n. 3551, in
Previdenza e assistenza pubblica e privata, 2005, pag. 178 ss.; v. anche Trib. Milano, sez. 2 civile, 28 luglio 2006, n. 9152,
secondo cui sarebbe il Fondo di garanzia “legittimato a richiedere l’ammissione al passivo dell’importo corrispondente ai
contributi versati per compensare le omissioni del datore di lavoro fallito”).
Il credito oggetto della insinuazione al passivo è quello relativo al risarcimento del danno conseguente alla omissione
contributiva, danno che si configura – come nella previdenza obbligatoria – al momento l’avveramento dell’evento tutelato, e
cioè quando il lavoratore ha conseguito tutti i requisiti per ottenere la prestazione previdenziale.
Sempre in base all’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 80/1992, si deve altresì ritenere che il lavoratore possa chiedere l’intervento
del Fondo di garanzia soltanto al termine (“in esito”) della procedura concorsuale (in tal senso, v. ancora Trib. Bari 7 aprile
2004, cit., ; contra, Corte App. Bari 3 giugno 2004, n. 3551, cit., secondo cui sarebbe sufficiente la semplice insinuazione al
passivo).
Di conseguenza, soltanto quando il credito del lavoratore rimane “insoddisfatto” (così si esprime sempre l’art. 5, comma 2,
del d.Lgs. n. 80/1992) nell’ambito della procedura concorsuale, poiché l’escussione del patrimonio del datore di lavoro ha dato
esito negativo, il lavoratore può chiedere l’intervento del Fondo di garanzia al fine di integrare i contributi presso la gestione di
previdenza complementare interessata.
3. Le azioni dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
Oltre all’intervento esterno del Fondo di garanzia, le parti del rapporto previdenziale possono esperire i rimedi ordinari previsti
dalla legge.
Il lavoratore non può chiedere al datore di lavoro le somme corrispondenti alla contribuzione non versata, trattandosi di
posizioni soggettive che appartengono ad un terzo (il fondo pensione). Il lavoratore, interessato a ricevere la prestazione, può
però certamente agire per il risarcimento del danno provocato dalla omissione contributiva.
Peraltro, nel settore della previdenza complementare la perdita della prestazione è certa, non operando – a differenza che per la
previdenza obbligatoria – il principio di automaticità (di cui all’art. 2116 cod. civ., comma 1).
In ogni caso, la richiesta di risarcimento del danno presuppone – come detto sopra – l’avveramento dell’evento tutelato, e cioè
che il lavoratore abbia conseguito tutti i requisiti per ottenere la prestazione previdenziale. Soltanto quando si perfezionano i
requisiti per ottenere la prestazione di previdenza complementare, il lavoratore può esperire i rimedi che l’ordinamento prevede
per tale ipotesi (fondo di garanzia; risarcimento del danno).
Conseguentemente, la prescrizione decennale dell’azione di risarcimento del danno da omissione contributiva decorre dal
momento in cui il lavoratore, raggiunta l’età richiesta per il conseguimento della prestazione, e concorrendo ogni altro
requisito, perde il relativo diritto (o lo vede ridotto) a causa dell’omissione contributiva (Cass. 15 giugno 2007, n. 13997).
Tuttavia, se è vero che il diritto al risarcimento del danno non può sorgere prima del verificarsi del pregiudizio, è altrettanto
vero che il lavoratore può chiedere la tutela della sua aspettativa concernente le prestazioni assicurative ancor prima del
verificarsi degli eventi che consentono l’erogazione della prestazione previdenziale, avvalendosi della domanda di condanna
generica al risarcimento dei danni, volta ad accertare la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare il danno, salva poi
la facoltà di esperire successivamente l’azione risarcitoria vera e propria (sul punto la giurisprudenza – formatasi nel settore
della previdenza obbligatoria, ma applicabile anche nel settore in questione – è consolidata: Cass. 15 giugno 2007, n. 13997;
Cass. 7 dicembre 2005, n. 26990; Cass. 3 dicembre 2004, n. 22751; Cass. 26 maggio 1995, n. 5825).
Il lavoratore può, infine, agire con azione di mero accertamento nei confronti del datore di lavoro per stabilire, ad esempio,
l’esatto ammontare della contribuzione versata, ovvero per controllare l’esatta determinazione della base di calcolo della
contribuzione medesima (come è noto, il requisito essenziale per l’ammissibilità dell’azione di mero accertamento consiste
nella “sussistenza di un interesse ad agire concreto ed attuale, che sussiste quando di fatto ricorra una situazione di obiettiva
incertezza, implicante, per l’attore, un pregiudizio attuale e giuridicamente apprezzabile, che non possa essere eliminato senza
una pronunzia giudiziale”: Cass. 9 aprile 1986, n. 2488, ed ivi riferimenti giurisprudenziali).
In caso di incertezza o di contestazione sull’ammontare dei contributi o sui criteri adottati per la determinazione di essi, il
lavoratore potrebbe dunque avere un interesse attuale ad agire in giudizio per definire l’ammontare dei contributi, al fine – ad
esempio – di calcolare l’esatto importo delle anticipazioni che possono essere richieste al fondo ovvero per valutare
l’opportunità di dimettersi (in questo senso si è espressa in passato la giurisprudenza con riferimento agli accantonamenti
relativi al TFR: Cass. S.U. 15 dicembre 1990, n. 11945, in Foro it., 1991, I, 1498; Cass. 12 giugno 2001, n. 7941, in Giust.
lav., n. 30, 28).
4. Le azioni del fondo pensione nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
Si ritiene che i fondi di previdenza complementare possano pretendere dal datore di lavoro il versamento della quota di
contribuzione e di TFR omessa.
L’art. 1, comma 8, della legge 23 agosto 2004, n. 243 (legge delega per la riforma della previdenza
complementare), aveva espressamente previsto la contitolarità del diritto alla contribuzione tra fondo
pensione e lavoratori iscritti, ma una simile disposizione non si rinviene nel decreto delegato.
In ogni caso, con l’adesione del lavoratore al regime della previdenza complementare, attraverso l’iscrizione al fondo pensione,
il datore di lavoro che applica il contratto collettivo di riferimento è obbligato a versare la contribuzione nei confronti dello
stesso fondo pensione.
Infatti, il D.Lgs. n. 252/2005 prevede che il finanziamento delle forme pensionistiche complementari sia “a carico” anche del
datore di lavoro (art. 8, comma 1), rimettendo la determinazione di tale obbligo ai contratti ed agli accordi collettivi, anche
aziendali (art. 8, comma 2).
Lo stesso D.Lgs. n. 252/2005 prevede che i lavoratori possano destinare al fondo aperto “la contribuzione a carico del datore di
lavoro a cui abbiano diritto”, sempre in base alla disciplina collettiva applicabile.
Dunque l’adesione del lavoratore alla forma pensionistica complementare determina l’insorgenza dell’obbligo da parte del
datore di lavoro di corrispondere la contribuzione al fondo pensione, nella misura determinata dalla fonte collettiva applicabile.
A fronte di tale obbligo, l’unico soggetto titolare del diritto di ricevere la contribuzione è, appunto, il fondo di previdenza
complementare.
La sussistenza di tale obbligo del datore di lavoro al versamento della quota di contribuzione al fondo pensione è del tutto
coerente con la funzione costituzionale della previdenza complementare che – assieme alla previdenza obbligatoria – deve
assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di bisogno (art. 38 Cost., comma 2).
Al riguardo, la Corte Costituzionale ha sancito che “non può essere posta in dubbio la scelta del legislatore, enunciata sin
dalla L. 23 ottobre 1992, n. 421, e, via via, confermata nei successivi interventi, di istituire…un collegamento funzionale tra
previdenza obbligatoria e previdenza complementare, collocando quest’ultima nel sistema dell’art. 38, secondo comma,
Cost.” (Corte Cost. 28 luglio 2000, n. 393, Mass. giur. lav., 2000, 955; v. anche Corte Cost. 8 settembre 1995, n. 421, in Mass.
giur. lav., 1995, 535; Corte Cost. 8 giugno 2000, n. 178, in Mass. giur. lav., 2001, 91; Corte Cost. 16 aprile 2002, n. 121, in
Guida al lavoro, 2002, n. 18, 22).
Di conseguenza, il fondo pensione – in quanto titolare del diritto alla contribuzione – è legittimato ad agire in giudizio nei
confronti del datore di lavoro per chiedere il versamento dei contributi omessi.
5. Le sanzioni previste dagli statuti dei fondi pensione nei confronti del datore di lavoro
inadempiente.
In alcuni casi, gli statuti dei fondi pensione prevedono delle sanzioni civili a carico dei datori di lavoro che non risultino in
regola con la contribuzione.
Tra le sanzioni più frequenti si ha la maggiorazione della quota di contribuzione omessa, in relazione all’eventuale incremento
percentuale del valore della quota del fondo registrato nel periodo di mancato o tardivo versamento (cfr., ad esempio, art. 27,
comma 3, statuto del fondo Cometa; art. 8, comma 9, lett. b), statuto del fondo Fon.Te.; art. 8, comma 8, statuto del fondo
Fondapi; art. 8, comma 8, statuto del fondo Laborfonds), ovvero la maggiorazione degli interessi di mora rispetto al tasso
legale (art. 8, comma 9, lett. c), statuto del fondo Fon.Te.);
Si tratta di sanzioni di natura convenzionale (endoassociativa), che possono trovare applicazione nei confronti del datore di
lavoro soltanto se questo ha accettato di sottoporsi alla regolamentazione del fondo pensione.
Ciò si verifica se il datore di lavoro è iscritto all’associazione professionale che ha stipulato il contratto
collettivo (Cass. 16 gennaio 1986, n. 260, in Foro it., 1986, I, 931; Cass. 14 aprile 1980, n. 2430, in Riv.
giur. lav., 1980, II, 832; Cass. 15 gennaio 1963, n. 35, in Mass. giur. lav., 1963, 147), ovvero se applica
per rinvio il contratto collettivo, ovvero ancora se lo stesso datore di lavoro si sia in qualunque modo
impegnato nei confronti del fondo (ad esempio, con una espressa adesione individuale ad esso).
Tuttavia, poiché nella maggioranza dei casi il contratto collettivo non prevede l’iscrizione automatica al
fondo pensione né recepisce lo statuto di esso, si pone il problema se la disciplina statutaria possa
determinare l’automatica associazione del datore di lavoro, senza il suo consenso.
Infatti, l’applicazione della disciplina contrattuale sulla previdenza complementare, che impone al datore
di lavoro di versare la contribuzione al fondo, non implica necessariamente la sottoposizione del datore
stesso alla regolamentazione statutaria dettata unilateralmente dal fondo pensione (se non nella parte
meramente integrativa degli obblighi direttamente assunti tramite contrattazione collettiva).
Si tratta, peraltro, di una situazione che si verifica spesso negli statuti dei fondi pensione, i quali
stabiliscono appunto l’automatica associazione dei datori di lavoro da cui dipendono i lavoratori che
aderiscono al fondo (v., ad esempio, art. 5, comma 12, statuto del fondo Fon.Te.; art. 5, comma 3, lett. c),
statuto del fondo Fondapi; art. 4, comma 1, lett. b), statuto del fondo Cometa; al riguardo, l’art. 5 dello
“schema di statuto” deliberato dalla COVIP il 31 ottobre 2006 lascia liberi i singoli fondi di “valutare se
consentire l’associazione delle imprese/committenti dalle quali dipendono i lavoratori aderenti al
Fondo”).
Al riguardo, si ritiene che il fondo pensione possa adottare le sanzioni civili previste dallo statuto nei confronti dell’impresa
soltanto se questa sia associata al fondo. A tal fine, occorre che il contratto collettivo applicato, e non soltanto lo statuto del
fondo, preveda l’associazione automatica del datore di lavoro al fondo medesimo (salvo ovviamente che l’imprenditore non si
sia comunque iscritto).
Viceversa, come detto, il fondo pensione può sempre pretendere sia la quota di contribuzione omessa dall’imprenditore, sia i
relativi interessi legali.
Inoltre, il fondo pensione può agire nei confronti del datore di lavoro inadempiente per ottenere il risarcimento degli eventuali
danni che il ritardato od omesso versamento dei contributi ha causato al fondo, sia con riferimento ai danni emergenti che al
lucro cessante.
In tal modo, il fondo potrà recuperare – da un lato – le spese sostenute per il recupero del credito, nonché – dall’altro lato –
l’eventuale incremento percentuale del valore della quota del fondo registrato nel periodo di mancato o tardivo versamento.