Whistleblowing, a che punto è la lotta alla corruzione?

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Whistleblowing, a che punto è la lotta alla corruzione?
L’Indro, 15 maggio 2015
Whistleblowing, a che punto è la lotta
alla corruzione?
di Camilla Doninelli
A tu per tu con Davide Del Monte di Trasparency International Italia e sul Whistleblowing
Torniamo a parlare di Whistleblowing. Nella legge 190/2012 («Legge Severino») sulla
«repressione della corruzione e dell’ illegalità nella pubblica amministrazione», al
comma 51 dell’art. 1, sono inserite le tutele per chi denuncia un illecito nella Pubblica
Amministrazione. Appunto il Whistleblowing, di chiara matrice americana, dove ormai
è diventato un sistema collaudato. In Italia stenta a partire. Lo stesso Cantone ha
sollecitato, una settimana fa, una maggiore attuazione di questo strumento, anche
attraverso una normativa più evoluta in senso positivo.
Nel nostro Paese ci sono degli esempi virtuosi, è il caso di Milano, ad esempio, che da
gennaio ha adottato questo sistema. Denunce anonime online di abusi e illeciti
all’interno dell’amministrazione. Il problema vero è diffondere questa buona abitudine
al resto della Penisola. Ne rimane fuori il settore privato, per ora la luce è puntata
esclusivamente sul pubblico. Un passo alla volta, funziona così da noi.
Il problema più evidente resta la scarsa fiducia nelle Istituzioni da parte dei e i tempi
di recepimento. In due parole: Pubblica amministrazione. A dicembre ne avevamo
parlato con Nicoletta Parisi dell’Anac, adesso chiediamo a Davide Del Monte,
direttore Esecutivo di Transparency International Italia, a che punto siamo. Sono
passati quasi tre anni dalla legge Severino.
Il Whistleblowing come mezzo di denuncia di illeciti nella Pubblica
Amministrazione (all’estero riguarda anche il settore privato) è diventato
realtà? Sarà davvero utile nel panorama italiano?
E’ assolutamente uno strumento utilissimo, se non probabilmente il più utile per far
venire alla luce i casi corruzione (da quello che si può evincere empiricamente dai casi
che sono stati scoperti nel mondo). Sostanzialmente il reato di corruzione è
difficilissimo da scoprire, è un patto tra due parti che hanno una reciproca
convenienza al silenzio. Il whistleblowing è quella leva che fa in modo che, chi non fa
parte del patto ma è a conoscenza di qualcosa, possa trovare il coraggio di uscire allo
scoperto, essendo tutelato e in alcuni contesti (come quello americano) anche
incentivato economicamente. Il merito della legge 190/12 è quello di aver finalmente
introdotto il concetto di whistleblower in Italia, che fino a dicembre 2012 era
totalmente sconosciuto. Si parlava di testimoni di giustizia per crimini legati alla mafia
ma il concetto sopra citato non esisteva. Un punto positivo, ma nella legge attuale, o
meglio al comma 51, è molto limitativo.
In che senso “limitativo”?
Perché non fa molta chiarezza su come e a chi le segnalazioni debbano essere fatte.
Per esempio, solo adesso, dopo due anni e mezzo, la Corte dei Conti e l’ Anac si
stanno attrezzando per mettere in piedi dei sistemi per ricevere le segnalazioni. Nella
legge 190 (sempre al comma 51) non viene nemmeno menzionato come possibile
destinatario della segnalazione il responsabile anticorruzione, una figura che viene
introdotta dalla legge stessa. Sulla possibilità che il segnalante rimanga anonimo non
c’è molta chiarezza. La legge è interpretabile in diverse maniere, anche qui andrebbe
sicuramente chiarito meglio. Infine, la situazione più importante, è la gestione delle
segnalazioni. Per essere gestite in maniera corretta devono anche prevedere il rilascio
di un feedback rispetto chi ha segnalato. Chi segnala lo fa e continuerà a farlo solo se
ha fiducia nelle istituzioni. La fiducia si può creare solamente dando un riscontro,
basterebbe una risposta in cui si esplicita il fatto che è stata presa in carico la
segnalazione e si sta analizzando. Questo passaggio non avviene, no c’è nessun
feedback. Questo è molto limitante, lo sottolineano diversi studi.
Per chi segnala c’è l’anonimato?
Nei casi che abbiamo seguito Noi la protezione non c’è, o meglio è troppo tardiva.
Trattandosi di dipendenti pubblici viene sostanzialmente affidata all’ispettorato della
funzione pubblica che è una sezione del Dipartimento della funzione Pubblica.
Abbiamo assistito a casi in cui il whistleblower ha subito delle ritorsioni, e sono passati
mesi prima di avere una risposta. Nella pratica che tipo di tutela è? Per quanto
riguarda le relazioni tra istituzioni ci vorrebbe maggiore trasparenza su qual è il
percorso della segnalazione dopo che è stata presa in carico da un’autorità, come ad
esempio Anac. Che cosa fa? Ha dei canali preferenziali con la Procura, per cui le
segnalazioni che sono già state vagliate dall’autorità vanno in procura in maniera più
diretta o semplicemente si fa un esposto come fa qualsiasi cittadino? Da quello che
sappiamo, al momento, si fa semplicemente un esposto.
Il grande entusiasmo preannunciato con il Whistleblowing si è un po’ svuotato?
Diciamo di sì. Nella messa in pratica della legge vanno ancora affinati molti punti. Uno
di questi sicuramente è il coordinamento tra le varie autorità e istituzioni. C’è uno
scenario frammentato in Italia per quanto riguarda le istituzioni che si occupano di
anticorruzione, abbiamo autorità anticorruzione, la Corte dei Conti, le procure, la
Guardi di Finanza. Non si sa come dialogano fra loro, ma lo devono fare. Una
raccomandazione che ci sentiamo di fare, in generale naturalmente, è quella di
rafforzare i legami tra queste istituzioni primarie. In modo tale che abbiamo dei canali
di dialogo veloci e certi, in maniera tale che quando arriva una segnalazione c’è la
certezza che viene presa in carico in tempi brevi. Se non si ha un riscontro si va a
creare un clima di sfiducia nelle istituzioni, oltretutto il livello (di fiducia) già non è
molto alto.
Tornando sul tema dell’anonimato, c’è o non c’è?
L’anonimato, da quello che si evince dalle linee guida, pubblicate la settimana scorsa,
da Anac viene disincentivato. Viene incentivata la confidenzialità, è una cosa diversa.
Sarebbe a dire: “dimmi chi sei e io ti garantisco che non lo dirò a terzi”.
Parlando per assurdo: se, come ha dichiarato, le risposte da parte delle autorità
sono tardive, non si rischia di incorrere in qualche ritorsione?
In un modello ideale di società, dove c’è massima fiducia nelle Istituzioni, il principio
della confidenzialità sarebbe corretto. Al contrario, nel contesto attuale, in cui la
fiducia da parte del cittadino è bassissima, per i primi tempi bisognerebbe dare la
possibilità di segnalare anonimamente (se si vuole utilizzare lo strumento del
whistleblowing).
Transparency Italia ha istituito uno sportello ad hoc, l’ALAC, come agite quando
vi viene denunciato un illecito? Come interagite con le Istituzioni?
La nostra procedura consiste nel fare una prima verifica di quello che ci viene
segnalato, non un’indagine ma solo un’analisi della veridicità del fatto. Una volta che
abbiamo appurato che il fatto è inerente a quello che ci occupiamo, e che è
verosimilmente accaduto, procediamo con una secondo step: la raccolta di maggiori
informazioni. Avviene grazie alla piattaforma che ci permette, mantenendo il pieno
anonimato, di dialogare con una messaggistica criptata. A seguito di ciò viene avviata
una procedura: andiamo, come primo passo, all’interno all’Ente (dal responsabile
anticorruzione). Nel caso in cui non ci risponda andiamo da un’altra istituzione,
stavolta esterna: autorità anticorruzione, Corte dei Conti, Procura o Finanza.
Seguiamo il segnalante in tutte le fasi. Se anche qui riceviamo poche risposta, come
terza via, andiamo pubblicamente. Cerchiamo dei giornalisti, naturalmente interessati
al caso, che lo portino all’esterno.
E’ paradossale che, per avere un certo riscontro, si debba arrivare direttamente
all’opinione pubblica…
Nei primo sei mesi era considerata l’opzione finale, adesso stiamo cominciando a
collaborare con dei giornalisti investigativi. Non riusciamo a penetrare nelle Istituzioni
con le segnalazioni. Può essere visto non solo da questo lato. Può essere un segnale
per le Istituzioni affinché la gestiscano in un tempo adeguato.
Ma le aziende private perché non rientrano bell’area del Whistleblowing?
E’ un punto che tocchiamo anche noi. Preferiremmo avere una legge che sia
comprensiva sia del pubblico che del privato. Stiamo scrivendo una proposta di
revisione della legge che verrà presentata entro un mese alla Commissione Giustizia
della Camera. Chiediamo, intanto, che le tutele vengano estese anche al settore
privato. Al momento riguarda solo il Pubblico, perché facendo parte di una legge sui
reati contro la Pubblica Amministrazione, non è stato ritenuto corretto inserire il
settore privato. Infine chiediamo una maggiore efficacia dei sistemi in generale.
Manca, in generale, una maggiore diffusione di conoscenza di questo
strumento…
Noi come Transparency svolgiamo molti corsi di formazione e posso assicurare che
l’anno scorso, forse, l’1% dei dipendenti pubblici che abbiamo intervistato e formato
erano al corrente del fatto che fossero stati inserite delle tutele per chi segnalava
internamente. Quest’anno è aumentata la conoscenza del Whistleblowing. Su questo
lato Anac ha svolto un lavoro di comunicazione, si è mossa molto in questo senso. E’
molto importante, perché ha canalizzato l’attenzione di molti funzionari pubblici, e
soprattutto ha fatto conoscere le tutele per chi denuncia un illecito.