blood story - pdf - Lo Spettacolo del Veneto
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Federazione [email protected] Italiana Cinema d’Essai [email protected] wwww.spettacoloveneto.it Associazione Generale Italiana dello Spettacolo Fuori concorso al Festival Internazionale del film di Roma, 2010 INTERPRETI: Kodi Smit-McPhee, Chloe Moretz, Richard Jenkins, Jimmy 'Jax' Pinchak, Sasha Barrese SCENEGGIATURA: Matt Reeves FOTOGRAFIA: Greig Fraser MUSICHE: Michael Giacchino MONTAGGIO: Stan Salfas SCENOGRAFIA: Ford Wheeler DISTRIBUZIONE: FILMAURO (2011) NAZIONALITA’: USA, 2010 DURATA: 115 min. di Matt Reeves PRESENTAZIONE E CRITICA Il dodicenne Owen è brutalmente maltrattato dai suoi compagni di classe e trascurato dai genitori divorziati. Solo, Owen passa le sue giornate tramando vendetta contro i suoi aguzzini della scuola media e passa le sue serate a spiare gli altri abitanti che abitano nel suo complesso di appartamenti. Il suo unico amico è il suo nuovo vicino Abby, una spigliata ragazzina che vive alla porta accanto con un padre silenzioso. Una fragile bambina problematica dell'età di Owens, Abby emerge dal suo appartamento sempre all'ombra solo di notte e sempre a piedi nudi, apparentemente immune agli elementi dell'amaro inverno. Riconoscendo un altro reietto, Owen si apre con lei e in poco tempo i due formano un legame unico. Quando una serie di misteriosi omicidi mette in allarme la città, il padre di Abby scompare, e la ragazza terrorizzata è lasciata in balia di se stessa. Eppure, lei respinge ripetutamente gli sforzi di Owen per aiutarla e il suo comportamento sempre più strano porta la fantasia di Owen a sospettare che lei nasconda un segreto impensabile.In un primo momento il film si chiamava LET ME IN essendo il remake americano dell'ottimo horror svedese Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist. Matt Reeves (regista e sceneggiatore di Cloverfield) ha realizzato un lavoro eccellente nel rifare questa storia apparentemente horror e di vampiri - ma che metaforicamente è un profondissimo ritratto del senso di solitudine che si può provare durante l'adolescenza. La riuscita del remake è dovuta anche ai due giovanissimi attori protagonisti Kodi Smith-McPhee e Chloe Moretz, oltre al sempre grandissimo Richard Jenkins, che interpretano in maniera intensissima i due giovani protagonisti. (www.primissima.it) Il remake made in USA del meraviglioso film di Tomas Alfredson faceva molta paura nelle intenzioni ma, seppur forse più sanguinolento, rassicura anche gli animi più ansiosi. Il romanzo di John Ajvide Lindqvis torna dunque sullo schermo grazie al regista di Cloverfiled, Matt Reeves, senza che il ricordo del primo film venga alterato. Siamo qui in presenza di un doppio, che della tragica inquietudine dell’originale ritrova tanto il senso quanto il sentimento, ma che avvicina questa storia nera ambientata nella neve bianca al pubblico americano, offrendogli maggiori appigli. La ricontestualizzazione negli Stati Uniti dell’era Reagan - una presidenza nata dal malessere (specie economico) avvertito dal paese e tutta improntata alla difesa dalla minaccia esterna - ma anche la collocazione calzante tra il genere del teen movie scolastico e l’horror più esplicito, fanno di LET ME IN un’opera meno aliena e lontana di Let the right one in per la platea a stelle e strisce. Fermo restando il primato del film Alfredson, tanto in senso anagrafico quanto emozionale. ________________________________________________________________________________ di Matt Reeves Il senso di isolamento e di inguaribile solitudine che nel film svedese abbracciava non solo i protagonisti ma la comunità tutta, il condominio, il circondario, le foreste, qui si stringe attorno a Owen, alla sua famiglia disintegrata e alla sua esclusione sociale, disegnando un percorso meno esistenziale e più individuale, anch’esso più in linea con i modi della narrazione cinematografica americana. (www.mymovies.it) LET ME IN è un film interessante per tanti motivi. Perché è un remake di lusso che ha il grande merito di non sfigurare di fronte al piccolo capolavoro originale che ha segnato una pagina importantissima nella storia del cinema svedese. Perché nonostante sia un remake esso è capace di offrire allo spettatore degli spunti nuovi e dei punti di vista diversi che derivano dalla sua trasposizione nel contesto socio-politico americano degli anni '80. Perché grazie ad esso abbiamo avuto modo di consacrare due giovani bravissimi nuovi attori con un grande futuro davanti ed un regista che finora era stato conosciuto per due film assai commerciali e talvolta accusato di non aver ancora trovato la sua strada. Ma soprattutto perché LET ME IN segna il ritorno nel mondo del cinema della mitica Hammer Films, la casa di produzione di film horror britannica fondata nel 1934 da che dopo più di trent'anni da Il mistero della signora scomparsa (remake de La signora scompare di Hitchcock datato 1979) torna a produrre un film di genere. (www.movieplayer.it) La storia si potrebbe inserire in qualche modo nel filone vampiresco, tanto di moda negli ultimi anni. Tuttavia, affermare che si tratti di una vampire story suona piuttosto riduttivo, fuorviante e in qualche modo scorretto – dato che nel film il fattore in questione viene scoperto soltanto a narrazione inoltrata -. BLOOD STORY (in originale più semplicemente ed efficacemente LET ME IN) non intende infatti esplorare più di tanto il mondo oscuro delle creature della notte e, anche in merito ai soli vampiri, non fornisce alcuna particolare spiegazione del loro mondo. Tutto ciò che vediamo accadere sullo schermo alla giovane e immortale protagonista (una cadaverica ma espressiva Chloë Moretz) è spiegabile solo in base alle nozioni fantasy che il pubblico ha potuto accumulare sull’argomento vampiri, date per scontate nella loro universalità. Nessuna metafora sociologica o comunitaria, questa volta. Solo un’amara parabola di diversità individuale. Una diversità che non ammette negoziazioni o soluzioni di alcun tipo, bensì solo un’apparentemente insormontabile solitudine. L’assenza poi, nei dialoghi, della solita retorica sulla propria natura, sull’impossibilità di resistere agli istinti o sulla necessità di accettarsi o di essere accettati, rende il rapporto tra i due piccoli amici sincero e allo stesso modo complesso, esorcizzando così il rischio dell’ostentazione metafisica sempre e comunque per l’ansia di spiegare e dichiarare qualunque potenziale similitudine. I temi e la tensione sono quelli del miglior horror cinematografico, ma la cura per i personaggi e i tempi utilizzati appartengono all’ottimo cinema d’autore intimista. L’ambientazione reaganiana avvolge inoltre la storia in una patina lontana che, laddove in Super 8 aveva nostalgicamente intenerito, qui antepone tutto in incubo angosciante, interrogandoci alla fine del film su quale potrebbe essere lo status dei due protagonisti nel nostro presente. (www.doppioschermo.it) ________________________________________________________________________________