Missione Abruzzo 2009, Scarica il libro di Regione Lombardia

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Missione Abruzzo 2009, Scarica il libro di Regione Lombardia
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Missione Abruzzo
Testimonianze di Protezione Civile
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Testimonianze di Protezione Civile
a cura di Simona Bonfante
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In copertina:
Le case dei bimbi di Monticchio
Progetto di: Università Cattolica
Direttore dei lavori: Francesca Giordano
Realizzazione: i piccoli ospiti del campo di Regione Lombardia
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Essere testimone, oggi, dell’impegno, della professionalità e della solidarietà che i volontari della
Protezione civile lombarda e i tecnici di Regione Lombardia hanno saputo offrire in seguito al terremoto
abruzzese, è per me motivo di orgoglio. La prova che i cittadini lombardi hanno dato è semplicemente
esemplare.
Sin dalle prime ore successive al sisma, i volontari hanno dimostrato una determinazione non comune:
attraverso un loro lavoro instancabile nei campi d’accoglienza, tutti insieme hanno saputo far rinascere la
speranza a L’Aquila, in giorni in cui poteva prevalere la disperazione.
Una solidarietà concreta, dunque, che ha permesso a Regione Lombardia di aiutare fattivamente gli
amici abruzzesi con azioni e fatti concreti. Uno di questi è sicuramente la firma dell’Accordo di
Programma finalizzato alla realizzazione della nuova residenza universitaria, che sostituirà la Casa dello
Studente, tragicamente crollata il 6 aprile scorso causando la morte di otto studenti. Questa nuova
struttura sorgerà nella zona ovest del capoluogo, nelle immediate vicinanze del polo universitario di
Coppito e dell’Ospedale civile regionale, su una superficie coperta di 2.500 metri e un’area verde di
circa 3.500 metri. Oltre ai 120 alloggi per gli studenti di cui 8 per disabili, la struttura comprenderà 4 aree
pasto, una biblioteca da 120 posti e un’area per le attività sportive di 1.050 metri quadri. Il tutto
realizzato con strutture antisismiche prefabbricate e avanzate dal punto di vista della sicurezza, del
rispetto dell’ambiente e del risparmio energetico.
Attraverso la sottoscrizione di questo importante accordo, Regione Lombardia insieme al ministero dello
Sviluppo economico, al Dipartimento di Protezione civile, alla Regione e alla Provincia abruzzese,al
Comune e alla Diocesi dell’Aquila, ha testimoniato l’efficienza del nostro Paese nel trovare soluzioni a
situazioni di estrema gravità. La nuova residenza universitaria è dunque il segno tangibile ed evidente
non solo dell’operosità di uomini e donne che hanno contribuito in modo significativo alla ricostruzione
della città, ma anche il risultato della capacità delle istituzioni di guardare al futuro.
Lo dovevamo agli otto studenti scomparsi sotto le macerie della Casa dello Studente de L’Aquila, e lo
dobbiamo alla comunità abruzzese, affinché un’intera città rinasca proprio da quello che Regione
Lombardia considera il suo campo d’azione privilegiato: la formazione dei futuri cittadini italiani.
Perché anche in Abruzzo Regione Lombardia non ha voluto rinunciare a quello che considera uno dei
principi più importanti delle sue politiche: rimettere costantemente al centro delle sue politiche la
persona, attorno a cui costruire esperienze positive di vita, di lavoro, di solidarietà, di creatività culturale
e artistica. Per continuare a seminare fiducia e solidarietà, per continuare a costruire un paese di
opportunità e di libertà.
Roberto Formigoni
Presidente Regione Lombardia
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Questo è un libro di storie. Le storie raccolte, vissute e narrate da angeli in carne, ossa e divisa della
Protezione Civile!
Uomini e donne di una generosità spiazzante.
Donne e uomini di straordinaria competenza ed efficienza professionale.
Si chiamano “volontari” perché hanno, dalla loro, la forza possente della volontà.
La volontà di non farsi soggiogare dal drammatico esplodere della potenza distruttiva della natura, ma di
reagire per riportare vita lì dove sembra esservi null’altro che desolazione.
Un terremoto irrompe nella vita di una comunità e ne distrugge le certezze.
Sotto le macerie spariscono i luoghi, i punti di riferimento della socialità, i simboli della storia, dell’arte,
il patrimonio di cultura e tradizioni. Si rompono gli equilibri della vita civile, vengono meno i simboli
del potere e si infrange la sacralità delle istituzioni democratiche.
Gia, il “palazzo” si denuda, sotto le macerie. Eppure, la rovinosa potenza di un cataclisma non riesce a
travolgere quell’imperfetta, fallace, vulnerabile ma insostituibile organizzazione di uomini che è la
democrazia. No, in Abruzzo le istituzioni democratiche hanno retto, anzi: hanno rafforzato la loro
missione che è, appunto, quella di servire i cittadini.
Le macerie hanno sepolto l’Abruzzo ma non la linfa vitale della sua gente, non la speciale vocazione
dell’uomo a rigenerare sé stesso e la sua comunità.
In una frazione di secondo, migliaia di persone hanno perduto la casa, hanno smarrito la memoria di sé,
hanno visto cancellata la storia della propria famiglia, una storia spesso testimoniata solo da vecchie
foto, ormai ingiallite.
Il terremoto rende il presente indecifrabile ed il futuro oscuro. Così, almeno, finché non si ri-genera la
quotidianità. È lì, infatti, in quella ordinaria, talvolta cinica, complessità quotidiana che si realizza la
dimensione dell’oggi. Quell’oggi che, giorno dopo giorno, avvicina un uomo al suo orizzonte.
Il quotidiano è fatto di un tetto e di un letto, del calore di una stufa quando fa freddo e di una mensa
conviviale quando si ha fame, della scuola per i più piccoli e del lavoro per i più grandi, di una lavanderia
per una madre di famiglia e di un computer per un professionista, di un parrucchiere che ri-dà ad una
donna il gusto di prendersi cura di sé, di un ufficio postale per un anziano che nella riscossione della sua
pensione consuma quel rito rigenerante e creativo che è la pianificazione del proprio bilancio.
Questa quotidianità in Abruzzo è stata riportata nel volgere di poche ore.
In poche ore, gli operatori ed i volontari della Protezione Civile hanno ridato ai disperati cittadini
abruzzesi, una nuova dimensione del vissuto quotidiano.
Una dimensione emergenziale, transitoria. Ma talmente ricca di umanità da restituire a ciascuna delle
vittime non solo una normalità contingente ma soprattutto la concreta chance di tornare a guardare al
proprio futuro. La normalità che talvolta ci appare gravosa, pesante, noiosa diventa una chimerica
ambizione quando non la si ha più.
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Quella normalità è il più grande, generoso dono offerto ai terremotati d’Abruzzo dagli uomini e donne
della nostra Protezione Civile regionale.
Questo libro è il loro diario. È il diario delle donne e degli uomini che dalla Lombardia sono partiti alla volta
dell’Abruzzo carichi di professionalità, competenze, coraggio e “cose”. Quelle cose – letti, cibo, servizi
igienici, lavatrici, corrente elettrica… - che per molti cittadini abruzzesi hanno significato il ritorno alla vita.
È un diario parziale, questo libro.
O meglio, è una raccolta di storie.
Storie, talvolta, raccontate solo per immagini.
Ma in ciascuna di queste immagini, siano esse foto o racconti, vi è la narrazione della straordinaria
ricchezza umana e professionale del sistema della Protezione Civile lombarda e del ruolo
impareggiabile svolto in aiuto dei terremotati.
I volontari della Protezione Civile, i funzionari della Centrale operativa, i tecnici, i dirigenti delle diverse
Unità Operative della Regione Lombardia che, da Milano, si sono spesi senza sosta, giorno e notte, per
organizzare gli aiuti, coordinare i volontari provenienti da ogni provincia, avviare i campi, costruire la
nuova vita degli abruzzesi danno onore alla nostra Regione, danno onore alle nostre istituzioni.
Gli operatori della nostra Protezione Civile, professionisti e volontari, danno onore all’istituzione che
rappresento e dunque a me personalmente. Per la grande lezione che mi hanno trasmesso, per la
straordinaria palestra di umanità e professionalità alla quale ho avuto la responsabilità di addestrarmi nel
corso degli ultimi tragici mesi, beh, per tutto questo, io sarò loro sempre infinitamente grato.
Ma il fatto è che la Protezione Civile lombarda ha saputo onorare il paese intero.
I campi allestiti dai nostri contingenti a Monticchio 1 e 2, a Rocca di Mezzo (Comune di Milano) e
quello successivo di Paganica 5 sono la testimonianza reale di come il principio del buon governo si
possa tradurre in prassi, in risultati concreti, in fatti oggettivi e misurabili.
A cosa servirebbe, infatti, per un politico, per un amministratore, invocare il principio della solidarietà
se poi non fosse in grado di tradurlo in azioni concrete?
Volere è potere, recita la massima.
La straordinaria opera di volontà compiuta in Abruzzo dai nostri volontari ammonisce ciascuno di noi –
ed ancor più quanti tra noi hanno l’onere della responsabilità politica - al dovere di tradurre sempre i
principi, gli indirizzi astratti in azioni fattive.
I fatti, allora, sono la sola cosa che merita attenzione.
Ed è questo che ho voluto raccontare qui: le storie. O meglio, alcune storie: quelle che abbiamo vissuto
personalmente io ed i miei uomini, quelle che hanno più colpito il personale ed i volontari della nostra
Protezione Civile. Storie che testimoniano la straordinaria dedizione della volontà lombarda di mettersi
al servizio della ricostruzione della vita d’Abruzzo.
Queste storie sono state raccolte perché ciascuno di noi - a proprio modo - possa farne tesoro.
Stefano Maullu
Assessore alla Protezione Civile,
Prevenzione e Polizia Locale di Regione Lombardia
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Indice
Appunti di viaggio, di Marco Cesca
Bilancio e prospettive, di Alberto Biancardi
L’ingegnere e il terremoto, di Carlo Giacomelli
La ragione, di Salvatore Barbara
Due minuti dopo, di Domenico De Vita
6 aprile 2009, ore 3.32: la terra trema, di Cinzio Merzagora
La prima settimana, di Giovanni Caldiroli
Vi siete mai chiesti…, di Dario Besola
Progetto L’Aquila, di Antonella Belloni
Born to be a team, di Chiara Ghidorsi
Un regolamento per il campo, di Giovanni Di Marco
Il Vigile e la Tendopoli, di Carlo Rovetta
Problem Solving, di Laura Sion
Una Pasqua sarda, di Francesco Cau
Emergenza terremoto. Il problema degli approvvigionamenti alimentari,
a cura della Dg Agricoltura di Regione Lombardia
La caprese
La casa con la torretta
Un “semplice volontario”, di Pino Sporchia
La squadra della luce, di Alessandro Caretti
Gli alpini per la Protezione Civile, di Marco Lampugnani
Le telecomunicazioni in emergenza, di Bruno Laverone
Anpas per l’Abruzzo, di Battista Santus
La missione di un radioamatore diciottenne, di Fabio Rusconi
La Scuola Superiore di Protezione Civile - IReF all’Aquila, di Marco Lombardi
Emergency management, di Cristiano Cozzi
Le case dei bimbi, di Francesca Giordano
Psicologi per i Popoli, di Edgar Alhadeff, Maria Cristina Danielli,
Maria Angela Quarti, Emilia Ropa, Elisa Stucchi
Milano per l’Abruzzo, di Leonardo Cerri
Dall’emergenza una lezione per il futuro, di Dario Pasini
L'importanza della preparazione teorica, di Fabio Valsecchi
Il Sistema delle Colonne Mobili Provinciali, di Giovanmaria Tognazzi
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Scatti, di Alessandro Belgiojoso
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Postfazione, di Gianni Chiodi
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Appendice
I Volontari della Missione Abruzzo
I Tecnici della Missione Abruzzo
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Appunti di viaggio
di Marco Cesca
Dal 1 gennaio 2009, Marco Cesca è Direttore Generale della Protezione Civile, Prevenzione e
Polizia Locale di Regione Lombardia.
Come ingegnere trasportista approda a questo incarico dopo un lungo percorso lavorativo nel
campo delle infrastrutture, dalla viabilità alle ferrovie. L’emergenza del traffico, dei ritardi, degli
ingorghi è, quindi, il suo pane quotidiano. In Abruzzo, Cesca affronta un’emergenza complessa,
in cui i problemi cambiano di giorno in giorno, e le soluzioni vengono proposte con tempestività
e creatività.
Questa, la sua testimonianza.
Come succede di ritorno da un lungo viaggio,
quando col corpo ci siamo già allontanati ma non
con la mente, che sta ancora lì, ora che a L’Aquila
inizia la fase di smantellamento dei campi di accoglienza, è difficile “staccarsi” da lì per tornare a
Milano.
Polizia locale, avendone avuto incarico da soli tre
mesi, e stavo ancora orientandomi, ordinando pensieri, prendendo confidenza con piccole emergenze quando la telefonata qualche minuto dopo le
3.32 di lunedì 6 aprile mi ha bruscamente lanciato
nell’ emergenza, quella con la E maiuscola.
Chi, come me, ha vissuto questi ultimi cinque mesi
in prima linea nella gestione del terremoto in
Abruzzo, ora sa quanto un’esperienza simile possa
assorbire pensieri, energie ed emozioni .
Mentre raggiungevo l’ufficio e Milano dormiva,
nella mia mente si scontravano in modo disordinato e ansioso flash di quello che si sarebbe dovuto
fare e avvertii la paura, puntuale, precisa, di non
essere in grado di affrontare la situazione. Entrare in
Muovevo i primi passi alla guida della Direzione sala operativa è stato come un antidoto: i colleghi
Generale della Protezione Civile, Prevenzione e erano già al lavoro, i monitor macinavano dati, i
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telefoni comunicavano aggiornamenti su aggiornamenti.
La macchina si era messa in moto. È stato allora che
mi sono sentito parte di un tutto, di un sistema di
uomini, mezzi e capacità fatto apposta per risolvere le crisi, di qualunque tipo e da qualunque parte
provenissero. In quello stesso frangente ho capito
però anche che avrei dovuto prendere decisioni in
pochi minuti e che le mie scelte avrebbero determinato il corso dell’azione, indicando la direzione e
tracciando il percorso che avrebbe seguito la macchina dei soccorsi.
opportunità della decisione.
Il 7 mattina i colleghi da L’aquila ci comunicavano
di aver servito una colazione calda agli sfollati.
Mai avrei pensato che la notizia dei primi the caldi
sarebbe stata così importante per me. Il primo
campo d’accoglienza iniziava a essere operativo e
500 aquilani avevano un posto dove dormire e
mangiare.
E dopo affannosi giorni di notizie, problemi, telefonate, numeri di brande, coperte e piatti caldi, è arrivato il primo contatto diretto con L’Aquila, venerdì
10 aprile. Di quel primo viaggio mi sono rimasti
immagini e sensazioni: il brusco incontro con i
segni del terremoto alle porte della città, la fila ordinata di tende blu del primo campo d’accoglienza
allestito, il freddo di notte, le scosse che ci svegliavano perentorie dal sonno, le case completamente
distrutte di Onna, l’amatriciana servita dalla cucina
da campo, la dignità e la caparbietà dei primi aquilani incontrati.
Fu quanto accadde da lì a qualche ora, quando le
indicazioni che sarebbero dovute giungere dal
Friuli Venezia Giulia - Regione incaricata di coordinare l’intervento di tutte le altre regioni italiane in
Abruzzo - non arrivavano: era trascorso troppo
tempo e bisognava agire. Mentre agenzie di stampa
davano notizia di continue nuove scosse, l’operatività dei nostri uomini e mezzi, per me rassicurante
conferma, aveva già predisposto il primo carico di
tende, cucine e bagni per i primi soccorsi.
E, ancora, l’abnegazione dei volontari della Protezione Civile, dei cuochi, dei medici e degli inferEravamo pronti; decisi che la Lombardia sarebbe mieri, degli psicologi. Ho visto un bambino marocpartita. C’è voluto poco per avere conferma della chino abbracciato in lacrime a uno degli Psicologi
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per i Popoli perché lui, nonostante la decisione del
papà di tornare in Marocco, non voleva proprio
andarci, voleva stare col suo nuovo amico dottore.
Forse è stata proprio questa emozione a farmi insistere per far ripartire la scuola, seppur in tenda, il
martedì, subito dopo le vacanze di Pasqua.
E quasi senza che me ne accorgessi, è successo che
le emozioni della mia vita non erano più solo quelle personali, intime, della sfera privata, familiare,
ma erano anche il mio lavoro, il mio impegno nella
gestione della crisi, l’orologio che non contava più
le ore d’ufficio e di riposo ma quelle dei bisogni
della gente de L’Aquila, confortato dall’espressione
comprensiva delle guardie della Regione, che mi
vedevano entrare e uscire dalla sala operativa alle
ore più svariate.
domenica di Pasqua le lavagne per la scuola in tenda, se in poche ore si organizza con i colleghi della
DG Agricoltura la fornitura di derrate alimentari
dalla Lombardia, se si riesce a dotare il campo di
un ambulatorio odontoiatrico, le mille telefonate e
le affannose ricerche che sono state necessarie,
sono state spinte dalla gente che intanto era sfollata
nei campi, che avevo visto, con la quale avevo parlato, che avevo ascoltato.
In un’emergenza ci sono diverse fasi: ora siamo in
quella dell’accompagnamento alla normalità; un
compito non meno delicato e difficile.
A me rimangono gli appunti di un viaggio che mi
ha fatto crescere e la serenità che mi deriva dal
sapermi parte di una squadra professionalmente e
umanamente davvero eccezionale.
Stavamo correndo senza fiato e riuscivamo a farlo
trovando le risposte sul nostro agire direttamente a
L’Aquila, coi “grazie” degli sfollati, degli amministratori locali e nonostante quei “grazie” li respingessimo come non necessari. E davvero non sono
necessari. Perché se si riesce a trovare il freezer
indispensabile e si vedono luccicare di commozione gli occhi del cuoco del campo, se si scovano la
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Bilancio e prospettive
di Alberto Biancardi
Alberto Biancardi, ingegnere, è dirigente dell’unità organizzativa Protezione civile di Regione Lombardia.
In Regione dal 1985, ha lavorato come dirigente presso i Servizi del Genio civile (sia nelle sedi territoriali sia a Milano) quindi, dal 2002, in Protezione Civile, dapprima nella struttura Pianificazione di emergenza poi (dal 2005) nella u.o. Protezione Civile.
Ha vissuto le principali emergenze degli ultimi anni, partecipando alle più importanti missioni di Protezione Civile di Regione Lombardia: dall’incidente aereo del grattacielo Pirelli ai terremoti del Molise e di
Salò; dall’emergenza in Valtellina sino al terremoto d’Abruzzo.
Innumerevoli le esercitazioni di livello regionale e nazionale che ha gestito (tra queste, “Valtellina 2007”)
e numerose le partecipazioni come relatore a convegni in materia di protezione civile.
In questa nota, l’ingegner Biancardi traccia un bilancio dell’ultima grande missione di Regione Lombardia e
profila, in prospettiva, un tracciato tecnico-normativo per il progresso del sistema di Protezione Civile.
L’Abruzzo ha rappresentato per la Protezione Civile
lombarda una missione importante perché per la
prima volta in occasione di una grande emergenza
al di fuori dei confini lombardi, abbiamo avuto il
coinvolgimento della colonna mobile regionale,
delle colonne mobili provinciali e di quella del
comune di Milano, tutte coordinate da un capomissione della Regione Lombardia e tutte costituenti la colonna mobile della Lombardia.
mento di Protezione Civile, con tutte le altre Regioni, con le Province e con il Comune di Milano. La
Lombardia ha potuto dare di sé un’immagine positiva per l’organizzazione dei suoi 4 campi di accoglienza (Monticchio 1- Monticchio 2 - Rocca di
Mezzo e Paganica 5) e, in particolare, per il livello
di preparazione e di professionalità del volontariato
che sempre è stato all’altezza della situazione e che
ci è stato invidiato dalle atre Istituzioni presenti
all’Aquila. Un esempio fra tutti: i volontari di AEM
Questo è il frutto di anni di lavoro con il Diparti- Milano hanno dato il loro contributo non solo nei
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campi di Regione Lombardia ma in tutti i campi che
avevano problemi sull’impiantistica, mettendosi a
disposizione di tutto il sistema. E poi non si può non
parlare dell’attività dei professionisti della Regione
Lombardia che hanno, con una professionalità senza confronto, verificato più 7 mila abitazioni, classificandole agibili, non agibili oppure agibili a seguito
di interventi.
Gran parte di questi tecnici erano personale della
pubblica amministrazione e con la loro attività
hanno dimostrato competenza ed efficienza, al pari
dei liberi professionisti impegnati, a loro volta, in
un lavoro comune per la missione. Regione Lombardia è stata molto vicina ai fratelli abruzzesi in
tutte le attività intraprese, anche nelle azioni attivate per lasciare alla città dell’Aquila un segno che
possa ricordare la grande “solidarietà lombarda”.
Sono state realizzate da Regione Lombardia e dal
sistema produttivo lombardo una residenza universitaria per 120 studenti e 4 scuole (3 elementari e 1
materna) di cui 2 a Paganica.
Sono stati inviati dal 6 aprile mezzi ed attrezzature,
nonché beni di consumo offerti da ditte lombarde.
per le nostre future attività.
Due strade assolutamente da percorrere: occorre
stringere alleanze forti con le altre “Forze del sistema di Protezione Civile” (Prefettura - Vigili del Fuoco in primis) e lavorare molto sulla “formazione”
tramite la Scuola Superiore di Protezione Civile.
Stiamo già lavorando su entrambi i fronti perché
occorre ripartire subito, quando ancora l’esperienza
Abruzzo non è ancora del tutto conclusa.
È stato attivato un tavolo di lavoro con le Prefetture
della Lombardia: con loro si prevede di firmare un
protocollo d’intesa nei primi mesi del 2010 che ci
consenta di lavorare insieme sulla previsione e prevenzione dei rischi, al fine di essere pronti a collaborare in emergenza.
La stessa cosa si vorrebbe fare con la Direzione
regionale ed i Comandi provinciali dei VV.F. Spesso
con loro facciamo fatica a comunicare, ma è assolutamente indispensabile lavorare insieme (sono la
forza operativa più importante del sistema di Protezione Civile) anche tramite le rispettive sale operative. E poi la l.r. 16/2004 apre con i VV.F. una prospettiva nuova: quella dell’utilizzo dei volontari di proMa al di là dei lati positivi, occorre fare anche tesoro tezione civile in supporto alle forze sempre meno
dell’esperienza fatta, che ci ha lasciato molti spunti numerose dei VV.F. (nuclei di pronto intervento).
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Sulla formazione l’esperienza Abruzzo ci ha dato
numerosi spunti per migliorare la formazione dei
volontari e di chi deve coordinarli.
Verranno programmati corsi specialistici per i
volontari sulle funzioni in cui si è riscontrata la
necessità di un miglioramento della loro professionalità (coordinamento servizio mense e cucine sicurezza alimentare - sicurezza nell’utilizzo e nella
manutenzione dei servizi igienici).
Ma in particolare si curerà la formazione dei Capicampo e dei capi-missione, figure essenziali nella
gestione delle grandi emergenze. Verrà resa obbligatoria per tali funzioni la partecipazione a corsi
che ne certifichino l’idoneità ed inoltre si cercherà
di mettere a punto una graduatoria degli idonei da
cui attingere in caso di necessità.
Altre preziose collaborazioni dovranno essere attivate con gli Ordini professionali della Regione Lombardia per avere, a seconda delle necessità, sempre
a disposizione “professionisti volontari” (ingegneri,
architetti, geologi, medici, veterinari, psicologi, geometri ed altri) che possano dare un contributo tecnico e scientifico in emergenza. Ulteriore punto su
cui si dovrà lavorare é l’adeguamento “funzionale
ed organizzativo della sala operativa della Regione
Lombardia integrata all’unità di crisi” della Regione,
che dovrà diventare la “sala operativa multifunzionale ed interforze della Lombardia”.
Per ultimo, una considerazione: la Direzione Generale Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale,
per poter agire in modo ottimale durante le emergenze, deve avere la possibilità di muoversi diversamente da quelle che sono le procedure ordinarie di
riferimento per le altre Direzioni Generali e per la
maggioranza dei dipendenti regionali.
Occorre prevedere possibilità di modifiche in corso
d’opera alle previsioni di bilancio e alla programmazione degli obiettivi ordinari e straordinari.
Inoltre devono essere previste anche per il personale regionale deroghe rispetto all’ordinamento regionale che non consente di muoversi in emergenza
secondo le necessità.
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L’ingegnere e il terremoto
di Carlo Giacomelli
Carlo Giacomelli, ingegnere, è responsabile della Struttura Gestione delle Emergenze (DG Protezione
Civile, Prevenzione e Polizia Locale).
In Abruzzo ha gestito e coordinato l’intervento delle squadre tecniche messe a disposizione dalla Regione Lombardia.
Questa non è la sua testimonianza. Questo è il suo film. Un film che non racconta il terremoto ma i terremoti. Non solo l’oggi ma il sempre. Un film del quale si consiglia la visione sino ai titoli di coda!
Ho preso in mano più volte la penna nel tentativo
di mettere in fila, in buon ordine, parole, concetti,
esperienze, sentimenti che potessero esprimere e
trasmettere la complessità dell’esperienza “Abruzzo”. Il “come” ed il “quanto” della missione, dal
mio punto di vista: il punto di vista di un tecnico.
Un tecnico che interviene in un’emergenza e che
fa i conti con una complessità che non è solo operativa, poiché l’operatività è inevitabilmente condizionata da tutto quello che un’emergenza ha di
non-tecnico: il vissuto umano, i rapporti interpersonali. La relazione con le vittime, innanzitutto, ma
anche con i volontari, con i colleghi impegnati nella difficile gestione dei campi e con quegli altri colleghi, i tecnici coinvolti nelle verifiche di agibilità
dei fabbricati. Tutti, gli uni e gli altri, impegnati, cia-
scuno nel proprio ruolo, a svolgere nel migliore dei
modi il compito loro assegnato, senza mai chiudersi nel rigido tecnicismo ma, al contrario, vivendo
l’esperienza nella sua pienezza, dunque nella consapevole valorizzazione della componente umana.
Nel tentare questa stesura, però, mi sono quasi
sempre bloccato dopo poche righe poiché, come
in un film, mi sono puntualmente imbattuto nelle
immagini di quelle altre realtà - così simili
all’Abruzzo nella loro tragicità - che ho vissuto nel
corso degli anni: l’Umbria, il Molise, Salò…
Come in un flashback, il presente richiama il passato.
Così, mentre rifletto sull’oggi, sull’Abruzzo, sulla
missione di soccorso, la pianificazione dell’emer-
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genza…mentre penso a tutto questo proponendomi di fare il “punto”, sistemare i dati, predisporre
un testo puntuale e professionale…beh, ecco invece che nella mia mente va in scena tutto un altro
film!
Sono scene in bianco e nero. Sono le immagini di
un giovane studente universitario che affronta la
sua prima esperienza in un’area colpita da un forte
terremoto. Quello studente sono io. Il terremoto è
quello del Friuli. L’epoca storica, ormai lontana, è il
1976.
uomini? Che forse il principale lascito di quelle
esperienze non è stato proprio l’immenso patrimonio di conoscenza tecnico-scientifico-operativa
che ha costruito, passo dopo passo, il mio Curriculum professionale?
Ma si, si che è così!
O meglio è anche così.
Perché la verità è che quelle esperienze non hanno
arricchito solo il mio Curriculum professionale:
hanno arricchito forse ancor più il mio Curriculum
Vitae.
Hanno arricchito l’uomo Giacomelli, non solo l’inUn tuffo nel passato, questo film! Sarà mica il gegnere.
segno dell’età che avanza?
Hanno dato all’uomo, ed ancor prima al ragazzo,
Forse. Fatto sta che in questo mio personalissimo un capitale umano enorme. Un capitale fatto di
amarcord, la memoria “tecnico/scientifico/profes- amicizie, amicizie solide e durature.
sionale” viene spinta in secondo piano.
A prevalere, infatti, è il ricordo delle persone cono- Tutto questo déjà vu riemerge adesso con il terresciute durante le missioni svolte, dal Friuli in poi. moto del 6 aprile 2009.
Persone positive, persone concrete che affrontano In Abruzzo ritrovo la stessa gente già conosciuta
l’immensa tristezza, l’immenso vuoto creato dagli nelle tante emergenze precedenti. La stessa gente
eventi con inimmaginabile (alle prime esperienze “vogliosa” di riprendersi la propria vita, di ritornare
la ritenevo tale, ora non più!) forza, con la perento- alla normalità pre-sisma; la stessa gente che, all’inria volontà di ritornare alla vita normale.
domani di un cataclisma annichilente, si rimbocca
Perché, mi chiedo, questo film non parla (solo e le maniche e riparte.
tanto) di ingegneria sismica ma (soprattutto) di Di nuovo, come in altre realtà sociali colpite da
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eventi comparabili, anche in Abruzzo si evidenzia,
pur con tutte le peculiarità del caso, la tempra del
nostro popolo che mi rende orgoglioso di essere
italiano.
fatto fino in fondo il proprio dovere, e forse anche
un po’ di più.
Del resto, un generale da solo non vincerà mai nessuna battaglia. Ed il lavoro straordinario che è stato
fatto in Abruzzo non avrebbe potuto essere così
straordinario se le “truppe” non fossero state all’altezza: se non fossero state capaci di lavorare in
squadra, valorizzando le diverse competenze, le
diverse attitudini, le diverse professionalità. Le
squadre non sarebbero state così efficienti se non
fossero state capaci di riporre in valigia non solo
manuali di ingegneria ma anche - e forse soprattutto - il loro vissuto umano, il loro potenziale relazionale, la loro capacità di contestualizzare sempre il
loro lavoro al dramma di uomini in carne ed ossa.
Ecco, avrei dovuto parlare di tutto questo. Ma è
rimasto tutto “sospeso”, tra la penna, il pensiero e,
soprattutto, è rimasto nel cuore.
Queste considerazioni, questi ricordi, questo “cinema” spostano l’attenzione dal testo che avrei voluto
scrivere.
Avrei dovuto parlare degli oltre 250 tecnici lombardi (dipendenti pubblici e liberi professionisti) che
hanno prestato la loro professionalità eccellente al
servizio della Protezione Civile.
Era mia intenzione raccontare il lavoro straordinario che quei tecnici - i nostri tecnici - hanno compiuto: le oltre 7500 verifiche di agibilità sui fabbricati colpiti dal sisma; il lavoro sulla perimetrazione
delle “zone rosse”, la definizione delle opere provvisionali da realizzare; l’ausilio tecnico alle procedure di esproprio per le aree da destinare alla realizzazione dei fabbricati del progetto C.A.S.E.
Titoli di coda
Alla fine di un film, sullo schermo scorrono i titoli
Avrei dovuto ringraziare molte persone, troppe: mi di coda. In sala si accendono le luci, la gente prensarei sicuramente dimenticato qualcuno. Perché de la via d’uscita e i titoli finisce che non li guarda
l’impegno per questo “ambito tecnico”, come del nessuno. Peccato, perché i titoli raccontano l’altro
resto in ogni settore operativo in questa emergenza film: la sua storia “tecnica”.
abruzzese, è stato davvero notevole. Ognuno ha
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Principali Eventi Sismici Italiani
Il nostro paese ha registrato negli ultimi 100 anni
numerosi eventi sismici, alcuni catastrofici. i principali sono stati:
- 28 dicembre 1908
Messina
M = 7.1
- 13 gennaio 1915
Marsica
M = 7.0
- 15 gennaio 1968
Belice
M = 6.0
- 6 maggio 1976
Friuli
M = 6.2
- 23 novembre 1980
Irpinia
M = 6.8
- 26 settembre 1997
Umbria
M = 5.5
- 31 ottobre 2002
Molise
M = 5.4
- 24 novembre 2004
Salò
M = 5.2
- 6 aprile 2009
Abruzzo
M = 5.8
- Tetti spingenti
- Interventi nel tempo peggiorativi dell’integrità
strutturale con aumento della vulnerabilità degli
edifici
- Disposizione non corretta delle armature trasversali nei nodi trave-pilastro
- Esecuzione non efficace dei getti di calcestruzzo
Come fare prevenzione
Si può ridurre il rischio sismico mediante l’attivazione di:
- Pianificazione urbanistica in prospettiva sismica
- Realizzazione di strutture sismo-resistenti
- Redazione di piani di protezione civile (gestione,
Debolezze strutturali riscontrate negli edifici a superamento dell’emergenza, ripristino)
seguito di eventi sismici
Il terremoto assume il ruolo, nel confronto dei fab- Si può prevedere un terremoto?
bricati, di collaudatore “incorruttibile” che mette a Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, no.
nudo ogni debolezza strutturale ed ogni vizio derivante da cattiva esecuzione. Anche il terremoto in
Abruzzo ha quindi evidenziato:
- Scarsa qualità dei materiali
- Pareti non legate
- Solai poco rigidi
- Solai troppo rigidi ai piani alti senza cordoli perimetrali e/o catene
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La ragione
di Salvatore Barbara
Salvatore Barbara, ingegnere, è Dirigente della Struttura “Pianificazione Emergenza” della Unità Operativa Protezione Civile, Direzione Generale Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale di Regione
Lombardia.
In queste pagine, una sua personalissima riflessione sul senso del volontariato, aldilà ed aldidentro della
missione Abruzzo.
Non è per fare l’originale a tutti i costi, se non addirittura il guastafeste, ma c’è stato un momento nei
giorni immediatamente successivi al sisma, pressappoco intorno al terzo giorno di sala operativa,
quando la curva dell’adrenalina ha presentato il
primo flesso, che non ho potuto trattenermi dal porre a me stesso il seguente interrogativo: “Siamo proprio certi che non ci sia qualcosa di sbagliato in tutto questo?”
Si trattava di un quesito ai limiti dell’osceno. Chi
mai avrebbe dubitato della bontà dell’impulso ad
agire in una contingenza simile? A chi sarebbe
venuto in mente di mettere in discussione la propria condotta quando tutti non esitavano a giudicarla commendevole?
di analogo mi era capitato una quindicina di anni
prima, durante l’esondazione del Po del ’94, al terzo giorno di lavoro ininterrotto lungo gli argini in
qualità di Sottotenente del Genio. Anche allora avevo sentito l’esigenza di guardare in controluce i sentimenti che credevo mi animassero, ma avevo avuto
gioco facile nell’imputare l’insorgenza di quei dubbi ai precedenti dieci mesi di caserma, nel corso dei
quali avevo fatto incetta di assurdità. Si trattava con
tutta evidenza di una risposta frettolosa e insufficiente, se a distanza di così tanti anni si ripresentava
negli stessi termini inconsulti.
Quando è successo quello che è successo ero in
Protezione Civile da pochi mesi, e tra gli incarichi
che gravavano sulla mia struttura c’era anche il
Non ero nuovo a uscite di questo genere. Qualcosa coordinamento dei volontari. Un onere che mi era
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apparso fin dal primo momento impegnativo, sebbene non mi sarei aspettato di dover profondere
così tante energie nel tenere a freno le centinaia e
centinaia di volontari che non desideravano altro
che partire. Perché è questo che ho fatto a livello
industriale nei giorni immediatamente successivi al
sisma: autorizzare con la mano sinistra la partenza
di una squadra, negando con la destra ad altre dieci
di poter fare altrettanto.
Non nascondo che il primo sentimento è stato di
riconciliazione con la specie; ricucendo una relazione che gli strappi di vent’anni di frequentazione
della metropolitana nell’ora di punta avevano fatto
a brani. Ma ad un certo punto questa pressione,
che non accennava a scemare, anzi, cresceva di
ora in ora, facendo aggallare la tendenza tutta italica a far telefonare dall’amico dell’amico per garantirsi la precedenza rispetto agli uomini e alle donne
in lista per essere inseriti nelle colonne in partenza
per l’Abruzzo, ha cominciato ad apparirmi sospetta. Come se non avessi già abbastanza difficoltà a
gestire la prima domanda, ha preso corpo una
seconda, ancora più scandalosa della precedente:
“Siamo così sicuri,” mi sono chiesto, “che non ci
sia qualcosa di malsano in questa impellenza a sta-
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re in prima linea; e che sembra travolgere sia i
volontari che coloro i quali, per mestiere, dovrebbero essere immuni da simili attacchi compulsivi?
Non saremo tutti preda di un superomismo da tre
soldi, l’unico alla portata di una tanto poco marziale società di massa?”
Non contento mi sono spinto oltre, formulando una
terza irragionevole supposizione: “E se nella contesa storica tra “senso del dovere” e “principio di piacere”, proprio in un caso come questo, in cui è opinione generale che sia il primo il favorito, fosse il
secondo a prevalere? Se dietro questa soddisfazione per se stessi, che ci accomuna tutti, e tutti imputiamo alla sensazione di essere all’altezza, si celasse il sollievo di chi è stato risparmiato dall’irreparabile che ha investito gli altri, e che soltanto l’essere
sui luoghi del disastro può suggellare in via definitiva?”
Per mia fortuna non avevo tempo da dedicare alle
speculazioni filosofiche, tanto meno a quelle di
chiara origine nevrotica, anche perché il quarto
giorno sono partito per il campo di Monticchio 1,
dove avrei avuto modo di apprezzare il potere di
straniamento che s’accompagna al dover dare
udienza a dodici persone contemporaneamente, su
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un orario continuato di quattordici ore al giorno,
facendo il possibile per non permutare le risposte
da dare agli uni con quelle da dare agli altri, indirizzando la signora il cui cane non la finisce di
latrare dallo psicologo e affidando al veterinario la
risoluzione di un caso eclatante di balbuzie posttraumatica.
Senonché una notte ho incrociato un volontario di
A2A.
Uno di quelli che partiva la mattina all’alba per dare
acqua e luce ai campi che erano sorti un po’ dovunque intorno a L’Aquila, e rientravano alla base quando il sole era da tempo tramontato. La mensa degli
alpini chiudeva ad una certa ora per tutti, tranne che
per lui e i suoi sodali, a cui era sempre garantito di
che rifocillarsi. Io mi stavo aggirando tra le tende bardato come uno in procinto di partire per l’esplorazione dell’Antartide, mentre lui, che doveva essere appena uscito da sotto la doccia, stava rientrando flemmaticamente verso la propria, ciabattando sull’asfalto
umido, l’accappatoio aperto sul petto e una sigaretta
penzoloni dalle labbra, con un’aria talmente soddisfatta da risultare imbarazzante: soprattutto se si pensava alla prospettiva di trascorrere le prossime settimane lavorando in condizioni tali e ad un ritmo che
nella vita normale non avrebbe mai accettato, nemmeno se l’avessero pagato a peso d’oro. Solo che
adesso lo stava facendo, come suol dirsi, gratis et
amore Dei.
È stato in quel preciso istante che gli interrogativi
rimossi alla partenza sono tornati con prepotenza
alla ribalta.
Questa volta però avevo qualcosa di molto concreto su cui esercitare le mie tendenze cervellotiche:
la faccia di un elettricista. Ebbene, dietro la brace
della sigaretta, che il pungente freddo aquilano
poteva indurre a considerare perfino salutare,
giganteggiava il volto appagato di quell’uomo gravato dall’onere di portare l’acqua e la luce in ogni
dove. Un volto su cui ho letto la motivazione che
spingeva i volontari a fare quello che facevano, e i
funzionari a funzionare come nessuna contrattazione sindacale avrebbe mai osato prevedere: era
tutta lì, nella possibilità di dare al proprio agire
quella sovradose di senso che nella vita di tutti i
giorni è merce ormai sempre più rara: in quell’impennata di significato che sulle prime non avevo
decifrato.
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Due minuti dopo
di Domenico De Vita
Domenico De Vita è Responsabile della Sala Operativa della Protezione Civile lombarda. In Regione dal
1983, in Protezione Civile dal 1992 ha partecipato alla Missione Arcobaleno - Albania nel 1999, come
Responsabile della colonna mobile regionale. Nel 2002, ha fatto parte dell'Unità di crisi istituita in seguito al crash aereo del Pirellone di Milano ed è interventuto nell’emergenza Terremoto in Molise - a Ripabottoni (CB) - come Responsabile della colonna mobile regionale.
È, invece, da Responsabile della Sala Operativa regionale che seguirà l’emergenza Abruzzo.
Questa è la sua storia.
Ore 3,34,00 del 6 aprile. Un minuto dopo l’evento
sismico delle 3,32,39 Stefania Lecchi, operatrice
H24 della sala operativa regionale, riceve una chiamata da una cittadina di Roma: chi è al telefono
chiede informazioni riguardo una scossa di terremoto avvertita un attimo prima.
Successivamente altre persone da Roma e dalla
Campania chiamano la nostra sala per chiedere
informazioni (resta da capire come mai dal Lazio e
dalla Campania hanno chiamato noi, forse la somiglianza dei numeri verdi).
Anche se può sembrare un controsenso, nelle sale
operative molto spesso l’entità, la “magnitudo” di
un evento sismico viene percepita e riconosciuta
attraverso il numero di chiamate dei cittadini, che
avendo avvertito la scossa chiedono con agitazione
“dove è successo, cosa è successo e cosa devono
fare!”
Apprendo della notizia del terremoto a L’Aquila tramite l’sms inviatomi dalla sala operativa.
La notizia mi porta immediatamente al 2002. Scossa 5.5 Richter, ultima grande emergenza nazionale
per un terremoto. Era il Molise. C’erano i bambini
della scuola. Trenta vittime!
Subito dopo, mentre mi vesto, penso che ogni
emergenza ha sue precise caratteristiche che non
possono essere pianificate in ogni dettaglio. E un
po’ freddamente mi dico: “OK, stiamo calmi” .
Lo scambio e il confronto di informazioni parte
immediatamente. Il capo - Biancardi - e gli opera-
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tori dell’H24 della sala operativa insieme al collega
in turno di reperibilità – Merzagora – tengono i collegamenti con il Dipartimento della Protezione
civile. Le notizie sono frammentarie, e certo non
fanno presagire quello che con il passare del tempo
si va evidenziando come una delle più grandi tragedie della storia più recente del nostro paese.
In questi momenti il tempo passa troppo velocemente, e tante sono le cose che vanno organizzate,
verificate, pianificate …
È un terremoto! Cosa serve immediatamente e cosa
è previsto dal Protocollo operativo? Squadre cinofile, tecnici esperti di strutture, tende, cucine, servizi
igienici, servizi sanitari, ecc…ma soprattutto tecnici e volontari esperti pronti a partire immediatamente. Bisogna portare aiuti mirati alle necessità,
alle richieste, ai fabbisogni…
Ai responsabili della colonna mobile regionale,
allertati con il sistema di messaggistica della sala
operativa, rispondo “non abbiamo ancora notizie
precise, state pronti”.
In queste situazioni tutti vogliono fare tutto …ma la
parola chiave, anche se un po’ abusata, è “coordinamento delle funzioni”, e il coordinamento si fa
con una sala operativa organizzata in funzioni di
supporto a tutte le attività che un sistema comples-
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so di Protezione Civile deve fornire.
Dalla prima segnalazione pervenuta, la sala operativa ha funzionato con diverse modalità: da casa,
per strada, tramite cellulari, e-mail, sms, fax, quando le notizie ancora frammentarie non permettevano di inquadrare lo scenario emergenziale.
Anche i sistemi più organizzati hanno bisogno di
un tempo biologico di reazione per andare a regime, e soprattutto per ricalibrare le proprie procedure e la propria azione, considerato che in questi
momenti di emergenza il livello di incertezza è la
variabile a qualsiasi pianificazione.
Alle ore 5,05,00 il Dipartimento della Protezione
civile aggiorna la sala operativa regionale informando che sono in corso verifiche in merito a feriti,
vittime e danni alle abitazioni.
In questi casi la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile coordina
tutto il sistema nazionale (Vigili del Fuoco, Corpo
Forestale, Arma Carabinieri, Esercito, Forze dell’ordine, Croce Rossa Italiana, Enti locali, gestori servizi essenziali, ecc.).
Le Regioni fanno parte di questo sistema e come le
altre forze si allertano per attivarsi su input del
coordinamento centrale.
In sala operativa arrivano le prime immagini tra-
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smesse dai telegiornali nazionali. Palazzi crollati,
macerie, ambulanze, gente sconvolta per strada.
Tantissime le telefonate, gli scambi informativi, e il
tempo passa. Sinceramente non ricordo più se erano le 8,00… le 8,30 … quando in sala operativa si
tiene il briefing con i dirigenti e funzionari, i tecnici
dell’H24, i primi della Colonna mobile regionale, i
colleghi della Direzione generale Sanità.
La prima risultanza della riunione operativa è potenziare le funzioni di supporto in sala operativa.
Decidiamo di attivare la funzione di Scouting,
ovvero il team che parte immediatamente in avanscoperta per fare il sopralluogo sull’area colpita e
rimandare alla sala tutte quelle notizie utili per
dispiegare uomini e mezzi. Ricordo la prontezza
del collega Caldiroli che subito si è proposto, e la
decisione condivisa di affiancargli due esperti –
Cozzi del 118 di Milano per la sanità e Caretti del
GVPC Aem/A2a per gli impianti acqua/energia .
Il tempo trascorre, arrivano notizie sempre più
drammatiche. La sala operativa regionale di Protezione Civile diventa anche il punto di riferimento
per quella moltitudine di lombardi che vogliono
offrire generi di conforto. Per non disperdere questo
patrimonio allestiamo una funzione ad hoc con
tanto di operatori per la registrazione di tutti i dati
finalizzati a creare quello che abbiamo chiamato
“il supermercato delle donazioni”: dai pannolini
per l’infanzia al gasolio per automezzi.
Dalle telefonate e dalle e-mail che arrivano in sala
sembra che tutta la Lombardia voglia partire per
portare solidarietà, soccorso e beni di prima
necessità alla popolazione aquilana.
La solidarietà e le donazioni sono punti di forza
ma possono rivelarsi anche controproducenti,
sono punti critici che vanno governati. Quello che
inviamo sui siti colpiti deve essere trasportato, scaricato, stoccato, gestito; si tratta di un processo
complesso che per assurdo, e se non opportunamente coordinato, “fa più male che bene” a chi sta
sul campo a gestire l’emergenza.
Mentre i colleghi dello scouting guidano veloci
verso L’Aquila, con Tognazzi della Provincia di
Brescia attiviamo una delle funzioni più importanti: il coordinamento delle Province per l’impiego
dei volontari lombardi, organizzati nelle colonne
mobili provinciali.
Nel frattempo, presso il Centro Polifunzionale di
Emergenza di Legnano della Croce Rossa Italiana,
i colleghi Besola e Merzagora organizzano la partenza della Colonna Mobile regionale.
Con i colleghi della Dg Sanità, Fontana e Fanuzzi,
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si concorda la partenza della colonna mobile sanitaria.
In sala è un continuo squillare di telefoni, operatori
affaccendati, giornalisti e cameramen che riprendono gli operatori. L’Assessore Maullu chiede
aggiornamenti, il tempo passa, e arriva la sera.
Il direttore Cesca è ancora in sala e anche se è alla
Protezione Civile da tre mesi ha saputo subito fare
squadra e gestire al meglio il personale addetto
all’emergenza.
Da L’Aquila, Caldiroli dopo diversi contatti con il
Dipartimento della Protezione civile ci conferma
che la Lombardia deve realizzare una prima tendopoli in località Monticchio - cinema Garden.
I nostri sono partiti per L’Aquila, sono per strada,
vanno assistiti, vanno curati, devono arrivare a
Monticchio.
Questo è un altro compito per sale operative.
Resto in sala fino al primo mattino, quando
“Gio’”, ormai senza voce, mi dice “Ok, è arrivata
anche l’ultima colonna, un attimo e cominciamo
a montare”.
E così sono trascorse le prime 24 ore, abbiamo attivato dalla sala operativa più di 250 persone tra
sanitari, logisti, ecc. che ora stanno operando a
regime per assistere la popolazione aquilana
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costretta ad abbandonare la propria casa senza nulla al seguito.
L’emergenza è in continua evoluzione, cambiano
le necessità e i servizi da attivare, in sala operativa
i telefoni continuano a squillare, gli operatori presidiano e ottimizzano il lavoro alle funzioni di
supporto.
7.000 telefonate e 6.000 email
Trenta persone al giorno, operative per più di 30
giorni. Più di 7.000 telefonate in entrata e circa
4.000 chiamate in uscita (escluse le comunicazioni
su telefono cellulare); 25.000 contatti per il sito
regionale della Protezione Civile. Le mail ricevute
sono più di 6.000, 3.000 quelle inviate.
Sono solo alcuni dei numeri registrati per questa
emergenza ai quali dobbiamo ricordarci di aggiungere decine e decine di tende, container servizi,
tonnellate di derrate alimentari, centinaia di mezzi
di trasporto impegnati da tutte le colonne mobili,
11.000 litri di gasolio donato da una società lombarda e utilizzato dai nostri mezzi nell’area delle
operazioni.
Numeri importanti che rivelano la mole di lavoro
gestita e coordinata dal sistema di Protezione Civile
della Lombardia.
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Chi ha fatto che cosa
Il sistema della sala operativa nel corso di questi
anni e grazie anche alle tante esercitazioni ed
emergenze, ha raggiunto una buona capacità di
risposta che prende il “la” dal servizio tecnico H24
e si sviluppa a “strati di cipolla” con il servizio
interno di reperibilità dell’U.O. Protezione Civile e
della Direzione, con la colonna mobile regionale,
con l’Unità di Crisi regionale e con il sistema delle
Province.
Una lezione che ho imparato: bisogna fermarsi,
bisogna condividere le strategie, bisogna staccare
e dedicarsi a briefing mirati per ricalibrare le attività, e tutti devono essere informati.
I tecnici del servizio H24 della sala operativa (a
contratto con Lombardia Informatica) hanno raddoppiato il numero dei turnisti presenti e rafforzato
le presenze negli orari più critici della giornata per
il supporto alla funzione Segreteria e alla funzione
Tecnica della sala, tenendo costantemente aggiornato il registro di sala, e continuando a monitorare
la nostra Lombardia.
L’U.O. Protezione Civile al completo ha lavorato
24/24 ore per l’emergenza; anche gli amministrativi sono “scesi” in sala operativa a tamponare le
problematiche legate al turn-over nelle funzioni
relative al volontariato, al trasporto mezzi e materiali, alla reportistica, al sito web, al vettovagliamento, ai contatti con Trenitalia per agevolare le
autorizzazioni per i viaggi ferroviari dalla Lombardia per L’Aquila.
Chiamati dal Direttore, sono stati coinvolti lo staff
di direzione, i colleghi dell’U.O. Sistema Integrato
Prevenzione e dell’U.O. Polizia Locale, per svolgere le funzioni dedicate al coordinamento delle
squadre tecniche per la verifica degli edifici, il
coordinamento degli agenti di Polizia Locale dei
comuni lombardi per le informazioni sulla viabilità in supporto alle colonne mobili, ma anche il
collegamento con gli agenti a L’Aquila per il controllo delle generalità di sfollati che dall’Abruzzo
sono arrivati a Milano chiedendo aiuto alla Lombardia.
E ancora, i colleghi delle altre direzioni: la Dg
Sanità, la Dg Agricoltura per il coordinamento del
sistema agroalimentare lombardo relativo ai rifornimenti alimentari delle nostre tendopoli, la Dg
Casa e opere pubbliche, la Dg Reti e servizi pubblica utilità, la Dg Cultura, la Dg Presidenza, tutti
disponibili a dare il loro contributo all’interno del
sistema di Protezione Civile.
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I volontari in sala operativa
Un discorso a parte va fatto per i volontari: quanta
pazienza, disponibilità e flessibilità.
Davvero faccio fatica a ricordarli tutti: Ettore,
Daniela, Gianni, Marco, Alessia, Luigi, Mario …
Ognuno di loro voleva partire per portare il proprio
contributo sui luoghi del disastro ma la loro presenza è preziosa anche nei centri operativi per ricoprire
importanti funzioni di logistica e coordinamento,
questo vale anche per gli altri volontari e funzionari
che non erano nella sala regionale, ma nelle altre
centrali, come quella del Comune di Milano, della
Provincia di Milano, della Provincia di Brescia, e
nelle tante sedi degli enti impegnati per l’Abruzzo.
Nella sala operativa regionale fondamentale è stato
il contributo del Corpo Volontari di Protezione
Civile di Milano (per telefoni e e-mail), dell’Anpas
Lombardia (per il supporto alle attività di assistenza
socio-sanitaria e tra le tante cose … le lavatrici!),
dei radioamatori dell’Ari per le telecomunicazioni,
del GVPC del Parco del Ticino per la raccolta dei
generi di prima necessità e tanti altri servizi, del
GVPC dell’Aem/A2a per raccolta controllo e trasporto dei materiali per l’impiantistica dei campi,
dell’Associazione Nazionale Alpini per il lavoro di
stoccaggio generi di prima necessità e per i tanti
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viaggi su e giù per l’Italia con i camion della colonna mobile regionale.
L’emergenza continua
Sono passati 180 giorni e l’emergenza non è ancora chiusa.
Il Dipartimento della Protezione Civile ha chiesto a
Regione Lombardia di rispettare l’impegno sul
campo fino al 30 di settembre. Ormai ci siamo, a
breve verrà avviato lo smantellamento delle tendopoli, e questo sarà un altro dei capitoli dell’emergenza Abruzzo.
Lo smontaggio è una fase molto delicata, e come
all’inizio dell’emergenza è stata istituita la funzione
dello Scouting, così ora Regione Lombardia ha pianificato il team per lo smontaggio. Bisogna essere
attenti, non fare mosse frettolose; lavorare in sicurezza è fondamentale.
Alla pari del lavoro fisico per lo smontaggio di tende e attrezzature, è importante la compilazione
delle “carte”, dei verbali formali per la consegna o
presa in carico, non è ammissibile che tende e container possano essere dimenticati in giro.
E la sala continua a fare il suo compito, fornendo
supporto a chi sta sul campo.
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6 aprile 2009, ore 3.32: la terra trema
di Cinzio Merzagora
Cinzio Merzagora, architetto, è Responsabile di Unità Operativa presso la U.O. Protezione Civile
di Regione Lombardia.
In Regione dal 1980, il suo Curriculum è scandito dalle tante emergenze incise nella “memoria
storica” del nostro paese: dal terremoto in Irpinia sino alla missione in Abruzzo. Membro della
Commissione nazionale di Protezione Civile tra le Regioni, oltre alle missioni “sul campo” Cinzio
è da sempre impegnato anche in un’intensa attività pubblicistica e formativa.
Questa, la sua testimonianza dell’emergenza Abruzzo.
Le 3.37 del 6 aprile 2009: il telefono cellulare
d’emergenza del Funzionario in turno di reperibilità della Protezione Civile della Regione
Lombardia inizia a squillare. “Ciao Cinzio è la
Sala Operativa. Volevamo avvertirti che c’è stata una scossa sismica abbastanza forte in centro
Italia. Non si capisce ancora bene dov’è l’epicentro, sembra in Abruzzo. Stiamo verificando
e seguendo le Ansa .”
(A quel punto realizzo che sono le 3.40 del
mattino).
(Sala Operativa) “Allora procediamo in questo
modo: verifichiamo bene tutte le informazioni
telefonando anche all’ING (Istituto Nazionale
di Geofisica, rete sismica). Poi, a breve, ci risen-
tiamo per fare il punto della situazione”.
Non credo siano trascorsi più di cinque-sette
minuti dalla prima chiamata, che dalla Sala
Operativa ricevo conferma: “Ti confermo una
scossa sismica intorno al sesto grado Richter in
Abruzzo nelle vicinanze dell’Aquila. Dalle primissime informazioni pare ci siano numerosi
crolli”.
Il terremoto è una “brutta bestia”: non sai quando arriva, ti coglie sempre di sorpresa, dura
qualche minuto (che sembrano decine e decine) e, come in questo caso, di notte, ti produce
disastri inimmaginabili.
“Ho perso moglie e figlia - mi racconta un ospite presente in un campo d’accoglienza - è
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incredibile il terremoto. Io mi sono sentito letteralmente catapultato fuori dalla finestra e mi
sono ritrovato in strada, leggermente ferito; mia
moglie, che era con me, e mia figlia sono rimaste sotto le macerie della casa.”
Alle 4.00 circa, tramite la Sala Operativa, informiamo immediatamente dell’accaduto il Dirigente della U.O. Protezione Civile della Regione Lombardia, Ing. Biancardi ed il Dirigente
della Struttura Gestione delle Emergenze/Sala
Operativa regionale di Protezione Civile, Ing.
Giacomelli; la Sala Operativa invia immediatamente a tutti i funzionari e reperibili di Regione
Lombardia un primo sms informativo sulla
situazione in atto.
Quante telefonate e quanti sms siano state fatti
o inviati dalle 4.00 alle 6.00 del 6 aprile sinceramente non lo ricordo più. A posteriori posso
dire che l’attivazione del Sistema di Protezione
Civile della Regione Lombardia ha funzionato
in modo ottimale.
Dalle primissime luci dell’alba del 6 aprile la
Sala Operativa regionale di Protezione Civile
inizia la sua lunga ed estenuante attività h. 24 al
fine di garantire al meglio i primi interventi di
Regione Lombardia alla popolazione abruzzese
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colpita dal sisma. Direttore Generale della DG
Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale,
dirigenti, funzionari delle Direzioni Generali
regionali Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale, Presidenza, Sanità, AREU 118 si
ritrovano per le prime valutazioni dell’accaduto
e per i primi provvedimenti d’emergenza.
Viene immediatamente pre-allertata la Colonna
Mobile Regionale di Protezione Civile della
Regione Lombardia, composta da AEM/A2a,
ANA (Associazione Nazionale Alpini), Anpas,
CRI (Croce Rossa Italiana), Consorzio Parco
Lombardo della Valle del Ticino, FIR-CB (Federazione Italiana Ricetrasmissioni - Citizen's
Band). Vengono pre-allertati i tecnici regionali e
degli Enti locali per la costituzione di squadre
utili per le verifiche degli edifici lesionati. Vengono attivate le “funzioni di supporto” all’emergenza previste dalle procedure della Sala Operativa regionale (Sanità, Logistica, Materiali e
Mezzi, Call-center, Radio-Telecomunicazioni,
Volontariato).
Come spesso accade in questi casi risulta difficile nelle prime ore stabilire un “contatto” diretto con il Sistema Nazionale di Protezione Civile
(Dipartimento di Protezione Civile/Ministero
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dell’Interno) o con la Regione capofila del coordinamento delle regioni italiane per le attività
d’emergenza; tantomeno con enti e istituzioni
coinvolte dall’evento.
Risulta altresì difficile concordare ed attuare
con tutti i soggetti interessati una “strategia
coordinata” dei primi interventi.
L’istinto è quello di partire immediatamente, di
portare il più velocemente possibile gli aiuti del
caso, senza “pianificare” a monte una strategia
operativa. È ciò che è accaduto in passato, ad
esempio, in occasione del terremoto dell’Irpinia del 1980: dopo alcuni giorni si è dovuto
soccorrere i soccorritori!
Il Sistema Regionale di Protezione Civile della
Lombardia di risposta all’emergenza si è strutturato in questi anni su tre “pilastri” fondamentali:
la Sala Operativa regionale di Protezione Civile,
che rappresenta di fatto la Di.COMA.C. (Direzione di Comando e Controllo) dell’intero sistema regionale di Protezione Civile, in quanto
rappresentata da tutte le componenti il sistema
nazionale di Protezione Civile (Vigili del Fuoco,
Polizia, Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri,
Volontariato); la Colonna Mobile Regionale di
Protezione Civile, che permette la prima attiva-
zione in caso d’emergenza ed il sostegno logistico, sanitario, assistenziale alle popolazioni
colpite da calamità; le Colonne Mobili delle
Amministrazioni Provinciali della Lombardia
(con l’aggiunta recente del Comune di Milano),
che garantiscono supporto e continuità all’azione della Colonna Mobile regionale.
Alle 8.00 circa del 6 aprile, il primo contingente della Colonna Mobile regionale di Protezione Civile è pronto per la partenza, destinazione: L’Aquila, località Bazzano/Monticchio.
Il primo contingente parte intorno alle 11.00,
obiettivo: la costituzione di un campo di accoglienza (successivamente denominato “Monticchio 1”). Insieme a loro anche un primissimo
contingente di tecnici per la valutazione degli
edifici, “capitanati” da Carlo Giacomelli (l’ingegnere della sismica).
Il resto della Colonna Mobile regionale parte
verso le 14.30.
Nella notte tra il 6 ed il 7 aprile, il campo di
accoglienza di “Monticchio 1” è approntato.
Alle 7.00 del 7 aprile, vengono servite dai
volontari le prime colazioni. Un record!
Sono rimasto a dare il mio contributo alla Sala
Operativa per circa 18 giorni, più o meno continuativi; insieme a tutti i colleghi della Protezione Civile regionale e a quelli delle altre Direzioni generali della Regione Lombardia abbiamo
contribuito all’allestimento di 3 Campi di accoglienza, assistito più di duemila persone, inviato generi di conforto e di prima necessità in
modo continuativo ed incessante, risposto a
migliaia di telefonate.
Il resto è storia recente.
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La prima settimana
di Giovanni Caldiroli
Geologo, funzionario della Protezione Civile della Regione dal 1998, Giovanni si occupa principalmente di pianificazione di emergenza e, da alcuni anni, anche di volontariato e dell’organizzazione logistica
delle colonne mobili regionale e provinciali.
Il 6 aprile, con Alessandro Caretti di A2A e Cristiano Cozzi di AREU, parte alle 12.00 da Milano per la
missione di scouting a L’Aquila da dove coordina le attività delle colonne mobili durante la prima settimana dell'emergenza.
Questa è la sua storia.
6 aprile 2009 - ore 3.32. L’Aquila viene devastata da
un sisma di magnitudo 5.8 Richter (in seguito il valore
verrà aggiornato a 6.2).
Ore 6.30 - Il telefono di servizio, seppur sempre acceso, al di fuori dei turni di reperibilità mensili non si trova sul comodino, ma sul tavolo del soggiorno. Al
risveglio è ormai abitudine controllare se sono arrivati
messaggi dalla Sala Operativa. Il display del cellulare
si illumina: 3 messaggi. Apro il primo - delle 3.45 circa
- che mi informa del terremoto; il secondo attiva l’Unità di crisi; il terzo mi avvisa che la Colonna Mobile
Regionale è stata allertata.
In automatico accendo la tv e sullo schermo compare
l’immagine di un palazzo crollato e di un manipolo di
vigili del fuoco che, alla luce delle fotoelettriche, cer-
cano tra le macerie. Le notizie sono frammentarie, ma
sufficienti per capire che è una cosa grossa. Proprio la
settimana precedente aveva avuto grande risalto la
notizia dell’allarme lanciato da un ricercatore di un
istituto italiano: ci sarebbe stato un forte terremoto in
Abruzzo. Avrà mica azzeccato! Per un momento tutte
le mie convinzioni di geologo sull’impossibilità di prevedere il momento di un sisma cadono; ma subito la
voce dello speaker informa che volontari di tutta Italia
sono in arrivo su chiamata del Dipartimento Protezione Civile.
Preparare la borsa con il necessario per una settimana
è questione di un attimo; i corsi della task force europea qualcosa hanno insegnato: la check-list con il
necessario è pronta e basta solo scorrerla.L’immagine
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della Casa dello Studente crollata resterà l’unica vista
per tutta la settimana successiva, trascorsa in semiclausura nelle due tendopoli che entro tre giorni verranno allestite.
Ore 9.00 - La Sala Operativa della Regione Lombardia
pullula di persone. Davanti ai megaschermi, osservando le poche e ripetitive immagini che giungono dalL’Aquila, ci sono dirigenti e funzionari della Direzione
Generale Protezione Civile che valutano il da farsi.
L’idea è inviare subito qualcuno per una ricognizione
precisa delle necessità, mentre si attiva la colonna
mobile regionale con i volontari di prima partenza.
Do immediatamente la disponibilità e nel giro di 2
minuti sono in ufficio a preparare le cose che potrebbero servire: un po’ di cancelleria, il portatile dell’ufficio, poco altro.
Chiamo a casa per avvisare che non tornerò per cena.
La squadra di “scouting” comprenderà, oltre a me,
Cristiano Cozzi dell’Azienda Regionale Emergenza
Urgenza (il coordinamento dei 118) per la parte sanitaria ed Alessandro Caretti di A2A per la parte
impiantistica. Nel giro di due ore siamo pronti, la
macchina viene caricata con le nostre borse e con il
“valigione” giallo che contiene l’ufficio mobile: due
notebook, stampante, telefono satellitare, cavi e batterie. Anche l’idea del “valigione” proviene dai corsi
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della task force europea ed una volta di più si dimostrerà indispensabile.
Ore 12.00 - Siamo in macchina; ci daremo il cambio
al volante per non perdere tempo, ma il primo turno
spetta a me. Una staffetta della Polizia Locale di Milano ci scorta fino all’autostrada: 8 minuti da via Pola a
piazzale Corvetto! In autostrada ci preoccupiamo
poco dei limiti di velocità, ci preme arrivare il prima
possibile per capire al meglio la situazione. Lungo il
tragitto superiamo svariate colonne dei Vigili del Fuoco e di volontari; le pattuglie della Polizia Stradale ci
salutano, comprendendo il motivo della nostra premura. Alle 14.30 una sosta dalle parti di Rimini serve a
fare il pieno e mangiare un boccone al volo. Caretti
non si capisce con la cassiera ed anziché panini con il
salame ci arriva una terribile salamella fredda con crema all’aglio; le prossime due ore passeranno con
l’obiettivo di rinfrescare l’alito con quantità esagerate
di chewing-gum alla menta.
Il navigatore ci fa sbagliare strada: anziché a Giulianova-Teramo sulla A25, ci fa proseguire fino a Pescara e
poi prendere la A26 fino a Bussi-Popoli. Risultato: circa 80 km in più di strada. Sulla statale incrociamo una
colonna ininterrotta di macchine cariche di persone e
bagagli che se ne vanno, mentre nella nostra direzione
continuiamo a superare lenti veicoli dei Vigili del Fuo-
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co, dell’Esercito e dei volontari di Protezione Civile.
L’abilità al volante di Caretti ci fa recuperare il tempo
perso ed alle 17.30 siamo in vista del cartello che indica L’Aquila.
Ore 18.30 - Attraversare la città si rivela un incubo:
l’uscita dell’A25 L’Aquila Ovest è chiusa per verifiche
ai viadotti e quindi tutte le vetture si dirigono verso
L’Aquila Est, con il risultato di bloccare completamente la circolazione. I vigili urbani fanno i salti mortali
per liberare gli incroci, con fortuna alterna. Le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi sono drammatiche: palazzi sventrati, case semi-distrutte, cornicioni e comignoli caduti ovunque; sembra di essere in
una città dei Balcani dopo un bombardamento. Nessuno sembra sapere dove si trovi il centro di comando
dell’emergenza e facciamo due o tre giri attorno a
Piazza d’Armi prima di avere l’indicazione corretta. Il
risultato è che impieghiamo più di un’ora per arrivare
alla DICOMAC (DIrezione COMAndo e Controllo)
del Dipartimento Protezione Civile, presso la scuola
sottufficiali della Guardia di Finanza di Coppito.
Ore 19.00 - Il cortile interno della caserma di Coppito
sembra il parcheggio di San Siro il giorno del derby. A
fatica troviamo un buco e ci avviamo all’interno. Non
avevo mai visto la DICOMAC all’opera prima del 6
aprile: un intero palazzetto dello sport trasformato nel
centro di controllo più grande che abbia mai visto,
brulicante di centinaia di persone, più o meno indaffarate, tavoli, sedie, computer e stampanti. Individuiamo
subito il “Coordinamento delle Regioni”, che costituisce il punto di riferimento per chi proviene dal resto
d’Italia: si tratta di un’isola formata da 4 tavoli, dove
almeno una decina di persone cerca di parlare con gli
stessi due funzionari della Regione Friuli-Venezia Giulia, che ha ricevuto dal Dipartimento l’incarico del
coordinamento. Le informazioni sono comunque
scarse e ci dicono di attendere le ore 20 per una riunione con i vertici del DPC. Nel frattempo facciamo
un giro per cercare visi conosciuti: un collega di qualche regione, un funzionario del DPC, un Vigile del
Fuoco. Alle 20.30 la riunione ha inizio: vengono forniti dati aggiornati sugli sfollati - oltre 70.000 - che in
qualche modo bisognerà sistemare; ogni regione viene assegnata ad un COM a cui riferirsi per capire in
quale località operare. Noi veniamo assegnati al
COM1 e appena termina l’incontro schizziamo via
per sfruttare gli ultimi momenti di luce - ma sarà una
pia illusione.
Ore 21.30 - Con una certa fatica individuiamo la sede
del COM1, posta in una scuola materna e quando vi
entriamo l’atmosfera è surreale. Il COM1 è l’opposto
della DICOMAC: poche persone occupano i tavolini
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e le seggiole dimensionati per i bimbi, il rumore è
sommesso e l’impressione è quella di un centro di
comando che sta nascendo in quei momenti. La conferma ci viene data dai due funzionari del DPC presenti. Con loro abbiamo condiviso emergenze ed
esercitazioni un po’ in tutta Italia e quindi è immediato entrare in sintonia. Cerchiamo di capire in fretta, ma
con molta fatica, poiché le mappe non sono chiare e
manca qualcuno che conosca bene i luoghi, quali
siano le possibilità per installare un campo di accoglienza: ci viene proposto il parcheggio di un cinema
multisala in una zona periferica, in alternativa un’area
dismessa di una fabbrica dell’ITALTEL. Vista l’ora ormai sono le 23 passate - decidiamo di fare un
sopralluogo, iniziando dal cinema. Ci incolonniamo
per le vie della città, che ora sono quasi deserte, passiamo su un viadotto e sotto una galleria, confidando
che i tecnici abbiano valutato bene la tenuta delle
opere e, soprattutto, che non vi siano scosse proprio in
quel momento. In pochi minuti siamo a destinazione
e ciò che vediamo pare uscito da un film del genere
catastrofico.
Ore 23.30 - Il Cinema Multisala Garden non si può
non notare, perché l’insegna luminosa a caratteri
cubitali è ancora accesa ed un enorme faro illumina il
parcheggio. L’area è occupata da più di un centinaio
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di macchine, tutte con i vetri appannati dove immediatamente comprendiamo che sono stipati gli sfollati.
Appena scendiamo dalle nostre macchine, come formiche un po’ alla volta scendono anche loro - chi in
giacca a vento, chi avvolto in una coperta - per avere
informazioni. I funzionari del DPC spiegano loro cosa
succederà, mentre noi iniziamo una ricognizione dell’area per capire di cosa disponiamo in termini di servizi essenziali. Il proprietario del cinema si mette a
disposizione e ci illustra il posizionamento di allacciamenti, scarichi e via dicendo. Decidiamo che il luogo
ci va bene, anche spinti dal ricordo di esperienze passate dove le tendopoli erano caratterizzate da polvere
e fango: qui abbiamo una bella spianata di asfalto con
tutto ciò che ci serve (luce, acqua e scarichi).
Il luogo perfetto.
Ore 24.00 - I colleghi del DPC se ne vanno per fare un
sopralluogo nell’altra area e ci ripromettiamo di sentirci nelle ore successive. Siamo ormai calati nella parte
operativa della missione e ci rendiamo conto che la
prima cosa da fare è sgombrare il parcheggio delle
macchine degli sfollati, in tutto circa 500 persone. Un
po’ ci spiace costringerli ad andarsene all’esterno e
parcheggiare lungo la strada o in mezzo ai campi, ma
ci serve l’area libera per capire come organizzare il
campo. Tutti comprendono cosa succederà in quel
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luogo e si spostano senza fare obiezioni. Ciò che sarà
l’Area di Accoglienza Monticchio 1 nei mesi successivi è frutto del pensamento di noi tre, soli sotto il grande faro del parcheggio, con un foglio A4 ed una penna
in mano: sperando di fare scelte che non si rivelino
errate, a poco a poco l’idea del campo nasce. Siamo
così presi che nemmeno ci accorgiamo che ormai
anche la salamella all’aglio è un vago ricordo. Uno
degli sfollati ci informa che a poche centinaia di metri
c’è una rivendita di carne all’ingrosso e che tutti loro
hanno mangiato lì. Speranzosi di trovare almeno un
panino ci presentiamo al negozio, ma restiamo delusi:
hanno praticamente finito tutto. Il proprietario ci propone qualche fetta di coppa con dei grissini e decidiamo in fretta che va sicuramente bene. Rifocillati torniamo al cinema in attesa della colonna mobile che è
in dirittura d’arrivo.
7 aprile 2009
Ore 1.15 - Il collega Massimo Ceriani ci ha appena
aggiornato che si trovano a qualche decina di km
dall’Aquila e quindi abbiamo il tempo di rilassarci
un momento. Ci aggiriamo per il parcheggio ripensando a come abbiamo deciso di disporre il campo. Giunti proprio davanti all’entrata del cinema,
Caretti si ferma improvvisamente e ci dice di ascol-
tare: un rombo via via più forte sembra scendere
dalle montagne circostanti; ad un tratto l’edificio
del cinema incomincia a scuotersi, le vetrate sbattono, l’asfalto del parcheggio pare ondeggiare ed
una crepa sottile si apre proprio in mezzo a noi.
Poco dopo un sms dalla sala operativa di Milano ci
informerà che si è trattato di una scossa di magnitudo 4.9, la più forte dopo quelle della notte precedente ed anche di tutte le settimane successive. Ci
guardiamo senza parlare, forse pensando a cosa
deve essere stato vivere il terremoto dentro una
casa o un palazzo.
Ore 1.45 - L’avanguardia della Colonna Mobile
Regionale, guidata da Massimo Ceriani, giunge finalmente a destinazione. Gli ultimi minuti sono trascorsi al telefono per dare indicazioni sulla direzione da
prendere, impresa tanto più complicata dal fatto che
la colonna è composta da numerosi veicoli. Appena
sul posto, i volontari iniziano subito il montaggio
delle proprie tende, per due ragioni: la prima è che il
camion del Comune di Milano con le tende per gli
sfollati è atteso all’alba, la seconda deriva dalla consuetudine di approntare un luogo dove riposarsi al
termine di una giornata che si prospetta molto lunga.
Con l’avanguardia della Colonna Mobile giunge
anche un Posto Medico Avanzato del 118 di Milano
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che, nel giro di 30 minuti, è operativo ed inizia a prestare le cure a qualche sfollato in preda a crisi di
panico.
Ore 4.30 - Anche il resto della Colonna Mobile Regionale giunge a destinazione, cogliendomi addormentato sui tasti del notebook, intento a scrivere il report per
la sala operativa. I volontari specializzati di A2A iniziano a ragionare sulla predisposizione degli impianti
del campo; i volontari della FIR-SER Lombardia intanto allestiscono la tenda segreteria, per essere pronti ad
affrontare tutte le incombenze legate alla registrazione
delle presenze nel campo, sia di sfollati che di volontari.
Nel frattempo il personale dell’ANA inizia il montaggio delle strutture della cucina da campo: alle ore 7.00
sarà già in grado di dare bevande calde e brioche agli
sfollati che da due giorni vivono in macchina.
Ore 6.25 - I mezzi del Comune di Milano arrivano al
cinema, con il loro carico di tende (circa 40) e volontari che le dovranno montare. Hanno viaggiato su un
autobus dell’ATM di Milano e quindi sono pronti a
mettersi all’opera: entro le 10.00 metà delle tende
sono montate: forse ce la faremo a dare un letto al
coperto agli sfollati entro sera; intanto provvediamo a
distribuire le coperte a coloro che non hanno di che
coprirsi: due donne, terminato uno scatolone, credo-
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no che non ce ne siano più e si accapigliano per prendere l’ultima. Le rassicuriamo che c’è roba per tutti e
la situazione si calma.
Ore 10.00 - Veniamo informati che una seconda
Colonna Mobile composta da volontari coordinati
dalle Province della Lombardia è a circa 200 km da
L’Aquila: nel primo pomeriggio dovrebbero essere a
destinazione.
Ore 12.00 - I Comune di Milano riceve la richiesta di
un intervento in località Rocca di Mezzo, circa 40 km
a sud ovest di Monticchio. Dopo un consulto con la
Direzione Generale a Milano si decide di dare il via
libera: la cucina di Milano potrà essere sostituita da
quella della Provincia di Brescia, in arrivo con la
seconda Colonna Mobile. I funzionari del Comune di
Milano lasciano al campo il personale dedicato al
montaggio delle tende e si avviano verso la destinazione finale. Nel frattempo giungono al campo i colleghi tecnici che si occuperanno dell’attività di verifica
degli edifici evacuati: il Sindaco de L’Aquila ha infatti
dichiarato inagibile tutta la città e quindi serviranno
sopralluoghi a tappeto per consentire alle persone di
rientrare in casa. Carlo Giacomelli e Daria Fusè si
appropriano di un tavolo, una panca e aperto il pc iniziano a coordinare le squadre di ingegneri, architetti e
geometri già in viaggio dalla Lombardia.
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Intanto tra la popolazione sfollata inizia a sorgere
qualche interrogativo sulle modalità di accesso al
campo e sui tempi necessari ad allestire la tendopoli:
li rassicuriamo che nessuno di quelli presenti lungo la
strada verrà lasciato fuori e che contiamo per sera di
essere pronti ad assegnare le tende. La cucina dell’ANA è completamente operativa e preparerà oltre
900 pasti, solo per pranzo.
Ore 15.00 - Arriva la seconda Colonna Mobile, con la
cucina di Brescia ed altri 2 moduli servizi che si
aggiungono ai 3 già presenti. Inoltre giunge il posto
medico avanzato di 2° livello dell’Ospedale Niguarda
di Milano. Si tratta di una struttura enorme, composta
da due tende gonfiabili a croce, che in pratica rappresenta un piccolo ospedale da campo. Le operazioni di
scarico e montaggio avvengono sotto gli occhi estasiati dei numerosi bambini presenti al campo.
Si presenta una volontaria di Croce Rossa proveniente
dal campo sportivo di Monticchio dove si sono radunate spontaneamente centinaia di persone, ma non vi
è nessun presidio “istituzionale”. Ci chiede delle tende, poiché non ne hanno e ci sono molti anziani che
stanno in macchina da due notti. Gli diamo le poche
che abbiamo disponibili, chiedendo di mantenerci
informati sulla situazione.
Ore 19.00 - Ci rendiamo conto che probabilmente
non riusciremo a montare e dare la corrente a tutte le
tende entro sera e che quindi dovremo ospitare alcune
persone anche nelle due tende polifunzionali. Dopo
cena iniziamo le operazioni di assegnazione delle
tende, seguendo un criterio di priorità temporale; i
volontari chiamano nome per nome i componenti dei
gruppi familiari e li accompagnano personalmente
alle tende, che sono state numerate per meglio individuarle. Nel frattempo i volontari di A2A hanno quasi
completato la posa dei cavi elettrici ed in ciascuna
sono stati posizionate 8 brande con coperte di lana
per tutti.
Ore 22.30 - Il COM1 finalmente ci contatta per chiederci com’è la situazione; li informiamo che ci è giunta notizia che al campo sportivo vi è molta gente
abbandonata a se stessa; propongo la possibilità che
Regione Lombardia si occupi anche di questo campo:
mi daranno una risposta all’indomani.
8 aprile 2009
Ore 01.00 - Tutti gli sfollati che avevano “prenotato”
un posto sono sistemati, ma continuano ad arrivare
persone, poiché si è diffusa la voce dell’allestimento
del campo. Mettiamo altre 40 persone nella tenda
mensa, che almeno è riscaldata.
Ore 02.30 - Dopo 44 ore consecutive di veglia andia-
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mo a riposare, ma il sonno è disturbato dalle continue
scosse nettamente percepite da tutti.
Ore 06.30 - Siamo nuovamente in pista. L’obiettivo
della mattina è completare l’allestimento del campo e
viene raggiunto senza problemi: per mezzogiorno si
può dire che la struttura è terminata; ora restano da
mettere a punto i dettagli organizzativi.
Ore 15.00 - Con il collega Ceriani facciamo un
sopralluogo al campo sportivo e ci rendiamo conto
che da soli non possono farcela: sono autonomi per il
vitto, ma non sono in grado di montare le tende. Noi
ne abbiamo al CAPI di Novi Ligure e ci attiviamo subito per farle arrivare, in attesa di una risposta dal COM,
che giunge solo a sera inoltrata. Provvediamo subito
ad informare Milano, per allestire una terza colonna
che si occupi di quel campo. I volontari, coordinati
inizialmente dalla Provincia di Bergamo, arriveranno
a Monticchio venerdì mattina.
9-10-11 aprile 2009
L’allestimento del campo presso il cinema prosegue
senza sosta: ormai siamo in grado di dedicarci ai dettagli ed iniziamo a soddisfare qualche necessità più
complessa. Viene allestita una tenda per il presidio dei
medici di famiglia, viene posizionato un ufficio mobile su un camper delle Poste Italiane. Dalla Lombardia
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viene mandato un container speciale per la farmacia.
Grazie ad una donazione di una ditta lombarda ed al
Comune di Ripabottoni, che ci invia oltre 100 lettini,
riusciamo a sostituire tutte le brande da campeggio e
con un’altra donazione dotiamo ogni tenda di una
stufetta elettrica ad olio. Vengono posizionati gli estintori e la cartellonistica.
La Sala Operativa continua a coordinare l’invio dei
materiali e dei beni di prima necessità che di volta in
volta richiediamo. Non si contano i viaggi dei camion
e dei tir che fanno la spola tra Milano e L’Aquila.
Dalle parti più disparate d’Italia ogni tanto compaiono
camion e furgoni che scaricano beni di ogni tipo:
vestiario, scarpe, generi per l’igiene personale, pannolini per bimbi ed anziani (supereremo rapidamente i
2.000 pacchi), cibo…
Dal 10 aprile il magazzino viene trasferito sotto un il
pallone di un campo da calcetto e 15 volontari sono
occupati tutto il giorno a catalogare e distribuire il
materiale agli sfollati. Ad un certo punto smettiamo di
accettare donazioni e dirottiamo ogni carico in arrivo,
che non sia stato da noi richiesto, al magazzino dell’ASM di Bazzano, dove è stato istituito il centro logistico del COM1.
Durante la prima riunione della DICOMAC, sabato
11 aprile, viene chiesto il primo censimento delle presenze nei campi: noi comunichiamo di avere accolto,
nei due campi gestiti, circa 800 persone e di fornire
pasti per circa 1.000.
Il giorno di Pasqua, 7 giorni dopo il nostro arrivo, io e
Ceriani lasciamo spazio a colleghi più freschi e rientriamo a Milano, mentre Caretti e Cozzi si fermano
ancora qualche giorno: la sensazione è che L’Aquila
sarà una meta frequente nei mesi a venire.
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Vi siete mai chiesti…
di Dario Besola
Dario è funzionario di Regione Lombardia da 17 anni. In Protezione Civile dal 1997.
Non serve aggiungere altro. Basta leggere la sua storia.
Vi siete mai chiesti cosa passa nella testa di uno che
fa della Protezione Civile una ragione di vita o una
professione? Vi siete mai chiesti cosa vede, come
ragiona un volontario di pronta partenza? Bella
domanda eh? Di quello che è successo da quel 6
aprile saprete sicuramente tanto se non tutto. Stessa
cosa per quello che hanno fatto le istituzioni e i
volontari.
Ma nessuno, almeno fino ad ora, vi ha raccontato
cosa succede dietro le quinte, in quella parte del teatro dove avvengono un sacco di cose che pochi
conoscono nei dettagli. Proviamo ad immaginare di
mettere un futuristico aggeggio nella testa di qualsiasi
volontario o professionista dell’emergenza e proviamo a vedere cosa succede da questo punto di vista.
Se questa cosa la reputate di vostro interesse allora vi
consiglio di continuare a leggere.
6 aprile 2009, una data difficile da dimenticare.
Ore 03.50. Arriva la prima telefonata
Era ormai qualche ora che stringevo beatamente tra
le braccia il mio caro amico cuscino.
Ad un certo punto una specie di cicalino mi rimbomba nella testa. Non sono sicuro di aver sentito
subito il suono di un messaggio sms. Forse era incastrato in qualche parte del meraviglioso sogno che
stavo facendo. Poi uno squillo forte che mi fa quasi
saltare dal letto: che sogno strano, troppo reale.
Un occhio mi si apre e lo sguardo cade su due
numeri rossi. Uno indica il numero 3, l’altro il
numero 50.
“Ma chi è che rompe?”
“Pronto, Dario, è la Sala Operativa. È successa una
cosa grave, una scossa di terremoto fortissima a
L’Aquila, sembra ci siano dei morti, devi raggiungere la sala operativa.”
Ma come, sono le quattro scarse, eppoi non sono
nemmeno reperibile. E se è un bluff? Mi incazzerò di
brutto! Questa volta vinco il superenalotto e mi licenzio. Torno a letto. Massì, chi se ne frega. No, aspetto,
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anzi: sfido la pace notturna del condominio e accendo la tv. Qualcuno domani mi darà un calcio alla
portiera della macchina, ma se è successo qualcosa.
qualcosa diranno i telegiornali. Si, certo: alle 4 del
mattino, il telegiornale…dov’è sto maledetto telecomando?”
“Accidenti, è una roba veramente seria!”
In quei momenti il sangue ti si gela e ti dà un senso di
vertigine. Nonostante sia un “veterano” presso l’U.O.
Protezione Civile della Regione Lombardia (modestamente, da 11 anni a questa parte non me ne sono mai
perduta una), la reazione è sempre la stessa.
Mando giù il groppone, mi lavo (chissà quando mi
ricapita una doccia!), prendo pochi abiti “civili” e
penso al borsone in ufficio con dentro quello che serve per essere identificato e protetto a dovere. Poche
parole con mia moglie che non capisce, uno sguardo
ai bambini lì nei loro lettini nelle loro camere e la
promessa di sentirci presto per telefono.
Tutto di fretta, tutto velocemente.
Prendo l’auto e in un clima surreale mi precipito
velocemente verso Milano. Nonostante pesti alla
grande l’accelleratore i miei movimenti sembrano
incredibilmente lenti. Scuoto la testa. “Alzatevi palpebre, collegati cervello, per favore!” .
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Sala operativa regionale. Ore: +01.30 dall’evento
Arrivo e entro in sala operativa. La quiete della strada
non esiste più. Sembra un giorno qualunque, anzi
sembra un giorno speciale, uno di quei giorni in cui
in sala si fanno delle manifestazioni. C’è un sacco di
gente. Sono tutti seri. Tutti indaffarati. Ci sono tutti.
Ma proprio tutti. Saluti di rito. Incrocio gli sguardi e
pare che tutti mi dicano la stessa cosa. È ormai chiaro,
non è un’esercitazione, non è uno scenario inventato,
è successo veramente. Come agli altri anche a me
viene assegnata una postazione. Quella a me più
consona si chiama “mezzi e materiali” ma non ho
ancora le idee chiare su cosa dovrò fare. Anzi, penso
che le idee chiare non le ha pressoché nessuno. È
troppo presto e non abbiamo abbastanza informazioni. Non possiamo fare molto. Vediamo le scene in tv,
le interpoliamo con le notizie riservate agli addetti ai
lavori. Il quadro sembra agghiacciante. Chiunque
dentro di sé in questi momenti vorrebbe indossare il
costume del Supereroe e partire a razzo rimettendo le
cose al loro posto. Ma non è cosi semplice. Nessuno
è riuscito a trovare la sartoria che confeziona certi
capi miracolosi. Le ore passano nervosamente e
(finalmente) qualcosa si muove. Le notizie sembrano
essere certe e il quadro ipotizzato, purtroppo, prende
corpo. Parte la fase di scouting, ovvero: vado, vedo,
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riferisco, faccio. Caldiroli nel frattempo parte. Vuole brano degli scolaretti in attesa del pullman per la gita
andare lui. È la sua prima volta da avamposto. Va a scolastica. Che scemi! Mi fanno tenerezza: ma dove
vedere e a riferire.
pensano di andare, a Venezia a dare da mangiare ai
piccioni?
Si prepara la Colonna Mobile Regionale.
Che gente!
Ore: +10.00 - +14.00 dall’evento
Ecco il momento atteso. Si va in scena. Partono. Tutti
Nel frattempo si conviene di iniziare a predisporre la fanno ciaociao con la manina davanti ad una telecaColonna Mobile Regionale. Danno a me questo inca- mera di qualche televisione privata mentre sfilano
rico e mi dicono di stare, dopo la partenza della lungo il cancello carraio. Io li vedo passare uno per
CMR, in sala operativa ad organizzare le spedizioni uno. Mi salutano militarmente.
di tutti i materiali di cui necessitano. Obbedisco.
Che gente!
Si parte con il chiamare i referenti della Colonna Immagino che il viaggio sia stato lunghissimo. ViagMobile che, a loro volta chiamano i loro volontari. Ci giare in autocolonna è da pazzi, lo so, l’ho fatto un
diamo appuntamento in uno dei CPE (Centro polifun- sacco di volte. Procedere al passo di lumaca non è
zionale di emergenza) dove si caricano i camion con piacevole, ma nonostante la noia mi riferiscono che
tutto quello di cui disponiamo. Tende, brande, mate- nessuno dorme. Non è una novità: succede sempre
rassi, generatori, torri faro, gruppi docce gabinetti, cosi. Sono tutti svegli e arzilli. Mi domando che tipo
cucine campali e tensostrutture, tavoli panche e mol- di colazione abbiano fatto per avere tutta questa grinto altro. Una fatica boia che ti stronca per una setti- ta a 24 ore di distanza dall’ultimo sonnellino.
mana. Chi carica sono gli stessi che partono ovvia- Che gente!
mente. Per non sbagliare si porta di tutto. La gabbia
con i canarini, beh, no, quella proprio no! Passano le Il luogo scelto per la realizzazione della prima tenore e l’adrenalina è palpabile. Mi fermo un attimo a dopoli. Ore: + 24.00 dall’ evento
guardare i volontari che hanno appena finito di cari- È di nuovo notte fonda.
care i mezzi. Ridono, scherzano. Sono freschi come Giovanni (Caldiroli) è arrivato da qualche ora. Racse fossero appena usciti da un albergo a 5 stelle. Sem- conta a noi in sala quello che ha visto ed è facile
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capire che ci si trova davanti ad una vera tragedia. Ha
mille difficoltà ma il ragazzo, seppur giovane nelle
mansioni da campo, è in gamba e non deluderà.
Affianco a lui ci sono dei vecchi volponi che ne hanno viste parecchie e lo aiuteranno. Nel giro di poco
tempo individua un’area dove alcuni scampati al terremoto bivaccano nelle loro auto. Decide che è il
luogo giusto e che si passa all’azione.
Ore: +30.00 – 40.00 ore dall’evento
Iniziano a montare tutto quello che hanno. Nel giro
di poche ore montano tende, predispongono acqua e
luce, allacciano i gabinetti, realizzano gli scarichi,
montano le cucine.
Che gente.
E di nuovo giorno e le cronache che ci giungono
dicono che nessuno si è fermato a riposare. Dopo 48
ore dalla partenza nessuno vuole fermarsi. Vuoi vedere che hanno trovato veramente la sartoria dove fanno i costumi da supereroe?
No, niente sartoria.
Ore: +60.00 dall’evento
È una vita che mi faccio questa domanda: perché fanno questo e perché riescono a farlo per cosi tanto
tempo?.
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Dopo 11 lunghi anni l’ho capito e adesso voglio raccontarlo ai quattro venti.
Piangono.
Nessuno vi confermerà questa cosa ma fidatevi.
Per i volontari lavorare nelle prime fasi è come piangere. Poiché non lo possono fare, loro esprimono
questo sentimento cosi. Sono delle persone fatte cosi.
Tanti di loro hanno a casa mogli, figli che non si spiegano cosa vanno a fare lì.
Vedono tutto, parlano con tutti. Sentono gli odori,
respirano aria triste. Davanti alla televisione queste
cose non si possono capire. Un conto è immaginarle,
un conto è viverle. Guardano negli occhi la gente che
non ha più niente e non possono piangere, non possono commuoversi.
Guai a farlo, vorrebbe dire avere bisogno di soccorritori per i soccorritori! Un disastro totale. Non possono sembrare umani ,non possono abbracciare le persone per far sentire loro il proprio calore, devono sopprimere quella voglia incredibile di alleviare le loro
pene.
Allora lavorano per loro. Ti fanno il thè in tre secondi,
si rompono le mani per darti un minimo di tetto, non
mangiano, non dormono, non vanno in bagno. Lo
fanno solo per loro.
Ma di lacrime niente. Per quelle c’è tempo. Sgorghe-
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ranno dopo, quando nessuno li potrà vedere.
Per tanto tanto tempo.
Che gente fantastica.
Ore +72 dall’evento
Sono passati tre giorni.
Il campo è in funzione a pieno ritmo, tutto più o
meno fa il suo dovere. Certo, si è ben lontani dalla
vita che consideriamo normale. Ma se il mio racconto ha reso bene l’idea dovreste essere d’accordo con
me che, in questa fase è il massimo che si poteva fare.
E i volontari?
Poi cedono, è matematico. Il grafico della loro operatività inizia a puntare verso il basso. Lo capisci subito
dal clima che si instaura. Saltano i nervi, si diventa
irritabili. Non mangiano da chissà quanto tempo un
pasto decente e ci si riduce alle classiche confezioni
di biscottini o scatolette comprati in autogrill. Il primo
piatto di pasta scondito che ti passa sotto il naso ti
sembra esser stato trattato da un grande chef.
Non si lavano dalla partenza e le divise ormai sono
ridotte a panni luridi. Un giro al bagno poi….se ne
riparlerà magari fra qualche giorno. Iniziano a litigare
tra di loro. Iniziano a non seguire più le regole, nemmeno quelle minime che hanno portato a quel risultato. Vuol dire che è ora di cedere il passo. Serve una
ricarica fisica e mentale ma non è facile. Non è facile
convincere che da li in poi non sei più una risorsa ma
un potenziale soggetto in pericolo. Ci vuole continuità e ci vuole del personale fresco di braccia e di mente. È chiaro che andremo avanti per tantissimo tempo
ancora.
Penso che questi ormai sono bolliti. Anche il nostro
Giovanni è andato. Ci sta, hanno subìto l’impatto
maggiore. Le braccia hanno ancora energia ma è la
testa che ormai ha ceduto. Nessuno di loro riesce a
rendersene conto ma è la sacrosanta verità.
Le mie esperienze da “posto di comando” mi hanno
insegnato questa strategia:
Fase 1 Senza farsi accorgere da nessuno si richiedono
uomini freschi.
Fase 2 Ci si deve imporre. Ci si alza in piedi su un
cofano di una macchina e si grida “STOP!!! adesso
fermi tutti e tutti a casa. Fra un ora arriva il cambio.
Preparatevi e nuovetevi!”
Fase 3 Si deve scendere velocemente dal cofano e
trovare un luogo blindato che ti metta al riparo dalla
mandria inferocita in tuta giallo blu.
Tanto lo so…dopo un buon pasto e un buon bicchiere di vino, una dormita di tre giorni tra di noi ci saranno solo sorrisi e pacche sulle spalle.
Che ci volete fare, sono le regole del gioco.
Dedicato a tutti loro.
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Progetto L’Aquila
di Antonella Belloni
Antonella Belloni, architetto, è esperta in analisi dei rischi naturali. Cura, attraverso la Scuola Superiore di
Protezione Civile, la formazione dei tecnici e degli operatori e promuove iniziative di comunicazione per
la diffusione della cultura di protezione civile. Ha partecipato alla gestione di emergenze - terremoto in
Molise nel 2002 e nell’Alto Garda e della Valle Sabbia 2004. In questa testimonianza, la sua esperienza
sul campo come tecnico impegnato nella verifica di agibilità degli edifici colpiti dal sisma.
Giovedì 9 aprile 2009. Preparo tutto quello che serve
per la partenza. Ho un pò di timore.
Lavoro da sette anni in Protezione Civile e ho vissuto
insieme a tutti i miei colleghi numerose emergenze:
dall’aereo nel Pirelli ai terremoti del Molise e di Salò.
Ma questa volta ho la netta percezione che sia una
grande emergenza e che la vera preparazione, per
quanto mi riguarda, sarà messa a dura prova sul campo. È dal 6 aprile che si lavora incessantemente in Sala
Operativa, con turni anche serali/notturni, per fornire
tutto il supporto necessario alle squadre di volontari e
di tecnici già operativi sul territorio. Sin dalle prime
ore, insieme all’Ingegnere capo Carlo Giacomelli, mi
occupo di individuare tra il personale le figure professionali idonee al rilascio dell’agibilità degli edifici per
poi formare squadre di tecnici - ingegneri, architetti,
geometri e geologi. Le adesioni arrivano in grande
numero - e con continuità per tutta la durata dell’emergenza - non solo dai tecnici funzionari di
Comuni, Province e Regione, dalle Università e dagli
Istituti di Ricerca della Lombardia, ma anche da molti
liberi professionisti che, non esitano a chiudere il proprio studio per una settimana, per mettere la loro competenza e professionalità a disposizione della gente
colpita dal terremoto. Giacomelli fa da apripista, guidando il primo gruppo di tecnici che, già nelle primissime ore del dopo sisma, avvia il lavoro tecnico “sul
campo”. Poi arriva il mio turno. Sono molto emozionata. Per la prima volta, seguendo le orme di chi mi ha
preceduto, dovrò coordinare i lavori delle squadre del
mio turno di tecnici, collaborando con il Dipartimento
Nazionale di Protezione Civile che ha creato il suo
quartier generale all’Aquila. Il viaggio è già una avventura. Lunghe code sull’Autostrada del Sole: siamo nel
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periodo che precede la Pasqua e intorno a noi fiumi di
macchine sono in viaggio per raggiungere le località di
vacanza. Si parte numerosi - con noi anche il Direttore
Generale - per dare il cambio turno ai colleghi che per
primi hanno raggiunto i luoghi del terremoto e hanno
impiantato e organizzato la tendopoli di Monticchio1.
Da Teramo in poi, verso L’Aquila, la strada è una lunga
fila di lampeggianti di tutti i colori che si muovono formando un lungo serpente illuminato. Sono i mezzi di
soccorso che, come noi, cercano di raggiungere la
zona operativa. Passato il traforo del Gran Sasso e avvicinandoci all’uscita Aquila Est ci si lascia alle spalle la
vita di sempre e ci si avvicina in rispettoso silenzio alla
destinazione. Il Campo di Monticchio 1 si presenta
come un luogo ben attrezzato e persino accogliente.
Pur essendo passati solo pochi giorni dall’evento, la
tendopoli, ormai in piena attività, sembra un piccolo
villaggio che racchiude le funzioni indispensabili per
un area piccola e raccolta. Mi viene assegnata una
tenda da condividere con le altre colleghe della Regione che, con me, si dovranno occupare dei rilievi tecnici agli edifici. Il clima è rigido. Di notte la temperatura
scende di molti gradi rispetto al giorno. Mi promettono
una tenda dedicata all’attività di rilievo edifici: al
momento si utilizza la tenda mensa, quando non viene usata per la funzione stabilita. È domenica mattina:
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alle ore 8.30 è previsto il primo briefing con le squadre
dei tecnici che iniziano il loro turno. Si mostrano tutti
molto collaborativi. La situazione mi dà forza e mi
conforta. Ci si divide sul territorio che ci è stato assegnato, organizzandoci in squadre “miste” composte
da tecnici provenienti da luoghi diversi. Il lavoro è faticoso, difficile e, talvolta, porta con sè una componente
di rischio dovuta alle scosse sismiche, di intensità
anche alta, che continuano a succedersi. La sera ci si
incontra nella tenda tecnici e, mentre si consegnano le
schede di agibilità degli edifici, si discutono le varie
problematiche riscontrate durante la giornata. Si fa
spesso tardi, anche molto tardi, ma si cena tutti insieme, al campo.
Ogni rilievo permette di acquisire nuove conoscenze:
materiali edilizi diversi, particolari costruttivi tipici dell’Italia centrale, particolari comportamenti strutturali.
Sono centinaia gli edifici crollati, del tutto o in parte. Si
sono verificati danni su edifici storici realizzati con
materiali di scarsa resistenza che spesso però mettono
in luce interventi di ristrutturazione effettuati in epoche
diverse e che hanno innescato o favorito il collasso di
uno o più elementi strutturali. Il terremoto è come un
grande laboratorio nel quale tutte le strutture vengono
sottoposte ad un test. In Abruzzo, per gli edifici realizzati in epoca più recente e con una struttura portante
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in calcestruzzo armato registraiamo danni di notevole
entità o collassi che interessano parti significative dell’edificio. A questo bisogna aggiungere che alcuni edifici presentano cause "intrinseche" di vulnerabilità
derivanti da una non adeguata progettazione e concezione strutturale. Sono sempre stata affascinata, dalla
sismologia sin dai tempi della scuola: la sfida ai terremoti, la raccolta di esperienze, le ricerche, le masse, le
inerzie, la duttilità: la scienza tratta le forze naturali di
un sisma in forma matematica. Proteggersi dal terremoto oggi è possibile grazie alle conoscenze acquisite
dall’ingegneria sismica.
Ma i danni di un terremoto non possono essere sempre fermati da una struttura antisismica, se non c’è
anche il supporto di un’architettura, di un’economia e
di una cultura antisismica.
Così, in Abruzzo, accanto ad un edificio seriamente
danneggiato o crollato si trovano abitazioni intatte che
miracolosamente non sembrano nemmeno sfiorate
dalla tragedia del 6 aprile. L’Aquila, che avevo visitato
quattro anni prima da turista, mi rimarrà sempre
impressa così come la vedo ora. Mi immagino cosa si
possa provare nel vedere la propria città svuotata di
vita, privata della sua memoria storica, del suo patrimonio architettonico, ormai irrimediabilmente compromesso. È come vivere un incubo e non trovare il
modo di svegliarsi. Di colpo tutto quello che è il nostro
presente viene cancellato e si torna indietro di almeno
30 anni. Nessun negozio, supermercato, cinema: solo
campi con tante tende e distruzione. Tra noi tecnici si
fa largo un’idea: sarebbe carino - ci diciamo - se ogni
Regione d’Italia potesse adottare un Paese e, insieme ai
residenti, dar vita ad un futuro costruito sulle memorie
degli avvenimenti vissuti. Alla fine del turno, giunti ai
saluti, nessuno pensa che sia un addio, ma semplicemente un arrivederci, come avviene tra amici di sempre. In quei giorni ho conosciuto molte persone: gente
semplice che, nonostante il dramma vissuto, ha dato a
tutti noi una grande lezione di vita, di dignità umana.
Al rientro, lontani solo pochi chilometri dall’Abruzzo,
si ritorna a fare i conti con la vita di tutti i giorni. E con
tutte quelle cose di cui, in appena una settimana,
abbiamo imparato a fare a meno! Ognuno di noi
avrebbe molto da raccontare, perchè ognuno ha vissuto questa esperienza con il cuore: ogni giorno era una
soddisfazione risvegliarsi là al campo, nonostante la
fatica, nonostante le difficoltà operative, nonostante le
difficoltà umane…nonostante tutto questo bastava un
sorriso, un saluto, una chiacchera, una pacca sulla
spalla per ritrovare le energie. Grazie a quelle persone
che hanno perso tutto ho scoperto i valori più grandi:
la solidarietà e l’umanità.
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Born to be a team
di Chiara Ghidorsi
Chiara Ghidorsi, geologa, lavora in Regione dal 2001 ed in Protezione Civile dal 2005. Il suo è un ruolo
“tecnico” di supporto alla gestione della Sala Operativa e della Colonna Mobile regionale.
La storia che qui racconta non è una “testimonianza”. È una “colonna sonora”.
La colonna sonora di una missione ritmata dalle note di “Born to be a team”.
Sono un geologo e lavoro per la protezione civile. Per
certi versi, si può dire che vivo sulle disgrazie altrui.
Ma si può anche dire che ho la fortuna di fare un
lavoro che può davvero “dare un mano” alle persone
in caso di eventi catastrofici, come un terremoto.
E questo è il punto di vista che prediligo.
Il terremoto. È un fenomeno che ho studiato, che
capisco nei suoi meccanismi, che posso accettare
perché il nostro paese è “ballerino” per definizione.
Ma è un fenomeno le cui conseguenze, quando si
tratta di gestire la vita di altre persone, non sono così
facilmente prevedibili.
È la mattina del 6 aprile; mi sveglia l’SMS della Sala
Operativa regionale di Protezione Civile che avverte
di una scossa di magnitudo 5.8 a L’Aquila. Magnitudo 5.8: si è visto di peggio. Si sono registrate nel mondo magnitudo fino a 9.0.
Questa volta, però, si tratta del nostro Paese. Un pae-
se nel quale il terremoto Marche-Umbria del 1997,
con due scosse di potenza simile a questa, aveva
seriamente danneggiato un’ampia area e fatto delle
vittime. È un paese, l’Italia, nel quale anche in una
regione come la nostra si possono avere terremoti
con gravi conseguenze: Salò e il 2004 sono ancora
vivi nel ricordo. Una collega mi chiama alle 7:30,
mentre sto per andare in ufficio; pare che la situazione - dalle immagini che arrivano - sia molto grave. A
quel punto, preparo una borsa con vestiti, sacco a
pelo, caschetto, etc. - in caso ci sia necessità di partire
subito.
La Sala Operativa
La Sala Operativa è già in piena attività.
Sono state definite le funzioni principali, distribuite
nelle “isole” della Sala: sono già al lavoro anche i colleghi di altre Direzioni Generali.
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Nel frattempo l’estensione e la gravità dell’evento
sono sempre più evidenti: le immagini e i racconti
che arrivano via televisione e via Internet sono inequivocabili. Parte la squadra di scouting; poco dopo,
la Colonna mobile regionale.
Intanto, noi in Sala Operativa “lavoriamo” le informazioni.
Si va avanti così tutto il giorno. E tutta la notte.
Sono le 03:37 quando, con un collega, decido di
lasciare la sala. Sarei rimasta, ma altri mi dicono che
è necessario riposare. La lunga giornata ha dimostrato
che il sistema può reggere anche all’urto di un grosso
evento e alla necessità di dare risposte efficaci in tempi brevi. I giorni successivi sono un susseguirsi di attività frenetiche: tante sono le esigenze che ci vengono
trasmesse dal campo, e tante le risorse che tutto il
sistema Regione offre. Con altri colleghi mi occupo
dei report dell’evento. Ovvero: registrare le informazioni e redigere sintetici documenti che diano a tutti il
polso della situazione. Altro fronte operativo è quello
dei servizi al cittadino (ad esempio, il supporto per
usufruire dei trasporti gratuiti garantiti da Trenitalia): si
tratta di capire i passaggi da effettuare, di stabilire una
procedura snella e semplice, di agevolare le persone
quanto più possibile.
Ancora una volta, la nostra catena interna funziona
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bene: al di là degli orari, al di là degli inconvenienti,
la struttura è solida e regge.
Il Campo
Passano alcuni giorni, la situazione è ormai delineata.
Regione Lombardia ha allestito e sta gestendo 2 campi di accoglienza. In Sala Operativa il gruppo di coordinamento della missione sta organizzando la turnazione dei “team” regionali.
La prospettiva è di essere presto chiamata anch’io sul
campo, e di mettere in pratica quello che ho imparato in 4 anni di lavoro in Protezione Civile.
È un impegno importante ed entusiasmante, anche se
mi spaventa la responsabilità che un’attività del genere comporta; grazie al cielo, non essendo un funzionario di grande esperienza, ho la ragionevole certezza che mi verrà riservato il compito di affiancare un
collega esperto, nel suo ruolo di Capo campo.
La “tegola in testa” però arriva con il primo elenco dei
turni: il periodo da coprire è lungo, i colleghi esperti
sono già impegnati su più fronti, quindi ritrovo il mio
nome tra i funzionari che andranno in missione in
qualità di Capo campo. La mia ansia arriva a livelli
da Guinness dei Primati.
Come in altre circostanze, però, anche questa volta i
miei timori si rivelano esagerati: con i colleghi che
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partono con me si fa subito squadra, e la squadra gira
bene dall’inizio. Ognuno di noi, infatti, identifica
immediatamente il proprio ruolo e sceglie le attività
da seguire in modo molto naturale: “born to be a
team” - si potrebbe dire, parafrasando il buon Springsteen. Giovanni Di Marco sfrutta le proprie esperienze precedenti per suggerire, guidare, essere di
supporto al Capo campo, ad esempio nel delicato
momento di redazione del regolamento del campo.
Silvana Di Matteo, da abruzzese (anche se di Pescara), si riserva invece il rapporto continuo con i residenti: è lei indubbiamente la persona più giusta per
svolgere il censimento degli ospiti registrandone le
esigenze. Le attività del campo sono tante e complesse: c’è l’aspetto logistico (fornitura materiali, andamento cucine, buoni gasolio); ci sono i rapporti con i
COM. C’è il lavoro dei volontari, le strategie da decidere con i responsabili di funzione per migliorare il
servizio. E c’è il delicato rapporto con i residenti nel
campo che, a distanza di un mese dal sisma, cominciano a rientrare nella normalità dei rapporti sociali.
Ed è proprio in questi frangenti che più conta il saper
“far squadra”. Se, infatti, il confronto tra i componenti
del team è costante e la fotografia della situazione
lucida, allora la decisione che il Capo campo deve
assumere è resa “naturale” perché è in realtà la con-
clusione di un processo condiviso, appunto, da tutta
la squadra.
L’estate - Il Capomissione
Passano i mesi, la missione si allunga, il termine del
30 settembre è un dato ormai assodato. I campi, nel
frattempo, sono diventati 3. Altre attività sono state
iniziate, come ad esempio la costruzione di alcuni
plessi scolastici.
Il ruolo di Regione sul campo diventa più complesso:
il lavoro adesso consiste nel coordinare, indirizzare,
decidere le strategie: ecco che nasce e si sviluppa la
figura del Capomissione.
La squadra del mio “nuovo primo turno” - questa volta da Capo missione - riproduce in parte quella del
turno precedente: i rapporti tra noi sono ormai consolidati ed è ancora più semplice lavorare in team. Inoltre, un senso dell’umorismo simile e la passione per
le canzoni anni ’80 aiutano ad affrontare il nuovo
compito.
Alla gestione della vita del singolo campo si sostituiscono ora le problematiche di pianificazione e verifica della “sincronia” tra i campi. Dunque: sopralluoghi, riunioni di coordinamento con i capi campo
entranti ed uscenti, riunioni con i referenti delle funzioni trasversali a tutti i campi (informazione alla
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popolazione, supporto psicologico)...
E poi c’è il rapporto con i residenti che, al di là delle
distinzioni operative tra capocampo e capomissione,
considerano noi referenti della Regione il loro punto
di riferimento.
Continuano - anzi, si ampliano - anche i contatti con
il mondo tecnico-istituzionale (Dipartimento della
Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine,
Forze Armate, Amministrazione Comunale…) che sta
gestendo il coordinamento degli interventi.
In questa fase non si è più nella pura emergenza. Si
sono iniziati e si portano avanti i processi di superamento della crisi e di ricostruzione. È il momento in
cui, agli interventi di tipo tecnico, si affiancano gli atti
amministrativi; non guasta affatto perciò avere un
“espertone” on site, come Giovanni che viene investito di queste incombenze burocratico-giuridiche,
risolvendo brillantemente e con esemplare attitudine
diplomatica anche le situazioni più delicate.
La fine missione
È il mio ultimo turno, ancora come capo missione. E
siamo già a settembre. È ormai stata ufficializzata la
data per la chiusura dei campi ed il trasferimento
degli ospiti nelle varie sistemazioni. Diventa fondamentale, in questa fase, dare informazioni chiare,
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dirette, certe a tutta la popolazione ospitata sino a
quel momento nelle tendopoli.
Questa volta la squadra è nuova al 100%, ma ancora
una volta è un’ottima squadra. C’è Nicodemo Arrizza, e c’è Franco Caputo. Forti di esperienza sul campo e comprovata competenza professionale, si rivelano entrambi non soltanto preziosi consiglieri ma
anche e soprattutto formidabili interfacce tra il braccio operativo e quello “umano” della missione!
Inizia la pianificazione dello smantellamento dei
campi. Si devono recuperare le risorse (materiali e
mezzi) che non servono più o sono ormai sotto-utilizzati, si deve verificare qual è l’impegno dei funzionari e dei volontari del sistema regionale per proporre
eventuali ridimensionamenti, si deve capire quali
funzioni devono essere assolutamente presidiate e,
forse, rafforzate (come ad esempio la funzione di
informazione alla popolazione).
Qualche riflessione a margine di questa esperienza
La squadra è un elemento fondante, senza il quale
non si va da nessuna parte. La catena delle responsabilità e del comando deve essere chiara e priva di
incertezze. L’esperienza può essere fatta sul campo, ma ci sono momenti particolari, o problemi
particolari, per cui l’esperienza pregressa è fondamentale, soprattutto nel dare sicurezza e serenità di
giudizio.
Il fattore umano, su emergenze di così lunga durata,
diventa preponderante, in alcune situazioni, e va
saputo gestire. La sottoscritta ha ancora moltissima
strada da fare. Ma ha voglia di farla.
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Un regolamento per il campo
di Giovanni Di Marco
Giovanni Di Marco, esperto giuridico, lavora presso la Direzione Generale Protezione Civile, Prevenzione
e Polizia Locale di Regione Lombardia.
L’Abruzzo è stata la sua prima missione sul campo. E persino in quel contesto operativo “on the field”, la
sua familiarità con norme e regolamenti si è rivelata un atout.
Anch’io c’ero. Come staff giuridico del Direttore
generale alla Protezione Civile regionale, posso
scrivere serenamente di essere stato coinvolto in
prima persona nella gestione del campo di Monticchio 1. Più precisamente, diverse sono state le missioni alle quali ho partecipato: in affiancamento al
Capo campo, prima; al capo missione, poi e infine
alle operazioni di chiusura della struttura.
Dopo diversi anni di servizio presso quella Direzione, e prima ancora al Legale Avvocatura della
Regione, non avevo mai partecipato ad un incarico
operativo. Ma avevo svolto sempre ed esclusivamente compiti di ufficio: controllo sui contratti,
attività redazionale di leggi, regolamenti, provvedimenti amministrativi, oppure stesura di memorie
difensive e approfondimenti giuridici.
L’emergenza sisma in Abruzzo mi ha colto mentro
ero in vacanza con Tiziana, mia moglie, in naviga-
zione da Alessandria verso Savona. Le immagini
televisive del capoluogo abruzzese devastato hanno riempito subito tutti gli spazi della crociera, e
creato grande angoscia a bordo. Oltre all’insopprimibile desiderio di tornare a casa prima possibile.
Non avendo mai partecipato ad attività di protezione civile, non immaginavo che presto ne sarei stato
coinvolto e “conquistato”. Ben presto ho chiesto ed
ottenuto di poter affiancare i miei colleghi della
Sala Operativa che avevano cominciato a svolgere i
turni presso l’area di accoglienza di Monticchio, e
che ogni settimana ripartivano per garantirne il funzionamento. In particolare, la “folgorazione sulla
via di Monticchio” è merito di un collega che,
venuto a salutarmi prima di partire, mi ha chiesto
cosa stessi aspettando per partire a mia volta. Ecco,
le sue parole, il tono, lo sguardo, hanno lasciato il
segno. Già sentivo che dovevo muovermi anch’io,
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ma quell’incontro è stato decisivo. E così, anche se
non sapevo bene cosa sarei andato a fare, mi sono
“arruolato”. Grazie, Nico!
Da qui la decisione di segnalare la mia disponibilità al responsabile della Protezione Civile regionale,
Ing. Biancardi. Che però non è stata immediata. Ci
ho rimuginato sopra molte notti. Non sono un cuor
di leone, e quello che poteva aspettarmi al campo,
in termini di devastazione, materiale e morale, mi
spaventava non poco. E ancora mi spaventa. Però,
quelle immagini sui media, e soprattutto i racconti
dei colleghi che continuavano la spola con
l’Abruzzo, alla fine mi hanno convinto che dovevo
contenere la paura, o quanto meno superarla, e
mettere a disposizione quello che anch’io potevo
offrire. Il problema era proprio questo: non sapevo
se potevo effettivamente essere d’aiuto a qualcuno,
oppure se ero solo un peso, sia per gli ospiti del
campo che per i miei colleghi.
E invece, in qualche modo, mi sbagliavo.
La mia prima missione a Monticchio si è svolta in
un momento che può essere definito di post –
emergenza, nel senso che la struttura di accoglienza era stata definitivamente realizzata sia come tende che come impianti tecnologici, sia come ospitalità sia come servizi. E giorno dopo giorno, stava
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emergendo il problema della regolamentazione
dell’accesso a quei servizi, in termini di civile e
pacifica convivenza all’interno del campo.
Va chiarito a questo punto anche il contesto sociale
- ed etnico - di riferimento a Monticchio 1 Garden.
La popolazione, in maggioranza, era di cittadinanza
italiana, residente a Monticchio, ma di estrazione
sociale la più varia (dalla piccola/media borghesia
fino ai ceti meno abbienti assegnatari di case popolari). E tra i cittadini italiani, forte era percentualmente la rappresentanza rom. Mentre, irrilevante
era il numero degli stranieri, comunitari e non.
Quando sono arrivato al Campo insieme a Chiara,
che faceva il capo-campo, la convivenza tra gli
ospiti era molto instabile: sia per l’evidente disagio
che patiscono necessariamente tutti coloro che perdono la propria casa sia per la prossimità tra loro
delle tende, e l’inevitabile riduzione/eliminazione
dello spazio fisico che deve tutelare la riservatezza.
Insomma, gli abitanti della struttura erano davvero
“ai ferri corti”. Le liti erano all’ordine del giorno. E
tutti invocavano, in qualche modo, da parte delle
autorità del campo l’adozione di norme di comportamento stabili e di sanzioni in caso di violazioni.
Insomma, la richiesta di sicurezza, cioè di regole
certe su come vivere all’interno del campo, gli ora-
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ri da rispettare, l’ordine per accedere ai servizi, era
davvero forte. In qualche modo, da appassionato di
materie giuridiche, ho potuto assistere alla genesi
di una “legge”, come insieme di norme di condotta
necessaria alla vita sociale. E ho potuto vivere
come la stessa vita sociale sia la causa prima di
quella “legge”, rimandando reciprocamente l’una
all’altra. Da qui, l’idea del Capo campo di adottare
un regolamento, composto da poche norme, ma
chiare e di facile applicazione. Con le relative
penalità. Ovviamente, l’incarico di scrivere il regolamento è stato assegnato a me, insieme a Laura,
una volontaria sociologa e psicologa. Bravissima:
grazie anche te, Laura.
Sono stati giorni molto intensi, prima di arrivare al
testo finale. In quei giorni Laura ed io abbiamo parlato con gli ospiti del campo e i volontari. Alla fine,
Monticchio 1 Garden ha avuto il suo “decalogo”,
“per acclamazione”.
In realtà questo regolamento assomigliava più ad
un patto di legalità e socialità che non ad un corpo
normativo vero e proprio. Ma questo aspetto non
costituiva un limite: semmai, era il suo punto di forza. Il regolamento sembrava vivere di vita propria,
traendo la forza della propria imperatività non dall’autorità di Protezione Civile che lo aveva emana-
to, bensì dalla spontanea osservanza ai suoi precetti da parte degli ospiti del campo, e dalla ripetizione uguale di quei comportamenti nel tempo.
Io credo che l’adesione spontanea al regolamento
da parte degli ospiti del campo fosse senza dubbio
la prova della doverosità giuridica dei comportamenti descritti dalle sue norme. Ma soprattutto la
conferma che, dopo il sisma, in quella frazione de
L’Aquila si era venuta a formare una comunità nuova, che desiderava ripartire a qualunque costo,
anche da sola, con proprie regole, e desiderava
autogovernarsi perché il sisma l’aveva tagliata fuori
dai circuiti civili e amministrativi che c’erano prima.
Vorrei aggiungere, infine, che nei giorni successivi
la validità e l’efficacia del regolamento non è mai
stata posta in dubbio né da parte degli abitanti del
campo né da parte dei funzionari pubblici che,
dopo Chiara Ghidorsi, si sono succeduti come capi
campo. E ciò a conferma della bontà del “servizio”
che anch’io ho svolto. Da ultimo, non credo sia il
caso di soffermarsi sull’attività di consulenza in
presa diretta con gli ospiti, che spessissimo mi è
capitato di svolgere in giro per il campo. Posso
solo constatare, in conclusione, che in una tendopoli post terremoto la figura di un giurista serenamente trova il suo perché.
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Il Vigile e la Tendopoli
di Carlo Rovetta
Carlo Rovetta lo dice sempre: Polizia Locale e Protezione Civile hanno una vocazione comune, una
naturale attitudine a far “squadra”.
Lo dice lui che, per una vita, ha fatto il poliziotto. Lui che ha fatto anche il volontario, al servizio della
ricostruzione in Irpinia, negli Anni 80. Lui che oggi, da funzionario dell’Unità Organizzativa regionale
della Polizia Locale, questa sua teoria della “sinergia” tra “vigili” e operatori di Protezione Civile la pratica con quotidiana dedizione.
Si pensi all’emergenza Abruzzo. Si pensi alle prime concitatissime ore di quell’emergenza.
Alla Unità Operativa regionale della Protezione Civile, i professionisti della gestione delle crisi – dalla
Sala Operativa - guidano un sistema sofisticato e complesso di azioni di soccorso, coordinamento di
interventi e organizzazione degli aiuti.
Alla U.O. Polizia Locale, invece, quei primi momenti sono vissuti con umana empatia, dolore, commozione. Emozioni. Non azioni.
Non è compito della Polizia Locale intervenire in un’emergenza sismica che attiene un’area lontana dalla Lombardia seicento e passa chilometri. È compito della Protezione Civile.
O almeno è stato così sino al 10 aprile quando Cinzio Merzagora - tra i più esperti funzionari della Protezione Civile regionale - chiama Carlo, cui lo lega amicizia e reciproca stima, e gli chiede di partire con
lui, di lì a pochi giorni, per affiancarlo nella missione di capo-campo della prima e più “strutturata” delle
tendopoli lombarde: Monticchio 1.
Carlo dice si, senza starci a pensare troppo.
Il suo capo, Fabrizio Cristalli, è - se possibile - persino più motivato e convinto di lui (al punto di scendere anch’egli come Capocampo nel mese di maggio).
Dunque Carlo, praticamente il tempo di avvertire la moglie e preparare i bagagli, parte.
Questa è la sua storia
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Non prendermi troppo sul serio e concentrare l’attenzione sulle cose che contano è - da sempre - la
mia filosofia di vita: è così nel lavoro e nei rapporti
con gli altri.
Questo modo di essere ha trovato piena espressione nel mio lavoro in Polizia Locale. Essere “vigile”
è da sempre il mio stile di vita: vigile nelle piccole e
grandi emergenze.
“Vigile” come sostantivo. Ma “vigile” anche come
sinonimo dell’aggettivo “attento”.
Il Vigile è uno capace di prestare attenzione alle
persone e rispondere alle loro richieste.
La mia carriera di Vigile è lunga. Sono stato a contatto con l’umanità più varia. Ed è attraverso le lenti
polifocali dell’uomo-vigile che è in me che ho imparato a conoscere il mondo, a capire le persone ed i
loro bisogni ed a rapportarmi alla realtà senza mai
privarmi di una messa a fuoco ironica, quindi lucida.
Questo non significa affrontare la vita con facilità:
significa solo che anche nelle situazioni più dure a
guidarmi è la massima “è un peccato lamentarsi”!
mia adesione alla missione.
Ma non nascondo che tra le ragioni della mia partenza non secondario è stato il fattore personale: il
bisogno di conoscere e capire i miei limiti.
Il ruolo di Capo campo, prima, di capo missione,
poi, mi hanno dato entrambe le chance che, nella
missione in Abruzzo, mi proponevo di esaudire:
realizzare il mio potenziale professionale, ma anche
confrontarmi con me stesso, con la mia capacità di
rappresentare un sostegno per tutte quelle persone
che, in un modo o nell’altro, hanno ritenuto di confidarsi, di riporre in me la loro fiducia.
In fondo, queste due motivazioni - tecnico-professionale ed umana - non sono altro che le ragioni
dell’agire quotidiano di un poliziotto locale.
Insomma, anche in Abruzzo è venuto fuori il “vigile” che c’è in me.
Esperienza in Abruzzo: il professionista e l’uomo
La mia prima partenza risale al 18 aprile. Destinazione: Monticchio 1.
La tendopoli è attiva da dieci giorni.
Cosa mi ha spinto a partire per l’Abruzzo
L’emergenza delle primissime ore è ormai superata.
Mettere la professionalità e lo stile tipici della Poli- La gestione del campo, l’assistenza agli
zia Locale a disposizione di un’emergenza umana sfollati…tutto quello che nei giorni immediatamene civile così tragica: è questo che ha motivato la te successivi al cataclisma nasceva dall’impellenza
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di dare sollievo, riparo, soccorso a gente privata di
tutto, adesso - dieci giorni dopo - ha ormai lasciato
il posto ad un’esigenza tutta nuova – ma altrettanto
sentita: dare ordine alla vita, altrimenti anarchica,
della comunità-tendopoli.
Di questa esigenza, Cinzio ed io ci rendiamo
immediatamente conto, sin dal nostro arrivo al
campo.
Per dire: c’é una tenda-lavanderia miracolosamente
“full-optional”, ma non c’é un orario cui gli ospiti
siano chiamati ad attenersi. Ed il risultato è che c’é
chi fa il bucato nel cuore della notte, così negando
agli ospiti delle tende limitrofe il sacrosanto diritto
al riposo. E poi non ci si cura di lasciare riposare le
macchine, tra un ciclo di lavaggio e l’altro: le si fa
andare “a palla”, con il rischio di comprometterne
funzionalità e durata. Con il rischio cioè che quelle
lavatrici ed asciugatrici - dono di un’azienda lombarda - vengano messe fuori uso nel giro di poche
settimane. Con un conseguente danno per l’intera
comunità.
Serve un regolamento, dunque.
E serve un’autorità - riconosciuta tale dagli ospiti
del campo - che ne imponga il rispetto.
Un compito gravoso, si potrebbe pensare. Quella
gente andava sollevata del trauma calamitoso che
ne aveva sconvolto la vita. In simili condizioni - si
potrebbe obiettare - non si vuole ricevere ordini, si
vuol essere aiutati.
Ebbene, il regolamento della lavanderia è servito
proprio a questo: a dare aiuto agli sfollati, così come
è stato d’aiuto la stesura di un “regolamento del
campo” con il contestatissimo art.8 sulla possibilità
di “espulsione dal campo alla seconda diffida”.
Il bisogno che nella comunità tendopoli andava
ormai nascendo era infatti il bisogno di un progressivo - ma concreto - ritorno alla normalità.
Alla normalità del vivere civile. Alla normalità del
vivere sociale. Alla normalità della vita comune.
La stesura e l’imposizione del regolamento dunque
sarà stato, forse, un compito gravoso. Ma è stato un
compito necessario ed oltretutto apprezzato dall’intera comunità.
L’uomo
C’è chi dice che ho una propensione genetica a farmi ricettore di sfoghi altrui.
E chi dice questo, non è lontano dalla realtà.
Durante le mie missioni – alla prima ne sono seguite altre tre, rispettivamente a giugno, agosto e settembre - ho ricoperto il ruolo di Capo campo e
capo missione. Ma via via ho finito col farmi carico
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- naturaliter - anche di una funzione meno ortodossa, dai contorni più sfumati: quella di punto di riferimento per sfoghi di ogni genere, anche personali.
Io stavo lì, ascoltavo, mi compenetravo nelle piccole e grandi storie di cui venivo messo a parte ed alla
fine - se era il caso - dicevo la mia. Se no, come
accadeva più spesso, mi limitavo ad ascoltare. O
meglio: a far tesoro di quanto mi veniva detto,
soprattutto se le “rivelazioni” avevano un carattere
generale, se avevano in qualche modo ripercussioni sulla vita comunitaria. Ed in tal caso studiavo il
modo migliore per intervenire.
Credo così di aver guadagnato la fiducia, oltre che
l’amicizia, di molti ospiti del campo e dei volontari
con cui ho collaborato.
Questo mio essere vigile - nel senso di “attento” - e
dunque pronto ad ascoltare e, nei limiti del possibile, contribuire a risolvere i problemi del campo, è
stato apprezzato. Con mio commosso compiacimento - mi sia concesso di confessare - ho scoperto
che qualcuno avrebbe addirittura pensato di costituire un “Rovetta Fans Club”. Devo questo nobile
pensiero a due amiche, nonché impareggiabili
“complici”: Floriana Liuni, volontaria dell’Università Cattolica di Milano dedicata all’Info Point, e Stefania Marucci, giovane ingegnere aquilana, anche
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lei ospite di Monticchio 1, almeno per qualche
tempo, divenuta presto preziosa collaboratrice di
Regione Lombardia.
Difficile, in questa interazione trasversale di esperienze, distinguere il ruolo dell’uomo da quello del
vigile.
Alcune delle testimonianze di cui sono stato messo
a parte, seppur nate da racconti spontanei, hanno
infatti portato ad iniziative operative concrete delle
quali ancora oggi rimangono segni tangibili. È questo, ad esempio, il caso della scuola di Paganica,
dove prima del mio arrivo era stato posizionato il
prefabbricato su una gettata di bitume, con la certezza che il Comune di L’Aquila avrebbe provveduto agli allacciamenti obbligatori per rendere agibile
il prefabbricato (elettricità, acqua, fognatura, ecc.).
Nulla però è meno certo di una certezza: nel frattempo, infatti, il COM 5 aveva pensato di usare
quella struttura come possibile sede del COM.
Si poneva dunque un problema “politico” non da
poco.
Un problema che mi trovo ad affrontare io, durante
una delle mie missioni. Non mi perdo certo d’animo. Quel prefabbricato è infatti stato donato dalla
Regione Lombardia per essere utilizzato come
scuola e tale deve rimanere. Al mio arrivo, quindi,
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insieme ai tecnici di Infrastrutture Lombarde ed al
responsabile di A2A, e con la collaborazione dei
volontari del Parco del Ticino, si decide di intervenire per completare la scuola con gli allacciamenti
e l’allestimento esterno. Il risultato è noto: la scuola
sarà ufficialmente inaugurata il 27 agosto, dal Presidente Formigoni, dal Sindaco Cialente e dalla Presidente Pezzopane …e da uno stuolo di bambini
che per una mattinata intera si son divertiti a “testare” i giochi, le aule e gli spazi attrezzati predisposti
per la loro scuola, grazie anche al contributo creativo dei volontari dell’Università Cattolica.
L’episodio della scuola di Paganica è un esempio
ma non è l’unico del contributo che ho personalmente offerto alla missione Abruzzo.
Un giorno, alcuni ospiti di Monticchio 1, inquilini
delle case popolari della piccola frazione di L’Aquila presso la quale era allestito il campo mi segnalano un problema: le case non sono più agibili. Per
poter essere nuovamente abitate servono degli
interventi non necessariamente clamorosi ma pur
sempre dispendiosi. Troppo dispendiosi per il
bilancio ATER.
Contatto allora la Di.COMA.C. e chiedo l’intervento finanziario del Dipartimento per poter coprire le
spese di ristrutturazione degli immobili. Anche
questa volta, la missione è compiuta: il finanziamento verrà ufficializzato la settimana successiva.
Il rientro
Sono sceso in Abruzzo quattro volte. Ed ogni volta,
al momento di partire, cercavo quasi di scappare di
nascosto per non dover cedere allo strazio di dire
“addio” a persone a cui mi ero affezionato e che a
loro volta si erano affezionate a me.
Mi predisponevo alla partenza già alcune sere prima. O meglio: prendevo coscienza di quanto profondamente quei pochi giorni avessero potuto toccarmi.
Mi sono così ritrovato, malinconico, da solo, a zonzo di notte per il campo e “metabolizzare” quel
complesso di tensione ed emozione accumulato
durante la giornata. Ma mi sono anche ritrovato a
vivere momenti di allegria, serena e profonda. Era
questo ad esempio l’umore prevalente nelle cene
di “fine turno”, divenute presto una consuetudine
tra gli operatori della Protezione Civile, alla fine
della settimana trascorsa al campo. Era, quell’allegria, qualcosa che nasceva dalla condivisione della
fatica, degli sforzi, delle responsabilità di quanti tutti quanti, a vario titolo - avevano partecipato alla
missione.
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Cosa mi ha lasciato questa esperienza
Tanti spunti di riflessione: sul ruolo, le potenzialità
ed i limiti delle istituzioni di cui anch’io sono in
fondo un rappresentante.
Spunti di riflessione sulle potenzialità, non sempre
adeguatamente valorizzate, del nostro “capitale”
umano e professionale. “Nostro” nel senso di tutti
noi italiani. Nel senso di tutti noi lavoratori “pubblici”. Quel capitale è “nostro” anche per la sua capacità di interpretare le peculiarità culturali e civili del
nostro paese. E di quel capitale spesso non si fa
abbastanza tesoro.
Mi ha sorpreso, ad esempio, la capacità - non solo
mia - di affrontare e gestire questioni complesse
come le tante che la vita del campo poneva quotidianamente. Mi ha stupito la capacità di porsi
davanti ad un problema con un unico obiettivo: la
sua risoluzione, in tempi rapidi.
Una cosa apparentemente banale, si dirà. Eppure
questa cosa “banale” ha del sorprendente per chi me compreso - vive ormai come un dato di fatto le
difficoltà di un “sistema” che sembra fatto apposta
per complicare le cose, per allontanare la possibilità di risolvere i problemi.
L’esperienza in Abruzzo, aldilà di queste riflessioni,
mi ha lasciato però soprattutto un tesoro umano.
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Un tesoro affettivo.
Un tesoro che tuttora custodisco con pudore e
rispetto.
Un tesoro fatto di persone in carne ed ossa che oggi
sono miei amici.
Un tesoro fatto anche di piccoli souvenir. Testimonianze di un affetto che non ha bisogno di parole.
E di questi ricordi, quello che per sempre serberò
nel mio cuore è il dono che gli ospiti di Monticchio
1 hanno voluto farmi in occasione della mia ultima
missione.
Un poster - firmato da molti di loro - con la scritta:
“Di tante parole, quella che riassume meglio quello
che sentiamo per te è: GRAZIE”.
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Problem Solving
di Laura Sion
Laura è una dipendente di Regione Lombardia. Lavora a Milano, alla DG Protezione Civile. È lì da quattro anni dopo averne trascorsi otto alla DG cultura.
Per capirci: Laura è un esperta di informatica, non un Rambo o un crisis manager.
A Maggio 2009, però, Laura parte per il campo di Monticchio 1.
Questa volta non si tratta di un’esercitazione. Questa volta l’emergenza è reale. Questa volta, per Laura,
è “la prima volta”.
La storia di Laura è una storia di dedizione, senso del dovere, spirito di solidarietà e di responsabilità.
Quella di Laura è la storia di chi il giorno del terremoto d’Abruzzo non esita a dismettere i panni del funzionario in ufficio per vestire quelli dell’operatore sul campo.
Ma quella di Laura non è una storia isolata. È vero il contrario: è una storia tra le tante che dal 6 aprile 2009
hanno avuto come protagonisti i dipendenti della DG Protezione Civile della Regione Lombardia.
Nella storia di Laura quindi saranno in tanti a riconoscersi.
Perché la storia di Laura è un po’ la storia di tutti loro.
Non ho mai fatto la volontaria. Non ho neppure
mai fatto campeggio in vita mia.
La Protezione Civile, prima di venirci a lavorare,
onestamente non avevo idea fosse un sistema così
complesso. A dirla tutta, però, non ci ho messo
troppo a capire, e riuscire a raccapezzarmi tra “Sala
Operativa” e “Colonna mobile”.
Il mio lavoro, tuttavia, si svolgeva anche altrove. Le
emergenze - alluvioni o incendi che fossero - io le
vivevo dal “mio” punto di vista operativo.
Per me, insomma, dire “emergenza” significava
monitorare e coordinare la funzionalità del sistema
informatico. Un’attività tutt’altro che gravida della
carica adrenalinica che il termine “emergenza”
poteva scatenare nei miei colleghi del seminterrato
di via Rosellini, quelli addestrati a monitorare le
allerte, registrare gli allarmi ed attivare la catena
tecnico-operativa dell’intervento sul campo.
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Poi però arriva il terremoto in Abruzzo. E dal quel 6
aprile la mia vita professionale subisce una svolta
radicale. Una svolta capace di dare un senso tutto
nuovo al termine “emergenza”, un senso tutto nuovo al mio stesso ruolo qui nella struttura della Protezione Civile. La notizia l’appresi solo la mattina
successiva, arrivata in ufficio.
Un terremoto devastante ma lontano. In che modo
io - semplice funzionario informatico - avrei mai
potuto averci a che fare?
Beh, lo scoprii subito.
Venni immediatamente convocata nella Sala Operativa. Un luogo, quello, che mi era ormai familiare. Eppure quella volta era diverso. Non so bene
perché mi apparisse così. Quello che so è che una
volta entrata, per settimane intere ci ho vissuto dall’alba a notte fonda, senza uscire neppure per mangiare. Quello che so è che dopo 5 minuti avevo già
un telefono in mano, un telefono che per settimane
è stata una specie di protesi dalla quale non riuscivo più a staccarmi. Il mio compito in quelle prime
concitatissime settimane consisteva nel redigere e
pubblicare i report. Insieme alla mia collega Chiara
Ghidorsi, mi occupavo di raccogliere le informazioni e diffonderle in tempo reale in modo che ciascuno dei tanti terminali della Protezione Civile già
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operativi avesse coscienza di cosa avvenisse. Si
trattava di capire cosa ci fosse lì - ovvero sui luoghi
del terremoto, nelle aree assegnate a Regione Lombardia, le tendopoli, il comando centrale… - ed
intanto monitorare le risorse disponibili qui - i mezzi, i gruppi di volontariato, gli aiuti. C’era da fotografare istante per istante la situazione in modo che
i responsabili del coordinamento avessero sempre
un quadro chiaro e aggiornato della situazione in
base al quale assumere decisioni con la tempestività imposta dalle circostanze. La prima auto di scouting era partita da Milano subito dopo l’allarme.
Poche ore dopo è stata la volta della Colonna
Mobile. Intanto si moltiplicavano le offerte di aiuto
da tutta la Lombardia, gente comune che chiamava
incessantemente al numero verde della Protezione
Civile per offrire cibo, vestiario e persino la propria
disponibilità a soccorrere le vittime del terremoto.
La sala operativa era in contatto con l’Abruzzo, con
i gruppi volontari della Regione, con il Dipartimento nazionale della Protezione Civile…
Ora dopo ora il quadro cambiava. E con esso cambiava la fotografia che attraverso i report io avevo il
compito di trasmettere. Il primo rapporto si scriveva
alle 7 del mattino e l’ultimo all’una di notte.
Ho vissuto così per settimane. E con me, hanno vis-
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suto così i tanti colleghi che nella loro vita professionale in Regione erano abituati a ritmi, consuetudini e responsabilità di tutt’altro tenore. Gente
generalmente impegnata in mansioni di tipo tecnico-amministrativo e che ora improvvisamente si
trovava a contribuire alla gestione di una situazione
di crisi.
Eppure eravamo tutti lì, gli amministrativi e i tecnici, i funzionari e i dirigenti, in una concitazione
solo apparentemente caotica. Di concitato c’era la
rapidità e la quantità del flusso di informazioni, la
pluralità di fonti delle notizie e dei destinatari cui
smistarle, e l’assoluta necessità di fare tutto rapidamente.
Non sono in grado di descrivere il quadro generale
delle operazioni. Durante l’emergenza non mi
ponevo domande. Non ce ne era il tempo e neppure la necessità.
Quello che so è che per settimane abbiamo vissuto
tutti lì, nel seminterrato di via Rosellini, sede della
Centrale Operativa della Protezione Civile.
Settimane trascorse in uno stato di emergenza che
non immaginavo potesse essere gestito con tale
efficienza, flessibilità, dedizione, competenza da
uno staff di dipendenti pubblici che a vederli non
danno certo l’idea dell’eroe da Mission Impossible.
Ma tant’é.
Durante quelle settimane, seguivo le partenze e i
rientri dei colleghi che, da subito, hanno dato
volontariamente la propria disponibilità a rendersi
operativi sul campo. Registravo le loro testimonianze facendo tesoro delle informazioni che portavano
e degli stati d’animo che ci trasmettevano. Ma lo
facevo con distacco: il mio obiettivo era redigere i
report in maniera puntuale. Poi un giorno mi dicono: “Laura, tra due settimane vai giù”.
Ci ho messo un po’ prima di metabolizzare l’informazione, declinarla mentalmente nel suo significato concreto e dunque tradurla in un input operativo.
Si trattava, innanzitutto, di immaginare cosa potesse comportare risiedere in una tendopoli. La preparazione del bagaglio - per una che non ha mai fatto
campeggio - è stata un’impresa affatto banale. Tirar
fuori il vecchio sacco a pelo che era sepolto in cantina sotto uno strato di roba archiviata nella categoria “da non usare mai”. Quel “mai” che si dovrebbe
riflettere a lungo prima di pronunciare perché un
giorno, per dire, arriva un terremoto e tutte le categorie perentorie sulle quali si articola la vita, beh,
finiscono con il perdere tutta la loro definitiva
perentorietà.
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Così è stato per quel mio preistorico sacco-a -pelo,
composto di una bizzarra fibra sintetica, evidentemente in gran voga negli Anni 70.
Peso specifico dell’oggetto: Non Pervenuto.
Volume: immenso.
Ma tant’è.
C’era da preparare il bagaglio. C’era il problema
dell’abbigliamento adatto al freddo pauroso di quella glaciale primavera abruzzese, c’era il problema
del necessaire adatto allo spazio modulare della toilette-container, c’erano insomma i classici dilemmi
dell’equipaggiamento da stato di emergenza logistico-operativo. E da questi dilemmi mi sono lasciata
assorbire sino al giorno della partenza.
In macchina siamo in quattro. Con me Domenico
De Vita, uomo di grande esperienza nella Protezione Civile, uomo di straordinaria professionalità, dal
temperamento passionale, coinvolgente e motivante. Un capo naturale. Sarà lui la mia guida in missione. Gli altri due passeggeri sono il collega
Domenico Scognavilla ed una fotografa free-lance,
Zoe Vincenti. Sono emozionata. Ma la tensione si
stempera durante il viaggio.
Arriviamo a Monticchio nel primo pomeriggio.
Individuiamo il campo. L’insegna del Garden è il
nostro punto di riferimento. Il campo allestito dalla
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Protezione Civile lombarda è nel parcheggio di
quel fu-multisala di periferia.
Le guardie all’ingresso - la carraia - ci fanno cenno
di entrare. Sono le 14.30. È sabato, il giorno di
cambio-turno. Ci accoglie Cinzio Merzagora,
capo-campo “uscente”. Ci accompagna subito al
refettorio dove ha fatto mettere da parte per noi
qualcosa da mangiare. Ci racconta un sacco di
cose. Parla a valanga ma io, che non ho ancora
visto nulla del campo, non riesco a capire granché
delle cose che ci dice. De Vita, al contrario, dialoga
che è una meraviglia. E questo mi basta a rassicurarmi.
Ho fretta di vedere, capire...
Finito di mangiare, Cinzio ci accompagna in giro
per il campo.
Incontriamo Alessandro Caretti, di A2A. È lui il
“mio” capocampo, il mio boss durante la settimana.
Alessandro è lì ininterrottamente dal 6 aprile.
Quando arrivo giù io, lui e la sua squadra sono
ormai H24 al servizio della Dicomac per dare
“luce” anche alle altre tendopoli. Nelle settimane
precedenti la partenza, dalla Centrale Operativa di
Milano, non avevo mai avuto occasione di parlargli
personalmente. Ma il suo nome mi era familiare.
Quando ci vediamo mi presento: “Sono Laura, è la
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mia prima volta qui a Monticchio. Sono a tua
disposizione”.
Lui - gentile e sorridente - mi risponde: “Ok, grazie”.
Punto. Fine della conversazione.
In breve, mi devo arrangiare. Sono pur sempre un
funzionario della Regione e la responsabilità di rappresentare l’istituzione nel campo è mia. Be’, è
anche mia. Dunque, non mi perdo d’animo. Ho
perso le tracce di De Vita e Merzagora. Non mi
resta che dirigermi nel luogo dove tutti - volontari e
ospiti - devono per forza passare. Il luogo che per
deformazione professionale mi è più familiare: la
segreteria. La segreteria del campo è una specie di
sede distaccata e concentrata della Regione Lombardia. Il suo compito è di amministrare, coordinare e gestire la vita socio-istituzionale della tendopoli: dall’anagrafe ai “servizi sociali”, dai trasporti alla
sicurezza, dalle attività ludiche alla salute, dalla
manutenzione alla pulizia alle comunicazioni, sino
ai rapporti istituzionali, al coordinamento con il
Dipartimento, con gli Enti locali de L’Aquila, o
meglio con quel che ne rimane.
Ecco allora che mi presento in segreteria. Ci sono
cinque volontari di FIRCB. Non c’è tempo per
dilungarsi nelle presentazioni. C’è un traffico sostenuto di ospiti in cerca di aiuto, telefoni che squilla-
no, volontari che vanno e vengono, comunicazioni
radio di cui a stento colgo qualche stralcio. Mi limito a dire: “Sono Laura, sono un funzionario della
Regione e questa settimana sono di turno qui al
campo.”
Sante, il veterano di FIRCB, mi sorride, mi fa posto
accanto a lui, ma non c’è tempo per farmi spiegare
cosa possa fare io per lui perché in quel momento
c’è un signore, ospite del campo, che chiede di
esser trasferito di tenda…
Ecco, è così che ho cominciato. Da quel momento,
e per tutta la settimana, la tenda-segreteria è stata il
mio ufficio, ed il problem-solving il mio lavoro. Un
lavoro di squadra, cooperativo ed efficiente. Un
lavoro sensibile per la delicatezza dei problemi una miriade di problemi: i più vari, i più imprevedibili, i più complessi e delicati. L’obiettivo dell’intervento della Protezione Civile è assistere una popolazione in stato di emergenza. Il mio compito è
quello. Punto.
Durante quella prima settimana ho eseguito il mio
lavoro con un inusitato “distacco”. Stentavo io stessa a riconoscermi così capace di affrontare problemi piccoli e grandi, di occuparmi di aspetti a volte
molto intimi della vita della gente. Stentavo a rendermi conto di come gli ospiti del campo e gli stes-
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si volontari riconoscessero nel mio ruolo, più che
in me personalmente, una specie di autorità istituzionale. E stentavo a capacitarmi di come io stessa
in quel ruolo mi sentissi in fondo perfettamente a
mio agio.
Un episodio, tra i tanti vissuti, contribuirà forse a
chiarire di cosa stiamo parlando.
Un giorno arriva in segreteria un volontario che, trafelato, mi fa: “Laura, ci siamo persi una vecchia!”
Ho un mezzo secondo di straniamento. Tra me e
me mi dico: “Oddio che guaio. E adesso?”
Ma poi penso “a voce alta” e domando al mio
interlocutore: “Ma scusa, cosa ti fa pensare che si
sia persa?”
“Beh - fa lui - stava lì con Laila, la sua cagnetta, stava parlando con un altro volontario. Poi, questo si è
distratto un secondo e quando si è rigirato, la sciùra
era sparita.”
“Beh - faccio io - magari è in giro da qualche parte.
L’avete cercata?”
“Ma si - fa lui - e il bello è che la cercano anche dei
suoi parenti che erano venuti qui al campo apposta
a trovarla. Ma niente, nessuna traccia. Né di lei né
del cane. E non è finita…”
“A quanto pare - continua infatti il volontario qualcuno l’ha vista salire sull’autobus.”
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“Sull’autobus?” - chiedo io.
Ed è lì che mi si è accesa la lampadina.
Improvvisamente infatti mi è venuta alla mente la
bacheca del campo dove qualche giorno prima
avevo notato un annuncio che indicava il Numero
Verde della navetta che collega i campi.
“Prendi il numero e chiama - dico al volontario. Se
è salita sull’autobus qualcuno deve averla vista.”
La vecchietta in questione, infatti, non è tipo da
passare inosservato. Va sempre in giro reggendosi
su di un bastone ed in compagnia di un minuscolo
quadrupede che non la molla di un metro.
Detto fatto. Il volontario chiama. Si rintraccia l’autista il quale conferma di averla raccolta alla fermata-capolinea di Monticchio 1 e portata fino al campo di Fossa. Bene, adesso sapevamo che la signora
Concetta non era sparita ma si era semplicemente
allontanata.
Niente panico, dunque.
Allora dico al volontario: “Prendi una macchina,
porta con te i parenti della signora e vai a Fossa a
riprenderla.”
E così è stato. Il volontario imbarca il parentado e
va a Fossa, dove effettivamente trova Concetta con
la sua inseparabile Laila. Stanno bene. Anzi, stanno
proprio bene. Stanno talmente bene che quando il
volontario ed i parenti le esprimono il loro “allarme” per l’improvvisa sparizione da Monticchio,
Concetta stupita per cotanta apprensione risponde
candidamente (in stretto dialetto abruzzese):
“Embé, mi annoiavo…!”.
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Una Pasqua sarda
di Francesco Cau
Francesco fa parte dello staff Comunicazione dell’Assessore Maullu.
Giovanissimo, di origini sarde, da un paio d’anni a Milano, Francesco vive con i colleghi l’emergenza Abruzzo seppur in un ruolo marginale rispetto a chi in Regione segue più da vicino la missione della Protezione Civile. Pochi giorni dopo il sisma, però, in Assessorato arriva una telefonata.
Questa è la sua testimonianza di una vicenda realmente accaduta alla vigilia di Pasqua. Una “storia” i cui protagonisti sono una famiglia di emigrati sardi a L’Aquila, l’Assessore Maullu e una sua
stretta collaboratrice, Francesca Russo.
Lunedì sei aprile duemilanove. Una data che ha
segnato tragicamente il destino di migliaia di italiani e più indirettamente il nostro intero Paese. Arrivo
in ufficio, ancora un po’ assonnato, come può
accadere ad inizio settimana. Fuori, un sole pallido
e celato da una leggera foschia fa capolino tra i
palazzi che si affacciano in Via Rosellini. Ci sono
tutte le premesse per trascorrere una normale giornata di lavoro. Ma non sarà così. Incontro subito il
collega Alberto Petranzan, che mi apostrofa con
un: “Hai sentito cosa è successo in Abruzzo? C’è
stato un terremoto”. Gli rispondo: “No, non ho
sentito nulla. Vado subito sul mio computer per
saperne di più”.
Mi fiondo su Internet, digito la parola “Abruzzo” su
un noto motore di ricerca ed ecco le prime immagini, le prime notizie che mi mettono di fronte ad
un evento che fino a quel momento non avevo mai
affrontato così da vicino. In ufficio i telefoni squillano all’impazzata; le e-mail con i report tecnici si
succedono a ritmi frenetici. Intanto, la rete diffonde
scene di distruzione alle quali è impossibile rimanere freddi. Da quel momento, in Assessorato,
viviamo in uno stato di emergenza assoluta che
andrà avanti per settimane: un’allerta costante che
ci coinvolge tutti, qualunque sia il ruolo “ufficiale”
che ciascuno di noi copre all’interno della struttura. Pochi giorni dopo il sisma, proprio a ridosso di
Pasqua, la nostra segreteria riceve una telefona:
“Pronto, mi chiamo Antonio Zucca e vi sto chia-
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mando da L’Aquila”. La linea telefonica è disturbata, le parole non così ben scandite, rotte dalla forte
emozione che trapela dalla voce dell’uomo. Francesca Russo, la segretaria particolare dell’Assessore, che ha preso la telefonata, capisce subito che si
tratta di una persona che ha bisogno di aiuto. Del
nostro aiuto. Antonio Zucca è il capostipite di una
famiglia originaria di Tonara, in provincia di Nuoro. Una famiglia come tante, emigrata parecchio
tempo fa in Abruzzo dove ancora adesso vivono i
rami “cadetti” di cui Antonio è appunto la figura
più rappresentativa. In quei giorni, agli Zucca
“aquilani” si erano uniti i nonni, venuti dalla Sardegna per trascorrere con i nipoti le imminenti festività pasquali. La famiglia Zucca, però, come tutti i
cittadini del capoluogo abruzzese viene colpita dal
terremoto. Fortunatamente non conta vittime, ma i
danni subiti alla loro abitazione sono gravi. Come
il resto della popolazione, dunque, anche loro
saranno sfollati. Il primo pensiero del signor Antonio, superato lo shock, è di far ritornare in Sardegna
i parenti anziani ed i bambini. Siamo però ormai
prossimi alle festività pasquali. Ed è veramente difficile trovare posto in aereo per Cagliari. Ecco il
motivo della telefonata alla Regione Lombardia. Il
perché della richiesta di aiuto formulata all’Asses-
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sore Maullu. Il signor Zucca, infatti, aveva sentito
parlare di questo Assessore lombardo, il cui cognome evidentemente tradiva le origini sarde. “Da
Milano - spiegherà poi lo stesso signor Antonio degli amici mi consigliano di chiamare l’Assessore
regionale alla Protezione Civile, Stefano Maullu.
Me ne parlano come di una persona seria che si sta
già interessando per l’Abruzzo. Inizialmente non ci
faccio caso ma dopo innumerevoli e vani tentativi
per cercare un volo, mi decido e chiamo.” La
Regione Lombardia, oltretutto, si era già distinta
per la tempestività e la generosità dell’intervento
predisposto dalla Protezione Civile di cui, proprio
questo autorevole sardo era responsabile. Si comprende dunque il perché di questa telefonata che,
seppur così angosciosa, trova nella voce amica di
Francesca Russo una prima consolatoria risposta.
“Ai primi squilli - continua il signor Zucca - avevo il
cuore che sembrava volesse saltar fuori. Poi una
voce dolce e gentile: “Buongiorno, sono Francesca”. Con un’emozione che mai avevo provato
cerco di spiegare il problema. Lei, capito da dove
chiamo, mi dice solo una cosa: “Chiuda e risparmi
il telefono perché le servirà tanto, la richiamo io”.
Non faccio in tempo a replicare che chiude lei, ed
un attimo dopo mi richiama. Tutto questo mi emo-
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ziona ancora di più, e quasi non riesco a spiegare
cosa mi serve.” Francesca, infatti, intuisce subito
che si tratta di una vicenda umanamente sensibile.
E nonostante la linea telefonica sia disturbata, riesce a farsi dare il numero del signor Zucca suggerendogli di richiamarlo lei, ovviamente anche per
evitare a questo signore in cerca di aiuto di sobbarcarsi pure il costo di una telefonata da cellulare.
Così, messa giù la cornetta, Francesca richiama
Antonio il quale sembra quasi commosso dal fatto
che sia stato effettivamente richiamato! Questa
seconda conversazione si rivela meno disturbata.
Francesca ha così modo di farsi descrivere il problema. E, quindi, di attivarsi subito.Avvisa immediatamente l’assessore Maullu, il quale chiede di
richiamare questo signore per potergli parlare.
“Nel giro di pochissimo tempo - continua Antonio
- mi chiama l’Assessore in persona. In poche parole gli spiego il nostro problema e nel giro di pochissimo il suo staff non solo riesce a trovare il posto
per nonni, mamme e figlie ma riesce a impegnare
la Meridiana affinché ci offra il passaggio gratuitamente.” In effetti è proprio così che va. L’Assessore
ancor prima di richiamare il signor Zucca, ci dà
disposizioni per attivarci con la compagnia aerea
Meridiana affinché trovi un posto alle donne, gli
anziani e i bambini della famiglia Zucca. Ci riusciamo. Riusciamo a trovare i biglietti che Meridiana mette a disposizione gratuitamente per permettere il rimpatrio di questa famiglia. Non nascondo,
da sardo, di aver partecipato a tutta la vicenda ed al
suo felice esito con una commozione che, credo,
essere stata ancora maggiore di quella dei miei colleghi. Mi ha commosso sentire il sollievo del signor
Zucca quando Francesca gli ha comunicato gli
estremi dei biglietti: per lui è stato un segno di speranza. Il primo, forse, dopo giorni di inferno. “Credo - insiste Antonio - che la nostra storia oltre ad
aver toccato la sensibilità di un politico, abbia toccato quella di una persona, per di più sarda, per
altri sardi che neppure conosceva.” Per Antonio,
come per gli altri componenti adulti della famiglia
Zucca rimasti a L’Aquila, questo nostro tutto sommato piccolo aiuto è stato vissuto con grande sollievo. È, infatti, grazie alla sensibilità ed alla disponibilità di Stefano Maullu, un assessore della
Regione Lombardia, una “personalità” mai conosciuta prima, che la Pasqua della famiglia Zucco è
stata in qualche modo una Pasqua normale. Per
tutti noi, la più grande sorpresa nel nostro metaforico uovo di Pasqua ce l’ha data proprio il messaggio
di ringraziamento di Antonio. “Un grazie di cuore ci ha scritto Antonio - oltre che all’Assessore Maullu va a tutto il suo staff che, sia da Milano sia nel
campo di Monticchio 1 a L’Aquila, con sensibilità e
abnegazione, ha contribuito a risolvere non solo il
nostro problema, ma soprattutto ad alleviare le sofferenze di migliaia di aquilani colpiti dal sisma.”
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Emergenza terremoto.
Il problema degli approvvigionamenti alimentari
a cura della Dg Agricoltura di Regione Lombardia
La Dg Agricoltura di Regione Lombardia ha contribuito alla missione Abruzzo sin dalle prime ore dell’emergenza. Tutti i funzionari, senza esclusione di ruoli, hanno infatti messo subito a disposizione dei
colleghi della Protezione Civile il proprio tempo e la propria professionalità. La loro tempestiva mobilitazione presso le aziende e i produttori lombardi ha permesso di reperire rapidamente le scorte necessarie
al fabbisogno di viveri per la popolazione abruzzese ospitata presso i campi della Lombardia. Il loro
impegno per la missione, tuttavia, non si è fermato a questa prima fase. In seguito, infatti, la Dg Agricoltura ha anche assunto la responsabilità degli aspetti organizzativi e operativi, affidandone la gestione ad un
nucleo di operatori attivo sia sul campo sia presso la Sala Operativa regionale.
A tutti i colleghi della Dg Agricoltura che a vario titolo hanno contribuito al successo della missione va il
grazie di tutta la struttura regionale di Protezione Civile. Limiti di spazio ci impediscono di ricordarli tutti.
Ci limitiamo quindi a menzionare qui, a titolo rappresentativo, solo i componenti della squadra operativa: Enrica Gennari, Saverio Aloisio, Gloria Sainaghi, Davide Ilardo, Alessandro Pezzotta, Cesare Scolari,
Luigi Critelli, Ninetto Locatelli, Filippo Clary.
In questa nota, la descrizione delle funzioni assolte dalla Dg Agricoltura nell’ambito della Missione Abruzzo.
Coinvolta sin dalle prime ore post–terremoto la DG
Agricoltura si è immediatamente attivata, in coordinamento con la DG Protezione Civile, per esaudire la
necessità di approvvigionare di prodotti alimentari i
campi di accoglienza allestiti da Regione Lombardia.
Nel corso di una riunione coordinata, il 14 aprile, dal
Direttore Generale, Paolo Lassini, sono stati fissati i
primi incarichi operativi per la presa di contatto con le
aziende agroalimentari e le loro organizzazioni di riferimento per la messa a disposizione e l’invio dei prodotti (latte, carni, pesci conservati, vino, ortofrutta,
salumi, formaggi, sughi, succhi di frutta etc.).
L’idea era di rifornire i campi con prodotti freschi di
qualità dell’agroalimentare lombardo, sfruttando la
rete di contatti estesa e consolidata della DG Agricoltura. Tali prodotti dovevano essere forniti con cadenza
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settimanale/bisettimanale per coprire le necessità di
almeno 90 giorni, secondo una pianificazione decisa
dalla Protezione Civile.
In una lettera a firma congiunta gli Assessori all’Agricoltura ed alla Protezione Civile hanno inoltrato alle
aziende dell’agroalimentare lombardo, ai Consorzi di
produttori, alle Cooperative, alle Associazioni ed alla
rete della Grande Distribuzione Organizzata formale
richiesta di contribuire alla missione attraverso proprie
donazioni.
Contestualmente, grazie anche al coinvolgimento dei
colleghi di ERSAF, è stato istituito un “call center”
interno con il compito di contattare telefonicamente e
via mail le aziende. L’attività è stata coordinata dallo
staff del Direttore Generale ed ha visto coinvolte circa
15 unità.
La fornitura di prodotti freschi e congelati però non
sarebbe stata possibile se i campi non fossero stati
attrezzati delle strutture ricettive necessarie.
A tale scopo, sono stati allora inviati un cassone frigo
ed un autoarticolato freezer, messi a disposizione gratuitamente da ditte private lombarde del settore della
logistica che hanno anche offerto il trasporto delle derrate presso il campo base di Monticchio 1.
È stato quindi messo a disposizione (con turnazioni)
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un funzionario della DG Agricoltura presso la sala
operativa della Protezione Civile per lo smistamento e
la risposta alle offerte di aiuto pervenute direttamente
dalla ditte agroalimentari e della GDO, nonché al collegamento con i responsabili di cucina e di campo. Lo
stesso funzionario ha curato inoltre anche l’aggiornamento di un database delle consegne effettuate.
Circa 50 aziende (allevamenti, salumifici, latterie,
caseifici, macelli, centrali ortofrutticole GDO) hanno
donato prodotti alimentari di prima qualità. Si stima in
500.000 Euro il valore delle derrate sommato ai costi
di trasporto e stoccaggio.
Le consegne - 8 in tutto, distribuite nell’arco di 60
giorni - sono state gestite da un funzionario della DG
Agricoltura che si è occupato di organizzare i punti di
raccolta delle merci.
A rotazione un funzionario della DG Agricoltura è stato presente stabilmente presso il campo base di Monticchio 1, con il compito di fungere da raccordo tra le
Direzioni Generali e i responsabili di campo per il
coordinamento delle richieste di approvvigionamento
e il monitoraggio delle scorte.
I prodotti venivano consegnati a Monticchio 1, punto
di arrivo e smistamento delle derrate alimentari alle
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varie cucine; in particolare, al campo operavano due
cucine con relativi refettori, di cui una gestita dall’ANA (Associazione Nazionale Alpini) delle varie
sezioni lombarde, ed una seconda gestita dalla provincia di Brescia, mentre i campi di Monticchio 2 e
Rocca di Mezzo avevano in dotazione una sola cucina con relativo refettorio.
Una volta giunte a destinazione le derrate alimentari
venivano accuratamente inventariate per tipologia, e
stoccate negli appositi alloggi. Al fine di ottimizzare al
massimo le risorse a disposizione, la DG Agricoltura si
è impegnata anche a garantire la gestione ed il controllo della merce. Nelle primissime settimane dell’emergenza, infatti, a Monticchio 1 si era arrivati a
servire sino a circa 1200 pasti al giorno: un numero
nettamente superiore alle effettive presenze nel campo (calcolando sia gli ospiti che i volontari). Da qui, la
necessità di riorganizzare l’intera attività di refettorio e
cucina per evitare sprechi e sperpero di risorse.
Poiché tutti gli ospiti ed i volontari erano dotati di un
tesserino con codice a barre leggibile con una “pistola” laser, si è pensato allora di effettuare dei controlli
all’ingresso di ogni sala mensa, in modo da escludere
automaticamente i non aventi diritto.
I controlli si sono rivelati efficaci. Fin dal primo giorno,
infatti, il numero dei pasti somministrati si è ridotto a
869, per arrivare dopo solo 8 giorni a 722, un valore
questo che si è mantenuto stabile nel tempo, permettendo così una reale visione del fabbisogno giornaliero e dunque una notevole riduzione degli sprechi. E
sempre a tal fine, si è anche deciso di uniformare i
menu delle due cucine di campo.
Il nostro campo, giudicato a 5 stelle, ha saputo venire
incontro anche alle esigenze alimentari degli ospiti di
religione musulmana preparando pietanze non in
contrasto con il loro credo.
Il nostro impegno non si è limitato a garantire una
gestione razionale delle mense, ma si è esteso anche
alle attività di fornitura e smistamento delle derrate alimentari dai depositi di raccolta.
A tal proposito si è provveduto ad inventariare tutta la
merce presente e creare una banca dati che rilevasse
sia le entrate che le uscite dettagliando le quantità e la
destinazione nell’ambito delle 4 cucine rifornite.
L’adozione di questo metodo di monitoraggio ha
consentito di avere, in tempo reale, una visione organica dei materiali in giacenza e dei fabbisogni da
richiedere.
Superata la fase di prima emergenza, per consentire
un graduale ritorno alla normalità dell’economia locale, il Ministero degli Interni, in coordinamento con il
COM, ha disposto che gli approvvigionamenti dovessero essere effettuati dai siti locali convenzionati con
lo stesso Ministero. Al fine di garantire che il materiale
occorrente per la preparazione dei pasti fosse costantemente a disposizione delle cucine, abbiamo quindi
dovuto seguire una procedura rigorosa che prevedeva
un doppio passaggio, dapprima presso il COM per le
dovute autorizzazioni, e successivamente presso i fornitori indicati per effettuare le provviste necessarie.
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La caprese
È il 12 maggio. A Milano, la Centrale operativa della
Protezione Civile è, come sempre, in piena attività.
Dall’inizio dell’emergenza Abruzzo, la macchina
organizzativa continua a funzionare con precisione
cronometrica. Il coordinamento degli aiuti, l’allestimento dei campi, l’implementazione dei servizi,
l’ausilio dei tecnici lombardi ai campi gestiti dalle
altre regioni, il turn-over dei volontari, la logistica,
le riserve alimentari.
Nel momento in cui si svolge la storia che narriamo
qui, dunque, nelle tendopoli allestite e gestite dalla
Regione Lombardia, agli ospiti non manca proprio
nulla: dalla lavanderia alla banca, dall’ufficio
postale al parrucchiere, dalla rete wireless al dentista. Ci sono le bici ed i giocattoli per i bambini, un
emporio di abiti ed accessori donati dalle più rinomate “griffe” del made in Italy.
“Ci manca solo che ci stendano il tappeto rosso” commenta con gratitudine una delle ospiti di Monticchio 1, una maestra che in una tenda ha creato
“la scuola dell’amicizia”. E il giudizio suo non è un
mero esercizio di piaggeria, perché a Monticchio
non manca davvero nulla. È stata allestita persino la
scuola - una tenda per le elementari, una per le
medie e le superiori.
Ma tra i fiori all’occhiello del campo, è la mensa a
battere ogni record di gradimento!
Oddio, chiamarla mensa, oltre che riduttivo, risulta
francamente fuorviante.
Una mensa evoca odori, sapori e consuetudini tutt’altro che invitanti.
Cibi pre-cotti, insapore, di qualità affatto eccelsa.
Una mensa - onestamente - mette tristezza.
A mensa si va ad assumere calorie per il sostentamento quotidiano, non si va a cena o a pranzo.
Non si va, insomma, con lo stesso spirito di chi si
accinge a consumare, insieme al cibo, un tributo al
palato.
A Monticchio 1 invece è proprio all’insegna del
gusto che si celebra il rito del pasto. E la ragione di
questa bizzarra constatazione è semplice: si mangia stra-bene.
La mensa allestita dalla Protezione Civile nel primo
dei tre campi lombardi, dunque, sarebbe più
appropriato definirla “ristorante”, il ristorante Monticchio 1: un grande ristorante, che può arrivare a
servire - come ha fatto - fino a 1000 coperti al giorno, in turni di 250 “avventori” alla volta.
E per avere successo in una missione così impegnativa certamente conta l’efficienza organizzativa;
certamente è fondamentale che le consegne siano
effettuate con puntualità, che il cibo sia quello
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richiesto, ecc. ma la cosa che conta di più - per i
nostri cuochi volontari - è che gli ospiti si alzino da
tavola, satolli e soddisfatti.
E questo è quanto effettivamente è avvenuto da
subito a Monticchio 1.
Non sorprenda quindi se, nelle settimane immediatamente successive all’installazione del campo, sul
menu proposto dagli chef lombardi di Monticchio
1 figura già una selezione dei prodotti più pregiati
della gastronomia italiana.
Ora, tutto questo lo diciamo non (solo) per magnificare le virtù culinarie dei cuochi volontari lombardi. Ma per rendere chiaro di “cosa stiamo parlando”, ovvero quale sia il contesto della storia che
adesso vi raccontiamo.
È il 12 maggio, dicevamo, ovvero circa 5 settimane
dopo il sisma, 5 settimane dalla partenza degli aiuti
lombardi, 5 settimane dalla messa a regime del primo campo Monticchio 1, quando a Milano Alberto
Petranzan, l’assistente di Maullu che segue per conto dell’Assessore il lavoro della Protezione Civile in
Abruzzo, riceve una telefonata.
È il volontario Giovanni, allora in servizio al Campo di Monticchio 2.
“Alberto” - gli dice Giovanni - “qui c’è un problema: non abbiamo da mangiare”.
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A queste parole, ci manca poco che ad Alberto
venga un coccolone.
Non si era mai verificato, sino ad allora, che al
campo mancassero provviste.
Era francamente impossibile che si verificasse un
buco, in un sistema organizzativo rodato ed efficiente, come quello della Protezione Civile lombarda.
Oltretutto, le ultime consegne risultavano regolarmente effettuate. Non si erano verificati problemi di
rifornimento. Era già a regime il sistema di approviggionamento dei cibi freschi in loco. Insomma,
non c’era nessun problema.
Per questo, nella testa di Alberto, quelle parole evocano le ipotesi più allarmiste ripescate direttamente
nell’archivio immaginifico della peggiore cinematografia catastrofista - uno tsunami, un black out
elettrico, l’arrivo degli alieni.
Intanto, dall’altro capo del telefono, Giovanni continua: “Eh si, Alberto. Vorremmo fare una colletta
tra di noi.”
“Una colletta? Come una colletta? - replica allarmato Alberto (i volontari non devono sostenere
spese. Tutti i costi sono interamente gestiti dalla
Protezione Civile. Insomma, una colletta è qualcosa che proprio non esiste).
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“Eh, si - fa Giovanni - una colletta… per comprare
delle mozzarelle”.
Alberto, dalla sede della Protezione Civile regionale, al telefono con il volontario Giovanni del più
grande campo gestito dalla Protezione Civile lombarda in Abruzzo, è ormai prossimo al mancamento.
Resta in silenzio per un attimo. Un istante che - a
chi assiste alla scena - pare un’eternità. Poi si
riprende, focalizza la situazione e, sereno, chiede:
“Ma perché proprio la mozzarella?”
“Eh, si - fa l’interlocutore - mozzarella e pomodori,
perché sai, la carne…”
E qui il dialogo si fa più articolato. Quasi sensato.
Al punto che Alberto, abbandonata la dimensione
cinematografica, riprende in pugno la situazione e,
con mirabile prontezza professionale, replica:
“Ma dimmi, Giovanni, cos’ha la carne che non va?
Non sarà mica andata a male?”
“No no - lo tranquillizza l’amico volontario. È solo
che è già da qualche giorno che qui mangiamo carne, e stasera avevamo voglia di una caprese!”
“Al campo hanno voglia di una caprese” - ripete ad
alta voce Alberto, a beneficio delle sue incredule
orecchie e dei sempre più perplessi astanti (i colleghi Francesca, Francesco e Demetrio).
A quel punto, l’atmosfera da catatonica si fa dirompente. Dirompente, infatti, è lo scroscio di risa in
cui i nostri - Alberto & co - esplodono all’unisono.
Ed è tale la magnitudo di queste risa che dagli altri
uffici accorrono, preoccupati e sorpresi, i colleghi
della segreteria assessorile.
Ora, in un contesto di “normalità”, se uno al telefono ti dice che quella sera ha voglia di mangiare una
caprese invece che della carne, beh tu di certo non
provi né stupore né imbarazzo. Se all’altro capo del
filo, infatti, invece che il responsabile della cucina
di un campo della Protezione Civile incaricata di
gestire vitto, alloggio, servizi e sicurezza di una
comunità di oltre un centinaio di sfollati, vi fosse
stato un amico con degli ospiti a cena, be’, in tal
caso, di certo, quel dialogo telefonico ad Alberto
sarebbe apparso più che normale.
Ma la situazione di Monticchio 1, pur nella sua
straordinaria efficienza, non poteva certo essere
assimilata a quella di una cena privata.
Non ci si stupisca dunque se la storia della caprese
suonasse, alle orecchie del nostro dirigente e dei
suoi colleghi particolarmente sorprendente.
Passato lo stupore, tuttavia, quell’episodio ha
lasciato un segno nella memoria umana e professionale dei suoi protagonisti.
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L’affaire della caprese, infatti, non ha proprio nulla
a che fare con il sistema organizzativo della Protezione Civile lombarda, con la complessa, articolata, rigorosa macchina degli aiuti, con il sistema di
prevenzione e di assistenza, con il volontariato, la
formazione degli operatori, con il coordinamento
tecnico, ecc.
No, non è questo il “punto”. Il punto vero, semmai,
è l’umanità, quella straordinaria umanità che rappresenta la prima, forse la più preziosa, risorsa dei
nostri uomini della Protezione Civile.
È infatti nella loro capacità di riconoscere i bisogni
delle persone assistite e nella loro prontezza nel
soddisfarli, che si realizza la missione ontologica di
quanti, funzionari e volontari, tecnici ed operatori,
prestano il loro servizio per la Protezione Civile.
La loro missione è ricreare la “normalità” in una
situazione, come quella di una tendopoli, che tutto
è fuorché normale.
Una normalità che può apparire - a chi la vive dall’esterno - impossibile.
Eppure la Protezione Civile lombarda dimostra che
ricostruire la vita normale si può.
E la normalità è fatta anche di desideri, non solo di
bisogni.
Desideri di cui il cibo - il piacere che il cibo è capa-
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ce di creare - è uno dei più atavici, dei più rassicuranti e dei più umani.
È così che quel giorno, a Milano, le donne e gli
uomini dell’Assessorato alla Protezione Civile della
Regione Lombardia che da settimane vivevano in
simbiosi con i volontari ed i colleghi dislocati in
Abruzzo; quegli uomini e quelle donne che da settimane saltavano i loro pasti per garantire continuità e tempestività al loro lavoro, che da settimane
relegavano il sonno a una manciata di ore per notte, beh, quel giorno, lo staff dell’Assessore la pausa
pranzo se l’è concessa ed è stata - manco a dirlo - a
base di mozzarella, pomodoro e basilico!
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La casa con la torretta
La casa con la torretta, vista da fuori, sembra integra. La villetta, una gradevole costruzione a due
piani, si trova nel cuore di Monticchio, a pochi chilometri da L’Aquila. Risale alla fine del 700. Più
recente, invece, è la torretta, edificata attorno agli
Anni 50 del secolo scorso.
Nel suo primo sopralluogo sui luoghi del terremoto, a pochi giorni dal sisma, Stefano Maullu, Assessore regionale della Lombardia alla Protezione
Civile, viene colpito da quella casa. O meglio
ancora: viene colpito da una signora di mezza età,
già intravista al campo Monticchio 1, ferma lì
innanzi, con lo sguardo in sù.
È una situazione consueta, in verità: nei primi giorni dal cataclisma, infatti, la gente, seppur ormai al
riparo nei campi attrezzati dalla Protezione Civile,
durante il giorno va davanti alle proprie case.
Sono i giorni dei primi sopralluoghi, delle prime
verifiche di agibilità. C’è chi, più fortunato, ha
ragioni per sperare in un responso positivo. Ma c’è
anche chi davanti a sé non trova più una casa ma
solo un cumulo di macerie.
Vedere una persona ferma a sentinella di casa propria, dunque, non ha nulla di inconsueto in quei
drammatici giorni in Abruzzo.
Eppure, in quella casa ed in quella signora c’è qual-
cosa di curioso.
Così Maullu le si avvicina, discretamente.
Ed è come se la signora non aspettasse altro.
Prima ancora che l’Assessore lombardo faccia in
tempo ad aprir bocca, infatti, lei in dialetto abruzzese, senza distogliere lo sguardo dalla torretta,
esordisce:
“Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in
cenere.”
Nonostante l’idioma poco familiare, Maullu riconosce il proverbio.
Dunque sorride - un po’ sorpreso - e guarda la
signora.
Ma la signora non lo guarda e continua a tenere gli
occhi fissi alla casa.
Così anche Maullu ri-gira l’attenzione alla casa, ma
ha ancora in mente l’eco del proverbio.
Bacco, Tabacco e Venere.
Allora riguarda la signora, e poi ancora la casa finché, visto che la signora non viene spontaneamente
in suo soccorso, rompe gli indugi e osa:
“Mi perdoni, signora, ma cosa c’entra il proverbio
di Bacco?”
A questo punto, la signora distoglie lo sguardo dalla casa, anche se solo per una frazione di secondo.
Guarda Maullu negli occhi, quasi riconoscente di
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quella domanda e comincia un racconto che le
parole, da sole, non saranno in grado di restituire
alla ricchezza espressiva della sua narratrice.
E tuttavia, cercheremo di riportare al meglio l’episodio, non tanto per la storia in sé quanto per tutto
quello che la storia di questa casa racconta a proposito del vissuto dei nostri borghi, dell’intreccio di
storie dinastiche e familiari che in una stratificazione secolare si fanno depositarie della memoria del
nostro paese. Una memoria che neppure un cataclisma micidiale e distruttivo, come quello de
L’Aquila, riesce a cancellare.
“Quella casa è mia” - esordisce la signora - “ma
non mi è mai piaciuta”
“La comprò mio padre dal precedente proprietario,
quando io ero ancora una bambina”.
Il padre della signora era un contadino, all’epoca
già “benestante”. O quanto meno, era benestante
quanto bastava per potersi permettere di rilevare da
un rampollo dell’aristocrazia abruzzese la dimora
che, del casato, era una specie di simbolo.
“La casa - spiega la signora - era la residenza di villeggiatura della famiglia. Poi ci andò a stare l’erede,
questo giovin signore”
“All’inizio - continua il racconto - la torretta non
c’era. Fu lui a costruirla, per vanità.
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Proprio così - insiste - per vanità”.
A sentir la signora, infatti, questo signorotto era un
gran vanesio oltre che un inguaribile perdigiorno.
“Trascorreva il suo tempo a giocare, bere e andare
a donne, intanto che mio padre e quelli come lui
stavano sui campi a rompersi la schiena. E quella
torretta - tanto per essere chiari - la volle costruire
proprio per farsi bello nei confronti di noi popolani.
Per far vedere quanto era ricco, lui”.
Intanto che il nostro viveur se la spassava, però, in
paese c’era chi lavorava e raccoglieva i frutti della
propria fatica, invece di sperperarli all’osteria.
E con ciò costruiva un futuro di “riscatto”, per sé e
per la propria famiglia.
Per il signorotto infatti la bella vita non durò a lungo e ad un certo punto, ridotto ormai sul lastrico e
perseguitato dai creditori, dovette mettere da parte
la spocchia e vendere le sue proprietà. Casa con la
torretta compresa. Ed il bello è che dovette venderla proprio ad uno di quei paesani di cui disprezzava così tanto la volgare propensione al sacrificio: il
contadino “arricchito”, il papà della nostra narratrice. “Quando mio padre comprò la casa - racconta
la signora - io non ero per niente contenta perché
quella torretta proprio non l’ho mai potuta vedere.”
Le pur legittime rimostranze dell’allora giovanissi-
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ma figlia, però, non potevano nascondere il fatto
che l’acquisto fosse un vero affare.
Il padre della signora infatti contrattò una formula
di pagamento ingegnosa: una piccola somma in
denaro cash ed un vitalizio in “natura”, ovvero
l’impegno a rifornire il signorotto di un’adeguata
dotazione di patate vita natural durante. Proprio
così: patate a vita in cambio di un palazzetto del
700! L’impegno - sia detto per inciso - fu onorato
dall’acquirente e dai suoi discendenti sino alla
naturale estinzione di ogni dovere, ovvero alla
morte del beneficiario. Fin qui la storia, che la
signora ha raccontato così, tutta d’un fiato. In un
dialetto abruzzese rispettosamente italianizzato a
beneficio dell’ascoltatore lombardo che, presissimo dal racconto, per tutta la durata della narrazione non riusciva a distogliere lo sguardo da quella
torretta. Perché, almeno all’apparenza, la casa era
integra. In realtà l’intero immobile è stato poi classificato come “non agibile”. Ma chi può dire se,
senza quella controversa sopraelevazione posticcia, la casa avrebbe retto al sisma del 6 aprile senza
subire i danni strutturali che invece ha subito. O se,
invece, sarebbe stata colpita comunque. Certo è
che la storia narrata dalla signora una certa suggestione l’ha creata. Al punto che, in occasione di
una successiva visita al campo, Maullu cerca la
signora, animato dal desiderio di suggerirle una
chiave di lettura “positiva” all’intera vicenda, ovvero di cogliere la sciagurata occasione del terremoto
per ristrutturare la casa facendo sparire la torretta
una volta per tutte.
Un’ottima idea, certamente.
Tant’è che anche la signora, evidentemente, l’aveva
già meditata in dettaglio. Salvo però dovervi rinunciare a causa del niet della Sovrintendenza, sotto la
cui giurisdizione ricade il possedimento immobiliare in oggetto.
La casa - è infatti la sentenza dei tutori del nostro
patrimonio artistico e culturale - va tutelata e ricostruita nella sua interezza in quanto immobile di
riconosciuto pregio storico. Che piaccia o no alla
sua legittima proprietaria, dunque, la torretta resterà. E con lei resterà la fisionomia urbana di questo
paesino a pochi chilometri dal capoluogo abruzzese, e resteranno le sue storie: le storie delle famiglie
che ci vivono da generazioni. Quelle famiglie a cui
il terremoto ha portato via molto ma non la memoria. Anche quella parte della memoria che invece
qualcuno avrebbe magari voluto archiviare.
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Un “semplice volontario”
di Pino Sporchia
Giuseppe, per tutti Pino, si definiva “un semplice volontario”.
In realtà ricopriva il ruolo di Capoarea del Parco Ticino e di Coordinatore del Gruppo Comunale di Protezione Civile del Comune di Turbigo.
Il suo primo intervento di Protezione Civile risale al terremoto del Friuli, nel 1976. Nel 1979 è tra i primi
ad arruolarsi nel gruppo di volontariato del Parco Ticino.
Nel 1990 entra anche nel Gruppo Comunale di Protezione Civile di Turbigo.
Nella missione Abruzzo Pino ed il suo gruppo si impegnano senza sosta, senza riserve, con il consueto
slancio, la consueta umanità.
Pino è lì, a Monticchio, anche l’ultima settimana di settembre. Gli ultimi giorni di vita del campo. Gli ultimi giorni di una missione che lui ed i suoi volontari hanno contribuito a rendere una pagina gloriosa nella storia della Protezione Civile regionale.
Pino oggi non c’è più.
L’amico Pino. Il veterano Pino. Il volontario in servizio permanente effettivo non è più con noi.
La sua generosità, la sua allegria, la sua umanità, la sua dedizione: quelle virtù che ne hanno fatto un
esempio per le donne e gli uomini del Parco del Ticino, un esempio per tutti i volontari, un esempio per
gli operatori impegnati sul campo. Ebbene, “quel” Pino è invece vivo più che mai. Vivo nel ricordo di tutto il mondo della Protezione Civile. Nel ricordo dei colleghi, degli amici, dei compagni di squadra, la
grande squadra della Protezione Civile regionale. Vivo nei cuori di tutte quelle persone per cui Pino è stato più che un volontario. È stato un angelo salvatore.
Questa è la storia che Pino ha scritto appena qualche giorno prima di partire per la sua ultima missione.
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Lunedi 6 aprile ore 07.45 la Regione Lombardia,
tramite Lorenzo Poma ci allerta per un terremoto
in Abruzzo.
La prima cosa che ho pensato (avendo delle conoscenze in quel luoghi, ex colleghi di lavoro che mi
raccontavano della loro terra ballerina) è che deve
essere una cosa veramente brutta.
Il contributo di volontari che il Parco Ticino deve
dare alla colonna mobile regionale è di 20 uomini. Nella prima mattinata ce ne vengono richiesti
12. Alle 10.00 invece ci comunicano che dei
nostri, partiranno solo 6 volontari, con 2 automezzi dotati di gancio traino.
Dopo aver salutato vecchi amici e compagni di
altre situazioni tragiche, con Cinzio Merzagora e
tutti i referenti dei gruppi della Colonna Mobile si
tiene una conferenza stampa. OK, ci comunicano
che l’orario previsto per la partenza è le 17.00.
Fra i miei uomini c’è un po’ di malumore: perchè
aspettare le 17.00? Ma alle 15.00 arriva il contrordine: si parte subito.
Partiamo.
Finalmente siamo in autostrada e qui cominciano
i problemi: alcuni mezzi si fermano per noie al
motore. La Colonna Mobile si sfalda in vari tronconi, non ci sono collegamenti radio tra gli automezzi, dopo varie fermate all’1 si esce dall’autostrada, poco prima dell’uscita per L’Aquila.
Il problema allora è chi lasciare a casa. Sono tutti
validissimi ed esperti. Hanno già contribuito ai
soccorsi nei terremoti in Umbria e Molise, oltre
che nelle tante altre situazioni drammatiche in cui
Si passa tra paesini e si comincia a vedere case
distrutte e una lunga teoria di macchine lungo i
bordi delle strade, tutte con i vetri appannati e lì ci
rendiamo conto del problema. Nessuno per paura
Mi attacco al telefono e comincio a chiamare il
personale di pronta partenza.
Nel giro di 30 minuti trovo 12 volontari di Turbigo
che vanno in sede a prepararemezzi e materiale:
officina, cucina, tende, rimorchio estintor, gazebo
e tutto quanto può servire durante un’emergenza.
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è intervenuto il nostro corpo.
Ma la scelta ora è obbligata: la Regione chiede
volontari con patente superiore. E cosi sia. Alle
13.00 si parte, destinazione centro CRI di Legnano, punto di ammassamento della C.M. Regionale.
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dormiva in casa, tutti in auto. Era necessario fare
in fretta, montare un campo per dare, anche se in
tenda, un posto più comodo per dormire.
Fa freddo. Giungiamo al Garden, posto individuato per il Campo della Regione Lombardia. Ci
attendono Giovanni Caldiroli, Massimo Ceriani e
Alessandro Caretti, partiti il mattino, con un mezzo veloce per lo scouting.
cede all’assegnazione delle tende. Alle 23.30 tutti
i cittadini presenti erano sistemati e noi stanchi e
senza cena ci buttiamo sulle nostre brande.
Mercoledì si continua con la sistemazione del
campo, il posizionamento dei cartelli segnaletici,
la pulizia dei bagni, il piantonamento ai cancelli
d’entrata, il viaggio con un camion dell’AEM alla
volta di Avezzano, per il ritiro di materiale vario.
È desolante, ci mettiamo subito al lavoro, si monta Per fortuna arrivano tre nostri volontari che hanno
la tenda; alle 4 ci si butta stanchi sul materasso accompagnato i medici del Niguarda e portato i
per riposare qualche ora ma è impossibile perchè camion del 118.
arrivano sull’area altri uomini e mezzi della
Colonna Mobile, e giustamente anche loro devo- Dopo un brevissimo riposo ci danno una mano.
no montare le tende per un piccolo riposo.
Chiediamo a casa di mandarci il rimorchio con i
bagni e una roulotte, che verrà poi assegnata al
Alle 6.30 ci si alza: comincia un duro lavoro di parroco.
preparazione del campo e occorre fare in fretta.
Dobbiamo dare un tetto a tutti prima di notte. Per un paio di giorni siamo in tredici del nostro
Essendo in pochi sarà una giornata lunga. Alle gruppo a lavorare. Si va a prendere Alberto Petran19.45 mentre si stanno consegnando le prime ten- zan all’aeroporto e gli diamo un posto nella nostra
de arriva una scossa veramente forte, del 5.3 della tenda: con Caldiroli e Ceriani siamo in 14 in tenRichter, facendoci ballare in un modo incredibile. da e 2 nella veranda.
La popolazione spaventatissima scappava da tutte Il giorno dei funerali di stato delle vittime, due
le parti urlando. Riusciti a tranquillizzarli, si pro- nostri volontari partecipano in rappresentanza:
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torneranno nel tardo pomeriggio, distrutti nel struttura di fronte al campo, così facciamo il travedere tutte quelle bare, specialmente quelle dei sloco del magazzino. Martedì sera , il titolare di
bambini.
una ditta di estintori di Bassano del Grappa mi
telefona (come ha fatto ad avere il mio numero
Si fanno altri viaggi ad Avezzano, Pescara, Roma a non l’ho ancora capito ) e mi chiede se abbiamo
prendere altro materiale, giornalisti, l’Assessore bisogno di estintori. Dico di si e, se ci sono, anche
Maullu, l’onorevole Podestà - futuro Presidente alcuni a CO2. Mi risponde: “Ok, domani arrivo
della Provincia di Milano.
con gli estintori”.
Si portano nel paese simbolo del terremoto
“Onna” e L’Aquila. Dimenticavo, anche l’assessore Maullu la sera prima ha dormito nella nostra
tenda. Una cosa che ai volontari ha fatto molto
piacere è stato vedere l’assessore Maullu e l’Onorevole Podestà mettersi in coda con i volontari per
il pranzo.
Mercoledì pomeriggio in effetti arriva con due furgoni e mi consegna: 300 estintori in polvere, 40 al
saclon e 10 alla CO2. Il giorno dopo mando un
fax di ringraziamento a lui e al sindaco di Bassano
del Grappa. Gli estintori vengono distribuiti a
Monticchio 1 e 2: quelli che sono avanzati vengono tenuti di scorta e poi posizionati a Paganica.
Una cosa che ci ha colpiti è la forte escursione Posso assicurare che c’è stata una magnifica collatermica. Nel pomeriggio si arrivava ai 23/25 gradi, borazione con tutte le componenti della Colonna
alla sera si scendeva ai 7/8 e di notte a 0/-2.
Mobile Regionale, con il Comune di Milano e i
gruppi di Protezione Civile della Provincia di
Il mercoledì visto che comincia ad arrivare vestia- Milano.
rio vario, scarpe, pannolini, materiale per igiene
intima ecc. si comincia a fare anche magazzino in
alcune tende, ma in un attimo sono piene.
Caldiroli riesce ad ottenere l’utilizzo della tenso-
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La squadra della luce
di Alessandro Caretti
Sono le 3 e mezza di notte del 6 aprile quando sul cellulare di Alessandro arriva il primo SMS di allerta
dalla centrale operativa della Protezione Civile lombarda.
Alle 10.30, il nostro uomo è in via Rosellini per il primo briefing con il suo capo, Luigi Bossi, il vertice
della Regione ed i responsabili della Colonna Mobile.
Tre ore dopo, la partenza.
Alessandro Caretti, volontario di Protezione Civile di AEM/A2A è - con Giovanni Caldiroli e Cristiano
Cozzi - il primo a lasciare la Lombardia. Destinazione: caserma della Guardia di Finanza de L’Aquila.
La sua missione comincia così, con una Milano-L’Aquila in 5 ore 5 ed una sosta in autogrill a base di salamelle congelate.
Dal 6 aprile, Alessandro è, per tutti, “l’uomo della luce.”
Questa è la sua storia.
Alle prime ore del mattino del 6 aprile, le notizie da
L’Aquila sono ancora parziali.
La nostra partenza viene decisa in tempo reale, quando dal Dipartimento giunge un quadro sufficientemente chiaro dell’entità dell’emergenza.
Una pattuglia della Polizia Locale ci scorta attraverso
la città, sino all’ingresso in autostrada. Superato il
casello, tariamo il navigatore sulla rotta L’Aquila. Non
sappiamo cosa troveremo. Sappiamo però di dover
raggiungere al più presto la Dicomac, sede del Dipartimento sui luoghi del sisma. E sappiamo che la Dico-
mac è insediata nella caserma della Finanza.
Arriviamo a L’Aquila nel primo pomeriggio. Attraversiamo la città.
Le macerie. Le sirene. I mezzi di soccorso. Le auto
della polizia, dei vigili, le ambulanze.
E poi la gente. Gente che carica l’auto di bagagli.
Gente che vaga caoticamente in una città che appare
meno distrutta di quello che - ci renderemo conto
dopo - è in realtà.
Ci dirigiamo verso la caserma della Finanza. Ma è la
caserma sbagliata.
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Cerchiamo indicazioni. Le troviamo. La Dicomac è
alla scuola della Guardia di Finanza, a Coppito. Ci
arriviamo. Entriamo. La palestra non è più una palestra. È una sala operativa in fibrillazione. Il nostro
referente è il tavolo “regioni”.
Ci chiedono chi siamo, cosa portiamo. Ci registrano.
Registrano le potenzialità della nostra Colonna Mobile. Una potenzialità classificata come “importante”.
Ci indirizzano al Com 1.
Il Com 1, ovvero “l’ente locale” del Dipartimento
deputato al governo dell’area terremotata de L’Aquila
e delle frazioni limitrofe, è fisicamente ubicato in una
vecchia scuola. Lo presidiano due funzionari del
Dipartimento. Nostre vecchie conoscenze. Non perdiamo tempo in formalità. Hanno già individuato un
paio di aree funzionali all’allestimento del campo di
cui dovremo occuparci noi.
Ci presentano un dipendente dell’ufficio tecnico del
Comune de L’Aquila e, con lui, ci rechiamo sulla prima area della lista: il cinema Garden, un multisala in
zona Monticchio.
Arriviamo. L’insegna è illuminata. Il parcheggio pieno
zeppo di macchine. E dentro le macchine, gli sfollati.
Il proprietario del cinema è arrivato lì subito dopo il
terremoto. Ha aperto lui il cancello del parcheggio.
L’ha illuminato ed ha fatto entrare la gente, i concitta-
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dini accorsi lì, come lui, in cerca di riparo, alla larga
dagli edifici.
È buio, quando arriviamo noi. È ormai quasi mezzanotte.
Il nostro primo compito è ingrato. Dobbiamo sgomberare l’area e predisporla all’arrivo della Colonna
Mobile, attesa ormai nell’arco di poche ore.
Con Giovanni e Cristiano, mi metto a bussare al finestrino delle auto. Una per una. Spieghiamo loro perché li “cacciamo”.
“Non vi cacciamo”, cerchiamo di persuaderli.
“Vi chiediamo solo di spostarvi di pochi metri”.
Pochi metri fuori dal recinto, in un’area antistante il
parcheggio e che a breve diverrà a sua volta un parcheggio.
Una mobilitazione, questa, dolorosa ma necessaria
per allestire il campo che in poche ore darà loro un
riparo più confortevole dell’abitacolo dell’auto.
Nessuno fa problemi. Quasi nessuno. Alcuni ci offrono addirittura da mangiare: un pezzo di formaggio,
persino della pasta confezionata in vaschette sottovuoto, come quelle che si trovano a mensa.
Non ci chiediamo come le abbiano avute. In quei
momenti, quello che succedeva era incredibile. La
solidarietà. La generosità. L’umanità.
Sgomberata l’area, in attesa della Colonna Mobile,
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facciamo un sopralluogo tecnico dell’area. Individuiamo gli allacci, la rete fognaria. C’è una fossa
biologica. L’impianto elettrico, quello del cinema, è
utilizzabile. Servirà un intervento tecnico. Ma è
funzionale.
Piove quella notte. E fa freddo.
Arriva la Colonna Mobile.
I mezzi di A2A sono 9: 1 camion con rimorchio, per i
materiali elettrici e idraulici; 2 furgoni, rispettivamente destinati agli interventi elettrici e idraulici; 1 mezzo
per gli interventi in alta tensione e 5 furgoni con i
materiali logistici e le attrezzature dei tecnici, una
squadra composta in tutto di 19 volontari.
Ci mettiamo subito al lavoro. Seguendo un ordine di
priorità che non si fatica a comprendere: i servizi primari, innanzitutto, dunque cucina, servizi igienici.
Il campo cresce così, di tenda in tenda. Di servizio in
servizio. E poi di accessorio in accessorio.
La prima sera le tende saranno al buio. Il giorno dopo
avranno la luce. Quello dopo ancora le stufe. Il quarto giorno al campo ci sono i servizi generali, lavanderia compresa. Il resto segue a ruota: il servizio postale,
la cappella…
A Monticchio c’è un altro campo da attrezzare. Lo
chiameremo Monticchio 2. È, in linea d’area, a
poche centinaia di metri dal Garden.
È nato spontaneamente, come assembramento di
tende “private” montate dagli stessi residenti del
quartiere prospiciente il campo di calcio. Le loro
case, in gran parte palazzine di recente costruzione,
sono gravemente danneggiate.
Loro hanno ricostruito il quartiere, ma in tenda. I servizi in uso sono gli spogliatoi del campo. Insufficienti,
almeno per un soggiorno che si annuncia ormai prolungato.
Con la mia squadra, ricreiamo a Monticchio 2 le reti
idriche ed elettriche necessarie per i servizi - cucina,
toilettes, segreteria… - che gli altri gruppi di Protezione Civile lombarda si accingono ad installare.
Poi, dalla Dicomac arriva la richiesta di impiegare le
squadre di AEM/A2A al servizio degli altri campi. Siamo tutti disponibili.
Ma possiamo farlo? Si, possiamo. E possiamo perché
a Milano, in Sala Operativa, c’è il Presidente Bossi
che coordina i lavori, reperisce i materiali, risolve i
problemi irrisolvibili. Non so come faccia. Ma so
che lo fa. Per noi che siamo giù, è difficile renderci
conto delle difficoltà che uno come Bossi, ovvero
uno che l’emergenza la sta gestendo dalla Sala Operativa di Milano, può incontrare per rispondere alle
nostre richieste. Che sono sempre perentorie, urgenti, tassative.
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Non mi rendo conto di quanto straordinario sia il suo
lavoro. Non me ne rendo conto almeno fino a quando io stesso mi trovo, da Capo campo, a smazzare
problemi su problemi. Problemi di ogni tipo.
Compreso quello dei servizi igienici di Monticchio 2,
intasati a causa di una omissione da parte della locale
ditta incaricata dello spurgo.
Un incidente come tanti. Uno di quegli inconvenienti che, come spesso avviene, ti sorprende nel cuore
della notte. Uno di quegli inconvenienti che non può
attendere la mattina dopo per essere superato. E così
il Capo campo - ovvero io - va a svegliare un paio di
volontari e il funzionario della Regione che, nella fattispecie, è anche il Responsabile della Sala Operativa
della Protezione Civile lombarda, Domenico De Vita.
“C’è un’emergenza” gli dico.
“A Monticchio 2 sono…nella merda!”
“Ok” mi fa De Vita “Andiamo a spalarla!”
La situazione si presta all’ironia. E dunque, di battuta
triviale in battuta triviale, ci ritroviamo io, Domenico,
Cristiano Cozzi ed un paio di altri volontari a caricare 5 bagni chimici su un furgone e trasportarli, nel
cuore della notte, al campo-fratello di Monticchio 2
dove ad attenderci è Corinne, la giovane e dolcissima
Capo campo.
Gli ospiti del campo non si accorgono di nulla. Salvo
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trovare l’indomani mattina, dei box per i servizi igienici meno accoglienti del solito, ma funzionali, almeno per tamponare l’emergenza.
Quella mattina, invece, per noi è business as usual.
Abbiamo ormai un nostro uomo fisso alla Dicomac.
È lui che fa da interfaccia tra il Dipartimento e le
nostre squadre, per il coordinamento dei lavori in tutti gli altri campi in cui è richiesto il nostro intervento
tecnico.
In sostanza, si tratta di creare reti elettriche capaci di
illuminare le tende, fornire stufe adeguate, ripristinare
impianti danneggiati. Interventi non sempre complessi ma sempre capaci di dare un po’ di sollievo alla
gente dei campi.
È un lavoro che facciamo senza sosta. Senza limiti di
orario. Nessuno dei volontari sente la fatica. E se la
sente, la tiene dentro. In gran parte, a ripagarci è il
volto di quelle persone per cui persino un gesto piccolo piccolo, come rendere funzionale il riscaldamento, può far la differenza.
Non ho mai sentito un solo volontario lamentarsi.
Non ho mai sentito nessuno obiettare sui ritmi bellici
a cui, spesso, ci sottoponiamo. Noi come tutti gli altri
volontari, come tutti gli altri operatori, i funzionari
della Regione, i ragazzi della Cattolica, i responsabili
dei nuclei di Protezione Civili delle Province e dei
Comuni lombardi, gli uomini del Dipartimento…Tutti - indistintamente - coinvolti al massimo qualunque
sia il ruolo svolto sul campo.
Questo è l’insegnamento più prezioso che l’Abruzzo
mi ha regalato.
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Gli alpini per la Protezione Civile
di Marco Lampugnani
In Protezione civile dal 1987, Marco è coordinatore regionale di ANA, Associazione Nazionale Alpini, e
responsabile della logistica della Colonna Mobile della Protezione Civile lombarda.
Sono le 6 del 6 aprile quando apprende dal Tg la notizia del terremoto che nella notte ha colpito
l’Abruzzo.
Pochi minuti dopo è già in macchina, direzione Milano, via Rosellini, sede della Centrale Operativa.
Il suo racconto comincia qui.
Arrivo in sala operativa verso le 8.
Domenico De Vita, responsabile della Sala è già
lì. Con lui, una quindicina di persone. Tra loro i
responsabili della Colonna Mobile.
Facciamo un primissimo briefing ma le notizie
che ci giungono dal Dipartimento sono ancora
troppo frammentate perché si possa procedere ad
un’immediata pianificazione operativa.
Restiamo in attesa di istruzioni. Intanto ciascuno
di noi si mobilita per allertare i principali referenti
delle rispettive associazioni.
Non avendo ancora input dal Dipartimento, mi
limito a chiamare i responsabili degli autisti, affinché a loro volta sentano chi tra i volontari dotati
della patente adatta a guidare i mezzi pesanti, sia
disponibile a partire subito.
Con loro faccio una preventiva valutazione del
calibro della nostra mobilitazione: individuare le
risorse, le competenze e le attrezzature più adatte.
In breve, c’è da progettare la fase 1 della missione.
Intanto, verso le 11, parte la macchina di scouting
con a bordo Giovanni Caldiroli, per la Regione
Lombardia, Alessandro Caretti di A2A, e Cristiano
Cozzi del 118.
Più o meno a quell’ora arriva l’OK del Dipartimento all’invio della nostra Colonna Mobile.
Trasmetto la notizia ai miei uomini - i coordinatori degli autisti e il responsabile del magazzino - e
do loro appuntamento alle 14, al deposito centrale di ANA, a Cassago Magnago.
Prima di arrivare alla sede, passo da casa. Devo
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preparare il bagaglio personale. La mia sacca delle emergenze è già pronta. Ma quanto durerà la
missione? Un paio di giorni, una settimana, un
mese? Mi preparo al peggio. Abbigliamento “tecnico” da freddo ed equipaggiamento da lavoro in
condizioni estreme.
Idem per l’attrezzatura. Le strade, le reti elettriche
e di telecomunicazioni, potrebbe essere tutto
distrutto.
Sono queste le considerazioni che trasmetto
anche ai miei uomini: “attrezziamoci al peggio”.
Ed il peggio significa predisporre i mezzi con
macchinari, scorte di viveri e stoviglie ma anche
con un generatore, delle torce, delle coperte, i
container con i servizi igienici mobili…
ducente. Meglio scaglionare le partenze. Partire
dunque con una prima squadra di emergenza che,
una volta sul posto, possa organizzare le partenze
successive, coordinando l’invio di uomini, mezzi
e attrezzature secondo le esigenze reali.
Con questo criterio allestiamo i mezzi e ci prepariamo alla partenza.
La mia Colonna lascia Cassago Magnago verso le
17. Siamo in 25, su 9 mezzi tra cui un paio di Scania. Il carico è consistente: portiamo con noi una
cucina mobile, il refettorio, la cella frigorifera, i
servizi.
Lungo la strada, ci imbattiamo nella Colonna
mobile della Regione Lombardia, partita poco prima di noi. Procediamo lentamente. La Colonna
dei mezzi è lunga. Il buio, ormai, via via più fitto.
Man mano che ci avviciniamo - è ormai notte fonda - il traffico si fa sempre più rado. La nostra
Colonna procede come un serpentone gigante. I
mezzi hanno i lampeggianti accesi. L’immagine di
quei mezzi riflessa sul mio specchietto retrovisore
è suggestiva.
Non sappiamo cosa ci aspetta. Sappiamo solo che
sul campo potremmo trovare il nulla.
Il nostro obiettivo è riuscire a prestare soccorso
nel tempo più breve, a tutta la popolazione che è
possibile soccorrere. E per questo, più che la buona volontà serve organizzazione. La migliore
organizzazione possibile.
In questo senso, non avendo ancora un quadro
chiaro della realtà sul campo, arrivar giù con
squadre troppo numerose può rivelarsi contropro- A pochi chilometri dall’Aquila, all’altezza di
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Assergi, ci imbattiamo in un blocco. La strada è
stata chiusa in via precauzionale dalla Polizia
Stradale, in attesa di verificarne l’agibilità.
Siamo costretti quindi ad uscire dall’autostrada e
proseguire passando attraverso il “canyon” di
Scoppaturo. Una strada impervia, buia, stretta tra
due pareti rocciose dalle quali il terremoto ha fatto staccare dei massi che adesso giacciono lungo
l’asfalto: un monito inquietante del pericolo che
potremmo correre tutti noi.
Lo scenario è spettrale.
Con il mio mezzo mi metto in cima alla Colonna.
Sono io a far da guida.
Procedo piano. Non senza preoccupazione. Il terremoto, devastante, è avvenuto poco meno di 24
ore prima. Le scosse di “assestamento” sono continue. Tra me e me penso: “E se arrivasse qui, ora,
una nuova scossa?”.
Per fortuna, non succede.
Arriviamo sani e salvi a Paganica, la frazione del
capoluogo più prossima alla nostra destinazione.
In strada c’è un silenzio paralizzante. Attorno a
noi macerie, rovine, distruzione.
Incontriamo pochi mezzi di soccorso, per lo più
Vigili del Fuoco e Polizia.
Seguiamo le indicazioni per Monticchio. Il nostro
punto di riferimento è il cinema Garden. Lo vediamo: l’insegna è ancora illuminata.
Arriviamo al parcheggio - l’area del campo individuata dalla Regione Lombardia - che sono le tre e
mezza di notte.
All’esterno dell’area recintata c’è un centinaio di
auto parcheggiate. Attraverso i vetri si intravede
della gente. Sono gli sfollati. Si sono rifugiati in
macchina, cercando riparo nell’area antistante il
parcheggio del cinema. Un’area sicura perché,
appunto, lontana da costruzioni.
Caldiroli, Caretti e Cozzi, insieme ai primi gruppi
di volontari arrivati via via dalla Lombardia sono
già lì. Sono anche già state montate alcune tende.
In attesa del nostro arrivo, hanno già tracciato in
linea di massima la “planimetria” del campo.
Un campo non si tira su come se si trattasse di
piantare 4 tende in un campeggio. Va innanzitutto
disegnato, come fosse una città. Vanno tracciate le
strade, le ubicazioni dei servizi, circoscritti gli
spazi tra le tende perché possano passarvi i mezzi.
Vanno realizzate le linee elettriche - senza le quali sarebbe impossibile installare i servizi, a cominciare dalla cucina, le celle frigorifere, ecc.
Un lavoro, questo, che imporrebbe del tempo. Tem-
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po che, nella primissima emergenza, non c’era.
Monticchio 1, il primo campo allestito da Regione
Lombardia, è nato per dare riparo ad una popolazione bisognosa di un riparo immediato. Gente
bisognosa di assistenza, sanitaria ed umana. Gente che nel volgere di qualche minuto ha perduto
tutto.
A questa gente era necessario dare soccorso. E
darlo subito.
Monticchio 1 nasce così.
E quando ripenso al senso di gratitudine da parte
di quella gente nei confronti di noi operatori della
Protezione Civile - senza distinzione tra professionisti e volontari - beh quel pensiero è sufficiente
per ripagarmi, per ripagare tutti i miei uomini
degli sforzi compiuti, della fatica sopportata, dei
ritmi di lavoro ai limiti della umana sopportazione. Si, a ripagare tutti noi volontari basta il ricordo
di quei volti, del sollievo espresso con lo sguardo
più che con le parole, davanti ad un banale pasto,
un pasto frugale ma caldo che, in quelle prime
drammatiche ore, poteva risultare quanto di più
prezioso potesse esserci.
Ma torniamo ai fatti.
Quando arriviamo noi della Colonna Mobile, le
squadre di volontari ci vengono incontro.
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Ciascuna di loro viene ordinatamente smistata
verso i diversi settori della Colonna nella quale c’è
il grosso delle “strutture” e delle “infrastrutture”
necessarie all’allestimento del campo. A ciascuna
di loro viene assegnato un compito.
C’è la squadra che procede al montaggio delle
tende, quella dei tecnici che lavora agli allacciamenti degli impianti elettrici e sanitari. E ci siamo
noi alpini. Il nostro compito a Monticchio 1 è la
gestione della cucina mobile.
Abbiamo un generatore. Abbiamo stoviglie per un
migliaio di persone. Abbiamo viveri per un ristoro
immediato.
Non sentiamo la stanchezza del viaggio. Non sentiamo neppure il freddo tagliente della notte aquilana. Ci mettiamo subito a lavoro.
Sono le 7 del mattino, ovvero meno di quattro ore
dopo il nostro arrivo, quando cominciano ad arrivare i primi sfollati rimasti, sino ad allora, al riparo
in macchina. Quella gente - sconvolta dal terremoto - è all’addiaccio da ormai 24 ore. Sono provati. Serviamo loro bevande calde - caffé, the, latte. E via via la fila si allunga. Ci rendiamo subito
conto che le derrate che abbiamo con noi non
possono bastare.
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I volontari, spontaneamente, non esitano a tirar
fuori dagli zaini il cibo portato per sé. Biscotti,
qualche frutto, dei succhi, del pane. Tutto quello
che in fretta erano riusciti a mettere insieme prima
di partire.
Ma visto il numero di persone da soccorrere, è
necessario trovare dell’altro cibo.
Così, mentre la squadra finisce di montare la cucina, il responsabile dell’approvvigionamento si
mette in cerca di un posto dove acquistare viveri.
Ma trovare un supermercato aperto in zona, il
giorno dopo il sisma, non è impresa facile.
Tuttavia, qualcosa si riesce a recuperare. Ed è così
che a mezzogiorno riusciamo a preparare un
pasto - un piatto di pasta - per circa 300 persone.
Intanto, tuttavia, al Garden il numero di auto
aumenta visibilmente. Arriva nuova gente durante
tutta la giornata. Tanta gente. Noi stessi non ne
abbiamo contezza, almeno fino a sera quando
alla tenda-mensa si presentano oltre mille persone. È solo allora che ci rendiamo davvero conto
delle dimensioni dell’emergenza.
La cosa importante è che, anche quella prima
sera, riusciamo ad offrire un pasto caldo a tutti.
E se questo è stato possibile lo si deve, oltre che
alla straordinaria prontezza dei miei volontari,
alla dedizione dei rappresentanti della Regione e
dei tanti operatori impegnati a vario titolo nell’assistenza, anche ad un altro fatto straordinario: gli
aiuti che per tutta la giornata hanno continuato ad
arrivare.
Mentre il campo veniva allestito, in quelle prime
ore del 7 aprile, mentre si montavano le tende, si
installavano i servizi igienici, si costruiva il refettorio, lì nell’area dell’ex Garden continuavano,
infatti, a giungere furgoni interamente carichi di
generi alimentari. Furgoni partiti da tutta Italia,
sulla scorta dell’emozione suscitata dalla notizia.
Furgoni arrivati sui campi grazie alla mobilitazione straordinariamente tempestiva di aziende ed
associazioni dell’intero paese. Tra questi, un tir-frigo inviato da una nota azienda nazionale di salumi che ha messo a disposizione della nostra Protezione Civile non solo il mezzo ma anche il suo
contenuto.
Sin dalle prime ore, e per diverse settimane, hanno continuato a pervenire offerte da parte di
migliaia di donatori. È solo grazie alla capacità
organizzativa ed alla professionalità degli uomini
della Protezione Civile della Regione Lombardia
se si è riusciti a razionalizzare gli invii degli aiuti
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ai campi, evitando sprechi che in una situazione
emergenziale di portata così devastante sarebbe
stato facile registrare. E sempre alla competenza dei
responsabili del coordinamento, ovvero alla Sala
Operativa, si deve la capacità di rispondere e soddisfare con magistrale tempestività e prontezza alle
esigenze che noi volontari, da quel mondo “a parte” che sono i campi, continuavamo a mandare.
particolare: il sistema di Protezione Civile lombardo è una realtà esemplare. Lo è dal punto di vista
organizzativo, professionale e tecnico. Ma lo è
anche grazie alla straordinaria capacità di coinvolgere e mobilitare decine di associazioni di
volontari su tutto il territorio regionale. Sono
orgoglioso di farne parte. E sono orgoglioso dei
miei volontari, per la generosità, la serietà, la professionalità con cui hanno contribuito a sollevare
Nella mia pur lunga esperienza al servizio della dal dramma le popolazioni d’Abruzzo.
Protezione Civile non mi era mai capitato di dover
affrontare un’emergenza di così vaste proporzioni. Non mi era mai successo di dover fare i conti,
oltre che con il soccorso immediato, anche con la
gestione del postcrisi. Non mi era mai capitato di
dover mantenere in allerta i miei volontari per un
periodo continuativo di sei mesi.
L’Abruzzo è per me - per tutti noi volontari e operatori professionali - una “prima volta”. E la prima
volta è sempre una prova. Una prova, questa, particolarmente dura, umanamente e tecnicamente
dura.
Ne faremo tesoro. Ne abbiamo, in parte, già tratto
molte significative lezioni. E tra queste, una in
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Le telecomunicazioni in emergenza
di Bruno Laverone
Con i suoi venticinque anni di volontariato alle spalle, Bruno Laverone è un veterano di FIR-CB Lombardia di cui, dal 2000, è Presidente.
La Federazione Italiana Ricetrasmissioni - Citizens’s Band fa parte della Colonna Mobile di Protezione
Civile Lombardia con il compito di gestire le telecomunicazioni sul territorio in situazioni di emergenza.
In Abruzzo, i volontari di FIR-CB Lombardia hanno installato le infrastrutture di TLC delle aeree di accoglienza predisposte da Regione Lombardia e gestito le attività di segreteria di campo.
Bruno arriva a Monticchio la notte tra il 6 e il 7 aprile, con la prima Colonna Mobile lombarda.
Questa è la sua storia.
La notizia del terremoto la ricevo alle 7 del mattino del 6 aprile da fonti del Dipartimento della Protezione Civile nazionale. Mi metto in contatto con
Regione Lombardia e Domenico De Vita, responsabile della Sala Operativa mi conferma la notizia.
Si tratta di un’emergenza grave. Su questo non ci
sono dubbi. Non si hanno ancora indicazioni precise. Non si hanno ancora i dettagli della missione
per la quale la nostra Protezione Civile è già in stato di allerta e soprattutto non si ha ancora un OK
alla nostra partenza.
sa la convergenza dei mezzi della Colonna Mobile al CPE, il Centro Polifunzionale Emergenze di
Legnano.
Nel frattempo mi metto in contatto con sei miei
colleghi volontari, selezionati sulla base delle specifiche competenze operative. Dico loro di ritirare
dal rimessaggio 4 mezzi operativi - sempre pronti
a partire - e di convergere al più presto a Legnano.
I 6 partono da mezza Lombardia, dalle province di
Milano, Lodi e Pavia.
Alle 12 siamo tutti là.
Alle 9 una nuova telefonata dalla Regione: questa Dei quattro mezzi, uno trasporta le attrezzature
volta è Dario Besola che mi dice che è stata deci- per la segreteria, computer, stampanti, supporti
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informatici, materiale di consumo, ecc. Il secondo
quelle per le radiocomunicazioni con anche una
trentina di radio portatili.
Il terzo mezzo è attrezzato per la nostra logistica,
con due tende da campo “accessoriate” per il ricovero dei volontari.
Il quarto mezzo è un fuoristrada per gli spostamenti in loco.
Verso le 15.00 la Colonna Mobile è al completo.
In totale si compone di una ventina di mezzi. Alle
15.30 lasciamo Legnano. Arriveremo a Monticchio
esattamente 12 ore dopo, alle 3 della notte tra il 6
e il 7 aprile.
Il viaggio non è semplice. Alla tensione per la missione che ci attende, si aggiungono alcuni inconvenienti tecnici ai mezzi che rallentano la già non
velocissima marcia verso la meta.
Ma arriviamo al Garden sani e salvi. Ed è solo allora che la nostra missione parte davvero.
della segreteria.
Alle 7 del mattino è tutto pronto.
Ma pronto per cosa?
Ci sono circa 500 persone da alloggiare. 500 persone che, da due notti, dormono all’addiaccio.
Non c’è tempo per operazioni di registrazione
complesse. Ci limitiamo a prendere i nomi e registrare la tenda cui vengono destinati, avendo cura,
naturalmente, di rispondere il più possibile alle
esigenze dei singoli e dei nuclei familiari. In questo momento la priorità è trovare un ricovero e un
pasto caldo per questi infelici reduci da una dramma che li segnerà per sempre. Di tutto ciò si occupano egregiamente i colleghi delle altre funzioni:
mensa, sanità, logistica, servizi tecnologici.
Solo dal secondo giorno, cominceremo le operazioni anagrafiche vere e proprie.
Per prima cosa, registriamo i volontari e diamo
loro un badge di riconoscimento. Poi, via via procediamo con gli ospiti.
Ci mettiamo subito a lavoro.
I primissimi giorni sono i più difficili, soprattutto
Innanzitutto, montiamo la tenda per il pernotta- dal punto di vista umano.
mento. Un’operazione che non ci impegna più di
un’ora.
La segreteria è la principale fonte di informazioni
Immediatamente dopo cominciamo l’allestimento cui gli sfollati hanno accesso.
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In quei giorni, si sta ancora scavando tra le macerie.
C’è una ragazza che per due giorni continua a
venir lì da noi, in segreteria: chiede notizie di
un’amica di cui non sa più niente e per la quale
teme il peggio. Più o meno ogni mezz’ora, la
ragazza torna e ci chiede di consultare nuovamente l’elenco delle vittime, progressivamente aggiornato dal Dipartimento e reso disponibile online
per la consultazione.
no riappropriarsi di un po’ della loro “normalità”.
Presto, la segreteria diventa il terminale della vita
civile di quella piccola comunità che è il campo.
Sono tanti e tali i problemi, piccoli e grandi, che
dobbiamo affrontare! Così tante e varie le situazioni individuali e collettive cui dobbiamo dare una
risposta, supportati dai funzionari di Regione Lombardia che coordinano le operazioni. Non posso
che limitarmi a ricordarne qualcuna. Non necessaMa il nome dell’amica della nostra ragazza non riamente le più complesse. Solo quelle che più mi
compare. È così per almeno 24 ore. Finché quel sono rimaste impresse.
nome ad un certo punto appare. Ed il dolore, in
quel momento, invade la segreteria, assale tutti Tra queste, il ponte-radio fornito alla Polizia Locanoi. Un dolore straziante. Un dolore che porto le de L’Aquila ed il soccorso “a domicilio” delle
ancora dentro di me.
decine di sfollati disseminati nel vasto territorio
del capoluogo. Si tratta in gran parte di gente che
Nei giorni successivi, alle attività anagrafiche si viveva in casolari di campagna, lontani dai centri
aggiungono le funzioni operative più tecniche. Tra abitati.
queste, la predisposizione di una connessione
wireless, fruibile liberamente in tutta l’area di Gente che non intendeva abbandonare la campaMonticchio 1.
gna perché questo avrebbe significato condannare
È appena il secondo giorno dall’installazione del i loro animali, galline, per lo più. A tutta questa
campo. Eppure è sufficiente questo piccolo “mira- gente la Colonna Mobile di Regione Lombardia
colo” per ridare un po’ di gioia agli sfollati, soprat- fornisce una tenda da campo dove sistemarsi,
tutto ai più giovani che, grazie ad Internet, posso- provvediamo a portare loro il cibo ed a rifornirli
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della “pappa” per le loro bestie. Impresa, questa,
tutt’altro che banale in un territorio devastato,
dove gli esercizi commerciali aperti si contano sulle dita di una mano. Eppure riusciamo a trovare
persino del mangime per galline, un bene tanto
raro quanto prezioso per i tanti contadini-terremotati della zona.
A maggio, ad esempio, in previsione delle elezioni
europee di giugno si è posto il problema della registrazione dei residenti al campo per il recapito del
certificato elettorale. Per poter fornire agli aventi
diritto il documento necessario all’espletamento
del voto, infatti, il Comune de L’Aquila aveva bisogno di avere un recapito della nuova residenza dei
suoi cittadini. E per fare ciò era necessario censire
E che dire della signora anziana, claudicante, ospi- ufficialmente i residenti del campo.
tata al campo che nella fuga non aveva avuto
modo di prendere con sé la stampella che le per- Ancor prima di quel censimento pre-elettorale, ci
metteva di deambulare?
viene chiesto di censire gli aventi diritto ad un
Bisognava trovarle un nuovo bastone. E grazie al posto negli alberghi della costa, requisiti dal
coordinamento ed alla dedizione di tutti riusciamo Dipartimento per offrire agli sfollati una sistemaa ridare a quella povera donna la possibilità di zione più confortevole della tenda. Anche qui, si
muoversi in libertà.
tratta di imbastire delle pratiche, verificare i requiEcco, è questo il tenore delle richieste - tutte legitti- siti dei richiedenti, trasmettere la documentazione
me - che in quei primissimi giorni vengono sotto- al COM e dunque registrarne l’esito.
poste alla segreteria. Ed è quello il nostro compito,
in quei giorni.
E poi, di censimento in censimento, si è giunti
all’ultimo, quello richiesto dal Dipartimento per
Nelle settimane successive, dall’emergenza si pas- verificare il numero di sfollati in grado, dal 6 setsa via via ad una progressiva normalizzazione delle tembre, di riprendere possesso della propria abitanostre attività. In gran parte, servizi amministrativi. zione. Le persone interessate, in questo caso, sono
Si pensi al censimento - non so più quanti ne siano quelle la cui abitazione ha ottenuto la certificaziostati fatti nel corso di quei sei mesi!
ne di agibilità, ovvero l’inclusione nella fascia A.
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Un’operazione non così banale come potrebbe
apparire dal momento che, a causa di alcuni ricorsi, le verifiche sugli stabili vanno avanti ancora
durante tutto il mese di agosto e per parte del mese
di settembre.
Al momento in cui scrivo, i campi sono in via di
dismissione. Gli sfollati si accingono progressivamente a rientrare nelle proprie case, a prender possesso di uno degli alloggi costruiti dopo il sisma
con il progetto C.A.S.E. o a trasferirsi in un riparo,
temporaneo, ma più confortevole della tenda.
Molti di loro hanno sostenuto 3, 4 e anche 5 turni. Alcuni hanno totalizzato anche 80 giorni di
servizio
Sono loro, i volontari di FIR-CB, che mi riempiono
di orgoglio e gratitudine.
Questa storia - la mia storia - è la loro storia.
A tutti loro, dico solo una cosa: grazie. Anche se
sono certo che non vogliono essere ringraziati. La
loro vera gratificazione, infatti, non è il mio “grazie” ma la convinzione di essere stati utili.
La segreteria sarà l’ultimo avamposto del campo.
Le funzioni amministrative andranno avanti anche
dopo che l’ultimo ospite avrà trovato sistemazione
altrove.
I miei volontari, dunque, saranno tra gli ultimi a
poter definire la missione Abruzzo “compiuta”.
Va a loro il mio pensiero. Ai miei 21 uomini - siamo in realtà 22 “colleghi” e tra noi non si bada
troppo alle gerarchie! - che dal 6 aprile hanno prestato servizio nell’operazione di soccorso coordinata dalla Protezione Civile lombarda.
Molti di loro hanno sopportato ritmi massacranti.
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Anpas Lombardia per l’Abruzzo
di Battista Santus
Battista Santus, volontario dal 1978, è Vice Presidente vicario di Anpas Lombardia e da sei anni è il
Responsabile del settore di Protezione Civile.
Anpas è uno dei pilastri del volontariato al servizio della Protezione Civile. È una struttura nazionale,
dunque sotto il coordinamento diretto del Dipartimento. Ma Anpas Lombardia, con il centinaio di associazioni che la compongono, fa anche parte della Colonna mobile regionale. Nell’emergenza Abruzzo, il
gruppo lombardo di Anpas entra in operatività su due fronti: quello nazionale, coordinato dal Dipartimento, e quello regionale guidato dalla Sala operativa della Regione che sovrintende l’organizzazione
della Colonna mobile lombarda.
Anpas Lombardia attiva i suoi volontari sui due “terreni”. Battista, coadiuvato dal coordinatore operativo
Valerio Zucchelli e dai referenti dei Comitati Provinciali e zonali, è lì per coordinarne l’azione.
Questa è la sua storia.
Il 6 aprile ricevo la notizia del terremoto alle 5.30 del
mattino.
Sebbene le informazioni siano ancora scarse e frammentate, mi rendo subito conto che si tratta di qualcosa di grave.
Mi mobilito immediatamente per allertare i volontari
di turno. Anpas è una struttura capillare: il solo gruppo lombardo conta oltre 100 associazioni aderenti.
Questo ci permette di essere sempre reperibili ed
operativi H24.
Così, non abbiamo difficoltà ad individuare le 14
persone che costituiranno il primo contingente in
partenza con la Colonna Mobile regionale.
Parallelamente, anche il Dipartimento Nazionale
chiede la disponibilità ad Anpas Nazionale e quindi,
secondo la nostra organizzazione, anche a noi.
Anpas Lombardia, quindi, sarà presente in Abruzzo
su due fronti operativi diversi.
Per il versante “nazionale” si tratta più che altro di
gestire e coordinare i turni delle squadre che si avvicenderanno nei vari campi gestiti direttamente da
Anpas.
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Per quanto riguarda la Colonna Mobile Regionale,
invece, il nostro ruolo operativo è più integrato nella
catena di comando. Con le altre associazioni della
Colonna e con la Sala Operativa (nella quale abbiamo distaccato un nostro operatore) si lavora, infatti,
in stretta sinergia, in un rapporto di cooperazione e
mutuo supporto. Nessun vincolo gerarchico: solo stima reciproca, capacità di fare squadra e totale propensione a collaborare per trovare risposte immediate ai problemi. Ad esempio, nei primissimi giorni si
presenta in sala operativa una famiglia proveniente
dall’Abruzzo: bisognava darle supporto psicologico e
trovarle un alloggio. Immediato il coinvolgimento
della nostra responsabile del gruppo di supporto psicologico e il coinvolgimento delle associazioni per
trovare una possibile sistemazione, che riusciamo a
individuare grazie alla rete dei rapporti sul territorio e
alla sensibilità del Sindaco di Garbagnate Milanese.
partire subito. Una generosità, la loro, spontanea.
Una generosità che nasce dalla motivazione che sta
alla base della scelta di vita compiuta dai volontari:
l’autentica volontà di prestare soccorso, di aiutare
chi ha bisogno di aiuto.
In quei momenti, le notizie diffuse da radio e tv danno la dimensione del dramma. La reazione dei
volontari è immediata: andar giù a prestare soccorso
ed aiuto a quelle popolazioni.
Ma il problema è che in quelle prime ore, in Abruzzo, non serve mandare migliaia di volontari. Dalla
Lombardia per arrivare in Abruzzo non si impiegano
meno di 6 ore. È evidente che il nostro compito non
può essere quello di scavare tra le macerie. A cercare
i corpi, a tirar fuori i feriti sono già intervenuti i Vigili
del Fuoco e la Protezione Civile della Regione
Abruzzo e delle regioni limitrofe.
Sono loro che, arrivati sul posto immediatamente
I problemi, in un’emergenza complessa come il ter- dopo il sisma, hanno avuto la possibilità di fare
remoto de L’Aquila, non mancano.
quello che noi, dalla Lombardia, non avremmo
È necessario mantenere la lucidità, non lasciarsi potuto fare mai: salvare le vite che era ancora possisommergere dall’emozione.
bile salvare.
È necessario, dunque, contenere l’incontenibile
mobilitazione dei volontari che, appena avuta la Il nostro compito in Abruzzo non è insomma quello
notizia, ci subissano di telefonate per chiedere di di andare a scavare sotto le macerie.
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Si tratta piuttosto di prestare soccorso, ovvero di alle- ting capiscono subito che saremmo rimasti giù per
stire dei campi e dar conforto agli sfollati. E farlo nel dei mesi.
più breve tempo e nel migliore dei modi possibili.
E questo significa che - per dei mesi, non dei giorni o
delle settimane - avremmo dovuto garantire piena
La Protezione Civile della Lombardia comincia ad copertura della turnazione dei nostri volontari.
allestire il primo campo, Monticchio 1, nella notte
tra il 6 e il 7 aprile. Alle 7 del mattino del 7 aprile, la Ovvero, che molti volontari - come in realtà è succucina è già attiva ed i primi sfollati cominciano a cesso - sarebbero stati chiamati a sostenere più di un
trovare un riparo sotto le tende.
turno settimanale.
Tutto questo lavoro è stato fatto da poco più di una In alcuni casi, questi turni sono arrivati fino a 2, 3,
cinquantina di uomini.
persino 4 settimane consecutive.
Se invece di 50 fossero stati 100, 200, 300 non si
sarebbe fatto più in fretta. Si sarebbe solo fatto in Ora, se avessimo ceduto alle pressioni spontanee dei
modo peggiore e con più confusione, rendendo volontari, avremmo rischiato di ritrovarci dopo
ancora più drammatiche le condizioni degli sfollati. pochissimo con delle risorse umane “fuori uso”, per
la fatica, per la pressione incredibile cui si viene sotAltro aspetto: giunti sul posto, i primi operatori man- toposti al campo.
dati da Regione Lombardia comprendono subito che Una pressione che, come molti di noi sanno bene, è
non si sarebbe trattato di una missione breve. Questo soprattutto emotiva.
primo step è un momento fondamentale: valutare
con precisione l’entità dell’emergenza significa riu- Non mi dilungo sulle modalità della nostra aggregascire a pianificare gli aiuti che servono davvero, a zione alla Colonna Mobile. Dico solo che il 6 aprile,
pianificare la mobilitazione di uomini e mezzi all’orario fissato per l’appuntamento a Legnano, i
necessari, la loro migliore utilizzazione possibile.
volontari di Anpas Lombardia si presentano pronti,
con l’equipaggiamento e le dotazioni adatti ad
Ebbene, gli uomini incaricati da Regione dello scou- affrontare soccorsi generali, dunque non solo mezzi
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di soccorso sanitario (2 autoambulanze) ma anche
attrezzature logistiche, fuoristrada per gli spostamenti in loco e poi, il fiore all’occhiello di Anpas Lombardia: il carrello UTES (Unità Tecnologica Emergenze Sanitarie). Ovvero, una struttura sanitaria mobile
“leggera”, adatta al trasporto nelle condizioni più
disagiate. Nonostante le sue dimensioni ridotte,
infatti, il carrello con i suoi 10 posti letto, è un vero e
proprio posto medico avanzato, adatto al trasporto
“a traino” ed elitrasportabile, in grado di essere trainato e posizionato là dove i grossi mezzi non possono arrivare.
Il carrello è un’idea nostra, di Anpas Lombardia.
Un’idea innovativa che si è mostrata sul campo efficace al punto da esser presto recepita dal 118 lombardo e via via anche dai 118 di altre Regioni e dalle
strutture nazionali di Protezioni Civile.
L’emergenza Abruzzo per Anpas Lombardia non ha
significato solo supporto sanitario.
Siamo stati anche noi, come gli altri gruppi di Regione Lombardia, assorbiti a 360 gradi dalla necessità di
affrontare la pluralità di piccoli e grandi problemi
quotidiani.
Il nostro obiettivo era fare in modo che gli sfollati
potessero soffrire il meno possibile. E questo signifi-
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cava anche riuscire a dare loro servizi che ne alleviassero la difficoltà della vita in comune. Servizi
pratici, come la possibilità di fare il bucato.
Già nei primi giorni di vita della tendopoli, infatti, al
campo non mancava praticamente nulla. Salvo …
una lavanderia.
Resici conto del problema non abbiamo esitato un
istante.
Sin dalle prime ore, quando era apparsa evidente la
dimensione del dramma i nostri volontari presenti
nelle varie aziende avevano sondato la loro disponibilità per aiuti tangibili. Tra le prime la Candy Hoover
Group.
Abbiamo incrociato il bisogno della popolazione
con la nostra capillarità e capacità di far rete e con la
sensibilità degli imprenditori italiani.
Dopo 24 ore dall’evidenza del problema, grazie alla
rapidità della Candy, alla capacità logistica di Regione Lombardia e alla presenza di volontari esperti, al
campo era perfettamente disponibile e funzionante
una tenda con 10 lavatrici e 10 asciugatrici. L’idea ha
dimostrato immediatamente la sua efficacia: i campi
di Monticchio 2 e Paganica 5 hanno chiesto la possibilità di analoga dotazione. La Candy e i dipendenti
della rete commerciale hanno rinnovato la loro
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generosità e anche questo bisogno è stato soddisfatto.
Questa delle lavatrici è una storia bella, di solidarietà
ed efficienza, ma non è la sola.
Nel corso dei mesi trascorsi in Abruzzo - non solo
nei primi, drammatici giorni - la solidarietà, generosità e dedizione dei lombardi (e non solo) ha avuto
testimonianze continue. Troppe per poterle ricordare
tutte. Troppo importanti per poterle dimenticare.
zione della Settimana Santa.
È stato un momento, questo, di profonda intimità.
Un gesto che ha contribuito a dare alle vittime del
terremoto ed a tutti noi - volontari e operatori di Protezione Civile - rinnovata forza per vivere il presente
e la speranza per riprogettare il futuro.
Questa immagine - la processione del Venerdì Santo
- rimane un ricordo indelebile della difficile Missione d’Abruzzo. Un ricordo che è anche una lezione
Tra queste attestazioni di solidarietà e dedizione, mi per tutti noi operatori di Protezione Civile.
preme sottolineare quella individuale delle decine di
volontari che si sono dedicati anima e corpo all’aiuto Per concludere, vorrei ricordare comunque il grosso
delle vittime del terremoto, sottoponendosi a ritmi di lavoro e sacrificio speso dai volontari di Anpas Lomlavoro massacranti, a turni prolungati, talvolta per 2- bardia anche nei campi gestiti da Anpas Nazionale
3 settimane consecutive, lontano da casa, lontano ad Acqua Santa e Collebrincioni, anche qui
dalle proprie famiglie.
all’aspetto sanitario si è unita la necessità di pensare
e provvedere a tutto; voglio ricordare che da Anpas
Mi sono chiesto spesso se, nel mio ruolo di responsa- Lombardia è stata messa a disposizione la cucina da
bile del gruppo, non stessi sottoponendo i volontari campo per Collebrincioni. A volte gli stessi volontari
ad una pressione eccessiva.
che hanno operato in un campo hanno poi chiesto
La risposta ai dubbi me l’hanno data loro stessi. Non di poter lavorare anche in altri, insomma volontari a
a parole, ma con la gioia che ho letto nel loro sguar- 360 gradi che dalla Lombardia hanno si sono spesi
do il giorno di Pasqua quando, su loro iniziativa, si è in grandi gesti di disponibilità e solidarietà per terra
deciso di organizzare per gli ospiti del campo la pro- d’Abruzzo.
cessione del Cristo in Croce per onorare la celebra-
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La missione di un radioamatore diciottenne
di Fabio Rusconi
Fabio è un giovanissimo volontario di ARI-Re, l’Associazione Radioamatori Italiani che si occupa di
Radiocomunicazioni di Emergenza (RE) nell’ambito della Protezione Civile.
ARI-RE è operativa a livello nazionale - come associazione iscritta nell’elenco del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e come rete alternativa di comunicazioni d’emergenza che collega le 103 Prefetture d’Italia con il Ministero degli Interni e la sala radio del Dipartimento nazionale di Protezione Civile; a livello regionale/provinciale - come rete alternativa di comunicazioni d’emergenza che collega tutte
le sale operative regionali e i COM delle 103 province d’Italia.
ARI-Re Lombardia fa parte della Colonna mobile regionale.
In questa testimonianza, Fabio racconta la sua missione Abruzzo, durante una settimana vissuta “sul
campo” insieme ai compagni più esperti del gruppo dei volontari lombardi.
Ho conosciuto il mondo radiantistico durante
un’esercitazione di Protezione Civile nel 2007, mi
sono appassionato ed ho cominciato a frequentare
la Sezione A.R.I. di Lomazzo. Dopo il corso preparatorio, ho conseguito la patente di operatore e
sono entrato nel gruppo A.R.I. - R.E.
A maggio 2009 ho partecipato a una missione-lampo di un week-end con altri gruppi di Protezione
Civile .
Ai primi di giugno è arrivata ad Ari-Re Lombardia la
richiesta di operatori per la Di.Coma.C. ma io non
ho potuto dare la disponibilità in quanto impegnato
con gli esami di maturità. Per il turno di agosto,
però, essendo libero sono partito. Destinazione:
Coppito.
La partenza è fissata per il 14 Agosto alle 21:30. La
colonna è composta dal fuoristrada di Lorenzo con
Gianpaolo come passeggero, dall’auto di Luigi con
il passeggero Maurizio e infine mio padre Enzo ed
io con la nostra auto.
Dopo quasi 12 ore di strada, incluse le soste per
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riposare, arriviamo alla Scuola della Guardia di
Finanza a Coppito. Diamo il cambio alla squadra
FIR-SER e facciamo conoscenza con il personale
della Croce Rossa militare e del Dipartimento Protezione Civile.
Il nostro compito è tenere i contatti radio e telefonici con i COM e dare supporto in caso di necessità.
Nel pomeriggio arriva anche Stefano da Civitavecchia e la squadra risulta al completo.
idrica poi.
Io e la mia squadra abbiamo la fortuna di avere
come compagni di sala radio due membri della
Croce Rossa militare.
Il nostro lavoro è suddiviso in 3 turni - mattina,
pomeriggio/sera e notte - ciascuno dei quali presidiato da due persone. Il nostro compito in sostanza
consiste nell’essere a disposizione dei COM e dei
campi 24 ore su 24.
Durante i miei turni non si presentano emergenze
significative, a parte due casi “particolari”. Il primo
succede una notte, quando ci viene segnalato da
un COM il ferimento con tentata violenza di una
donna da parte di uno straniero - che poi è stato
arrestato; un’altra volta, invece, quando si verifica
l’interruzione dei tubi dell’acquedotto di un campo
che ospita 600 persone; anche stavolta il problema
viene risolto rapidamente, grazie all’intervento dei
Vigili del Fuoco prima, e degli addetti della società
Un giorno apprendiamo che c’è la possibilità di
fare un giro nella “Zona Rossa” (il centro storico
dell’Aquila) accompagnati dai Vigili del Fuoco.
Dopo aver chiesto l’autorizzazione al Colonnello
Castiglioni prendiamo le macchine fotografiche e
ci mettiamo in marcia. La squadra in perlustrazione
è composta da Gianpaolo, Lorenzo, due Vigili del
Fuoco, un’impiegata della DICOMAC residente
all’Aquila ed io.
Lo scenario che ci si presenta è impressionante: un
incrocio tra una città bombardata e le scene del
film “Io sono leggenda”. Le immagini che mi si presentano le avevo già viste in televisione, ma dal
vivo... Alcune case da fuori sembrano lesionate in
maniera non grave, ma dentro sono completamen-
Stefano ed io facciamo amicizia, in particolare, con
Franco, un tenente della Croce Rossa militare, professore universitario e pilota d’aereo civile al quale
ci lega, appunto, la comune passione per il volo.
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te collassate. L’albergo Duca Degli Abruzzi è completamente crollato. La notte del terremoto, dopo la
prima scossa, il Direttore lo ha fatto evacuare. E per
fortuna, perché subito dopo l’edificio crollerà completamente sotto i colpi della seconda scossa. Tra
gli ospiti, ci spiegano i vigili, c’è un’intera scolaresca in gita.
Vediamo una casa i cui pilastri hanno ceduto
facendola “scendere” di un piano.
Secondo i Vigili del Fuoco la maggior parte della
case del centro storico dovranno essere abbattute e
ricostruite ex novo. Le chiese e gli edifici storici,
invece saranno messi in sicurezza.
momento che la sala radio deve essere presidiata
H24.
Trascorriamo una serata molto piacevole: il pasto è
così abbondante che quasi non riusciamo a finire il
secondo. Ma la cosa più bella sono i racconti dei
nostri amici del Dipartimento. Molti di loro hanno
una lunga esperienza in Protezione Civile. Ci raccontano così dei tanti avvenimenti cui avevano partecipato, le missioni cui avevano preso parte. E i
loro racconti sono così appassionanti che alla fine,
persino anche noi comaschi parliamo con quell’intercalare tipico romanesco, per l’esattezza: “che te
lo dico a fà”.
Tornati alla base, i colleghi del Dipartimento ci
chiedono una mano per spostare del materiale che
poi andrà caricato su un furgone diretto a Roma.
Il materiale è davvero tanto: radio e accessori vari,
un ponte ripetitore, scatoloni; il furgone è pieno
fino al tetto! Poi ci viene chiesto anche di svuotare
le scatole dei telefonini che il Dipartimento destina
ai capi-campo, dividendo i manuali di istruzione
dai cavetti e gli auricolari.
Alla fine, per sdebitarsi, i ragazzi si offrono di portarci fuori a cena, anche se in due turni separati dal
Il 22 Agosto, alla fine del nostro turno settimanale,
cominciamo i preparativi per il ritorno: sistemare la
tenda, fare i bagagli, salutare tutti - ma proprio tutti:
dal Colonnello Castiglioni al Professor De Bernardinis, passando per i Vigili del Fuoco e l’impiegata
dell’ufficio postale della caserma.
Montiamo poi sulle macchine e dopo altre 10 ore
di viaggio siamo finalmente a casa, consapevoli del
fatto che questa esperienza ci ha profondamente
segnato.
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La Scuola Superiore di Protezione Civile - IReF all’Aquila
di Marco Lombardi
Marco Lombardi, docente all’Università Cattolica del Sacro di Milano, è referente scientifico della Scuola Superiore di Protezione Civile della Regione Lombardia. La Scuola, che dal 2003 è gestita dall’Istituto
Regionale lombardo di Formazione per l’amministrazione pubblica, Iref, nasce per rispondere alla richiesta di formazione continua dei vari attori del sistema della Protezione Civile: le organizzazioni di volontariato, gli amministratori e i tecnici degli enti locali, i professionisti che collaborano alla stesura dei piani
di emergenza comunali ed ai programmi di previsione e prevenzione provinciali.
Cosa c’entra un professore come Lombardi in una missione “sul campo” come quella coordinata in
Abruzzo dalla Protezione Civile regionale?
Lo spiega lui stesso. In questa sua testimonianza.
Il 6 aprile 2009 L’Aquila trema, squassata nel profondo. Il 10 aprile la Scuola Superiore di Protezione
Civile arriva a Monticchio 1, il primo campo della
Regione Lombardia. In sostanza al campo arrivo io,
quale referente scientifico della Scuola.
Ma l’Abruzzo è, per la prima volta, un uscire dalle
aule per andare a verificare sul posto, in tempo reale, dai diretti interessati, le necessità di formazione
utili a rendere sempre migliore la risposta della Protezione Civile. Tutto questo succede quasi per caso:
Stefano Maullu, Assessore regionale della Protezione Civile, mi invita a “scendere” e Marco Cesca, il
Direttore Generale, mi offre un passaggio in auto.
Seguiamo di 100 ore l’avanguardia regionale che ha
già messo in piedi il campo. Arrivato sul posto, in
poco tempo ci si rende conto di quanto si possa
ancora fare da Milano. Direi che questo è il primo
risultato importante: rendersi conto che una avanguardia è tale - ed è vincente - perché c’è una retroguardia che la sostiene in modo coordinato ed efficiente. Questo è il rapporto instaurato tra Sala Operativa a Milano ed operatori a Monticchio: il successo dell’uno è strettamente legato alla capacità di
interfacciarsi con l’altro.
Così è anche per la Scuola Superiore. Chi mi legge
molto probabilmente ha già esperienza di emergen-
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ze. E dunque sa che una emergenza è tale soprattutto perché sorprende, stupisce, rompe le abitudini e
le routine che tanta certezza e sicurezza ci danno.
Tutti noi siamo dei grandi conservatori e vorremmo
il domani fatto quasi perfettamente come lo ieri:
ammettiamo giusto quel piccolo cambiamento che
evita la noia. Dunque, combattere l’emergenza
significa anche ridurre la sorpresa che allunga i
nostri tempi di reazione, ovvero semplicemente la
necessità di vedere - e riconoscere - le tende blu del
campo, incorporarne la topografia e l’organizzazione, anticiparne i problemi. Questo è tanto più
necessario quanto meno è il tempo per acclimatarsi
a Monticchio o Paganica: arrivi oggi e parti fra sei
giorni. Se impieghi un giorno per capire dove sei,
uno per salutare e passare le consegne… mi capite:
il tempo è tiranno! Da qui il primo risultato di questa discesa in campo della Scuola: a Milano partono
i TOTS - che sta per “Training On The Spot” - cioè
una formazione all’impronta, reattiva ma meditata,
rispondente al bisogno immediato registrato giorno
dopo giorno. Prendono forma undici incontri che,
per undici settimane, coinvolgeranno i turni montanti ai campi. Ogni settimana, poco prima della
partenza, a tutti i volontari è offerto un corso, breve
ma intenso, con le immagini e le testimonianze di
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chi è appena rientrato dal campo. Si ha così occasione di vedere le tende prima di incontrare la gente, di discutere prima i problemi che si dovranno
affrontare poi, essendo così preparati da subito, ad
affrontare i problemi ed offrire soluzioni. Questo
significa giocare d’anticipo e ridurre la sorpresa,
cioè essere immediatamente operativi.
Si tratta di una grande innovazione. Un’innovazione
per la PC nel suo insieme; un’innovazione, in particolare, per una struttura istituzionale che ha saputo
dimostrarsi flessibile, modificando se stessa, per
adeguarsi alle nuove esigenze.
Ma non finisce qua. Ormai il canale aperto con i
campi ha lasciato il segno. Dopo la prima visita,
infatti, avevamo lasciato al campo alcune “conoscenze”: quelle fatte di incontri brevi ma intensi
quali solo le emergenze sanno manifestare. Di
costoro le notizie arrivavano a Milano, ogni settimana nei corsi che curavo direttamente. Col passare
del tempo, però, arrivavano anche i segnali del disagio che cresceva. Era ormai passato un mese dal
“colpo”.
E ditemi se non è vero: durante la prima settimana,
dentro le tende blu piazzate l’una vicino all’altra, il
pianto del bimbo che piange due strati di tela lontano è il suono della vita sopravvissuta con forza. Ma
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quattro settimane dopo, inevitabilmente quel suono diventa un disturbo che impedisce di dormire. E
così, tanti altri piccoli segni che stanno a testimoniare il ritorno alla normalità: quando le vecchie
abitudini, fatte di orari propri e gesti personali, cercano di riprendere il sopravvento rispetto alle forzature dettate dalla emergenza e, per questa, accettate da tutti.
Il ritorno alla normalità è una inevitabile via di sofferenza non solo per quanto si ha perso per sempre,
ma anche per quanto cerca di riemerge in un contesto di esperienza e di relazione molto differente
dal precedente. Dunque, la comunità delle tende,
fatta di ospiti della Protezione Civile e di residenti
dell’Abruzzo, chiama: il 9 maggio la Scuola torna a
Monticchio. Non sono più solo ma con me un paio
di giovani giornalisti che avviano il primo progetto
di informazione e comunicazione dentro a un
campo.
Anche questo secondo mio viaggio a Monticchio adesso 1 e 2 - immerge il professore nella realtà che
ama: giro per le discariche con segaccio e martello
alla cintura per costruire con materiali di recupero
più che dignitose bacheche per la comunicazione
nel campo. In quei giorni a Monticchio 1 sorge Infopoint, la tenda dedicata alla informazione, contor-
nato da quattro espositori che informavano su quanto accade dentro e fuori del campo. Nasce l’idea,
realizzata poi a Milano, di pubblicare il giornale
della comunità sotto le tende: Tendopolis, quindicinale uscito in 9 numeri stampato a Milano e distribuito nei campi della Regione Lombardia dal primo
giugno al venti settembre 2009. Questo primo esperimento di comunicazione al campo coinvolge, nei
mesi di realizzazione, una quindicina di giovani
giornalisti dell’Alta Scuola di Comunicazione dell’Università Cattolica e il personale milanese della
PC regionale.
Anche in questo caso, come per i TOTS, la Scuola ha
reagito a una esigenza specifica: utilizzare la comunicazione per informare, strutturandola in modo
ordinato per dare notizie utili in una forma che di per
sé generasse sicurezza, e per promuovere la collaborazione e ridurre il conflitto nei campi. Si è trattato di
una prima assoluta, che ci ha permesso di mettere in
gioco competenze sino ad allora teorizzate sull’uso
della comunicazione come strumento di gestione
della vita del campo: un altro tesoro dell’esperienza
abruzzese da portare a regime.
A inizio ottobre, mentre scrivo, quella esperienza
può considerarsi finita, ma non è un ricordo nostalgico perché si declina operativamente in nuovi corsi
e nuove procedure che la Scuola Superiore di Protezione Civile attiverà già nel 2010.
Per tutti coloro che ci sono passati, nel bene e nel
male, uomini e istituzioni, il terremoto d’Abruzzo
lascerà “dentro” un segno indelebile che si manifesterà “fuori”, riuscendo ad essere sempre pronti a
fare del proprio meglio.
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Emergency management
di Cristiano Cozzi
Cristiano Cozzi è Responsabile Operativo dell’Unità Regionale Grandi Emergenze
Regione Lombardia - Sanità, Ospedale Niguarda.
La sua missione Abruzzo comincia, con Giovanni Caldiroli e Alessandro Caretti, con lo scouting - il primo step necessario alla pianificazione dell’intervento della Protezione Civile della Lombardia.
Il suo è il racconto delle prime ore. Il “prima” del primo campo. Un “prima” che, per uno come lui abituato a soccorsi in tempo reale, è per alcuni versi già un “dopo” . L’intervento sanitario di emergenza nelle zone terremotate è attivo sin dalle prime ore dopo il sisma. Non è un’attività di soccorso ai feriti che gli
viene chiesta, dunque. Il compito di Cristiano in Abruzzo è piuttosto quello di allestire un presidio ospedaliero capace di affrontare i bisogni sanitari “ordinari” in una realtà che di ordinario non ha più nulla.
Questa è la sua storia.
Lunedì 6 Aprile 2009: quando il mio cellulare riceve, verso le 5 del mattino, un sms della Sala Operativa Regionale di Protezione Civile che con poche
parole informa dell’avvenuta scossa di terremoto in
Abruzzo, non potevo nemmeno immaginare che
qualche ora dopo sarei stato in viaggio per quella
regione. Anche perché, il messaggio non descrive
la portata dell’evento e non conferma l’esistenza di
vittime. La giornata inizia quasi come una giornata
qualunque, se non fosse stato per le notizie che iniziavano ad arrivare in casa mediante i telegiornali
del mattino.
Accellero la colazione e l’uscita per recarmi sul
mio posto di lavoro, al S.S.U.Em 118 di Milano,
presso l’ospedale Niguarda. Una volta arrivato, riesco a raccogliere maggiori informazioni sull’accaduto. Alle 8 una cosa è chiara: oltre alle abitazioni,
il terremoto aveva distrutto anche delle vite umane.
Pur non avendo ancora idee chiare su quanto successo e quindi nemmeno su quanto si dovesse fare,
ascoltando il mio istinto, decido di iniziare ad allertare i colleghi che, come me, appartengono
all’Unità Speciale Grandi Emergenze. Non volevo
infatti che, in caso di reale bisogno, il S.S.U.Em.
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118 di Milano e l’Azienda Ospedaliera Niguarda si
facessero trovare impreparati. Verso le 8:30, come a
voler dimostrare che le peggiori previsioni stavano
diventando realtà, vengo raggiunto dalla telefonata
di un amico, Domenico De Vita. Mi sollecitava a
raggiungere la Sala Operativa Regionale di Protezione Civile perché erano arrivati i primi dati circa
il grado di distruzione operato dal sisma.
Nella Sala Operativa lo scenario abruzzese è abbastanza ben definito grazie alle informazioni che
vengono fatte circolare dal Dipartimento Nazionale. E allora, velocemente, il grado di sollecitudine
con il quale si raccolgono informazioni e si organizzano sia mezzi sia uomini cresce esponenzialmente.
Intorno alle 10:30 arriva l’ultima conferma della
gravità di quanto successo a L’Aquila: il Dipartimento Nazionale richiede l’invio della Colonna
Mobile Lombarda. I dirigenti presenti però, decidono di creare anche una squadra di scouting, che
possa partire immediatamente per recarsi nel minor
tempo possibile nelle zone del sisma, che diventano sempre più difficili da raggiungere.
La squadra è composta dal sottoscritto, da Giovanni Caldiroli, un collega del Servizio di Protezione
Civile Regionale, e da Alessandro Caretti, un espo-
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nente del Servizio di Protezione Civile per
AEM/A2A. Gli obiettivi sono due: prendere contatti
con le strutture di coordinamento attivate in loco e
ricercare, mediante ricognizione del territorio, un
luogo adeguato alla ricezione della Colonna Mobile Regionale.
Le cinque ore di viaggio trascorrono velocemente e
servono ad ognuno di noi per rivedere le proprie
competenze e priorità, sia individualmente, sia collegialmente in una proficua discussione, durata,
appunto tutto il tempo del trasferimento. Durante il
tragitto, continuo a ricevere e a fare telefonate: avevo bisogno di notizie sempre aggiornate da L’Aquila e, insieme, dovevo accertarmi che, a Milano,
l’attivazione della Colonna Mobile avvenisse nel
miglior modo possibile.
Tra le tante telefonate fatte e ricevute, una si dimostra particolarmente importante: quella intercorsa
tra me e Rosario, un funzionario del Servizio Sanitario del Dipartimento di Protezione Civile. Rosario
mi informa del fatto che l’ospedale San Salvatore
veniva ormai considerato inagibile e per questo si
procedeva alla sua evacuazione. Questo, per noi,
significa prendere consapevolezza che la nostra
futura attività sanitaria non avrebbe potuto contare
sulla più importante struttura della Regione. Ma
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significa anche altro: la resa dell’ospedale era la
resa della città e, se ancora serviva, era indice della
gravità di quanto accaduto.
Arriviamo a L’Aquila poco dopo le 17. Davanti a
noi, si impone l’evidenza di tutta la devastazione
prodotta. Il silenzio, il temporale e la sensazione di
isolamento incorniciano il nostro ingresso in città.
Mentre proseguiamo verso la Caserma della Guardia di Finanza di Coppito, possiamo vedere quante
persone lavorano per rimuovere le macerie e cercare vite umane che possano essere ancora salvate.
Sebbene avessi un compito preciso, cioè raggiungere il Centro di Coordinamento dei Soccorsi, sento fortissimo il desiderio di partecipare a quelle prime, eroiche, estenuanti operazioni di salvataggio.
Eppure, non lo faccio perché era necessario raggiungere i punti di comando e perché sapevo che
in un’emergenza di quelle dimensioni risulta fondamentale rispettare i compiti assegnati.
Così arrivo a Coppito dove vedo persone in divise
diverse intente a fare però la stessa cosa: organizzare i soccorsi. Dopo aver presentato le potenzialità
della Colonna Mobile lombarda veniamo indirizzati verso il Centro Operativo Misto 1 (C.O.M.1),
per ricevere nel dettaglio la nostra missione. Quando entro nel locale che ospita il C.O.M.1, il riposti-
glio buio e freddo di una scuola elementare, non
posso immaginare che avrei trovato Piero e Armando, due amici, oltre che due funzionari dell’Ufficio
Emergenze del Dipartimento di Protezione Civile. E
non posso nemmeno immaginare che con loro
avrei lavorato per tutta la durata della mia esperienza in Abruzzo.
La situazione del C.O.M.1 è alquanto precaria.
Abbiamo a disposizione solo due radio: una io e
una loro. Nelle frenetiche ore successive sarebbe
stato quello l’unico modo per comunicare tra di
noi. Eppure il calore prodotto da quell’incontro riesce a riscaldare l’ambiente.
Iniziamo a lavorare. Il gruppo, formato da me, Giovanni, Alessandro, Armando e Piero, insieme al
Vicesindaco dell’Aquila, in qualità di esperto del
territorio, ha una priorità assoluta: cercare un luogo
adeguato alla ricezione della Colonna Mobile lombarda e alla successiva creazione del campo di
accoglienza. Il luogo adatto viene trovato nel parcheggio del cinema multisala di Monticchio. Mentre ci rechiamo verso l’area designata, la mia attenzione viene catturata da un’immagine per me indimenticabile. Le colline tutto intorno a L’Aquila
sono illuminate dai lampeggianti blu dei numerosissimi mezzi di soccorso distribuiti ovunque.
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E ognuna di quelle luci sembra voler dire: “siamo
già qui ad aiutarvi”.
Arrivato a Monticchio, di fronte al cancello di quella che sarebbe stata l’area del campo della Regione
Lombardia, faccio la conoscenza con i veri protagonisti di questa vicenda storica: la gente ed il terremoto. Nelle macchine ferme nelle vicinanze del
“nostro” parcheggio c’erano intere famiglie che,
dopo essere scappate dalle loro abitazioni, si erano
rifugiate in macchina e avevano considerato, loro
come noi, sicuro quel luogo del paese perché lontano da costruzioni e ben illuminato.
Poi, intorno alle 23:30, proprio mentre effettuiamo
delle misure per l’allestimento del campo, arriva
una scossa di terremoto con una magnitudo di
poco inferiore ai 5 gradi della scala Richter. Un
vetro esplode, l’odore di gas si diffonde intorno a
noi e davvero a me sembra che il mondo intero stia
sobbalzando. Alla scossa segue un silenzio eloquente: abbiamo appena capito cosa avevano vissuto quelle persone, abbiamo appena provato la
loro stessa paura, abbiamo appena condiviso i loro
pensieri. Questo, forse, inizia ad avvicinarci a loro.
E a riprova di ciò, uno degli sfollati ci regala pane e
formaggio. Questo è solo il primo di una serie di
regali che ci ha fatto l’Abruzzo.
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La giornata però non é ancora finita. Verso l’una del
mattino arriva il contingente per la creazione del
Posto Medico di Primo Livello che poco dopo è già
operativo e presta soccorso ai primi pazienti. Insieme a noi, lavora il personale della Protezione Civile
Regionale che si occupa dell’allestimento tende.
Alle 8 del mattino di martedì, la cucina da campo
offre già le prime colazioni.
Durante la giornata di martedì lavoriamo all’allestimento del posto Medico Avanzato di Secondo
Livello, che può offrire trenta posti letto di cui otto
di Terapia Intensiva, oltre ad un Laboratorio Analisi
ed a una Farmacia completa.
Nel mese successivo il nostro campo arriverà ad
ospitare giornalmente circa settecento persone ed il
nostro Posto Medico, nel complesso, effettuerà
1500 prestazioni sanitarie.
È impossibile raccontare in poche righe le vicende,
a volte tragiche a volte serene, che ho vissuto in
quegli indimenticabili trenta giorni. Ma forse è possibile descrivere il clima in cui tutto è stato fatto:
ognuno di noi ha cercato di mettersi a disposizione
dell’Operazione Abruzzo nel miglior modo possibile, occupandosi anche di faccende non strettamente
comprese nel proprio mansionario. E per questo
vorrei arrivasse a tutti i sanitari che hanno collaborato con me, il mio più sincero ringraziamento per la
buona riuscita della missione. Credo davvero che in
questo caso, il sistema di Protezione Civile sia riuscito a dimostrare la veridicità della Teoria Gestalt
secondo la quale, quando lo scopo è unico, “l’insieme è superiore alla somma dei singoli”.
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Le case dei bimbi
di Francesca Giordano
Francesca, psicologa dell’infanzia, dottoranda in Psicologia del trauma infantile, ha coordinato l’area creativoespressiva del progetto “L’Università Cattolica per i minori dell’Abruzzo” nei campi di Regione Lombardia.
La sua missione comincia pochi giorni dopo il sisma. E va avanti, pressoché senza interruzioni, sino alla
chiusura dei campi lombardi. Ha una grande responsabilità, Francesca: supportare i bambini nel processo di elaborazione dell'esperienza traumatica vissuta, facendo loro ritrovare la normalità, in un contesto
nuovo e per certi versi avventuroso, quale quello della tendopoli.
Senza una solida formazione accademica, quel lavoro non avrebbe potuto esser portato a compimento.
Ma senza la dedizione, la passione, la spontanea umanità che Francesca ha investito nel “progetto”, i
bimbi dei campi e le loro famiglie non avrebbero potuto vivere quei momenti straordinari che hanno
cadenzato l’attività dei volontari della Cattolica. In questa testimonianza Francesca si concentra, in particolare, su uno di quei momenti: la “settimana della casa”.
Il 6 Aprile mi trovo in Sri Lanka, per seguire un progetto dell’Università Cattolica. Quella mattina sono a
Galle, presso la sede della Caritas quando un padre
cingalese mi dice che era successo un terremoto in Italia, mi legge l’Sms inviatogli dalla BBC: “Ore 3.31,
terremoto in Abruzzo, nella zona del capoluogo
L’Aquila; al momento i morti accertati sono 20, ma la
cifra continua ad aumentare in quanto i volontari di
Protezioni Civile e Vigili del Fuoco accorsi da tutta Italia stanno ancora lavorando all’estrazione dei corpi”.
Il padre si accerta che L’Aquila non fosse vicino a
Milano e che non avessi parenti da quelle parti.
La notizia mi rende molto pensierosa tutto il giorno: chiedo continui aggiornamenti dall’Italia e,
appena mi è possibile, mi metto a guardare il canale americano CNN, l’unico disponibile su satellite.
Ricordo le immagini di distruzione, dagli edifici
alle macchine, ma quello che mi colpisce maggiormente è la disperazione delle persone, i loro pianti
di dolore, le grida contro i giornalisti: mi appaiono
come espressioni di rabbia contro il mondo intero.
Vedo i vigili del fuoco, insieme alle altre associa-
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zioni, lavorare senza sosta all’estrazione dei corpi
davanti agli occhi della popolazione speranzosa di
ritrovare i propri cari ancora in vita.
Dentro di me penso che avremmo dovuto agire
anche noi come Università Cattolica con il modello
di intervento consolidato in contesti di emergenza
nazionali e internazionali. Era strano pensare che
mi trovavo oltreoceano per un progetto, quando
l’emergenza era accaduta proprio in Italia. Mando
un Sms alla mia tutor di dottorato, prof. Cristina
Castelli, scrivendole: “Prof, ho sentito del terremoto
in Abruzzo. Progetto?”. Lei risponde: “Oggi ho un
meeting per definire accordi. Appena torni facciamo una riunione e ne parliamo”.
Torno a Milano il lunedì successivo. Mercoledì sono
in Università per la riunione preannunciata. La Prof.
Castelli ci aggiorna sui contatti presi con Protezione
Civile di Regione Lombardia e ci invita a stendere il
più velocemente possibile un progetto sulla prima fase
di analisi dei bisogni. Decido di prendermi in carico il
progetto, candidandomi come coordinatrice, anche
se fatico ancora a figurarmi cosa questo avrebbe comportato. È così che, dopo aver partecipato ad un
incontro organizzato da Regione Lombardia per informare i volontari in partenza sulla situazione ai campi,
il pomeriggio di sabato parto con un gruppo di Prote-
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zione Civile del Parco del Ticino. Resto al campo una
settimana, parlo con la popolazione, con gli insegnanti, con i genitori e i bambini, riuscendo così a farmi un
quadro complessivo dei bisogni emergenti. Ritornata
in Università, stendo il progetto.
L’intervento partirà i primi di maggio e andrà avanti
fino alla chiusura del campo, nel mese di settembre.
Durante il primo periodo, l’attività consiste nel supporto alle insegnanti durante la scuola di campo e nella gestione dello spazio ludoteca. Questa prima fase si
conclude con uno spettacolo “Quattro passi ‘pè le vie
e Munticch’ de na vote e de voje” (in dialetto monticchiese significa: “Quattro passi per le vie di Monticchio di una volta e di oggi”). Organizzato dagli insegnanti, con il nostro supporto, la recita mette in scena
storielle, canzoni e tradizioni di L’Aquila e, in particolare, di Monticchio. Il messaggio che abbiamo voluto
lanciare era che la cultura e le tradizioni non erano
state distrutte tra le macerie delle case, ma restavano
vive nei cuori e nelle menti dei membri della comunità. Lo spettacolo, risvegliando un vivido senso di
appartenenza alla cultura, ha regalato ai bambini attori protagonisti - e agli spettatori, tra cui i genitori e
molti anziani, entusiasmo e grande partecipazione.
Durante l’estate organizziamo un campo estivo “REstate insieme”, suddiviso a settimane, ciascuna delle
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quali con una tematica preminente. I temi sono scelti
secondo un percorso preciso: si parte con i temi delle
quattro stagioni e dei quattro elementi, per favorire
una ripresa di contatto, e quindi di fiducia, con la
natura che nella notte del terremoto è parsa loro tanto
maligna quanto incomprensibile. A questo proposito,
la Regione Lombardia ha offerto ai bambini un’escursione di 4 giorni al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio
e Molise, dove i bambini hanno potuto fare esperienza delle bellezze naturalistiche, superando così la preponderante connotazione distruttrice della natura,
derivante dall’esperienza del terremoto. Nelle settimane successive vengono trattate le tematiche delle emozioni, della casa e della famiglia: tre aspetti della vita
dei bambini che il terremoto ha profondamente colpito e messo a dura prova. Le ultime settimane sono
dedicate alle storie personali dei bambini e, in particolare, ai loro “ricordi e sogni”, dolorosi e felici e, infine,
ai loro “desideri e futuro”, favorendo così il processo
di transizione dal campo, proprio della fase di postemergenza, alle nuove sistemazioni, indici di una
ripresa di normalità.
La settimana della casa viene vissuta dai bambini con
grande partecipazione ed entusiasmo. Già in precedenza alcuni bimbi avevano manifestato il loro interesse rispetto alla tematica, costruendo di loro sponta-
nea iniziativa delle casette con materiale di scarto
reperito al campo. In particolare, nel campo di Paganica, i bambini erano soliti, in piccoli gruppi, recuperare
del materiale, come bancali, passerelle, tappeti e teloni e costruire “le loro casette”, dentro cui custodivano
degli oggetti personali. Si instaurava così la discussione su chi fosse il capo della casa, ruolo molto ambito
da tutti. Queste casette venivano poi distrutte da loro
stessi “per ricostruirne una più bella”, come spiegavano i bambini.
Le attività creativo-espressive della settimana della
casa hanno avuto inizio con il laboratorio del disegno,
in cui veniva chiesto ai bambini di disegnare una casa
a loro scelta. Chi disegnava la vecchia casa, chi la casa
del paese d’origine – la Macedonia per una gran parte
di loro - chi la casetta di legno dove avrebbe voluto
abitare, o che era in fase di costruzione. Una bambina
ha disegnato un castello delle fiabe, l’unica tipologia
di casa a non assumere per lei connotati minacciosi.
La sua esperienza del terremoto era stata fortemente
traumatica, in quanto era rimasta sepolta sotto le
macerie della propria abitazione e non voleva in nessun modo tornare a vivere in una casa, ma affermava
di volere restare al campo per sempre.
La seconda parte della settimana è stata dedicata alla
costruzione di un plastico della Monticchio (o della
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Paganica) del futuro. Ciascun bambino ha costruito,
con dei pacchetti di sigarette rivestiti e con la parte
ondulata del cartone, la propria casetta, colorandola e
decorandola a suo piacimento. Giardini, fiori, steccati, tendine e griglie per arrosticini, a seconda della fantasia dei bambini, abbellivano queste casette. Su ogni
casa era presente un cartello con il nome del bambino. Successivamente ogni “proprietario” decideva
dove collocare la propria casetta all’interno del plastico, che presentava già due punti di riferimento del
paese: la piazza principale con la chiesa e il parco.
Creare, pitturare e decorare la propria casetta e inserirla nel plastico, ha favorito l’adozione da parte dei
bambini di un approccio attivo e costruttivo e, allo
stesso tempo, ha stimolato la proiezione di sé stessi
nel futuro. Il risultato è stato per loro di grande soddisfazione: i bambini stessi hanno infatti voluto chiamare i loro genitori perché vedessero il loro operato.
Contemporaneamente alle attività, la squadra di Protezione Civile di San Fermo della Battaglia ha costruito
una casetta con la legna donata da diverse squadre di
Vigili del Fuoco. L’obiettivo era creare un luogo di intimità e di contenimento per i laboratori creativoespressivi, all’interno dell’area verde, una zona del
campo che i bambini percepivano come “loro”. C’è
stata una grande partecipazione da parte di tutti alla
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costruzione della casetta e la serata d’inaugurazione,
tanto attesa, con il taglio del nastro, è stata per loro
molto emozionante. Per l’occasione i bambini avevano dipinto la casetta ed avevano aiutato nell’allestimento di decorazioni e festoni. Sono stati inoltre
appesi alle pareti i disegni delle case fatti da loro ad
inizio settimana ed esposto il loro plastico.
La funzione contenitiva della casetta è stata pienamente percepita dai bambini, che hanno infatti scelto
di chiamarla Rifugio Unicatt. Dopo la sua costruzione, hanno voluto che ogni attività del campo estivo si
svolgesse lì dentro: canzoni in gruppo, musiche, disegni, attività manuali. Era come se quelle assi di legno
dessero loro un senso di protezione e, contemporaneamente, di unità e compattezza del gruppo. Una
mamma un giorno mi ha raccontato che suo figlio era
entrato nella tenda esclamando: “Mamma, vieni a
vedere la nostra nuova casa!”. In un contesto come
quello dell’area di accoglienza, dove i luoghi sono per
lo più condivisi con altre persone, dalle tende alloggio, alla mensa, ai bagni, è stato importante per i bambini sentire di avere uno spazio proprio, dove poter
affrontare argomenti complessi e a volte dolorosi, in
una cornice rassicurante e portatrice di significato,
come quella del laboratorio creativo-espressivo.
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Psicologi per i Popoli
Questa la testimonianza della squadra intervenuta a Monticchio Garden dal 18 al 26 Aprile 2009:
Edgar Alhadeff, psicoterapeuta ASL Milano
Maria Cristina Danielli, psicoterapeuta ASL Milano
Maria Angela Quarti, psicoterapeuta ASL Milano
Emilia Ropa, educatrice coop. COMIN, Milano
Elisa Stucchi, psicologa e psicoterapeuta in formazione.
Psicologi per i Popoli Milano è un’organizzazione di volontariato, facente parte della Federazione Nazionale Psicologi per i Popoli, è accreditata dalla Protezione Civile nazionale per gli interventi psicosociali
in emergenza a favore delle vittime dirette e indirette, della comunità colpita, dei soccorritori e delle
organizzazioni impegnate nell’organizzazione e nella gestione della risposta all’evento.
“Dà parole al dolore:
il dolore che non parla
sussurra al cuore greve
e gli comanda di spezzarsi”
Shakespeare, Macbeth, atto IV, scena 3,1
È la sera del 15 aprile 2009: ci troviamo tutti nella
sede dell’Associazione per il passaggio delle consegne e per raccogliere le voci di chi, nei campi, ci
è già stato, fin dal giorno del sisma. Si deve decidere la composizione della nuova squadra che dovrà
partire di lì a 3 giorni. Ognuno consulta freneticamente l’agenda di lavoro ed infine si decide di
andare in 5: 4 psicologici e un’educatrice.
È fondamentale la scelta di coloro che si troveranno a
condividere questa esperienza, particolarmente
intensa e difficile dal punto di vista emotivo. Sentiamo di aver voglia di partire ma, nello stesso tempo, ci
chiediamo se riusciremo ad affrontare tutto il dolore,
la confusione e il disorientamento delle persone colpite dal terremoto. Con gli occhi osserviamo i volti
attorno a noi e, senza parole, ci scegliamo: è un pro-
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cesso di rispecchiamento che ci permette di decidere;
sappiamo che, per lavorare senza essere anche noi
spezzettati e traumatizzati, dobbiamo costruire una
squadra che permetta di “sostenerci nel sostenere”,
nel “curarci intanto che curiamo”. Non è un caso che
in 3 ci conosciamo già, facciamo parte del gruppo
delle emergenze della ASL e abbiamo avuto occasione di lavorare insieme. Ciò che ha permesso a tutti
e 5 di consolidare il nostro rapporto sono state le giornate di esercitazione con la Protezione Civile a Marco di Rovereto: non solo possiamo fidarci l’uno dell’altro, ma abbiamo anche una modalità di affrontare
le emergenze che tende a sdrammatizzare, a non
perdere il contatto con gli aspetti vitali.
tivo, individuale e gruppale. Per 10 minuti non è più il
tempo delle chiacchiere e dei progetti: improvvisamente e silenziosamente ognuno entra in contatto
con le parti di sé che lo hanno portato lì, in quel
momento, a fare quell’esperienza, il vento, il silenzio
e l’attesa, poi per tutta la settimana non ci saranno
altri momenti vuoti di rumori, suoni e voci.
Si giunge, finalmente, dopo tanta strada, all’ingresso
del campo dove si vede subito una moltitudine di
persone in un andirivieni incessante e numerose
divise delle diverse organizzazioni di volontariato.
Cerchiamo subito la nostra tenda e quella delle attività psicologiche, un punto da cui partire, una base
sicura; immediatamente comprendiamo che la divisa
non è solo obbligatoria ma necessaria al nostro interSabato 18, carichi di libri e riviste scientifiche, come vento, non solo per gli altri ma anche per noi.
coperte di Linus che ci scaldano e ci rassicurano,
oltre che divise recuperate la sera precedente, final- Troviamo ben presto il Capo Campo, Cinzio Merzamente partiamo. Durante il viaggio, si alternano gora: questo atto dovuto alla prassi delle emergenze
momenti di chiacchiere, silenzio e progettazione è nello stesso tempo un momento fondante della
dell’intervento rispetto alle consegne che abbiamo nostra attività; lui riconosce subito il nostro ruolo e
avuto. La comunicazione non verbale tra di noi è ci comunica immediatamente l’ora della riunione
rapida e veloce, la sintonia del gruppo si palesa già a serale di briefing. Questo capo campo ci fa sentire
metà viaggio e prima di arrivare decidiamo di fermar- all’istante la presenza di un padre amorevolmente
ci, come se ognuno di noi sentisse la necessità di autorevole, che con un grande sorriso e poche parovivere il proprio baricentro spazio temporale ed emo- le riesce a presentificare il clima emotivo del
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momento e tutte le cose da fare.
La presenza sul campo dei colleghi del turno precedente, in partenza la mattina successiva, ci permette
di permanere per qualche ora in quell’area transazionale fondamentale per confrontare le nostre aspettative fantasmatiche con la realtà del campo e per valutare i bisogni dei cittadini (vita nella tendopoli narrata
e vita nella tendopoli vissuta).
Ora a distanza di tempo, se dovessimo riassumere
le cose fatte, ci viene in mente un elenco di interventi psicosociali, di emozioni, di volti, di flash,
ma, forse, tutto quello che ha legato ogni singolo
atto clinico è stato un dare ordine al disordine,
ridurre il caos traumatico, utilizzando la mente
gruppale come luogo psichico di orientamento
spazio temporale ed emotivo. (Mente gruppale articolata a vari livelli e costituita da tutto il sistema di
intervento della Protezione Civile).
Che cosa ci ha colpito dei cittadini di Monticchio? Gli
sguardi che guardano ma non vedono, di chi ha sempre nella voce un certo tremore, delle lacrime che
spuntano ad ogni parola; il bisogno di vicinanza fisica
per ridefinire i propri confini, modalità impellente e
primaria di riappropriarsi del nucleo vitale dell’esistenza. Il racconto ripetuto delle paure, dei dolori, dei
traumi, anche precedenti al terremoto, visti e restituiti
dai nostri sguardi e dalle nostre parole, permette alle
emozioni di emergere legittimandole. È cosi che si
snoda e si riannoda il filo narrativo autobiografico,
sepolto dalle macerie del terremoto; si ritrovano le
capacità, la forza, la determinazione e la fiducia nel
pensare ad un futuro possibile e realizzabile.
Ricordiamo con emozione ogni storia raccontata e
ogni evento a cui abbiamo assistito.
Angela(*), la maestra della scuola materna di campo,
che nell’organizzare con noi la “tenda scuola”, ha
ritrovato, negli scatoloni recuperati e portati al campo
dalla Protezione Civile, i giochi dei bambini della
scuola materna in cui lavorava, ormai sepolta dalle
macerie. Un pianto di dolore incontenibile, la vergogna di manifestare la sofferenza, il pudore e il bisogno di condividerla e di viverla attraverso lo sguardo
dell’altro. Ma ecco che, accanto a questo dolore,
emerge anche la gioia di ritrovare un ricordo che
appartiene ormai al passato ma che è tutt’oggi presente e le permette di proiettarsi nel futuro e di ritornare in contatto con gli aspetti vitali del proprio ruolo
professionale.
Vincenzo, 70 anni portati con dignità, che non si rassegna a dover chiedere, ad avere bisogno dell’aiuto di
chi non ha perso tutte le proprie cose, fa finta di non
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aver necessità di niente, si lamenta di chi sembra
chiedere troppo, ma è sempre vicino a noi e partecipa ad ogni gruppo.
Adele, che conosciamo già poche ore dopo il nostro
arrivo, verso mezzanotte, pallida, spaventata, avvolta
in una coperta, ha affidato la figlia in tenda ad una
vicina, si avvicina, timida e timorosa, per raccontare
che ha deciso di ritornare al campo, dopo alcuni giorni trascorsi in un albergo sulla costa, perché non tollerava la lontananza dai parenti in questo momento di
difficoltà. Cerca con il nostro aiuto di superare il senso
di colpa per aver lasciato la sua terra, per essere stata
lontana da chi, come lei, sta cercando di affrontare il
trauma del terremoto. Come tanti altri si vergogna e ha
timore nel dover chiedere vestiti ed oggetti per la vita
quotidiana: subito si offre per rendersi utile all’interno
del campo e, dopo qualche giorno, la vediamo partecipare attivamente alle iniziative della tendopoli.
un ruolo professionale e che può e deve riprendere la
sua attività lavorativa.
Accanto a coloro che chiedono direttamente il nostro
aiuto, ci sono tanti che sembrano avere bisogno di
osservarci, di osservare come altri condividono con
noi il loro e anche il “nostro” dolore, di tenere a
distanza la propria sofferenza, di attivarsi per distanziarsi da emozioni troppo dolorose. Giustamente
ognuno ha un proprio tempo per affidarsi e fidarsi.
Luciano, adolescente simpatico e socievole, già dai
primi momenti attivo all’interno del campo, scherza e
ride con tutti. Dopo alcuni giorni dal nostro arrivo, si
presenta spaventatissimo e balbettante, per il riattivarsi di flash traumatici relativi al terremoto, stupito dalla
sintomatologia psicosomatica post-traumatica, scopre con noi la normalità di tali sintomi ed emozioni e
si rende contro che non sono la manifestazione di
una debolezza psichica. Piange e si commuove per
tale scoperta che lo libera dalla necessità di mettersi
Il sentimento di colpa insieme al dolore della perdita la solita maschera.
sembrano essere una delle condizioni psichiche
maggiormente presenti al campo. È così anche per Giulia si presenta all’accettazione del campo, appare
Franco, paralizzato dal “crimine” di avere ancora un turbata e subito dirompe in un pianto di disperaziolavoro, mentre quasi tutti lo hanno perso. Saranno ne. Una storia familiare contrassegnata da conflittuanecessari più colloqui per aiutarlo ad accettare che lità, da reciproche rivendicazioni e incomprensioni
forse è stato più fortunato di altri, che può mantenere tra madre e figlia, esasperata dalle difficoltà di vita
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quotidiana che il terremoto ha determinato. A volte,
in una situazione di grave calamità, per poter pensare
agli altri, bisogna prima aver pensato a se stessi, essersi presi cura di sé. Il giorno seguente Giulia inizia a
prestare servizio volontario nelle cucine del campo,
ritrovando una propria dimensione: traspare dai suoi
occhi la gioia di questa conquista, la soddisfazione di
fare qualcosa di utile per sé e di contribuire alla
gestione del campo.
Nella tendopoli si osserva la ripresa dei riti e delle
normali attività quotidiane, anche se è una quotidianità un po’ speciale. I bambini vanno a scuola regolarmente da più di una settimana, i genitori aspettano,
con qualunque tempo, i figli davanti alla tenda scuola, si raggruppano e parlano tra loro come tutti i genitori del mondo. Quando i bambini sciamano fuori, i
genitori li abbracciano, li sgridano, chiedono alle
maestre e agli psicologi se ci sono stati dei problemi,
qualcuno ne approfitta per parlare delle proprie paure e di quelle dei figli.
A metà settimana decidiamo, insieme ad alcuni cittadini del campo, adulti e adolescenti, di aprire uno
spazio di aggregazione al caldo e al coperto, vista la
pioggia costante, con l’obiettivo di favorire la creazione di un tessuto sociale maggiormente simile a quello
che il terremoto ha distrutto. Inoltre aiutiamo la popo-
lazione del campo ad organizzarsi per cogestire,
insieme alla Protezione Civile, la tendopoli–paese di
Monticchio.
Il lavoro al campo sembra non finire mai: c’è sempre
chi chiede, chi si avvicina per un consiglio o per
rimostranze sui disservizi della vita di campo; le
nostre tute della Protezione Civile ci rendono ben
identificabili, lasciandoci ben pochi attimi di riposo.
Tutto il giorno le emozioni di dolore, di perdita, di lutto, di disperazione … in sostanza il trauma degli altri
diventa anche il nostro ed è qui che la dimensione
del gruppo di lavoro si rivela fondamentale: il sostegno, la vicinanza, la complicità, la fiducia, la passione per il nostro lavoro e la capacità di trovare degli
attimi di gioia forniscono quel nutrimento essenziale
e quel contenitore psichico che ci permette di riconfermare la nostra interezza e la nostra vitalità.
A volte basta uno sguardo tra noi, non solo per dividerci il lavoro e per capire le priorità, ma anche per
continuare a condividere gli obiettivi dell’intervento con tutte le squadre di volontariato presenti nel
campo.
Alla fine della settimana, lasciamo la tendopoli arricchiti da tutte le relazioni vissute sia con i cittadini di
Monticchio, sia con gli altri volontari. Commossi e
riconoscenti per aver sperimentato che la forza vitale
dell’uomo non può essere annientata neppure da
traumi così importanti, solo se la condivisione, la
vicinanza e l’empatia restano le fondamenta di ogni
rapporto umano e professionale.
(*) I nomi dei cittadini della tendopoli di Monticchio
Garden sono stati modificati per tutelarne la privacy
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Milano per l’Abruzzo
di Leonardo Cerri
Leonardo Cerri è Responsabile della Direzione specialistica di Protezione Civile del Comune di Milano.
Con il suo gruppo partecipa alla Missione Abruzzo sin dall’inizio, su richiesta e sotto il coordinamento
della Regione. Con la colonna regionale, Cerri arriva a Monticchio la notte tra il 6 e 7 aprile. Da lì, la
colonna milanese viene subito destinata all’area delle “Rocche” con il compito di allestire e gestire i
campi di Rocca di Mezzo e delle tre frazioni di Fonte Avignone, Rovere e Terranera.
Alla fine di maggio, su richiesta del C.O.M. 4, da cui dipendono i campi delle Rocche, il gruppo milanese di Protezione Civile assume anche la responsabilità delle Funzioni F6 e F7 (Trasporti, Materiali e Mezzi e Servizi Essenziali).
In questa nota, Cerri ricostruisce le tappe della “sua” missione.
Questa volta non è un’esercitazione. Questa volta
l’emergenza è reale. Questa volta si tratta di mettere in pratica le procedure, le azioni di intervento
apprese, provate e ri-provate così tante volte
durante le esercitazioni. In Abruzzo si sta consumando un dramma. Un’emergenza di proporzioni
così enormi da imporre a noi uomini e donne di
Protezione Civile il ricorso a tutto il sangue freddo, la lucidità, il controllo, la capacità di tenuta
ed organizzazione che abbiamo sempre saputo
essere gli “asset” essenziali al buon esito di una
missione.
L’allerta arriva alle 3,50. Meno di due ore dopo, mi
ritrovo insieme al personale ed ai volontari del
gruppo comunale nella sede di via Barzaghi.
È la Regione Lombardia a coordinare gli aiuti in
partenza con la prima Colonna mobile. Su richiesta della Regione, il Comune di Milano mette a
disposizione la sua logistica pesante, i mezzi e le
attrezzature necessarie per garantire soccorsi - un
tetto ad almeno 400 persone.
Vengono subito allertate le diverse strutture operative comunali di Protezione Civile: il Nuir (Nucleo
di Intervento Rapido), l’Atm (l’Azienda Trasporti
Milanesi) e Milano Ristorazione. Le operazioni di
carico dei mezzi e dei materiali proseguono fino al
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pomeriggio. Montiamo, tra l’altro, una cucina da
campo, inaugurata appena un paio di mesi prima è
capace di sfornare circa 1800 pasti all’ora, e poi:
gruppi elettrogeni, due torri faro, una cisterna per il
gasolio, due tende pneumatiche utilizzabili come
mensa o per le attività di socializzazione e 35 tende per il pernottamento. E poi ancora tavoli e panche per più di 500 persone, ed altrettanti posti letto,
completi di brande e sacchi a pelo, illuminazione e
riscaldamento. Ed infine, le derrate alimentari (a
lunga conservazione), l’acqua e tutto il necessario
per un intervento di prima emergenza.
La Colonna comunale con i mezzi di soccorso a
pieno carico è composta da 2 autotreni, 3 camion
di supporto, 3 camion del Nuir, 5 pick up di cui
uno con cisterna gasolio e 2 con traino torri faro, 1
pullman Atm per il trasporto dei volontari e 1 vettura capo colonna.
Con me partono 8 dipendenti e 33 volontari del
gruppo comunale, 12 cuochi, 3 autisti del Nuir e 3
dell’Atm. Una parte di loro rimarrà in Abruzzo
ininterrottamente per un mese intero. Solo in una
seconda fase, infatti, inizieranno le turnazioni, ciascuna di due settimane, che progressivamente
vedranno alternarsi volontari e personale della
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Direzione Specialistica Protezione Civile.
La prima meta della Colonna è Monticchio, l’area
assegnata dal COM 1 alla Regione Lombardia, ed
è li che, una volta arrivati, riceviamo notizia della
destinazione: a noi del Comune di Milano è affidata l’area delle Rocche dove dobbiamo allestire e
gestire i campi di Rocca di Mezzo, Fonte Avignone, Rovere e Terranera per un totale di 900 persone
da assistere.
Prima di partire, scarichiamo e montiamo le 35
tende al Garden, l’area destinata al campo della
Regione, Monticchio 1. Ripartiamo subito dopo,
per raggiungere la nostra destinazione. Ma la strada principale è interrotta. Siamo costretti a seguire
un tragitto più lungo e tortuoso. Giunti alle Rocche
troviamo già 18 volontari della Provincia di Padova e 20 della Croce Rossa Italiana: con loro si collaborerà per tutta l’emergenza, instaurando un rapporto di reciproca fiducia e stima.
L’area destinata all’allestimento del campo è il
piazzale antistante la palestra di Rocca di Mezzo.
Sono già state montate 5 tende. Un numero infinitamente inferiore alle necessità. La gente è raccolta lì intorno. È disorientata. Il primo contatto con
la popolazione è un momento emotivamente diffi-
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cile, anche per noi. La paura sui volti di quelle persone, il loro smarrimento ci motivano al di là dell’impossibile.
Non avvertiamo la fatica, non ci lasciamo intimidire dalla dimensione dell’emergenza. Ci mettiamo
subito a lavoro per dare agli sfollati un riparo ed un
ristoro il più rapidamente possibile.
A Rocca di Mezzo, come nelle sue tre frazioni,
non ci sono stati morti e gli edifici per lo più non
hanno subito danni ingenti, almeno all’apparenza.
I rocchigiani si mostrano da subito di tempra forte.
Mentre noi scarichiamo i materiali e montiamo le
tende, loro cercano di dare una mano ai volontari.
Ed è anche grazie alla loro collaborazione che già
a sera 148 sfollati troveranno riparo nelle prime 18
tende che siamo riusciti ad allestire, mentre i 40
anziani del paese vengono alloggiati in una parte
della grande palestra, un edificio sicuro costruito
in legno lamellare ed arcate metalliche, che non
ha riportato danni. Per tutti gli altri, volontari in
testa, non resta che ripararsi nelle macchine e nei
mezzi di soccorso.
la mensa - che realizziamo in uno dei tendoni
pneumatici a sei archi e che arrediamo con i tavoli, le panche ed ovviamente un impianto di riscaldamento adeguato.
La prima settimana è molto dura: il campo ospita
ormai circa 850 persone ma mancano ancora le
docce ed i bagni sono solo quattro, due per gli
uomini, due per le donne.
E poi fa molto freddo: la notte la temperatura scende a meno 5: del resto Rocca di Mezzo si trova a
1.325 metri di altezza.
Giorno dopo giorno, però, il “villaggio” crescerà,
si farà più attrezzato ed accogliente sino a meritare
le “5 stelle” della michelin delle tendopoli!
Stelle a parte, il campo ormai funziona a pieno
regime. Per questo, ne affido la gestione
ad un tecnico della Direzione Specialistica, Renzo
Zanutto, che successivamente si avvicenderà con
Mauro Pedrazzi, e rientro a Milano. È necessario,
infatti, seguire il coordinamento dalla “base”, dalla
nostra centrale operativa. Si tratta di reperire e smistare le risorse, organizzare uomini e mezzi, pianiII mattino seguente, di buon ora, siamo già al lavo- ficare, in sinergia con la Regione, le attività della
ro: montiamo le altre tende, la cucina da campo e missione.
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Grazie ad un sistema di comunicazione innovativo
adottato dal Comune di Milano per la prima volta
in un teatro reale di emergenza, siamo in grado di
coordinarci in tempo reale con il Com, i campi, le
strutture di soccorso e le centrali operative.
Si tratta di un sofisticato software di Crm (Customer
relationship management) che ci permette sin dalle prime ore di adattare la piattaforma di comunicazione multi canale alle esigenze legate al sisma
e in particolare alla gestione dei campi e delle
comunicazioni con il COM 4. È stato configurato
in appena un paio d’ore, direttamente sul luogo.
Da subito, quindi, abbiamo potuto mettere in rete,
utilizzando semplici collegamenti internet, i palmari, i telefonini e i computer sia degli operatori
sia dei cittadini di Rocca di Mezzo e delle altre tre
frazioni.
In questo modo abbiamo potuto ricostruire il complesso tessuto relazionale tra le forze di Protezione
Civile, le amministrazioni locali e centrali, gli sfollati e le Forze dell’Ordine. Sul sito internet del
Comune di Rocca di Mezzo, inoltre, è stata riservata un’area per la registrazione ed il censimento
di tutta la popolazione, creando cosi una nuova ed
attendibile “anagrafica” delle tendopoli.
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La piattaforma ha permesso quindi di avere sempre
aggiornamenti in tempo reale, con le informazioni
caricate dalle varie fonti operative - i campi, i
COM…
Da Milano, quindi, si è in grado da subito di acquisire e visualizzare, quotidianamente i report, le
fotografie e inviare sms predisposti dal responsabile delle tendopoli.
Il 30 maggio, il C.O.M. 4, da cui dipendono i campi delle Rocche, affida a Milano la responsabilità
delle Funzioni F6 e F7 (Trasporti, Materiali e Mezzi
e Servizi Essenziali). "In considerazione del fondamentale contributo dato dalla Direzione Specialistica che fino ad oggi ha operato sul territorio del
Centro operativo misto 4 nel comune di Rocca di
Mezzo, e tenuto conto delle capacità professionali
ed organizzative dimostrate dal personale che ha
garantito la gestione del campo di accoglienza..":
cosi recita la nota redatta dal responsabile del
C.O.M. per motivare l’assegnazione a Milano del
nuovo compito.
Un compito tutt’altro che facile. Il COM 4, infatti,
ha la responsabilità di 21 campi di accoglienza,
che ospitano circa 4.200 sfollati, e coordina l’attività di circa 400 volontari di Protezione Civile e di
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necessario fare un bilancio, trarre insegnamento
dagli errori e valorizzare gli aspetti che si sono
dimostrati più virtuosi - e tra questi, senz’altro le
risorse umane, volontarie e non.
Ma non dobbiamo adagiarci. Non è nel nostro spirito e nel nostro stile. Non è nello spirito della ProIl nostro impegno, però, non si esaurisce con la tezione Civile e non è nello spirito dei milanesi.
gestione dei campi. Per circa due settimane, infatti,
trenta volontari del gruppo comunale di Protezione Civile hanno supportato, in squadre da quattro,
i tecnici dei Vigili del Fuoco per la messa in sicurezza degli edifici storici. Abbiamo operato nelle
cittadine di Rocca di Mezzo, Rovere e Terranera,
aiutando a puntellare volte, bifore o trifore, a “cinturare” parti di facciate o campanili pericolanti e a
recuperare campane o statue votive.
60 Vigili del Fuoco. Assumere le Funzioni 6 e 7 per
Milano è una grande sfida. Una sfida che, grazie
alla competenza dei nostri operatori, la sinergia
con il COM e la dedizione dei nostri volontari, il
Comune di Milano riuscirà ad onorare al meglio.
Per molti di noi, contribuire a salvare l’enorme
patrimonio architettonico ed artistico di quei luoghi ha significato un po’ contribuire alla loro rinascita. Il Sistema di Protezione Civile della Lombardia ha compiuto una missione complessa, impegnativa che, spesso, è andata aldilà della semplice
gestione dell’emergenza.
È stata una prova sulla quale tutti noi, operatori e
volontari, saremo chiamati ad interrogarci. Sarà
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Dall’emergenza una lezione per il futuro
di Dario Pasini
Dario Pasini è Presidente del Comitato di Coordinamento delle Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile della Provincia di Milano - CCV-MI.
Monticchio 2 è il campo che insieme ai suoi volontari ha contribuito a creare ed accompagnare alla
“vita”. A Monticchio 2, Dario è tornato più volte. L’ultima all’inizio di ottobre, con una missione chiara:
preparare la chiusura.
Questa la testimonianza scritta pochi giorni dopo il suo ultimo viaggio.
Sabato 3 ottobre 2009, Monticchio 2 chiude
Ai primi di settembre ricevo da Regione Lombardia
e Provincia di Milano la richiesta di collaborare
all’organizzazione logistica dello smontaggio dell’area di accoglienza che, per noi volontari della
Provincia, è “il” campo.
Monticchio 2, da cui sono andato e venuto più volte., è il campo che ho contribuito ad allestire, gestire e far vivere in questi lunghi mesi sin dalla prima
partenza della colonna mobile. Da allora, si sono
avvicendate 35 colonne mobili e hanno operato solo lì - più di seicento volontari. L’atmosfera però
oggi è ben diversa da quella dei primi giorni.
In quei mesi, infatti, il campo è diventato una vera
e propria comunità, dove ricostruire metaforicamente - e non solo - la quotidianità così brusca-
mente interrotta.
All’approssimarsi della chiusura del campo, tuttavia, i sentimenti tra gli sfollati non sono più gli stessi: predominano il senso di attesa e di paura, una
paura sottile ma angosciante.
Gli ospiti del campo, uomini e donne, si attardano
volentieri con me a spiegarmi da cosa nascano
queste loro paure: è l’attesa per la prossima destinazione!
Già, quale sarà la destinazione futura di ognuno di
loro? Lontano dal paese? Lontano dalle persone e
dalle attività di questa piccola comunità che vive
ancora dei rapporti e delle relazioni quotidiane, rassicuranti e familiari che qui sono il collante dell’identità della popolazione? Mi raccontano della
paura di perdere il “nucleo sociale” di Monticchio,
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di veder frantumare la comunità. Mi dicono che vorrebbero mandare don Cesare non si sa dove e che…
nooo: questo per loro è impensabile! Per me, è invece incomprensibile il loro sgomento. Ok, mi viene
difficile ma cerco di capire e di immedesimarmi nelle loro vite per cogliere questa paura. Io che vivo a
Milano, non ho mai dato importanza a questi aspetti
della vita comunitaria. La vita, a Milano, non ruota
intorno alla “piazza” del paese; ognuno è il centro di
se stesso, anche quando sta in mezzo agli altri. Nella
metropoli è andata perduta l’idea di comunità come
polo di aggregazione della vita sociale. Per la gente
di Monticchio, invece, è proprio l’appartenenza alla
loro comunità che dà senso ad ogni singola e personale realtà.
Solo ora, catapultato mio malgrado in questo modello di vita mi rendo conto di quel che in questi mesi ho
vissuto, ed è così che ripercorro la mia avventura e la
mia vita “nel sisma”. Ed è solo così che scopro quanto fossi impreparato a vivere una vera emergenza.
La mia prima partenza
È il 26 aprile, sono le 8.00 quando, completamente
concentrato sulle attività logistico/organizzative che
mi attendono, arrivo per la prima volta al campo:
una specie di formicaio, in piena e concitata attività,
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nel quale non mi sento affatto a mio agio.
Mi bastano però poche ore per “prendere le misure”
e capire che avrei dovuto fare i conti anche con il
mio cuore, con il mio senso di impreparazione e
impotenza, con la mia umana impossibilità di dar
conto a tutti di tutto. Fare i conti con l’impossibilità di
essere sempre in grado di dare le risposte giuste ai
tanti problemi che gli sfollati mi sottopongono,
aspettandosi una soluzione. La soluzione che può
dare uno che, come me, in quel momento indossa
una divisa e, in più, ha una scritta sul petto che dice
chiaramente “coordinatore”.
Coordinatore! Già! Ma sono lì a coordinare cosa?
Mi fermo, respiro e penso. Penso che con il mio
gruppo di volontari siamo una squadra preparata e
coesa, armata di entusiasmo e passione. E che siamo
lì solo per ciò che umanamente è possibile fare. E
questo pensiero mi da conforto.
Dopo quella prima volta, in Abruzzo ritornerò spesso. Torno una seconda, una terza e un’altra volta
ancora e, passata la prima necessità di montare tende e strutture, mi rendo conto che “i residenti” si
aspettano da me (da noi) qualcosa che io non posso
dare: una bella notizia, risolutiva del loro stato precario; magari la soluzione ad una situazione familiare ben più complessa del semplice aspetto logistico.
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Resto in silenzio, ho difficoltà a gestire questi rapporti umani. Mi sento assalito da sentimenti di delusione
e amarezza ed allora cerco di darmi da fare, impegnandomi in attività materiali per rendere il campo
ancora più accogliente e organizzato.
Ma l’attività pratica va via via diminuendo mentre
aumenta il tempo per richiamare tra gli sfollati i
ricordi del passato e per le riflessioni sul senso della
nostra - di noi volontari - missione.
Come nella vita di tutti i giorni, quindi, tornano i problemi “normali”: una coppia in crisi che l’emergenza non aiuta a ritrovarsi; un uomo in difficoltà ad
inserirsi nel contesto del nuovo gruppo sociale finora
a lui estraneo; un bimbo che sta male; il lavoro che
ritorna e con esso l’assillo e l’impegno; i bambini e la
preoccupazione dei genitori per il loro futuro.
Ho una figlia piccola anch’io e capisco le loro ansie
e la loro inquietudine. Ma i bambini di Monticchio
2, oggi, sono tornati a sorridere e a giocare. C’è una
luce nei loro occhi, oggi. È la luce della vita che
riparte.
dalle Province di Milano e Monza Brianza nella
gestione delle cucine.
Domani la vita, la mia vita, tornerà alla sua quotidianità. Già, la quotidianità! Con una finestra che resterà per sempre aperta sulla mia e sulla nostra esperienza.
Mi porto a casa una meravigliosa esperienza umana,
pur nella tragicità dell’evento dentro cui si sono
incontrati e incrociati i destini di mille e mille persone. E, dentro questo contesto, è stato “normale” parlare e interagire con tutti: dai funzionari del Dipartimento, a quelli della Regione e delle altre Istituzioni
locali; è stato “normale” avvicinarsi e conoscersi fra
volontari di cento e più organizzazioni diverse; è stato “normale” mettere in luce quelle eccellenze e
professionalità da anni nell’ombra; è stato “normale”
far lavorare i giovani assumendomi in prima persona
la responsabilità del loro agire; è stato “normale” fare
in sei mesi un percorso di collaborazione che avrebbe richiesto forse
dieci anni; è stato “normale” sentirsi gruppo, sotto la
spinta di un’adrenalina positiva che solo la necessità
Domenica 4 ottobre 2009, ore 23.30: rientriamo.
di fronteggiare un evento sa attivare. Mi porto a casa
Il cancello del centro di Agrate si chiude alle mie l’idea che sono state gettate le basi del gruppo prospalle e con lui si chiude la Missione Abruzzo, alme- vinciale. Il mio sogno, il gruppo provinciale!
no per quanto riguarda il grosso impegno assolto
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L’importanza della preparazione teorica
di Fabio Valsecchi
Fabio Valsecchi, geologo, è Responsabile del Servizio di Protezione Civile per la Provincia di Lecco. Nella
missione Abruzzo ha coordinato il gruppo della colonna provinciale ed assolto la funzione di Capo campo.
Una prova anche empirica, questa, dalla quale è scaturita un’attenta riflessione teorica.
Questa la sua testimonianza.
Nei miei 10 e passa anni di carriera come Responsabile del Servizio di Protezione Civile per la Provincia di Lecco, ho avuto la possibilità di seguire
un’intensa attività di formazione, per lo più, mirata
alla gestione delle situazioni di emergenza.
Tra le tante esperienze formative, una delle più
significative è stato il corso per “Coordinatori di
Emergenza”, organizzato nel 2001 dall’IREF (Istituto Regionale di Formazione). Molte poi le attività di
training alle quali ho partecipato sul campo.
Perché questa premessa? Perché non è insolito, nel
mondo della Protezione Civile, imbattersi nell’opinione secondo la quale studiare la teoria in realtà
non serva a nulla, nella convinzione che quello che
serve veramente per gestire ed affrontare situazioni
di Protezione Civile siano solo l’esperienza e la
capacità operativa acquisite sul campo.
Ma questo, dal mio punto di vista, è sbagliato.
O meglio, è vero solo in parte.
La Protezione Civile è un sistema complesso che
non si può comprendere a fondo se lo si guarda
solo da punti di vista parziali, per quanto significativi, come possono essere quelli dei singoli gruppi
di volontariato chiamati ad intervenire in un’emergenza.
Quello che si vive in questi casi, infatti, è spesso
frutto di azioni spontanee talvolta compiute in un
contesto caratterizzato da forte coinvolgimento
emotivo dovuto all’urgenza dei soccorsi, degli
interventi di messa in sicurezza, ecc. E questo
impedisce - o rende più difficile - una valutazione
obiettiva, lucida, di carattere generale.
Per essere in grado di gestire un’emergenza
con efficacia ed efficienza, invece, serve uno
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sguardo analitico addestrato, ed una padro- Insomma è evidente che nella mia valutazione a
nanza degli strumenti teorici e professionali prevalere fosse l’aspetto emozionale, non quello
propri del crisis management .
lucido, razionale, del professionista di Protezione
Civile.
Il terremoto in Abruzzo ha rafforzato questa mia
convinzione. Proverò a spiegare perché.
È proprio questa riflessione sull’esperienza persoHo partecipato alla missione coordinata dalla nalmente vissuta in Abruzzo che ha rafforzato la
Regione Lombardia in ruoli diversi: oltre che mia convinzione, ovvero che se non si è già in posresponsabile per la Provincia di Lecco, infatti, sono sesso di una solida conoscenza teorica del sistema
stato anche Capo campo a Paganica 5, tra fine burocratico/gestionale ordinario e dei processi di
luglio e inizio agosto.
Protezione Civile, in Emergenza si rischia di svolgeSono partito con il collega Valentino Castelli. Ho re azioni di cui non si comprende appieno la portaavuto con me la colonna mobile dei volontari della ta ed il valore, e dunque neppure le conseguenze.
Provincia di Lecco. L’esperienza è stata positiva:
grande collaborazione, efficienza, nessun proble- Scegliere e decidere, anche cose all’apparenza
ma di particolare gravità.
banali, porta sempre a delle conseguenze: se non si
Eppure, al mio rientro, mi sono reso conto che, pur hanno basi teoriche di conoscenza della macchina
essendo stato giù una settimana, non avevo capito amministrativa si rischia di agire solo sulla base di
quasi niente di quello che realmente gira attorno ad quello che ci comanda il cuore. E questo non vale
un campo per sfollati ed ancor meno quello che affatto solo per i volontari. Anzi, la cosa sorprensignifica gestire un evento complesso come l’emer- dente che io stesso ho personalmente registrato è
genza sisma in Abruzzo. Durante la mia missione che questo cedere all’emotività può colpire persino
nella tendopoli, infatti, sono stato totalmente assor- un operatore professionista con una consolidata
bito dalla gestione del “mio campo” che, sin da esperienza come la mia!
subito, mi appariva il più bello, il migliore, il
meglio attrezzato, il più vivibile...
Come Capo campo mi sono interrogato più volte
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sul mio ruolo giuridico/istituzionale, sulle mie
responsabilità verso i volontari e gli ospiti, sui
miei compiti rispetto alle questioni legate alla
sicurezza dentro e fuori il campo, sulle mie
responsabilità amministrative. Mi sono chiesto –
in sostanza - se il Capo campo fosse un pubblico
ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. E se
nella mia funzione di Capo campo dovessi assecondare comunque le contingenti necessità degli
ospiti oppure tenere un comportamento improntato alla gestione burocratico-normativa arrivando a
impartire ordini del tipo: questo si può fare e questo no.
Faccio un esempio: un giorno, durante la mia missione a Paganica 5 si presentata una squadra di
carabinieri che, rivolgendosi a me nel mio ruolo di
Capo campo mi chiede se servisse qualche cosa, se
vi fossero segnalazioni da fare.
Ebbene, mi sono chiesto: ma questi uomini delle
Forze di Polizia dipendono, in qualche modo,
anche dal Capo Campo ovvero, nella fattispecie,
da me?
Sono stati loro stessi, in questo caso, ad aiutarmi a
svelare l’arcano. Mi hanno spiegato infatti di aver
ricevuto l’ordine di mettersi a disposizione del
Capo campo, così come avrebbero fatto se fossero
stati incaricati di gestire l’ordine pubblico mettendosi al servizio dell’autorità locale. Accidenti, mi
dico: allora qui nel campo l’autorità sono io!
Molte e diverse sono le domande che mi sono fatto.
E non tutte hanno ancora trovato risposta. Quello
che ho capito però è che quando si parla dell’esperienza sul campo, in fondo, si fa spesso riferimento
“alla somma degli errori del passato”.
Ebbene è necessario far tesoro di quegli errori nella
consapevolezza però che il contributo di ciascuno
di noi, pur se importante, rappresenta solo una goccia nel mare; che la Protezione Civile non è una
competizione tra chi è più bravo. E che mai un
intervento sul campo deve essere improntato
all’obiettivo di dimostrare il maggior valore della
propria squadra rispetto ai gruppi “concorrenti”.
Questo rischio non si deve assolutamente correre,
sebbene mi sia reso conto quanto facile sia per tutti
noi operatori di Protezione Civile - professionisti,
tecnici, volontari - in qualche modo incapparvi.
Per questo la recente esperienza in Abruzzo è stata
uno stimolo ulteriore a migliorare le mie conoscenze teoriche, per uscire dalla logica del punto di
vista personale ed imparare a rivolgere sempre lo
sguardo al più generale, complesso e variegato
sistema della Protezione Civile.
Credo che questa pubblicazione possa rappresentare un valido e concreto contributo in questa
direzione.
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Il Sistema delle Colonne Mobili Provinciali
di Giovanmaria Tognazzi
Direttore del Settore di Protezione Civile della Provincia di Brescia, in questa nota Tognazzi definisce il
quadro normativo ed operativo delle Colonne Mobili provinciali nell’ambito del sistema regionale di Protezione Civile e riporta in dettaglio il ruolo da queste assunto nella Missione Abruzzo.
Nel 2002, a seguito delle riforme legate al decentramento amministrativo, la Regione Lombardia ha
assegnato alle province la tenuta dell’Albo Regionale del volontariato di Protezione Civile.
La consapevolezza del nuovo ruolo spinge da subito le Province a collaborare in seno all’Unione Province Lombarde con un gruppo di lavoro ad hoc
che si adopera per la condivisione di esperienze e
buone prassi, sia a livello politico che tecnico.
Anche se in forma non organizzata ed istituzionalizzata, si avvia la collaborazione con la Regione
per il recepimento di questa delega che, proprio
nell’autunno dello stesso anno, trova un primo
riscontro operativo nel supportare la colonna mobile regionale in Molise e sul territorio regionale per
far fronte all’emergenza idrogeologica.
Con il Testo Unico di Protezione Civile (L.R. n. 16
del 22 maggio 2004), all’indomani delle riforme
costituzionali sull’ordinamento della Repubblica,
viene attribuito un ruolo determinante alle Province nelle diverse attività di Protezione Civile. L’Art. 3
del Testo Unico elenca le materie assegnate prevedendo compiti nel coordinamento dei Comuni per
le attività di pianificazione e di programmazione,
di coordinamento del volontariato, di attivazione
dei servizi tecnici di competenza. L’art. 7 si spinge
oltre attribuendo al Presidente della Provincia la
qualifica di Autorità di Protezione Civile e come
tale di responsabile dell’organizzazione generale
dei soccorsi sul territorio.
Nel 2004 l’emergenza Sisma di Garda e Valle Sabbia segna un nuovo punto di passaggio verso un
decentramento anche dell’intervento operativo, e
nel 2005 con l’intervento per le Esequie del S.
Padre, Papa Giovanni Paolo II, gli embrioni delle
prime “colonne mobili provinciali”, costituitesi in
alcune Province, verranno mobilitate dalla Regione
per l’assistenza dei pellegrini a Tor Vergata.
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Si costituisce nel 2005 il tavolo inter-istituzionale
Regione–Province nei livelli politico e tecnico quale momento istituzionale di confronto.
Nel 2007 l’organizzazione dell’esercitazione
nazionale “Valtellina” metterà in luce una serie di
limiti e criticità che daranno impulso ad un’accelerazione degli investimenti in dotazioni per far fronte alle emergenze, almeno di livello locale.
6 aprile 2009. L’affermazione di un modello
La prima emergenza
Dopo l’allertamento di Regione Lombardia vengono mobilitate le organizzazioni di volontariato e le
rispettive colonne mobili.
Alle ore 13 viene richiesto alla Provincia di Brescia,
dal coordinatore della Sala operativa regionale,
Domenico De Vita, di comporre una colonna per la
gestione in autonomia di un campo con la collaborazione delle altre Province. Brescia ha una colonna mobile già adeguatamente strutturata e pronta
all’uso, dotata di un’unità logistica del tutto autosufficiente per erogare pasti (cella frigorifera, produzione energia elettrica, cisterne di acqua potabile, servizi igienici e docce, modulo camper segreteria), non è dotata però delle strutture necessarie
all’ospitalità degli evacuati (tende, effetti letterecci,
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e servizi igienici per gli ospiti).
In quanto responsabile della Protezione Civile della
Provincia di Brescia, mi è stato quindi affidato il
compito di estendere e coordinare la richiesta alle
altre realtà provinciali, supportando nel ruolo di
coordinamento il collega Fabio Valsecchi, della
Provincia di Lecco.
Un rapido censimento con i colleghi delle altre
province ha consentito la composizione di una
colonna che, partendo già alle 22.00 della stessa
sera del 6 aprile, fosse in grado di raggiungere la
Colonna Mobile Regionale. Qualche dato sulla
dotazione della colonna provinciale aiuterà a comprendere la portata dell’intervento, limitatamente
alla primissima fase di emergenza. La sola Provincia di Brescia ha allestito un convoglio composto
da autocisterne per acqua potabile e poli-soccorso,
autogrù, un’autoscala, un’unità mobile TLC, autocarri e fuoristrada, una cucina, un’unità distribuzione mensa, una cella frigorifera, un modulo bagni e
docce, 2 generatori e poi ancora tende pneumatiche e 50 brande. La Provincia di Lecco ha messo a
disposizione 4 mezzi, 10 tende, 80 brande e 11
volontari. La Provincia di Bergamo, 12 tende, 2
capannoni per la logistica, 4 volontari ed altrettanti
mezzi. Varese ha portato una decina di tende e 50
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brande; Lodi, 5 volontari ed un container wc, mentre Pavia, un’ambulanza attrezzata, 8 Persone e 2
automezzi. La Provincia di Milano, infine, ha contribuito al convoglio con 34 volontari, una tenda
polifunzionale ed una decina di tende da campo.
La messa a regime e il mantenimento nel tempo
A prescindere dalla quantità/disponibilità di mezzi
ed attrezzature per l’intervento in prima emergenza
il coordinamento provinciale ha assolto a diverse
funzioni che hanno costituito l’affermazione di
quanto definito dagli indirizzi normativi e politici,
ma soprattutto una serie di precedenti che definiranno gli orientamenti anche per le politiche future.
In particolare, per la prima volta Enti locali (Province e Comune di Milano), che non fossero le Regioni sono stati coinvolti direttamente con un ruolo
operativo - le prime ordinanze non contemplavano
la presenza di altri soggetti che non fossero appunto Regioni/Volontariato. Si è garantito un supporto
di personale/funzionari per la gestione delle colonne di volontariato, il reperimento e la disponibilità
di tecnici rilevatori e l’organizzazione in colonne
di erogazioni liberali di beni e risorse pervenute da
singoli ed aziende che nella prima emergenza
rischiavano, se non gestite, di intralciare la “mac-
china dei soccorsi”, destinandole ai centri di raccolta e dilazionando l’invio secondo le esigenze
dei campi. Sono state garantite le risorse umane sul
campo, con funzioni di supporto alla Regione
impegnata nel raccordo a livelli superiori, coadiuvando l’attività di scouting e progettazione (che ha
consentito l’apertura di altri 2 campi) e della funzione di Capo campo; dapprima inviando missioni
di funzionari di province diverse affinché si creasse
una “formazione di base” ed un esperienza comune e successivamente razionalizzando l’impiego in
nuove turnazioni. Sono stati fatti interventi compensativi alle carenze dovute agli imprevisti o ad
improvvise necessità (sia in termini organizzativi
che di risorse, ad esempio, per gli acquisti di materiali e attrezzature). Si è provveduto, infine, con
missioni periodiche a verificare le situazioni, cercando di mitigare gli effetti dovuti al cambio di
gestione tra le rispettive colonne di volontari, funzionari e ospiti.
Le Province hanno sostenuto la Regione in
un’emergenza lunga ed impegnativa dando compimento a quanto il territorio della Lombardia è in
grado di esprimere, se incoraggiato e sostenuto nel
principio autentico della sussidiarietà. Con il loro
impegno tempestivo, continuativo e capillare, le
Province lombarde hanno dato un contribuito
sostanziale alla Missione Abruzzo. Un contributo
che dà valore all’intero sistema regionale di Protezione Civile.
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Postfazione
Il 6 aprile 2009 è stato un giorno veramente tragico per L’Aquila. In pochi secondi, la splendida città che tutti amavamo si è trasformata in un cumulo di macerie. Chiese secolari, palazzi storici, l’inestimabile patrimonio artistico ed
architettonico, tutto spazzato via. Come le vite di 307 nostri concittadini, tra i quali molti giovani non sopravvissuti
al crollo delle abitazioni prese in affitto nel centro storico o della maledetta Casa dello studente. Un’esperienza che
non auguro a nessuno di vivere. Come amministratore ma soprattutto come uomo, figlio di questa terra d’Abruzzo.
Eppure, nel dramma, nel dolore, nel profondo senso di impotenza e solitudine, L’Aquila ha riscoperto valori, legami, gesti d’altruismo e d’amore che si pensava non esistessero neanche più. Tutta l’Italia, nei momenti di concitazione dell’emergenza post terremoto, ci è stata vicina. E non solo col pensiero o col cuore. Uomini e donne della Protezione civile, del volontariato, dei Vigili del fuoco e delle forze armate e dell’ordine, si sono subito precipitati in
Abruzzo nel disperato tentativo di salvare più vite possibili. Hanno scavato tra le macerie con noi, anche mettendo
in pericolo se stessi, ci hanno confortato, hanno cucinato per noi pasti caldi. Di questo grande esercito ha fatto parte, e fa parte ancora, la Regione Lombardia che ci ha messo a disposizione mezzi, competenze professionali ed
anche fondi per contribuire alla ricostruzione del tessuto edilizio ma anche culturale. Col Presidente Roberto Formigoni abbiamo subito instaurato un rapporto di grande collaborazione. Ricordo con piacere la sua prima visita al
campo di accoglienza di Monticchio, nella periferia aquilana, gestito con efficienza proprio dalla Regione Lombardia. È qui che Formigoni annunciò di voler costruire un campus universitario ed una struttura didattica a Coppito.
Un gesto veramente apprezzabile, considerando i gravi danni subiti dal nostro prestigioso ateneo. Ma ricordo anche
la visita successiva, compiuta quasi a voler controllare che tutto procedesse per il verso giusto, che le promesse
venissero tutte mantenute. L’Aquila ferita e piegata ha scoperto, in questa triste occasione, una nuova Italia che ha
messo da parte localismi e campanilismi, che si è stretta incondizionatamente intorno alla nostra sofferenza, che ha
patito con noi, che empaticamente ci sta sostenendo per farci rialzare la testa. Da questa Italia, da questo Governo,
abbiamo avuto molto. In appena sei mesi sono state realizzate casette antisismiche, sono state affittate case, prenotati alberghi per togliere le migliaia di sfollati dalle tendopoli prima del sopraggiungere dell’inverno. Sono stati messi in sicurezza gli edifici scolastici per assicurare la regolare ripresa dell’attività didattica e, dove impossibile, ovviato con i Moduli provvisori. L’attività amministrativa non ha mai abbandonato la città ed a piccoli passi sta riprendendo anche quella commerciale e produttiva. E se ciò è stato possibile, molto lo dobbiamo alla solidarietà del
sistema Paese. C’è ancora molta strada da fare, anzi, adesso viene il difficile. Ma siamo certi che con l’aiuto delle
Regioni italiane, insieme, potremmo raggiungere altri traguardi. Le nostre ferite, il nostro dolore, le nostre speranze,
la nostra riconoscenza, sono tutti sentimenti che è possibile trovare in questa splendida pubblicazione voluta dall’assessore Stefano Maullu. A lui va il sincero ringraziamento del popolo aquilano, per il suo impegno quale responsabile della Protezione civile della Regione Lombardia. Ma anche per questa sua importante iniziativa editoriale
che, se da una parte rende merito ai tanti professionisti e volontari lombardi, accorsi ad affrontare la tragedia insieme a noi, dall’altra continua a mantenere viva l’attenzione sull’enormità dell’evento che ha sconvolto il nostro territorio. Grazie assessore Maullu, grazie Lombardia e grazie Italia.
Gianni Chiodi
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Presidente Regione Abruzzo
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I volontari della Missione Abruzzo
Mustapha Aanzoul, Mariarosa Abate, Luciano Abba, Nazareno Abello, Mirco Abrami, Cristian Accini, Alberto Accorsi, Daniele Accorsi, Vincenzo Accurso, Carlo Acerboni, Daniela Aceti, Carlo Acquati, Diego Acquistapace, Marco Acquistapace, Carlo Adale, Michele Adamo, Carlo Adele, Mario Agazzi, Alberto Aggio, Carmen Agnelli, Galdino Agnelli, Lorena Agnelli, Piero Agnelli, Roberto Agnelli, Alberto Aiani, Amelio Airaghi, Roberto Airoldi, Emilia Albanesi, Alfredo Albarano, Oreste Albarano,
Claudio Alberghini, Francesco Albertario, Giovanni Alberti, Roberto Alberti, Giulio Albertoni, Ivan Albertoni, Riccardo Albiero, Claudio Albini, Luigi Aldeghi, Giovanni Aldini, Celestino Aldizio, Alberto Alebardi, Alessandro Alessi, Andrea Alessi, Antonio Alfieri, Klaus Nicola Alfieri, Francesco Algeri, Gerardo Algeri, Omar Algisi, Bruno Allevi, Ezio Alloisio, Vittorio Almici, Bimaria Edith Alomia Biojdo, Pietro Altamura, Giuseppe Amato, Simona Amatucci, Remo Ambrosetti, Giovanni Ambrosi, Gianpio Ambrosi, Eddi Ambrosini, Edii Pietro Ambrosini, Gianpietro Ambrosini, Enrico Ameraldi, Aniello Ametrano, Mauro Amigoni, Antonio Amisani, Franco Anadotti,
Matteo Anastasi, Moreno Andreani, Fiorenzo Andreola, Fedele Andreoli, Antonello Andreoni, Maurizio Andreoni, Angelo Andrusiani, Federico Anfossi, Alessandra
Angel, Giancarlo Angelibusi, Nicola Angelini, Luciano Angioloni, Davide Annovazzi, Paolo Anselmi, Alessandro Antinori, Michele Antinori, Claudia Antonelli, Roberto Antonietti, Claudio Antonini, Ilario Antonini, Ivan Antonini, Giovanni Apostoli, William Aquilini, Danio Arcari, Luca Arcari, Daniele Archetti, Luciano Archetti, Luigi
Archetti, Norman Archetti, Marco Arcolani Boffetti, Giuseppe Ardemagni, Pierangelo Ardemagni, Piergiuseppe Ardemagni, Luigi Arenghi, Nadia Argenti, Pasquale
Arianna, Francesco Aricci, Francesco Arici, Valerio Arici, Franco Arienti, Rodolfo Arienti, Cristian Arigoni, Luciano Arioli, Maria Luigia Arioli, Chiara Arizzi, Giuseppe
Armanelli, Roberto Arnetti, Adriano Arosio, Francesco Arrabito, Flavio Arras, Aquilino Arrighetti, Claudio Arrighi, Franco Arrigo, Giacomo Arrigoni, Marco Arrigoni,
Ernesto Arsuffi, Luca Luigi Arzuffi, Danilo Asperti, Massimo Asti, Franco Astori, Fabio Attanasi, Ottavio Attanasi, Maurizio Atzori, Daniele Audino, Carmelo Autelitano,
Alberto Autuori, Mario Avena, Pasquale Avignone, Fabio Avogadri, Luca Azzali, Stefano Azzali, Denis Azzoni, Stefania Azzoni, Marco Baccalà, Ezio Baccanelli, Giuseppe Baccanelli, Margherita Baccanelli, Laura Bacchetta, Cristian Bacchiocchi, Andrea Bacciocchi, Massimiliano Bachis, Valentina Bachis, Guido Bacis, Ivan Bacis,
Giuseppe Bacullo, Gianluca Badini, Achille Bagagiolo, Francesco Bagarelli, Elena Baggi, Tarcisio Baini, Alfredo Baini, Giovanna Baioni, Alfredo Baita, Nives Baldacconi, Federico Baldassari, Aurelio Baldelli, Aurelio Baldelli, Giovanni Baldini, Flavio Balduchelli, Clemente Balestra, Danilo Balestrieri, Marco Balestrini, Antonio Balgera, Pietro Ballarini, Emilio Luigi Ballerini, Gianantonio Balletti, Stefano Balzarotti, Armando Balzi, Marco Bana, Bruno Bandera, Elia Bandera, Sergio Bandera, Sergio
Bandiera, Massimo Bandirali, Alessandro Bani, Claudio Banni, Tiziano Baracchi, Fabio Baravelli, Elisabetta Barawitzka, Andrea Barbaglia, Carlo Barbaglio, Gianpaolo
Barbariga, Nadia Barbi, Massimiliano Barbieri, Pierluigi Barbieri, Sergio Barbieri, Alessandra Barboglio, Giuseppe Barboni, Renato Barbugian, Alessandro Barcaro,
Mario Barcaro, Ezio Barcella, Sergio Barcella, Milo Barillà, Efrem Nevio Barini, Felice Barini, Piero Bariselli, Giorgio Barlocco, Bruno Barni, Patrizio Barni, Fabrizio
Baronchelli, Alessandro Baroncini, Andrea Baroni, Giorgio Barozza, Giuseppe Barreca, Renato Barri, Pietro Bartoletti, Maria Candida Bartolini, Stefano Paolo Barzaghi,
Sergio Barzasi, Romano Basile, Cristina Bassani, Lino Bassani, Vittoria Bassetti, Cristian Bassi, Ermanno Bassi, Giuseppe Bassi, Luigi Daniele Bassi, Renzo Bassora, Lionello Battaglia, Roberto Battaioli, Marcello Battistello, Giuseppe Battistessa, Lucia Battisti, Giovanni Bavaro, Arrigo Bazzeghini, Mara Bazzeghini, Antonia Bazzoni,
Luca Beatini, G.Mario Beccarelli, Alberto Becchi, Daniele Becciu, Umberto Bedin, Francesco Bedogne’, Pierfelice Begliossi, Pasquale Belardo, Antonio Bellina, Paolo
Belinato, Abdelatif Belkhifi, Gianroberto Bellandi, Roberto Bellandi, Claudio Belleri, Cristian Belleri, Fabio Belleri, Gianmarco Belleri, Massimo Belleri, Umberto Bellesini, Amilcare Bellettato, Paolo Bellinato, Carlo Bellini, Gianpaolo Bellini, Roberto Bellini, Serena Bellini, Luigi Bellitra, Silvia Bellobono, Emiliano Belloni, Giacomo
Belloni, Serafino Bellotti, Alberto Bellotto, Tiziano Bellucco, Francesca Belotti, Marco Belotti, Pamela Belotti, Armando Beltrami, Stefano Benaglia, Ruggero Benassai,
Silvano Benassi, Battista Benatti, Monica Benatti, Roberto Benatti, Mario Benazzi, Tania Benetti, Igina Beneventi, Fabio Benigni, Bortolo Bennato, Salvatore Benvenuto,
Fabrizio Benzi, Roberto Berardelli, Roberto Berardinello, Gianluigi Beretta, Luca Giuseppe Beretta, Pietro Oscar Beretta, Tiziano Beretta, Samantha Beretta, Egidio Bergamaschi, Marcello Bergamelli, Antonio Bergami, Giorgio Bergantin, Vito Berghella, Alessandro Bergomi, Fabio Bergomi, Sandra Berionni, Giacomo Berlinghieri,
Claudio Bernardelli, Daniele Bernardi, Davide Bernardi, Lorenzo Bernardi, Simona Bernardi, Simone Bernardi, Valentino Bernardi, Mario Bernardo, Damiano Bernasconi, Daniele Bernardoni, Don Franco Bernasconi, Eugenio Bernasconi, Giulia Bernardoni, Maurizio Bernasconi, Mara Berni, Adriano Bernini, Fabio Bernini, Riccardo Bersani, Guerino Bersini, Oliviero Bertacchni, Alesandro Bertana, Bruno Bertani, Davide Bertarini, Fausto Bertasa, Roberto Bertazzi, Giuseppe Bertazzolo, Alessandro Bertazzoni, Faustino Bertelli, Maurizio Berti, Matteo Bertinelli, Francesco Berto, Bruno Bertocchi, Lorenzo Bertocchi, Ennio Bertoglio, Pietro Bertoglio, Luigi Bertoglio, Tiziana Bertola, Gianni Bertolani, Davide Bertolazzi, Alessandra Bertole Viale, Adriano Bertoletti, Alan Bertoletti, Mauro Bertoletti, Michele Bertoletti, Raffaele Bertoletti, Romeo Bertoletti, Samuele Bertoletti, Emiliano Bertoli, Diego Bertoli, Vittorio Bertoli, Alessandro Bertolini, Astrid Bertolini, Isaia Bertolotti, Luciano Bertolotti,
Enrico Bertoni, Giuseppe Bertoni, Marco Bertoni, Massimo Berton, Maurizio Bertozzi, Eugenio Bertuetti, Luciano Bertulessi, Alberto Besana, Luigi Besana, Stefano
Besozzi, Silvio Betti, Emil Bettinsoli, Monica Bettonagli, Gianfranco Bettoni, Giovanni Bettoni, Luigi Bettoni, Sergio Bettoni, Ferruccio Bettoschi, Giuseppe Bevilacqua,
Fabio Bianchetti, Silvia Bianchetti, Albert Bianchi, Antonio Bianchi, Bruno Bianchi, Cristiano Bianchi, Fabio Bianchi, Giuliano Bianchi, Guido Bianch, Linda Bianchi,
Orietta Bianchi, Roberto Bianchi, Rudy Bianchi, Stefania Bianchi, Aurora Bianchini, Luca Bianco, Grazia Bianco, Giuseppe Bianconi, Sergio Biasetti, Erminio Biasini,
Andrea Biasoli, Marco Biasolo, Luigi Biella, Roberto Biena, Francesco Biffi, Giovanni Bigi, Dario Bigiotti, Massimo Bigliani, Luigi Bignami, Serena Bignami, Alessandro
Bigoni, Mosé Bigoni, Ermes Bimbati, Angelo Bini, Lucrezio Bino, Emanuele Bino, Pietro Binotto, Paolo Bio, William Biraghi, Paolo Biscotti, Stefano Bisi, Gianni Bizzarri, Elvio Bizzotto, Gabriele Bizzozero, Mario Bleynat, Alessandro Bocca, Samantha Bocca, Giuliano Bocchi, Giordano Bocchiola, Gottardo Bodini, Michele Bodoni,
Giancarlo Boffelli, Alessandro Boffi, Bruno Boglioni, Enrico Bogni, Tiziano Boioni, Valentino Boles, Alfredo Bollani, Pierluigi Bollani, Felice Bolognese, Maurizio Bolpagni, Stefano Bompani, Alberto Bonacina, Federico Bonacina, Massimo Bonacina, Massimo Bonacorsi, Pier Francesco Bonadei, Giuliano Bonafede, Laura Bonaffini,
Marco Bonali, Gilio Bonalume, Franco Bonalumi, Daniele Bonanomi, Giorgio Bonanomi, Luciano Bonavida, Carlo Alberto Bonazzi, Luciano Bonazzoli, Luciano Bondioli, Mauro Bondioli, Benedetto Bondura, Luigi Bonelli, Alessio Bonetti, Ennio Bonetti, Francesco Bonetti, Giovanni Bonetti, Omar Bonetti, Roberto Bonetti, Stevens
Bonetti, Alessandro Bonfadelli, Ivano Bonfadelli, Mariaelena Bonfadelli, Marialaura Bonfadelli, Chiara Bonfadini, Luca Bonfanti, Gianluigi Bonfanti, Daniele Bonfiglio,
Maria Gabriella Bongiovanni, Mauro Tiziano Boni, Matteo Boniardi, Roberto Bonicchio, Simone Bonini, Francesco Boniotti, Mauro Boniotti, Marinella Bonizzi, Angelo Bono, Gaspare Bono, Alberto Bonomelli, Anna Maria Bonomelli, Bernardo Bonomelli, Giancarlo Bonomelli, Giorgio Bonomelli, Ivan Bonomelli, Mario Bonomelli,
Thomas Bonomelli, Augusto Bonomi, Katia Bonomi, Marco Bonomi, Paolo Bonora, Renato Bontacchio, Alice Bontempi, Sergio Bontempi, Benedetto Bonura, Barbara
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Bonvini, Adriano Bonza, Vittorio Bonzi, Giordano Boracchi, Antonio Borali, Massimo Borciu’, Moris Livio Bordoli, Adriano Bordoni, Giovanni Borea, Alberto Borelli,
Claudio Borelli, Alessandro Borghesan, Francesco Borghesi, Guido Borghesi, Maria Anna Borghi, Franco Borghi, Enzo Borgo, Massimo Borgonovo, Natalino Bornatici,
Claudio Borra, Claudio Borroni, Remigio Borsani, Fausto Borsatti, Giuliano Borsatti, Antonio Bos, Francesco Boschetti, Angela Bosio, Artemio Bosio, Gianbattista
Bosio, Manolo Bosio, Moris Bosio, Roberto Bosio, Antonio Bosisio, Chiara Bosisio, Roberto Boso, Luigi Bossi, Maurizio Bossi, Silvano Bossi, Giuseppe Bossoni, Marco
Bossoni, Vincenzo Bossoni, Aladino Botatti, Gaetano Bottaccin, Omar Bottesini, Roberto Botti, Stefano Bottiani, Paolo Bottini, Valentina Bottini, Erminio Bottoli, Vincenzo Bottura, Elisabeh Bourvic, Pasquale Bove, Umberto Boveri, Renzo Bozzato, Giovanni Bozzini, Alessandro Bozzoli, Dino Bracelli, Marisa Bracelli, Alberto Braga,
Gianfranco Braga, Umberto Braga, Massimo Braghieri, Maurizio Bramati, Alberto Brambilla, Alessio Brambilla, Antonio Brambilla Antonio, Camillo Brambilla, Deborah Brambilla, Gianluca Brambilla, Marco Brambilla, Patrizia Brambilla, Sergio Brambilla, Anna Brambillasca, Matteo Brancalion, Natale Brancato, Bruno Branchi,
Luciano Branchi, Fabrizio Brasca, Stefano Brasca, Tiziano Brasca, Gianluca Breda, Mariarita Bregaglio, Marco Bregoli, Giorgio Brembilla, Mauro Breme, Cristian Brescia, Angelo Bresciani, Francesca Bresciani, Pierangela Bresciani, Umberto Bresciani, Roberto Brescianini, Alessandro Brevi, Angelo Brevi, Giuseppe Brevi, Giuseppe
Brevi, Calogero Patrizio Brezza, Mario Briancesco, Graziana Bricalli, Marco Bricalli, Poliuto Bricalli, Angelo Bricchetti, Vito Bricchetti, Cristian Brignoli, Giuseppe
Andrea Brignoli, Valter Brignoli, Mario Brillantino, Luca Brioschi, Ivan Brivio, Mario Brivio, Gianluca Brocca, Alessandro Broggi, Carlo Mario Broglia, Roberto Broglia,
Giovanni Brotto, Emanuele Brugaletta, Monica Brugali, Ernesto Brugnetti, Diego Alfredo Brumana, Rudy Brunati, Claudio Brunelli , Veronica Brunelli, Francesco Bruni,
Igor Bruni, Emanuele Bruno, Flavio Brusa, Adriano Brusaioli, Gianluigi Brusati, Ettore Brusatori, Giovanni Bruschi, Arnaldo Brusetti, Alida Brusoni, Francexsco Brusotti,
Angelo Buffoni, Massimo Bugamelli, Pietro Bugeia, Alberto Buglia, Claudio Buizza, Franco Buizza, Alessandro Bulzoni, Andrea Buonnaccorso, Crescenzo Buonopane,
Nicola Buonsante, Francesco Burani, Riccardo Buratti, Davide Burlotti, Diego Burlotti, Giuliano Busacchini, Davide Busi, Loris Busi, Serena Busi, Bortolo Businaro,
Giancarlo Buson, Paola Busotti, Sergio Giuseppe Bussatori, Italo Butchievietz, Andrea Butta, Pier Dario Buzzella, Giorgio Buzzetti, Valeriano Buzzola, Anna Cabiddu,
Fabio Cacchero, Alberto Caccia, Fabio Caccia, Angelo Caccialanza, Ernesto Cadei, Carlo Cadregari, Ernesto Cagna, Primo Cagni, Sergio Cagossi, Serena Caiani, Nello
Cairoli, Angela Caironi, Maurizio Caironi, Oriano Caironi, Giuseppe Calabrese, Cesare Calcinardi, Giampietro Caldara, Sergio Calderoli, Laura Caldinelli, Ciro Caleandro, Roberto Caleffi, Alberto Caletti, Mauro Caligari, Petru Caliman, Patrizia Calonghi, Gianfranco Calufetti, Giuseppe Calvetti, Pietro Calvi, Silvio Calvi, Maurizio
Calzavara, Pierluigi Calzighetti, Adriana Calziniato, Ennio Calzoni, Giovanni Camanini, Marco Camattari, Francesco Camba, Laura Cameroni, Ugo Camesasca, Alessandro Camilleri, Enrico Caminada, Alessandro Camnaghi, Pierfranco Campagnoli, Davide Campagnolo, Claudia Campana, Fabio Campana, Paolo Campana, Matteo
Canato, Ferdinado Candiani, Fabio Canestrari, Francesco Cangini, Giovanni Cannizzaro, Pietro Cannizzaro, Roberto Canobbio, Tarcisio Canova, Walter Canova, Elisa
Cantarelli, Roberto Canton, Diego Cantoni, Carlo Cantoreggi, Maurizio Canzini, Roberto Capelletti, Bruno Capelli, Fabio Capelli, Marco Capelli, Silvio Capelli, Giovanna Capoferri, Luigi Cappa, Gianpietro Cappadocia, Alessandro Caprioli, Gianmassimo Caprotti, Sara Capulifere, Giuseppe Caputo, Katia Caputo, Andrea Carbone,
Giuseppe Carbone, Giuseppe Emilio Carcano, Mauro Carcano, Roberto Cardano, Sergio Cardin, Giancarlo Cardini, Marco Caredda, Luca Carelli, Alessandro Caretti,
Rossella Carissimi, Claudio Carlin, Roberta Carmignani, Angelo Carminati, Giancarlo Carminati, Nicola Carminati, Riccardo Carminati, Luigino Carminato, Daniel
Florian Carnaghi, Claudio Carnini, Bruno Carollo, Fabrizio Carota, Fortunato Carra’, Aldo Carrara, Gianfranco Carrara, Paola Carrara, Samuele Carrara, Augusto Carraro, Giacomo Carrera, Sergio Carrera, Andrea Carretti, Alessandro Carsana, Ugo Carsana, Angelo Natale Carsaniga, Remo Carsetti, Biagio Caruso, Sergio Caruso, Daniele Casaccia, Daniele Casali, Giuseppe Casali, Mirco Casali, Matteo Casanova, Giuseppe Casati, Lorenzo Casati, Eugenio Casellato, Pietro Casiraghi, Mirco Caslini,
Franco Caspani, Ivan Caspani, Franco Cassanelli, Marco Cassanelli, Flavio Cassarino, Massimo Cassetta, Angelo Cassetti, Giorgio Cassina, Ettore Cassis, Dario Cassis,
Lorenzo Castellanelli, Simone Castellani, Gian Battista Castelli, Giancarlo Castelli, Giorgio Castelli, Giuseppe Castelli, Luigi Castelli, Pietro Castelli, Donato Castellin,
Lucrezia Castelnovi, Fabrizio Castelnovo, Giuliano Catamessa, Alberto Cattaneo, Giancarlo Cattaneo, Luciana Lolita Cattaneo, Luigi Cattaneo, Mario Cattaneo, Paolo
Cattaneo, Raffaella Cattaneo, Roberto Cattaneo, Vincenzo Cattaneo, Fabrizio Cavallera, Fabio Cavalleri, Nicoletta Cavalleri, Andrea Cavalli, Tiberio Cavallini, Angelo
Cavenaghi, Giacomo Cazzaniga, Stefano Cazzaniga, Vincenzo Cazzaniga, Rosanna Cazzaro, Ferdinando Celentano, Alessandra Celestini, Antonio Celi, Graziano
Celon, Mario Censi, Davide Cerati, Gabriele Cerea, Severo Ceresara, Luigi Ceresoli, Bruno Ceriani, Bruno Ceroni, Gabriele Cerponi, Chiara Cerqui, Sergio Cerroni,
Carlo Ceruti, Giorgio Ceruti, Michele Cerutti, Paolo Cervi, Luca Cesana, Giovanni Cesani, Tiziana Cesaretto, Giulio Cesari, Giovanna Cesario, Enzo Cestari, Celestina
Cherubini, Eugenio Cherubini, Cesare Chezzi, Giorgio Chiala’, Gaetano Chiappa, Elena Chiapperini, Emanuele Chiappini, Nicola Chiarella, Eberardo Chiella, Pier Vittorio Chierico, Giuliano Chimini, Roberto Chinelli, Crsitian Chiodi, Amadio Chiribella, Ugo Chisci, Christian Chiudinelli, Augusto Ciabatti, Germano Ciani, Luciano
Ciani, Antonio Cianti, Antonella Ciapetti, Fiorenzo Ciapponi, Elena Cibaldi, Lucio Ciceri, Pierangelo Ciceri, Vincenzo Ciceri, Mario Ciciriello, Francesco Cicognara,
Raffaele Cicognara, Gianfranco Cicorella, Agnese Cighetti, Giancarlo Ciglioni, Mario Ciglioni, Ivan Attilio Cigognini, Antonio Cilenti, Simona Cimenti, Bassiano Cinquanta, Domenico Cioffi, Giuseppe Cioli, Gualtiero Cioli, Giuseppe Ciprian, Domenico Cipriani, Graziano Cireddu, Andrea Cirini, Riccardo Cittadini, Giorgio Citterio, Andrea Civardi, Domenico Cividati, Enrico Civilini, Fausto Civini, Pietro Paolo Clapis, Floriano Clarari, Claudio Clerici, Francesco Co’, Luca Codara, Francesco
Codega, Luca Coffetti, Renato Cola, Gregorio Colaianni, Gianpietro Coldara, Marco Colgiago, Loredana Colleoni, Massimiliano Colletta, Enrico Colnaghi, Ettore Colnago, Sara Cologna, Pietro Cologni, Andrea Colombani, Amabile Colombi, Benito Colombi, Renata Colombi, Marco Colombini, Natale Colombini, Alessandro
Colombo, Angelo Colombo, Antonio Colombo, Carlo Colombo, Cristian Colombo, Cristina Colombo, Gianmario Colombo, Gianpietro Colombo, Giovanni Colombo,
Giuseppe Colombo, Luca Colombo, Luciano Colombo, Marco Colombo, Mario Colombo, Massimo Colombo, Matteo Colombo, Mauro Colombo, Michele Colombo,
Paolo Colombo, Pietro Colombo, Roberto Angelo Colombo, Walter Colombo, Donato Colombo Zefinetti, Roberto Colonna, Marco Colosio, Mariagrazia Colpani,
Luciano Colzani, Renzo Colzani, Egidio Comensoli, Michele Cometti, Giuseppe Comi, Stefano Comi, Emilio Cominassi, Giuseppe Cominato, Domenica Cominelli,
Fabrizio Comini, Renato Comizzoli, Graziano Commodaro, Maurizio Comotti, Giuseppe Compagnoni, Gian Franco Confalonieri, Andrea Confeggi, Mario Confeggi,
Angelo Conforti, Siria Congia, Simone Consolaro, Giorgio Consonni, Valter Consonni, Augusto Contardi, Stefano Conte, Giancarlo Conti, Giulio Conti, Michele Conti,
Roberta Conti, Aristide Conzadori, Nello Copertini, Bruno Copes, Fausto Copes, Siro Copes, Claudio Coppa, Pietro Coppa, Procolo Coppola, Cesare Corbella, Omar
Corbetta, Angelo Corbo, Renato Cordoni, Stefano Cordoni, Rinaldo Corgatelli, Gabriele Corna, Alessandro Cornelli, Massimo Corno, Gianfranco Corradi, Giancarlo
Corrente, Flavio Corsini, Giangiuseppe Corsini, Paolo Corsini, Vito Cortelaro, Carlo Cortese, Walter Cortese, Emilio Corti, Fabio Corti, Luca Corti, Marco Corti, Roberto
Corti, Sergio Corti, Maria Angela Cortinovis, Silvio Cortinovis, Renato Cosco, Gabriele Cosio, Bruno Costa, Gianmario Costa, Manuel Costa, Ezio Cotta, Giancarlo Cottino, Ettore Cozzi, Luca Cozzi, Agostino Cremaschi, Giorgio Cremaschi, Omar Crepaldi, Francesca Crescini, Claudio Cressoni, Giacomo Claudio Cressoni, Marco Crestani, Giovanni Crippa, Stefano Crippa, Claudio Cristanello, Francesco Cristinelli, Pietro Cristinelli, Francesco Cristini, Gianpaolo Cristini, Mario Cristini, Emilio Croci,
Luca Croci, Umberto Croci, Mauro Crociani, Mariagrazia Cropelli, Ferdinando Crottini, Albino Cucchetti, Pierangelo Cumella, Armando Cuniberzi, Nicola Cuoco,
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Daniele Cuoghi, Claudio Cursano, Cesare Curti, Vincenzo Curti, Antonio Cutrì, Sergio D’ambrosio, Giuseppe D’agostino, Giorgio Dal Bono, Gianluigi Dal Padulo, Virginia Dal Pizzol, Luigi Dal Pozzo, Luigi Daleffe, Nicola D’alessandri, Carmine D’alfonso, Diego Dalla Via, Luca Dall’alba, Luca Dall’ara, Diego Dallera, Giovanni Dalmeri, Ilaria Dameno, Mario Damioli, Luigi Damonti, Simone Damonti, Alessandro Danelli, Osvaldo Danese, Angelo Danesi, Diego Danesi, Giuseppe D’angelo, Jessica Dangolini, Cristian Dassa, Luigi De Benassutti, Giuseppe De Bernardi, Renato De Bernardi, Luciano De Giovanni, Francesco De Marco, Maurizio De Marco, Mario
De Maso, Gianluigi De Moliner, Giovanni De Netto, Flavio De Paoli, Eugenio De Ponti, Francesco De Roberto, Domenica De Santis, Ivan De Sensi, Roberto Deantoni,
Massimo Debellini, Roberto Dedé, Enrico Degiacomi, Riccardo Dehò, Fausto Dei Cass, Rosario Deiana, Luigi Del Bono, Roberta Del Bono, Alessandro Del Monaco,
Antonio Del Po, Pantaleone Del Regno, Fabio Delfini, Rino Della Bianca, Ernesto Della Corna, Lorenzo Della Giovanna, Giuseppe Della Polla, Gianfranco Della Torre, Antonio Delle Donne, Antonio Delledonne, Valeria Dell’olivo, Oliviero Dell’oro, Ezio Dell’orto, Valter Dell’orto, Osvaldo Dellupi, Livia Demuru, Alfredo Denzio,
Pierino Destefani, Matteo Di Bartolo, Salvatore Di Blasi, Antonino Di Chiara, Guido Di Davide, Ottavio Di Dio Fiorentino, Antonio Di Giovanni, Cecilia Di Giulio,
Mattea Di Gregorio, Vincenzo Di Ielsi, Paolo Di Liberto, Antonio Di Liddo, Alfonso Di Marco, Romeo Di Marco, Giovanni Di Maria, Stefano Di Palma, Antonello Di
Raimo, Rocco Di Rella, Gabriele Di Renzo, Antonio Di Resta, Tullio Di Resta, Davide Di Sario, Fabrizio Di Stefano, Massimo Di Stefano, Antonio Di Tonno, Vincenzo
Di Vito, Antonio Diana, Francesco Diana, Salvatore Dibenedetto, Renato Digoncelli, Ermanno Dilda, Rita Dimascio, Rocco Dirella, Giuseppe Dispinzieri, Eros Divittini, Mario Dognini, Franco Dolci, Manuela Dolci, Paolo Dolci, Tiziana Dolci, Bruno Doloni, Angelo Domenichini, Barbara Domenighini, Enrico Donati, Mauro Donati, Daniele Donda, Fabio Donda, Livio Donda, Luca Donda, Giuseppe Dondi, Mariangela Doneda, Marco Donelli, William Donelli, Luigi Donghi, Vincenzo Dongiovanni, Giovanmaria Donina, Carlo Donzelli, Francesca Donzelli, Marina Donzelli, Norma Donzelli, Clelia Dore, Agostino Dossi, Andrea Dotti, Tiziana Draghi, Daniela Drago, Giuseppe Durante, Vincenzo Durante, Paolo Dusi, Cristian Econimo, Lorenzo Econimo, Mostafa El Fehdi, Emanuele Elli, Pietro Ellul, Olga Elvetti, Nicola Epifano, Dionigi Erba, Luana Eridano, Roberto Erme, Alessandro Esposito, Antonella Esposito, Antonio Esposito, Carmine Esposito, Mario Esposito, Massimiliano Esposito,
Sante Esposti, Matteo Fabrici, Diego Facchinetti, Marco Facchinetti, Alexander Facchini, Davide Facchini, Luca Facchini, Giovanni Faccia, Luciano Facoetti, Giuseppe
Faé, Giampietro Fagetti, Cosimo Faggiano, Alessandro Fagnani, Beniamino Fagoni, Gianbattista Faini, Carlo Falasco, Andrea Faldarini, Roberto Falgari, Bortolo Claudio
Fanchini, Sergio Fanelli, Domenico Fanetti, Enrico Fanfoni, Battista Fantini, Matteo Fantini, Diego Fapanni, Maria Elena Fapanni, Maurizio Faré, Emil Fascendini, Floriano Fascendini, Gianluca Fascendini, Matteo Fascendini, Valter Fascendini, Sergio Fatai, Claudio Fatoni, Margherita Favero, Maria Fazio, Vincenzo Luigi Fazzari, Cesare
Fazzina, Francesca Fedele, Franco Fedeli, Camilla Fedi, Lorenzo Fedriga, Flavio Fei, Alberto Fellissini, Andrea Femiani, Angelo Fenaroli, Paola Fenaroli, Emilio Fenili,
Virgilio Fenili, Pietro Fenotti, Giancarlo Feraboli, Rebecca Feroldi, Romano Feroldi, Mauro W. Ferracin, Luciano Ferraglio, Mario Ferrandi, Lucia Ferrante, Mario Ferrara, Marco Ferraresi, Antonio Ferrari, Auro Ferrari, Bruno Ferrari, Carlo Ferrari, Daniele Ferrari, Egidio Ferrari, Flavio Ferrari, Giovanni Ferrari, Ilario Ferrari, Luigi Ferrari,
Mauro Ferrari, Nadia Ferrari, Romeo Ferrari, Silvia Ferrari, Valter Ferrari, Viviana Ferrari, Alberto Ferrario, Matteo Ferrario, Piera Ferrario, Aldo Ferraris, Renza Laura Ferrati, Claudio Ferreri, Gaetano Ferreri, Monica Ferri, Tiziano Ferri, Nunzio Antonio Ferrigno, Stefano Ferrini, Letizia Marta Ferro, Ivan Festa, Marco Festa, Dario Fezzardi,
Noris Fietta, Vincenzo Figaroli, Emilio Figini, Fabio Figliuolo, Domenico Filippelli, Fabio Filippi, Guglielmo Filippi, Paolo Filippi, Luca Filippin, Claudio Filippini, Rita
M.L. Finazzi, Claudio Finelli, Marco Finocchio, Fulvio Fiorani, Gianluca Fiorella, Mario Fiori, Elmati Firari, Evaristo Fiscato, Ezio Fiscato, Stefano Fiscato, Diego Fistolera, Miriam Flisi, Renato Flor, Luigi Fogazzi, Oscar Fogazzi, Nicola Foglia, Andreino Fogliadini, Giacomo Fogliata, Angelo Foglio, Lorenzo Foglio, Elvezio Folini, Diego
Folla, Paolo Fonso, Emanuele Fontana, Luca Fontana, Stefano Forati, Rino Forcella, Mauro Foresti, Paolo Foresti, Gianantonio Forlani, Massimo Formica, Clelia Fornera,
Giulio Fortini, Angelo Fortunato, Luigi Foschetti, Tullio Fostini, Antonio Foti, Antonino Foti, Lara Foti, Giovanni Fracassetti, Andrea Fracassi, Giancarlo Francinetti, Salvatore Fragale, Fulvio Franceschelli, Alberto Franceschina, Domenico Franceschini, Elena Francesconi, Francesco Francesetti, Alfio Franchini, Andrea Franchini, Cristian
Franchini, Enzo Franci, Fabio Frangi, Carla Franzini, Angelo Franzoni, Luigi Franzoni, Mario Franzoni, Pietro Franzoni, Claudio Franzoso, Claudio Fraschini, Giovanni
Frassi, Sandra Frassi, Carlo Fratini, Giuditta Fregonese, Adriana Fresca Fantoni, Piercarlo Frezzato, Rocco Friciello, Claudio Frigeri, Carlo Frigerio, Davide Frigerio, Francesca Frigerio, Roberto Frigerio, Tullio Frigerio, Claudio Frigetto, Flavio Frignani, Stefano Frignani, Maurizio Frignati, Mauro Frigo, Silvano Frison, Giorgio Frosi, Giorgio
Frosio, Angelo Fullone, Francesco Fullone, Bruno Fumagalli, Clara Fumagalli, Ernesto Fumagalli, Franca Fumagalli, Franco Fumagalli, Giulio Fumagalli, Luciano Fumagalli, Marta Fumagalli, Matteo Fumagalli, Sergio Fumagalli, Paolo Fuochi, Ettore Fusari, Felice Fusari, Primo Fusari, Cristiano Fusaro, Claudino Fusi, Mario Gabelli,
Samantha Gabellotto, Pancrazio Gaetano, Davide Pietro Gafforelli, Davide Gafforelli, Pierantonio Gaffuri, Giuseppe Gagetti, Nicola Gaioni, Patrizia Galantini, Pietro
Galbardi, Fabrizio Galbiati, Ernesto Galbusera, Gabriella Galbusera, Eugenio Galeazzi, Franco Galeazzi, Daniele Galimberti, Giuseppe Galleani, Alioscia Gallerani,
Andrea Galli, Cristian Galli, Giovanna Galli, Giuditta Galli, Luca Galli, Marco Galli, Massimiliano Galli, Nadia Galli, Roberta Galli, Stefano Galli, Francesco Galliazzo, Maurizio Gallizioli, Luisa Gallo, Elisa Gallo Cassarino, Giuseppe Gallotta, Gianfranco Gallotti, Agata Galvagno, Mauro Galvani, Adriana Galzignato, Giovanni
Gamba, Flavia Gambaroni, Giorgio Gambassa, Angelo Gandaglia, Pier Roberto Gandelli, Raffaella Gandelli, Enrica Gandolfi, Pierluigi Gandolfi, Battista Gandossi,
Carlo Gandossi, Paolo Gangini, Fabrizio Ganzerla, Giovanni Gaoli, Germano Garatti, Luigi Garau, Claudio Garavaglia, Silvio Garavelli, Franco Garbellini, Alessandra
Gardoni, Leonello Gardoni, Augusto Paride Garghentini, Alessio Gargioni, Giovanni Garioni, Giuseppe Garlaschelli, Pietro Giacomo Garlaschelli, Luigina Garolfi,
Graziano Garzetti, Mario Gasparin, Filippo Gasparini, Simonetta Gasperini, Assunta Gatelli, Giuseppe Gatta, Morris Gatta, Sonia Gatta, Adolfo Gatti, Angelo Gatti, Cristina Gatti, Emanuele Gatti, Francesco Gatti, Giorgio Gatti, Luca Gatti, Luciano Gatti, Massimo Gatti, Paolo Gatti, Luigi Gattico, Mario Gatto, Vincenzo Gaudiosi,
Romolo Gavarini, Samuele Gavazzi, Maurizio Gavazzoli, Emanuele Gazza, Cristina Gazzi, Andrea Geissa, Cloridano Gelati, Maria Gelli, Claudio Gelmetti, Giuliano
Gelmini, Davino Gelosa, Walter Gelosa, Natale Gemmi, Angelo Gennari, Cristian Gentile, Luigi Gentile, Erminio Germinario, Angelo Gerna, Monica Geroldi, Angelo Gerosa, Massimiliano Gerosa, Gianmario Gervasoni, Giovanni Gervasoni, Umberto Gervasoni, Bruno Fabio Ghelfi, Giacomino Gherardi, Vittorio Ghidetti, Roberto Ghidinelli, Riccardo Ghidoni, Daniela Ghilardi, Giorgio Tiberio Ghilardi, Pierangelo Ghirardi, Umberto Ghiringhelli, Mario Ghislanzoni, Silvano Ghislanzoni,
Eugenio Ghisleri, Domenico Ghizzinardi, Eugenio Giacomelli, Franco Giacomelli, Simona Giacomelli, Donato Giacometti, Giuliano Giacomi, Cirelli Giacomo,
Calogero Giacopino, Marco Gialdini, Valter Giambelli, Salvatore Giammetta, Silvia Giana, Massimo Giandini, Renato Gianella, Alessandro Giani, Gianfranco Giani,
Giuseppe Giannini, Renato Gianotti, Roberto Giassi, Angelo Giavarini, Angelo Gilardi, Paolo Ginami, Bruno Gioia, Michele Giordano, Salvatore Giordano, Roberto
Giovanelli, Lelio Giovanessi, Claudio Giovannini, Rodolfo Giovari, Emiliano Girardi, Claudio Girelli, Maria Grazia Girola, Andrea Gironi, Mara Gironi, Massimiliano
Giudes, Domenico Giudice, Alfio Giudici, Andrea Giudici, Marco Giudici, Claudio Giuliato, Laura Giupponi, Ottorino Giurato, Elio Giustinoni, Marco Giustinoni,
Omero Lorenzo Glumi, James Gnani, Giulio Gobbetti, Cristian Gobbi, Dolores Gobbi, Giovanni Gobbi, Maicol Gobbi, Michael Gobbi, Renzo Gobbi, Francesco Goffi, Guido Goffi, Silvano Goffi, Paolo Goi, Battista Goini, Emanuele Goldoni, Fabrizio Golonia, Giovanni Gorgoglione, Stefano Gorini, Alessandro Gorla, Manuela
Gorla, Ugo Gorla, Battista Gorletta, Alfredo Gottardello, Alessandro Gotti, Ferruccio Gottifredi, Roberto Gozzini, Ernesto Gozzo, Fausto Gozzoli, Michele Gradanti,
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Giorgio Graia, Massimo Graia, Massimiliano Grana, Mirko Granata, Raffaele Granata, Antonio Grandi, Fulvio Grassetti, Dario Grassi, Davide Grassi, Franco Grassi,
Mauro Grassi, Mirco Grassi, Elena Grassini, Fabrizio Grataroli, Angelo Grazioli, Lucio Grechi, Luigi Greco, Carlo Greguoli, Giovanni Greppi, Omar Greppi, Roberto
Greppi, Davide Grigis, Daniele Grilli, Giuseppe Grisafi, Alessandro Grisanti, Faustino Gritti, Gianfranco Gritti, Maria Grazia Gritti, Simone Gritti, Giulio Grizzetti,
Mario Grizzetti, Simone Groff, Alberto Grossi, Natale Gruppillo, Emilio Gualandris, Maria Letizia Gualdoni, Giordano Guandalini, Andrea Guarienti, Natale Guarino,
Thomas Guarischi, Luca Guasconi, Mauro Guazzato, Mario Guazzetti, Giuliano Guerienti, Pierluigi Guerini, Pasquale Guerinoni, Roberta Guerra, Gianfranco Guerreschi, Giovanni Guerrini, Bersini Guerrino, Elio Guida, Riccardo Guidi, Walter Guidi, Daniela Guindani, Pierina Guizzardi, Rinaldo Guizzardi, Eugenia Guizzetti, Ferdinando Guizzetti, Giovanni Guizzo, Pietro Gulberti, Oscar Gull, Pamela Gulperti, Guido Gurini, Silvia Gustinelli, Giovanni Angelo Guzzi, Nicola Guzzone, Ezio
Iacomella, Gaetano Giacomo Iacona, Cristina Iafullo, Sabrina Iannaccone, Alfredo Iannace, Franco Matteo Ilariucci, Alessandro Iliceto, Lorenza Imberti, Matteo Imberti, Roberta Imberti, Saverio Impelliceri, Riccardo Incicco, Aldo Innocenti, Vittoria Inserra, Sebastiano Interlandi, Lisa Inversini, Luca Inzerillo, Andrea Isonni, Luigi Kaltembacher, Erica Maria Knollseisen, Marta La Gumina, Salvatore La Gumina, Santino La Malva, Calogero La Marca, Ruggiero La Mera, Roberto La Morticella, Mario La
Ruina, Stefano La Sorda, Giuseppe La Terra, Salavatore Labrozzo, Alessandro Laffranchi, Domenico Lagonigro, Luca Lai, Claudio Lamarca, Flavio Lamberti, Antonio
Lamera, Ruggero Lamera, Nadia Lampertico, Gianmario Lampugnani, Marco Lampugnani, Roberto Lampugnani, William Lampugnani, Luciano Landini, Francesco
Paolo Landino, Umberto Landoni, Andrea Laneri, Mariaelisa Lanfranchi, Elisa Lanfranconi, Elvira Lanini, Mauro Lardelli, Roberto Laricchia, Gabriele Lasagna, Raffaele
Lattanzio, Umberto Laurente, Bruno Laverone, Barbara Lavia, Maurizio Lazzaretti, Nico Lazzaretti, Maurizio Lazzari, Angelo Lazzarini, Enrico Lazzarini, Nicola Lazzarini, Roberto Lazzarini, Sergio Lazzarini, Massimo Lazzaro, Romeo Lazzaroni, Enrico Lazzerini, Graziella Leali, Roberto Legati, Mariolino Leggio, Matteo Legnani,
Angelo Legutti, Giorgio Lena, Bianca Lenarduzzi, Giorgia Leone, Luisella Leone, Michela Leone, Eligio Leonelli, Davide Leoni, Mario Leoni, Leonardo Leonzio, Michele Lepore, Paolo Lesbo, Gianpietro Leva, Alberto Levi, Nicola Liberato, Simon Licini, Christian Lieti, Massimo Lietti, Adriano Ligas, Carlo Marco Limido, Enrico Limoni,
Franco Limonta, Ugo Limonta, Martino Linati, Eurosia Linetti, Pierpaolo Lio, Luigi Lione, Fabrizio Lizza, Lorenzo Lo Vecchio, Augusto Locatelli, Ciro Locatelli, Cristian
Locatelli, Danilo Locatelli, Dario Locatelli, Gabriele Locatelli, Giovanni Locatelli, Ivan Locatelli, Moreno Locatelli, Pierangelo Locatelli, Angelo Locati, Valentina Locati, Fausto Loda, Giorgio Loda, Cristian Lodetti, Giovanni Loglio, Eugenio Lombardo, Enzo Lonardi, Nicola Lonardi, Giampaolo Longhi, Ugo Longhi, Pasqualino Longo,
Andrea Longoni, Marco Longoni, Adriano Lorandi, Giampietro Lorandi, Clemente Lorenzini, Graziana Lorini, Riccardo Losa, Fernando Losi, Patrizio Losi, Alessandro
Losio, Filippo Lospalluto, Marina Lotterio, Francesca Lottici, Sandro Lovati, Natale Salvatore Lovecchio, Edoardo Loverini, Pierluigi Lozio, Roberto Luberti, Ambrogio
Lucchini, Fernando Lucchini, Paolo Lucchini, Parma Luciana, Ferdinando Lucini, Roberto Lugana, Alessandro Luinetti, Guido Luiselli, Dante Ivanhoe Lujan Cubas,
Fabrizio Lunghi, Rosanna Lunghi, Manuele Lunni, Daniele Lupi, Gianmarco Lupi, Luca Lupini, Angelo Luraschi, Gianfranco Lusenti, Mauro Lussana, Pietro Luigi Lussana, Antonio Mabretti, Carla Macario, Guglielmo Macchi, Mauro Macchi, Pierenrico Macchini, Carlo Macri, Debora Macri, Vladimiro Maderna, Monica Maduli, Carlo Maffeis, Luca Maffi, Giuliano Maffioli, Stefano Magagnato, Rita Magagnoli, Massimiliano Maggi, Silvestro Maggi, Fabrizio Maggiolini, Cristiano Maggioni, Fabrizio
Maggioni, Costanzo Maggiori, Giancarlo Magistrelli, Giuseppe Maglione, Pietro Magliulo, Raffaele Magliulo, Giampiero Magnani, Antonio Magni, Daniela Magni,
Giorgio Magnolfi, Mauro Magnoni, Aldo Magri, Francesco Magri, Flavio Magro, Andrea Mainardi, Piero Maini, Paolo Maino, Angelo Maiolani, Walter Maiolini, Luca
Maiolo, Franco Maistro, Luigi Malacrida, Valeria Malacrida, Roberto Malafarina, Isidoro Malagutti, Fabio Malascalza, Walter Malazzi, Franco Maletta, Fabio Malgarotti Ronchi, Giancarlo Malinverno, Marri Maltarolo, Giovanni Maltecca, Mauro Maria Maltese, Giuseppina Malugani, Lino Mambrin, Umberto Manara, Giuseppe Manca, Antonio Mancinelli, Francesco Mancuso, Giuliano Mandelli, Vittorio Manente, Giovanni Manenti, Giacomo Manera, Silvio Manfredini, Siegfried Mangano, Donato Mangialetti, Antonella Mangili, Stefano Manglio, Alberto Manini, Sergio Manini, Massimiliano Maniscotti, Giuseppe Manoli, Giuliano Mansani, Andrea Manstretta,
Luigi Mantegazza, Luigi Silvano Mantegazza, Fernando Mantovani, Luca Mantovani, Franco Manzoli, Arnaldo Manzoni, Pierino Manzoni, Renzo Manzoni, Rudj Manzoni, Stefano Manzoni, Alessandra Marafetti, Marisa Maragna, Francesco Marazzi, Carla Marcandelli, Alessio Marchese, Paolo Marchese, Mariano Marcheselli, Elio
Andrea Marchesi, Enrico Marchesi, Piero Marchesi, Adua Marchetti, Marco Marchetti, Paolo Marchetti, Valerio Marchetti, Cesare Marchi, Daniela Marchi, Luca Marchi,
Michel Marchi, Gabriella Marchignone, Tarcisio Marchina, Andrea Marchini, Sandro Marchini, Marco Marconi, Guido Marcotti, Silvio Marcucci, Armando Marenda,
Daniela Maretti, Giorgio Maretti, Arnaldo Margutti, Alessandro Mari, Luigi Mari, Adriano Mariani, Alberto Mariani, Fabio Mariani, Francesco Mariani, Luigi Mariani,
Mariausidia Mariani, Salvatore Mariani, Walter Mariani, Ivana Marindi, Stefano Marieni, Felice Marinelli, Michele Marinelli, Giancarlo Marini, Laura Marini, Maria
Rosa Marini, Mario Marini, Ivano Marino, Dario Marinoni, Silvia Marinoni, Fabrizio Mariotti, Lucia Mariotti, Massimo Mariotti, Simone Maritan, Mario Mariuz, Gaetano Maroni, Massimo Marozzi, Eva Marrella, Tommaso Marrese, Roberto Marsala, Lorenzo Marsetti, Flavio Marsilli, Massimo Martegani, Camilla Martelli, Carlotta Martelli, Franco Martellosio, Severino Martin, Giovanni Martina, Maurizio Martina, Vittore Martina, Battista Martinazzoli, Alfredo Martinelli, Claudio Martinelli, Davide
Martinelli, Franco Martinelli, Massimo Martinelli, Michele Martinelli, Omar Martinelli, Alberto Martinetti, Albino Martini, Giuseppe Marturelli, Maria Cristina Marucco, Francesco Marullo, Claudio Marveggio, Italo Marzi, Alessandro Marziali, Daniele Marzini, Maurizio Marzullo, Andrea Mascherini, Giovanni Mascherini, Ruperto
Mascheroni, Concetta Masciangelo, Adriano Mascioni, Daniela Maselli, Bruno Masiero, Andrea Masoni, Carlo Massa, Fabio Massa, Fabrizio Massa, Matteo Massa,
Nadia Massari, Andrea Massaro, Luca Mastroianni, Alberto Materzanini, Gianfranco Mattaboni, Manuela Mattanza, Maria Mattavelli, Angelo Mauri, Carlo Enzo Mauri, Livio Alessandro Mauri, Marcello Mauri, Stefano Mazza, Livio Mazzan, Giorgio Mazzaracca, Mario Domenico Mazzeo, Tommaso Mazzeo, Mauro Antonio Mazzetto, Sante Mazzetto, Paolo Mazzini, Pantaleone Mazzitelli, Alberto Mazzocchi, Lorenzo Mazzocchi, Chiara Mazzola, Walter Vittorio Mazzola, Paola Mazzoldi, Daniele
Mazzoleni, Laura Mazzoleni, Marco Mazzoleni, Mauro Mazzoleni, Roberto Mazzoleni, Simone Mazzoleni, G.Battista Mazzucchelli, Giacomo Mazzucchelli, Valter
Mazzucchelli, Massimiliano Meani, Cristian Medeghini, Salvatore Melana, Antonio Melegari, Matteo Mellera, Cosimo Mellone, Claudio Melocchi, Gianpaolo Meloni,
Simone Melzi, Juri Menegari, Elisabetta Meneghello, Francesco Meneguzzi, Gabriella Mensi, Ugo Meraviglia, Giuliano Meregalli, Alberto Merli, Angelo Merlini, Antonio Merlino, Luca Merlotti, Maurizio Merlotti, Cornelio Meroni, Elisa Meroni, Laura Meschiari, Giorgio Messetti, Salvatore Messina, Felice Metelli, Daniele Mezzanzanica, Riccardo Mezzetti, Loris Michielazzo, Giacomo Micheli, Elena Milan, Andrea Milan, Marco Milanato, Carlo Milani, Giovanna Milani, Aldo Milesi, Donatella
Milesi, Egidio Milesi, Gianbattista Milesi, Giulio Milesi, Luigi Milesi, Paolino Milia, Luca Ernesto Milo, Piercarlo Minari, Monica Minazzi, Matteo Minchio, Ignazio
Mincuzzi, Giancarlo Minella, Mario Minella, Stefano Minelli, Luciano Minniti, Otello Minoia, Giovanni Minutoli, Saverio Minzera, Chiara Miotti, Giorgio Miotto, Loris
Mistura, Giacomo Modina, Franco Modolin, Silvio Modolo, Simone Moi, Giorgio Moino, Matteo Molaschi, Andrea Molendi, Enrico Moles, Alessandra Molinari, Eugenio Molinari, Sergio Molinari, Silvio Mollica, Michele Mologni, Fabio Molon, Maurizio Molteni, Mauro Molteni, Ido Moltoni, Leonardo Moltoni, Fabio Mombelli, Luigi Mombelli, Felice Monfrone, Daniele Monfroni, Federico Mongiorgi, Eugenio Montagna, Primo Montagna, Francesco Montalbano, Alfredo Montanari, Giuseppe
Montanaro, Fabrizio Montinaro, Riccardo Montini, Angelo Montis, Michela Montis, Antonio Montrasio, Sergio Montrasio, Caterina Mora, Eliseo Mora, Donatella
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Morali, Giovanni Morali, Laura Moranda, Gianmario Morandi, Paolo Morandotti, Giuseppe Morbio, Giovanni Moreschi, Angelo Moretti, Daniela Moretti, Francesco
Moretti, Giancarlo Moretti, Gino Moretti, Marco Moretti, Mario Moretti, Marzio Moretti, Ruggero Moretti, Stefano Moretti, Matteo Moretto, Eliano Moriggi, Francesco
Moriggi, Santina Moriggi, Raffaella Moriggio, Salvatore Mormome, Amalio Pio Mornata, Flavia Moro, Gabriele Moro, Gian Paolo Morone, Marco Morone, Adelmo
Moroni, Alba Moroni, Dario Moroni, Francesco Moroni, Monica Moroni, Silvano Moroni, Urbano Moroni, Francesco Morosini, Deborah Morsavilini, Enrico Morselli,
Francesco Morzenti, Dario Moscardin, Andrea Mostosi, Diego Mostosi, Franco Motta, Michele Motta, Oscar Motta, Agostino Mottes, Maria Luigia Mozzi, Luca Mucchietto, Giovanni Mulas, Dario Mulazzani, Franco Muner, Simone Muraro, Emilio Murro, Andrea Murru, Gianvittorio Murru, Luciano Musanti, Calogero Musarra Tubi,
Francesca Musciatelli, Giovanni Angelo Mussi, Giovanni Mussi, Luigi Mussi, Sabrina Mutti, Silvio Mutti, Corrado Muzzi, Stefania Nana, Francesco Nanfaro, Valter Nardelli, Gianfranco Nardini, Marco Nassini, Davide Nassuato, Adriano Nava, Giuseppe Nava, Giorgio Navarra, Mario Nazzari, Attilio Negri, Claudio Negri, Ernestino
Negri, Giovanni Negri, Giuseppina Negri, Iole Negrini, Augusta Negrinotti, Cristian Negrinotti, Laura Negrinotti, Valeria Neri, Vittorio Neri, Silvestro Nevola, Franco
Nezosi, Giangiuseppe Nezosi, Mite Maria Nezosi, Simone Nezosi, Massimo Nichetti, Paolo Nicola, Raffaele Nicola, Libero Nicolai, Gino Nicolini, Erminia Nigrelli,
Luca Nisti, Pierangelo Nobili, Franco Nolli, Marco Nordio, Mario Nori, Fabiola Noris, Francesca Nosadini, Cesare Nossa, Antonio Nova, Stefano Nova, Vittorio Novello, Juri Nozari, Francesco Nuzzolese, Mario Odelli, Daniela Oggioni, Luigi Oggioni, Massimo Oggioni, Mariavittoria Ogliara, Marco Ojan, Piero Oldrati, Claudio Olivari, Angela Olivetti, Atos Olivieri, Dino Olmi, Alan Omodei, Andrea Omodei, Vladimiro Omodei, Edgardo Ondei, Martino Ontani, Rocco Opizzi, Andrea Oprandi, Francesco Oprandi, Aurelio Oreglia, Maurizio Orioli, Paolo Orioli, Giovanni Orizio, Massimo Orisio, Carlo Orlandi, Maurizio Orlandi, Remo Orlandi, Mauro Antonio Orlando, Maurizio Ornaghi, Maurizio Orsanigo, Flavio Orsatti, Davide Orsignola, Luigi Ortenzio, Franco Ortu, Costantino Osio, Mauro Osmetti, Francesco Osnago, Elena Ossola, Enrico Davide Ottaviano, Angelo Ottelli, Santino Ottelli, Novella Ottolina, Roberto Ottoni, Ferdinando Ozzimo, Alessandro Paccanaro, Massimo
Pacchiarini, Gianfranco Pace, Bruno Pacini, Gaetano Pacrazio, Donatella Paderni, Valentino Paderno, Loris Padovan, Antonio Padovani, Francesco Padovani, Sivlio
Padovani, Antonio Paganelli, Carlo Paganelli, Marco Paganelli, Antonio Pagani, Gabriele Pagani, Luciano Pagani, Vitaliano Pagani, Ivan Paganotti, Romolo Paganotto,
Emanuele Pagnoncelli, L. Alessandro Pagnoncelli, Ottorino Pagnoni, Rocco Pagnotta, Marco Pagura, Anna Maria Paini, Andrea Paiola, Emanuele Palagiano, Salvatore
Palermo, Andrea Paletti, Angelo Palladini, Roberto Palmabella, Cristian Palmieri, Paolo Palmieri, Giacomo Palmizio, Maurizio Pampado, Sergio Pan, Silvia Pandiani,
Andrea Pandini, Michele Pandolfi, Vincenzo Pandolfi, Giuseppe Panigada, Alberto Panizza, Simone Panizza, Massimo Panizzi, Roberto Panizzolo, Renzo Pantarotto,
Giovanni Pantus, Carmen Panza, Alberto Panzera, Attilio Panzeri, Matteo Panzeri, Silvio Panzi, Giuseppe Papa, Giorgio Papa, Pietro Papazzoni, Franco Paravicini, Gianluigi Pardo, Bernardo Parecchini, Paolo Giulio Parenti, Gianpietro Pareschi, Luigi Paridi, Maurizio Paridi, Alda Paris, Enrico Paris, Giacomo Paris, Giuseppe Paris, Luca
Paris, Mattia Paris, Giovanni Parisotto, Ernesto Parma, Giovanni Parma, Sabrina Paro, Clara Parolari, Rudi Parolari, Fulvio Paroli, Franco Parravicini, Edio Paruta, Mauro
Parzanici, Corrado Pasinelli, Emilia Pasinelli, Ersilia Pasinelli, Gabriele Pasinelli, Giovanna Pasinelli, Luca Pasinelli, Marco Pasinelli, Michelangelo Pasinelli, Silva Pasinelli, Wainer Pasinelli, Ivan Pasinetti, Dario Pasini, Giampiero Pasini, Luciano Pasini, Ruggero Pasini, Edi Pasotti, Eleonora Pasotti, Gabriele Pasotti, Paolo Pasotti, Denis
Pasquali, Pietro Pasquali, Silvio Pasquini, Giovanni Passalacqua, Massimo Passera, Giovanni Passerini, Marco Luca Passini, Riccardo Pastorelli, Antonia Patelli, Valentino Patelli, Filippo Patera Filsa, Gianluca Paterlini, Maurizio Pavani, Mauro Pavesi, Stefano Pavesi, Tonino Paviani, Silvia Pavoni, Francesco Pecorari, Arcangelo Pedemonti, Luigi Pedersoli, Francesco Pedone, Marco Pedrana, Claudio Pedretti, Gino Giorgio Pedretti, Giuseppe Pedretti, Monica Pedretti, Paolo Eros Pedretti, Tiziano Pedretti,
Alessio Pedrinazzi, Claudio Pedrini, Bruno Pedrocchi, Roberto Pedrolli, Tulio Pedrollo, Christian Pedroncelli, Luca Pedroncelli, Alessandra Pedroni, Erminio Pedrotti,
Vittorio Pedruzzi, Guido Pegoraro, Spartaco Pelacchi, Gianpietro Peli, Patrizia Peli, Santino Pelizza, Antonio Mario Camillo Pelizzoli, Ornella Pellegatta, Bruno Pellegrinelli, Lino Pellegrini, Vincenzo Pellegrino, Silvano Pellicani, Fabio Pelliccioli, Gennaro Peluso, Tommaso Peluso, Lucia Penati, Reginaldo Peracchi, Giuseppe Peregalli,
Antonio Perego, Fabio Perego, Giuseppe Perego, Laura Perego, Luigi Perego, Luigi Peretti, Giacomo Peri, Aldo Perico, Paolo Perico, Pietro Perico, Stefano Perillo, Claudio Perin, Roberto Perlini, Sabrina Perlini, Valter Perlini, Angelo Perna, Carmine Perna, Mario Perna, Salvatore Perna, Carlo Pernigoni, Barbara Perondini, Tommaso Perrotta, Michele Persico, Oscar Persico, Lucia Pertile, Bruno Perucchini, G. Carlo Perucchini, Lodovico Peruzzi, Vincenzo Pesante, Francesco Pesce, Oscar Peschiera,
Giuliano Petesi, Vito Petita, Maria Lina Petitto, Francesco Petrocchi, Aldo Petrogalli, Tatiana Petrucci, Adriana Peverada, Lorenzo Pezzali, Gianfranco Pezzetta, Andrea
Pezzoli, Gabriele Pezzotti, Luca Pezzotti, Renato Pezzotti, Mario Piacenza, Valter Pianazza, Carlo Piazza, Miriam Piazzalunga, Bortolo Piazzani, Gian Fausto Piazzani,
Gian Paolo Piazzani, Pietro Enzo Piazzi, Primo Piazzi, Ludovica Piazzoni, Gianfranco Piccinelli, Massimo Piccinelli, Ermanno Piccolo, Mariella Piccolo, Eugenio
Picozzi, Gian Mario Pieretto, Luigi Pierone, Luigi Pignanelli, Achille Pigni, Valter Pilatti, Ezio Pinalli, Gianluigi Pincetti, Paolo Pinciroli, Emnuela Pinetti, Francesco
Pinetti, Cristian Pini, Antonio Pinna, Renato Pinotti, Gianni Pinzetta, Roberto Piola, Lino Piovanelli, Luigi Piovani, Giovanni Piovera, Tiziano Piovesan, Antonio Pipperi, Mario Piran, Matteo Piran, Giuseppe Pirelli, Alberto Pirola, Domenico Pirola, Gabriele Pirovano, Ruth Pirovano, Ugo Pirozzi, Mariano Pirrello, Daniela Pisanu, Francesco Piscioli, Franco Piscioli, Luciano Pisnoli, Monica Pispico, Ugo Piva, Alberto Piva, Giacomo Piziali, Gian Luigi Piziali, Claudio Pizio, Giulio Pizio, Nahyeli Pizio,
Francesco Pizzagalli, Gianfranco Pizzamiglio, Alberto Pizzetti, Giampiero Pizzi, Fausto Pizzini, Mario Pizzini, Alberto Pizzo, Alessandro Plebani, Franco Plebani, Marco Plebani, Paolo Plebani, Angelo Plona, Daria Pluda, Maria Rosa Pluda, Lucia Pochetti, Mario Pochetti, Giorgio Podestà, Alessandro Poffi, Andrea Poggi, Claudia Poggi, Stefano Polenghi, Albino Poletto, Donatella Poli, Maurizio Poli, Sergio Polinelli, Antonino Polizzi, Fabio Pologna, Gianbattista Polonioli, Lorenzo Poma, Luciano
Poma, Simone Poma, Andrea Pomes, Ermanno Ponti, Giovanni Ponti, Fioralba Pontiggia, Giuseppe Pontone, Teodorico Ponzo Motta, G.Battista Ponzoni, Ida Ponzoni,
Valentina Ponzoni, Walter Ponzoni, Maurizio Porazzi, Fabio Porotti, Marica Porro, Massimo Porro, Giampietro Porta, Pierangelo Porta, Gian Luca Porteri, Massimiliano
Porteri, Teresa Posa, Francesco Pozzaglio, Fabrizio Pozzi, Giuseppe Pozzi, Mauro Pozzi, Nicoletta Pozzi, Felice Pozzoli, Serafino Pozzoli, Alessandro Prada, Claudio
Prada, Claudio Preda, Luigi Preda, Palmiro Premoli, Filippo Prestigiacomo, Marco Preti, Riccardo Previati, Giovanni Previtali, Ripalta Preziuso, Andrea Primavera, Francesco Priolo, Lucia Priora, Celestino Proserpio, Milena Proserpio, Giancarlo Protti, Sergio Provezza, Matteo Provvidi, Marco Pietro Puglia, Luca Pugliese, Giuseppe
Pulvirenti, Francesco Pusterla, Mario Quadri, Marzio Quadri, Enzo Quadrio, Simone Quadrio, Vittorio Quadroni, Giuseppe Quagliani, Maria Quartieri, Roberto Quattri, Vito Quercia, Federica Quinza, Marco Quirini, Fabio Rabossi, Cinzia Radice, Mario Radici, Elvira Raffaele, Laura Raffaele, Roberto Raggi, Giordano Ragnoli,
Domenico Raimondi, Maurizio Raimondi, Lucia Raimondi Cominesi, Anna Rais, Sergio Rambaldi, Antonio Rambaldini, Luciano Rampini, Marco Ramponi, Roberta
Ramus, Leonardo Rania, Massimo Ranieri, Giuseppe Rapelli, Massimo Rapuzzi, Cristina Raschetti, Romano Raschetti, Giuseppe Rasera, Giuseppe Rasica, Simone
Rava, Adriano Ravani, Cristian Ravani, Piergiuseppe Ravani, Mosè Ravasi, Tarcisio Ravelli, Piero Ravellini, Gianpietro Ravellini, Eleonora Ravizza, Livio Ravizza, Federico Razzini, Mario Razzini, Massimo Re, Raffaele Re, Enio Rebai, Marco Recalcati, Francesco Recaldini, Diego Recenti, Angelo Redaelli, Carlo Redaelli, Giovanni
Redaelli, Natale Redaelli, Sandro Redaschi, Tulio Redaschi, Gianfranco Redi, Veronica Redolfi, Roberto Reggi, Diego Regonati, Giordano Reina, Luigi Remigi, Emilio
Renaldini, Pietro Rendazzo, Gian Luigi Rendina, Roberto Renzi, Silvano Reolon, Domenico Repici, Marco Rho, Silvana Ribola, Daniele Ribolini, Luciano Ribolla, Jes-
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sica Ricci, Marco Lamberto Ricci, Michele Ricciardelli, Andrea Ricciolini, Lucia Ricco, Antonio Riccobono, Renato Richiedei, Lorenzo Rigamonti, Mauro Rigamonti,
Vincenzo Rigamonti, Dario Rimoldi, Stefano Rimoldi, Giuliano Rimondo, Rocco Rinaldi, Antonio Ringhini, Salvatore Riondino, Enrico Ripamonti, Ferdinando Ripamonti, Gianluca Ripamonti, Michele Ripepi, Maurizio Risconi, Gianluca Risi, Giancarlo Riva, Giorgio Riva, Marco Riva, Rinaldo Riva, Sergio Riva, Giuseppe Rivellini,
Daniele Rivetta, Giorgio Rizza, Alberto Rizzardi, Massimiliano Rizzato, Ermanno Rizzi, Ermes Rizzi, Ivan Rizzi, Sergio Rizzi, Angelo Rizzini, Sergio Rizzini, Giorgio
Rizzo, Salvatore Rizzo, Ambrogio Robbiati, Fabio Rocca, Luca Rocca, Mauro Rocca, Ottavio Rocca, Diego Rocchetti, Pierluigi Rocchi, Piermario Roda, Adriano
Rogantini, Tomas Roggeri, Bruno Romagnoli, Massimo Romano, Davide Romanò, Matteo Romanò, Claudio Romelli, Pietro Roncalli, Andrea Roncelli, Enrico Ronchetti, Roberto Ronchetti, Ambrogio Ronchi, Giacomo Ronchi, Cristian Ronco, Roberto Ronco, Fabrizio Rondi, Maurizio Ronzio, Mauro Ronzoni, Renato Ronzoni, Carlo
Rosa, Mauro Rosa, Filippo Rosalia, Sergio Rosanò, Elisa Rosati, Flavio Rosi, Giovanni Rosignoli, Luca Rossetti, Michele Rossetti, Riccardo Rossetti, Andrea Rossi, Angelo Rossi, Barbara Rossi, Domenico Rossi, Eleonora Rossi, Ettore Rossi, Federica Rossi, Franco Rossi, Roberto Rossi, Tiziano Rossi, Walter Rossi, Franco Rossini, Lucia
Rossini, Mauro Rosso, Francesco Rossoni, Renzo Rossoni, Adele Maria Rota, Alessio Rota, Egidio Franco Rota, Giuseppe Rota, Luciano Rota, Rosangela Rota, Alfredo
Rotella, Graziano Rotondo, Raffaele Rotondo, Massimiliano Rottoli, Mario Rovaris, Paolo Rovati, Bruno Roveda, Daniela Rovelli, Silvia Rovelli, Giuliano Umberto
Roveri, Walter Rovida, Pietro Rozzini, Giovanni Rubin, Oscar Ruffo, Salvatore Tonino Ruffo, Fabio Ruffoni, Carlo Ruggeri, Celeste Ruggeri, Giovanni Ruggeri, Ivano
Ruggeri, Maurizio Ruggeri, Sabino Ruggeri, Corrado Ruscica, Pierluigi Rusconi, Renato Rusconi, Valerio Russello, Maria Russo, Tiziana Ruviaro, Lucio Saba, Salvatore
Sabatino, Sergio Sabbadini, Chiara Sabbioni, Angelo Saccani, Daniele Sacchi, Danilo Gelsomino Sacchi, Mauro Sacchi, Valentina Sacchi, Maksym Sadovnychyy, Davide Sala, Devis Sala, Enrico Sala, Erminio Sala, Giorgio Sala, Giuseppe Sala, Marco Sala, Moreno Sala, Remo Sala Tenna, Franco Salami, Massimo Salami, Andrea Salari, Marco Salaris, Osvaldo Salavaneschi, Marcos Saldarini, Giuseppe Saligari, Maria Cristina Salis, Liliana Salodini, Giacomo Salonia, Giuseppe Salpietro, Claudio Salvadeo, Simona Salvadori, Mario Salvagni, Claudio Salvetti, Daniele Ferdinando Salvetti, Stefano Salvetti, Thomas Salvetti, Alessandra Salvi, Alessandro Salvi, Fabrizio
Salvi, Ines Salvi, Silvio Salvi, Laura Salvini, Maria Sambataro, Nadia Sanca, Nadia Sancini, Vittorio Sandionigi, Fabio Sandrelli, Moreno Sanfelice, Davide Sangalli,
Maurizio Sangalli, Sergio Sangalli, Sara Sangiorgi, Chiara Sanpietri, Domenico Sansone, Grazia Santagati, Domenico Santagostino, Massimo Santambrogio, Gianluigi
Santi, Luigi Santinelli, Maurizio Santinelli, Vito Giovanni Santoiemma, Raffaele Santonastaso, Giovanni Santoro, Ludovico Santoro, Mario Santoro, Olga Santoro, Battista Santus, Valerio Sanvito, Angelo Sapienza, Giovanni Sara, Mario Saraceni, Mirko Saraceni, Matteo Saranga, Giuseppe Sarchielli, Luigi Sartorato, Annamaria Sartore,
Gigi Sartori, Isabella Sartori, Simone Sartori, Daniele Sarzi Sartori, Maria Pia Sassi, Walter Sassi, Gianmichele Sasso, Simone Satto, Giuseppina Savaresi, Armando Savini, Massimiliano Savio, Alfredo Saviola, Romolo Savoia, Giuliano Savoldi, Roberto Savoldi, Carlo Savoldini, Valeriano Sbaraini, Mauro Sbardellati, Daniela Sbarufatti,
Cristina Sbravati, Giuseppe Scabioli, Giuseppe Scaccabarozzi, Ottavio Scaccabarozzi, Pierantonio Scaletti, Nicola Scalzullo, Filippo Scambiato, Claudio Scanacapra,
Domenico Scandale, Mauro Scandroglio, Fausto Scansani, Siman Scapuzzi, Claudio Scarabelli, Silvio Scaramella, Andrea Scarioni, Giuseppe Scattolini, Filippo Scavo,
Francesca Scazzola, Francesco Scazzola, Aldo Sceresini, Alessio Schiatti, Fabrizio Schiatti, Roberto Schiatti, Michele Schifio, Giuseppe Schinelli, Piermario Schiroli,
Giuseppe Scichilone, Fausta Gemma Schwarz, Cristina Scialò, Alberto Sciaravel, Roberta Scinetti, Daniele Scocchia, Pier Valter Scoglio, Luigi Scolari, Andrea Scordamaglia, Enzo Scorpio, Franco Scoscini, Luciano Scotellaro, Adriano Scotti, Dario Scotti, Roberto Scroffi, Daniele Secchieri, Luigi Franco Seghezzi, Simone Segna,
Michele Selvitella, Simone Semenza, Luigi Seminari, Giovanni Semperboni, Augusto Sempio, Roberto Semprebuono, Ugo Senocrate, Maurizio Seresini, Davide Serlini, Chiara Sertori, Stefano Sesana, Chiara Sesti, Katiuscia Setti, Maurizio Severini, Serafino Severini, Viviana Seveso, Laura Sforzini, Antonio Sgambi, Marco Sganzerla,
Maurizio Sgarbi, Massimo Sgura, Gianluca Siciliano, Luigi Sigismondi, Giuseppe Signorelli, Luciano Signorelli, Mario Signori, Barbara Signorini, Massimiliano Signoroni, Umberto Sigorini, Andrea Silvani, Bruno Silvestri, Luigi Silvestri, Maria Cristina Silvestri, Massimo Silvestri, Enzo Simonato, Flaviano Simondi, Santo Simone,
Dario Simonetti, Valentino Simonetti, Luigi Simoni, Antonio Simonini, Marcello Sina, Nunzio Sindona, Pierluigi Sinesi, Marco Sinico, Fortunato Sinopoli, Luigi Sirianni, Giacomo Sirtoli, Marco Sirtori, Marco Sissa, Elisa Sisti, Francesca Slanzi, Aldo Soave, Giorgio Soffientini, Pietro Sofroni, Fabio Solaro, Graziano Soldati, Fabrizio Soldieri, Francesco Somensini, Gianantonio Sondrini, Stefano Songini, Sergio Sonnati, Amelio Sonzogni, Samuele Sordelli, Matteo Sormani, Tiziana Sormani, Ivan Sorsoli,
Roberto Sozzi, Giovanni Spada, Elena Spagnoli, Roberto Spajani, Giuseppe Spalenza, Marco Spampatti, Domenico Spandri, Giuseppe Sparvieri, Vincenzo Spasiano,
Franco Spaziani Testa, Raffaella Specchio, Cristina Specia, Silvano Spelgatti, Marco Speziale, Marco Spina, Sergio Spina, Edoardo Spinelli, Ginetto Spinello, Marco Spisni, Giuseppe Sporchia, Roberto Spoti, Antonio Spreafico, Matteo Spreafico, Mario Squaratti, Luca Squizzato, Davide Stacchetti, Davide Stachetti, Luca Roberto Stanzione, Mauro Stefana, Pierangelo Stefana, Bruno Steffenini, Sergio Stevani, Mario Stevanin, Damiano Strada, Maurizio Stradiotti, Alda Stradiotto, Michelino Stranges,
Francesco Stucchi, Marco Stucchi, Simone Stucchi, Michelangelo Stucci, Daniele Subacchi, Francesca Suglio, Angelo Suma, Pierfausto Superti, Riccardo Superti, Mattia Suzzani, Roberta Sverzellati, Giuseppe Tabiolati, Elisa Tacchinardi, Ezio Tacchinardi, Alberto Tacconi, Luigi Taetti, Angelo Tagliabue, Elena Tagliabue, Giuseppe
Tagliabue, Walter Tagliabue, Marisa Tagliaferri, Claudio Tagnochetti, Valter Taiocchi, Alex Talamona, Fiorenza Tallinucci, Valentino Taloni, Maurizio Tamagni, Aldo Tamborini, Gian Pietro Tameni, Luca Tameni, Osvaldo Tameni, Livio Tammi, Giuseppe Tappella, Guido Tarabini, Marco Tarabini, Mario Tarantola, Angelo Taravella, Giorgio
Tarca, Duilio Tarchini, Helena Tarletti, Claudio Tasca, Rosalba Tavola, Gianluigi Tempo, Franco Tenchiri, Massimo Tentorio, Stefano Terenghi, Adi Terreni, Aldo Terrieri,
Felice Teruzzi, Sergio Terza, Bortolino Terzi, Marco Terzi, Villy Tesei, Alex Tessarini, Corrado Testa, Giovanni Testa, Luigino Testoni, Luca Tettamanti, Omar Tiberti, Dario
Tiberto, Salvatore Tidu, Kathriyn Timms, Orlando Tira, Fabio Tiraboschi, Mirella Tiraboschi, Marco Tironi, Luca Titta, Massimo Tobia, Ruggero Tocco, Alessandro Todaro,
Victor Todaro, Silvano Todesco, Elisabetta Tognetti, Ugo Togni, Walter Togni, Marco Toia, Mara Tolettini, Ivan Toloni, Gustavo Tomasi, Sergio Tomasi, Giuseppe Tomasini, Barbara Tomè, Stephanie Tonani, Carlo Tondini, Roberto Tonni, Silvano Tonni, Alessandro Tonoli, Roberta Tonoli, Alfredo Torelli, Romeo Tormento, Giorgio Tornello,
Clara Tornielli, Francesco Torre, Daniele Torrente, Giancarlo Torresani, Rosalino Torretta, Domenico Torri, Manuel Torri, Ettore Tosa, Germano Tosa, Enea Toscani, Stefano Toselli, Fabrizio Toso, Giovanni Toti, Marco Trapani, Luca Tregambe, Roberto Tresoldi, Roberta Trevisan, Paolo Trezzi, Fausto Trinca Rampelin, Antonino Tripodi, Vincenzo Tripoli, Paolo Triscorina, Katia Troli, Oliviero Troli, Silvia Trombetta, Giuseppe Trovato, Alessandro Tulis, Lorenzo Tumiati, Manuel Turati, Luciano Turatti, Primo
Turchetti, Gianbattista Turiani, Cinzia Turla, Mario Turla, Mauro Turla, Eleonora Turotti, Floriana Turra, Irene Tursi, Roger Ubaldini, Diego Uberti, Ezio Uberti, Ugolino
Ugolini, Anselmo Ungaro, Leonardo Urbano, Cinzia Urgnani, Silvano Urgnani, Maria Pia Urraci, Franco Usanza, Francesca Vacquin, Francesco Vailati, Giuseppe Vailati, Roberto Vailati, Carlo Valdi, Franco Valenti, Demetrio Valentini, Tommaso Valentino, Giuseppina Valenza, Giuseppe Valenzisi, Piergiorgio Valli, Claudio Romano
Valsecchi, Maurizio Valsecchi, Renzo Valsecchi, Ulderico Valsecchi, Gianluca Valvassori, Massimiliano Valvassori, Doriano Vangelista, Alda Vaninetti, Valter Vaninetti,
Giuseppe Vannetti, Massimiliano Vanoni, Paolo Vanoni, Walter Varetto, Francesco Varinelli, Roberta Varinelli, Giuseppe Varotti, Vincenzo Vasapollo, Giuseppe Vasecchi, Giuseppe Vassena, Innocente Vassena, Giuseppe Vavassori, Antonio Vecchi, Vanni Vecchi, Viviana Vecchio, Lucrezia Venezia, Pierangelo Ventura, Fausto Venturelli, Mauro Venturelli, Paolo Venturelli, Carlo Venturini, Paolo Verani, Alessandro Verdelli, Gianluigi Verderio, Paola Verderio, Luisa Verdi, Elsa Verga, Francesco Vergado-
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ro, Simona Veronelli, Roberta Vertemara, Roberto Vertola, Serena Verzelletti, Fabio Verzeroli, Claudio Veschi, Simone Vescovi, Fernando Vestetti, Mario Vettorello,
Giambattista Vezzoli, Roberto Vezzoli, Luigi Vezzosi, Tiziana Vezzosi, Bruno Viadana, Mario Vian, Emidio Viavai, Mario Vicinelli, Daniele Vidali, Marco Vidoni, Alessandro Viganò, Dario Viganò, Graziella Viganò, Massimo Viganò, Francesco Vigna, Agostino Vignati, Marco Vignati, Matteo Vignati, Patrizia Vignoli, Adelia Villa, Amato Villa, Ambrogio Villa, Lorenzo Villa, Massimo Villa, Matteo Villa, Michele Villa, Rosario Villa, Tiziano Villa, Roberto Villano, Ivan Vinante, Federico Francesco Viola, Gianfranco Virtuani, Ernesto Viscardi, Alessandro Visini, Giuseppe Visinoni, Alberto Visioli, Mario Vismara, Alessandro Vitale, Biagio Vitale, Claudio Vitali, Daniele Vitali,
Enrico Vitali, Giuseppe Vitali, Maria Luisa Vitali, Sergio Vitali, Tullio Vitali, Michele Vitulano, Paolo Viviani, Roberto Viviani, Filippo Viviona, Paolo Voci, Fabio Volantini,
Paolo Volantini, Vincenzo Volpe, Bruno Volpi, Cristina Volpi, Roberto Zacchi, Govanni Zaffino, Alberto Zaffrea, Gilberto Zaina, Giampiero Zamai, Carlotta Zamarco,
Mauro Zambarbieri, Stefano Zambelli, Franco Zammarchi, Franco Zampiero, Mirco Zamuner, Gabriele Zanardi, Oscar Zanardi, Fabio Zanardo, Lorenzo Zancato,
Gabriele Zanchi, Gianfranco Zanchi, Marco Zanellato, Massimo Zanellato, Sergio Zanellato, Claudia Zanetta, Andrea Zanetti, Luisa Zanetti, Mauro Zanetti, Ernesto
Zanga, Antonino Zanghi, Gianfranco Zani, Mario Zani, Primo Zani, Antonio Zanini, Carlo Zanini, Corrado Zanini, Fabio Zanini, Gianpietro Zanini, Maurizio Zanirato,
Gabriele Zanni, Nino Giovanni Zanni, Sergio Zanni, Angiolino Zanola, Augusto Zanoletti, Anna Zanon, Gianpietro Zanoni, Manuel Zanoni, Annamaria Zanotta, Stefano Zanotti, Paolo Zanzottera, Franco Zappella, Arrigo Zapponi, Duilio Zatti, Giovanmaria Zatti, Giuseppe Zecca, Roberto Zeni, Andrea Zennaro, Luciano Zerbinati,
Mario Zeresi, Cecilia Zerla, Marcello Zerra, Mario Ziboni, Gianmario Zieri, Pietro Zighetti, Roberto Ziglioli, Davide Zignani, Andrea Ziliani, Massimo Ziliani, Roberto
Ziliani, Stefano Zilioli, Diego Zini, Eugenio Zoffili, Franco Zolin, Samuele Zonca, Simone Zonin, Tiberio Zoppa, Massimo Zoppi, Sabrina Zordan, Walter Zorloni, Alessandro Zubani, Luca Zubani, Paolo Zubani, Franco Zuccarini, Paolo Zuccati, Valerio Zucchelli, Claudio Zucchetti, Giovanni Zucchetti, Luigi Zucchi, Maurizio Zucchi,
Pierantonio Zucchinali, Giovanni Zucco, Roberto Zuccollo, Lorenzo Zuccotti, Caterina Zuelli, Massimo Zuffi, Giulia Zuliani, Santo Zumbino.
Nella Missione Abruzzo, oltre a migliaia di volontari,
il Sistema regionale lombardo di Protezione civile
ha impegnato tecnici e funzionari
della Regione, delle Province, dei Comuni, delle Polizie Locali,
degli Ordini e degli Albi professionali, delle Università,
dell’Azienda regionale per la Protezione dell’Ambiente
e di tutto il Sistema allargato di Regione Lombardia.
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Grazie a Zoe Vincenti, che con i suoi scatti ha catturato l’anima della missione Abruzzo di Regione Lombardia restituendo ai
nomi un volto, ed alle parole un’immagine.
Sono di Zoe le foto che accompagnano la testimonianza di Laura Sion, le immagini “sul campo” di Domenico De Vita e Cinzio Merzagora ed alcuni momenti della lunga missione di Alessandro Caretti.
Grazie ad Alessandro Belgiojoso, che in Abruzzo è tornato più volte, fotografando la vita del campo, il backstage operativo
della missione, gli uomini e i luoghi della Protezione Civile di Regione Lombardia. Il contributo di Alessandro alla Missione
Abruzzo sta nei tanti scatti riprodotti in maniera anonima tra le pagine del libro, e nel personale omaggio d’artista che ha
voluto fare alle vittime ed agli eroi del terremoto d’Abruzzo con la raccolta “personale” che qui pubblichiamo.
Grazie ad Elena Brivio, ingegnere occasionalmente prestato alla fotografia, che ha realizzato le immagini che accompagnano il testo di Salvatore Barbara.
Un grazie speciale, infine, a tutti i volontari, i funzionari degli enti locali, gli operatori della Protezione Civile della Lombardia, gli amici che hanno contribuito con la loro testimonianza, le loro foto, il loro supporto alla realizzazione di questo libro.
Ciascuno di loro avrebbe meritato un capitolo a sé.
Ma lo spazio per dire loro grazie non sarebbe mai stato sufficiente.
Questo libro è per tutti loro.
Missione Abruzzo
Testimonianze di Protezione Civile
(Allegato al bimestrale “SICUREZZA NEWS”)
Pubblicazione della Direzione Generale
Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale di Regione Lombardia
(www.protezionecivile.regione.lombardia.it)
Assessore: Stefano Maullu
(e-mail: [email protected])
Direttore Editoriale: Marco Cesca
Coordinamento di redazione: Sandra Tabarri
Editore incaricato:
Edizioni Nazionali Srl
20142 Milano, viale Faenza 26/5
Registro operatori della comunicazione n° 1461
Coordinamento generale: Simona Bonfante
Direttore responsabile: Luigi Rigo
Collaborazione giornalistica: Eleonora Marchiafava
Progetto Grafico: Giovanni Montoncello
Photographer: Michele Lepre
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Stampa: Reggiani Spa Brezzo di Bedero (VA)
Chiuso in tipografia: dicembre 2009
Prima ristampa copie n° 3.000
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www.regione.lombardia.it