scrivere per - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Transcript

scrivere per - Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Scrivere per demistificare
«Are we downhearted? – No!». Jessie Pope aveva scritto versi per bambini, versi patriottici, versi
per spronare i giovani ad arruolarsi, versi di grande popolarità. I soldati inglesi al fronte ridevano,
talvolta, del suo «Siamo scoraggiati? – No!», ma non Wilfred Owen quando scrisse Dulce et
Decorum Est, tra l’ottobre del 1917 e il marzo del 1918, e pensò di dedicarla ironicamente proprio a
Jessie Pope. La dedica poi scomparve, ma non la volontà di demistificazione delle menzogne della
propaganda e di certa letteratura: se avessi visto la morte che io ho visto, scrive Owen,«[…] non
diresti con tutto questo zelo / A bambini ardenti di una gloria disperata, / La vecchia Menzogna:
Dulce et decorum est / Pro patria mori» (vv. 25-28). I giovani ardenti che Rupert Brooke aveva
cantato nei suoi War Sonnets ora appaiono più simili a bambini che la propaganda inganna e attira
al fronte, e alla morte, con gli allettamenti di una glory che nei versi di Owen rima con mori, mentre
la dolcezza decantata del morire per la patria è denunciata come «vecchia Menzogna». Né ci
saranno funerali per i morti della guerra, come ancora Owen scrive in Anthem for Doomed Youth,
né «campane a morto», né «orazioni», né «preghiere» o «voci e parole di compianto», ma solo il
rumore rabbioso delle mitragliatrici e dei fucili e «i cori striduli e dementi, i gemiti, delle granate»
(v. 7).
Dunque il nazionalismo è chiamato in causa e messo sotto accusa attraverso la smentita del suo
simbolismo e del suo linguaggio di matrice religiosa – in Anthem for Doomed Youth (1917) – e
classicheggiante – in Dulce et Decorum Est. A dare forma verbale all’ideologia nazionalista è infatti
il verso oraziano «dulce et decorum est pro patria mori» («è dolce e onorevole morire per la
patria»), che Owen cita come emblema di quell’ideologia e di una tradizione letteraria che ora è
sentita come sua complice in quanto ne perpetua i valori formando i giovani a vivere, e morire, per
essi. Ma nella morte che Owen ha visto in trincea non c’erano onore né dolcezza e tutto, al
contrario, era «obscene» e «bitter» – l’amaro e l’osceno, antitesi del dolce e dell’onorevole – come
la morte causata dai gas (v. 23). Chi abbia visto questa morte, scrive Owen, non può ripetere la
vecchia menzogna.
Che cosa resta da fare ai poeti? «Oggi un poeta può solo mettere in guardia. – scrive Owen nella
prefazione che avrebbe anteposto ai suoi versi – Ecco perché i veri Poeti devono dire la verità». Il
poeta deve raffigurare la realtà della guerra e dire il sangue, il fango e la fatica, i gas e le granate, il
terrore e la morte, perché i lettori che non li hanno vissuti li conoscano mediante le sue parole,
condividano i «sogni soffocanti» (v. 17) che lo perseguitano e ne siano avvisati. Il libro di Owen
non tratterà di «gloria, onore, potenza, maestà, dominio o potere», ma solo della guerra nella sua
realtà più cruda.Il semplice fatto di riferire, che è insieme un testimoniare, consentirà alla sua poesia
di ritrovare un valoremorale.
In Addio alle armi (1929) il protagonista e narratore Frederic Henry dicedi essere imbarazzato
«dalle parole sacro, glorioso e sacrificioe dall’espressionein vano. […] Parole astratte come gloria,
onore, coraggio o dedizioneerano oscene accanto ai nomi concretidei villaggi, ai numeri delle
strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date». Ad apparire osceno, con un
ribaltamento rivelatore, è ora il lessico di quella tradizione letteraria che troppi suoi rappresentanti
hanno compromesso con la propaganda nazionalista e bellicista.Sulla stessa via di Owen,
Hemingway oppone a quel lessico l’antiretorica nominazione della realtà concreta, dei luoghi e dei
fatti conosciuti per esperienza. Quando la realtà mostra che la propaganda non ha prodotto che
un’«allegra montagna di menzogne» – come scrive John DosPassos nei suoi taccuini dal fronte
italiano –, agli scrittori non resta che rigettare tutto il linguaggio di quella tradizione e cercare un
altro linguaggio per perseguire un intento di verità e testimonianza.
Stefano Ballerio
Ricercatore del progetto La Grande Trasformazione 1914-1918