Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale
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Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale
XXVI Convegno SISP Relazione per il panel “La comunicazione al potere” Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Christian Ruggiero Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale Sapienza Università di Roma Premessa: la caccia alle streghe come riattivatore della politica-spettacolo L’irruzione nel discorso pubblico degli scandali legati alla gestione dei finanziamenti ai partiti – un movimento in due tempi legato prima alla figura di Luigi Lusi, e poi con maggior forza comunicativa al tesoriere del Carroccio Francesco Belsito – ha dato nuovo appeal a un racconto politico che sembrava entrato, con l’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti al centro della scena, in una fase di sospensione narrativa. Lungo tutto l’arco della cosiddetta Seconda Repubblica, la progressiva identificazione delle istituzioni con i leader politici che ne occupano il vertice (Calise 2000 e 2010) ha significato l’imposizione di un registro discorsivo degno della nota definizione di Stato-spettacolo (Debray 2003), di fatto una conseguenza inattesa della politica spettacolo impostasi già nei primi anni Ottanta (Statera 1986). L’understate che sembra essere la cifra caratteristica dello stile “montiano”, combinato alla temporanea eclissi politica e mediatica del protagonista principale della spettacolarizzazione della scena pubblica italiana, Silvio Berlusconi, ha di fatto frustrato le attese dei commentatori, ormai poco propensi alla gestione e alla partecipazione ad un dibattito alimentato quasi unicamente da una comunicazione politica “istituzionale”. Esemplare in questo senso il dibattito, come sempre meta-televisivo, avvenuto all’interno della trasmissione TvTalk sabato 14 aprile 2012. Il conduttore Massimo Bernardini introduce l’argomento della puntata con una nota quasi nostalgica di contestualizzazione della “settimana di passione” della Lega Nord: “abituati alla freddezza di Monti e compagnia, una settimana così bella di pancia, con di mezzo corruzione, dimissioni, espulsioni sembrava scomparsa dalla Tv”. Gianluigi Paragone sostiene che la puntata de L’ultima parola sullo scandalo dei finanziamenti poteva essere costruita settimane prima con gli ingredienti forniti dall’ex tesoriere della Margherita Lusi, ma “ci vuole un leader messo in discussione, che è Bossi”. Andrea Vianello introduce immediatamente un correttivo: nella sua Agorà non potrebbe non esserci spazio anche per “il mondo della Padania, la pancia della Lega, i barbari sognanti, tutto un immaginario; c’è stata persino la strega, e qualcuno ha accusato noi media di averla creata”. Per Corrado Formigli, che con Piazza pulita ha coperto sia le dimissioni a caldo di Umberto Bossi sia il dibattito successivo, “la cosa bella è che è una storia dove ci sono i buoni e i cattivi; che poi non sappiamo davvero chi sono i buoni e chi sono i cattivi, però ci sono i buoni e i cattivi, con la faccia da buoni e con la faccia da cattivi, e questo è un modo divertente e interessante di raccontare la politica”. Il tema del dubbio uso che partiti, già in crisi di rappresentanza e rappresentazione, avrebbero fatto dei fondi pubblici a loro disposizione, dunque, diviene un attivatore del dibattito pubblico solo nel momento in cui assume i tratti di una storia. Le ipotesi di appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, gli oscuri trasferimenti di denaro su fondi tanzanesi o ciprioti e le misteriose (ri)apparizioni di diamanti e lingotti d’oro, i presunti rapporti con la ‘ndrangheta e le supposte verità di un partito regolato dal familismo più amorale, divengono maggiormente reali se cucite addosso a personaggi dai tratti decisamente fictional. Tra di essi, la “strega” Rosi Mauro, caso di studio doppiamente interessante. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 1 di 14 Anzitutto, in quanto unica, fra i tre protagonisti principali del Lega-gate, ad essersi sottoposta direttamente al tribunale dei media, rispondendo alle accuse che le venivano mosse non sul piano eminentemente giudiziario, come Francesco Belsito, né su quello prettamente politico, come Umberto Bossi, ma su quello direttamente comunicativo, e – nello specifico – offrendosi come ospite/imputato a vantaggio dei telesalotti di RaiUno e Canale 5. In secondo luogo, in quanto nell’improvvisa ribalta mediale di cui è stata protagonista, nella strategia teledifensiva che ha scelto di intraprendere, Rosi Mauro ha incarnato per qualche settimana l’istituzione che rifiuta la messa al rogo da parte della politica e dei media. Messa sotto accusa per non aver voluto lasciare l’incarico di Vicepresidente del Senato, ha giocato la carta della difesa dell’istituzione, accettando di essere espulsa dal movimento leghista nel nome della difesa della sua integrità personale, professionale (non solo politica, ma anche sindacale) e, appunto, istituzionale. Le modalità con cui ha risposto, sul palcoscenico dei media, ai rituali di degradazione a cui è stata sottoposta, e le strategie con cui i media-men suoi interlocutori hanno gestito una versione volutamente ridotta di processi televisivi ben più noti, rappresentano, alla luce di questi elementi, una prospettiva interessante dalla quale osservare i rapporti tra “comunicazione” e “potere”. Contesto: il panorama politico e mediale L’agenda politica del 2012 – dominata, in tempi di “governo tecnico”, da tematiche di politica economica – si arricchisce il 31 gennaio di una issue decisamente più politica: un warning della Banca d’Italia indica il Senatore Luigi Lusi, tesoriere de La Margherita, come protagonista di un’operazione di appropriazione indebita. Durissime le critiche dei dirigenti del Pd, soprattutto di quanti, come Francesco Rutelli e Matteo Renzi, risulterebbero tra i beneficiari delle somme distratte dalle casse del partito. Pesanti le ripercussioni su un’opinione pubblica che si interroga ancora una volta sulla legittimità dei rimborsi elettorali ai partiti, a maggior ragione di fronte al caso di una formazione politica che sembra aver continuato ad usufruirne anche in seguito al suo assorbimento nel Partito Democratico. Espulso dal partito già nel mese di febbraio, Lusi diviene un interessante caso politico-giudiziario, soprattutto nel momento in cui, in giugno, il Senato vota a favore del suo arresto – misura che viene considerata senza precedenti dai commentatori. La vicenda Lusi si intreccia, nel mese di marzo, con una storia ancor più interessante, in quanto riguardante la Lega Nord, una formazione politica ancora in forza e soprattutto da sempre presentatasi quale orgoglioso alfiere di una politica “pulita” contro i “ladri” che occuperebbero il Parlamento romano. Primo protagonista è ancora una volta il tesoriere del partito, il Senatore Francesco Belsito, e tre sono le inchieste a suo carico, coordinate dalle Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria, rispettivamente sulle somme distratte dai contributi elettorali per le spese della famiglia Bossi, sugli investimenti all’estero del tesoriere della Lega, sui suoi presunti rapporti con la ‘ndrangheta. Tre sono anche i personaggi al centro della vicenda: il tesoriere stesso, il leader Umberto Bossi e la Vicepresidente del Senato Rosi Mauro. Il ruolo di quest’ultima si delinea a partire da due elementi d’interesse: la sua vicinanza al leader della Lega, e i sospetti che tale vicinanza possa essersi tradotta in potere personale di gestione dei fondi del partito o quantomeno di conoscenza delle “politiche” di gestione degli stessi, e i costanti finanziamenti che la Lega Nord garantisce al Sin.Pa., il Sindacato Padano fondato e gestito dalla Senatrice. Elementi che trovano riscontri nelle intercettazioni su cui lavorano le Procure per il caso Belsito: il tesoriere e la Segretaria Amministrativa del partito Nadia Dagrada avanzano pesanti illazioni sulla trasparenza dei contributi al Sin.Pa. e sui rapporti tra Rosi Mauro e Umberto Bossi in termini di influenza della Senatrice sul leader del Carroccio; la stessa Vicepresidente del Senato viene registrata mentre chiede con insistenza al tesoriere il trasferimento di somme di denaro a favore del suo sindacato, proprio prima che l’avanzare delle inchieste costringa Belsito a lasciare prima la carica di tesoriere e poi il partito. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 2 di 14 La copertura mediale della vicenda sembra raggiungere il picco nei primi giorni di aprile: è a partire dal giorno 4 che il tesoriere conquista i titoli dei quotidiani, alla vigilia delle dimissioni di Umberto Bossi da Segretario della Lega Nord, avvenute il 5. È interessante osservare l’agenda dei principali talk di approfondimento nel periodo a cavallo tra i mesi di marzo e aprile, per individuare quale racconto dell’attualità politica del paese sia stato interrotto dallo scandalo Belsito e in che modo, quali protagonisti del partito sotto accusa siano stati chiamati a commentare la questione nelle arene televisive, prima di concentrare l’attenzione sulla protagonista femminile, l’anti-eroina di questo racconto. Si è scelto di prendere in considerazione quattro programmi, rappresentanti ideali dei modelli di talk politicosociale – la piazza e il salotto – individuati da Pezzini (1999) come protagonisti dell’innovazione della grammatica del talk all’alba della cosiddetta Seconda Repubblica, e la cui evoluzione è alla base della lettura dei rapporti tra politica e televisione in Italia nei termini del declino della videocrazia (Ruggiero, 2011). Identificando la collocazione di prima e seconda serata come luogo ideale della telepolitica, fascia prediletta dal formato talk e campo di battaglia della concorrenza tra format e reti diverse, è stata analizzata la programmazione di Porta a Porta, l’intramontabile salotto di RaiUno il cui padrone di casa è un apparentemente insostituibile Bruno Vespa; Matrix, il contro-salotto di Canale 5 condotto ormai dal 2009 dall’ex corrispondente Alessio Vinci; Ballarò, la fortunata piazza del mercato in onda su RaiTre con la pacata e ironica conduzione di Giovanni Floris; Servizio Pubblico, l’esperimento multichannel di Michele Santoro, che tenta di trasformare la proverbiale formula del programma-piazza in un cantiere in onda su Internet, sul satellite e su una rete di televisioni locali. Tabella 1. Porta a Porta 19/03/12 20/03/12 21/03/12 22/03/12 26/03/12 27/03/12 28/03/12 29/03/12 02/04/12 03/04/12 Partiti a confronto Il giorno del lavoro Pierluigi Bersani Articolo 18 nessun cambiamento Se il paese non è pronto possiamo lasciare Donne: quattro storie di violenza Farmaci killer su Internet Italiani tra vizi e virtù Nuove indagini per l’omicidio di Melania Soldi distratti per la famiglia Bossi 04/04/12 05/04/12 06/04/12 10/04/12 11/04/12 16/04/12 17/04/12 18/04/12 19/04/21 Angelino Alfano Le dimissioni di Bossi Speciale Venerdì Santo Rosi Mauro: “La mia verità” Casini, Maroni e Di Pietro I soldi dei partiti Melania un anno dopo IMU la stangata in tre rate Quel tesoro di famiglia Il telesalotto di RaiUno dedica tre puntate alla vicenda, di cui due acquistano i caratteri del processo mediale, in quanto prevedono la presenza di un esponente della Lega Nord chiamato a rispondere alle accuse. Nella puntata del 3 aprile, ospiti politici sono Maurizio Lupi (Pdl), Enrico Letta (Pd), e Massimo Donadi (Idv); in quella del 5 aprile, Matteo Salvini rappresenta la Lega Nord dividendo la scena con Guido Crosetto (Pdl) e Cesare Damiano (Pd); infine, il 10 aprile la parte alta del teleschermo è invasa dalla scritta “ESCLUSIVA PORTA A PORTA”: per la prima volta, Rosi Mauro appare a dare la sua versione dei fatti; di fronte a lei, Fabrizio Cicchitto (Pdl) e Marina Sereni (Pd). Le tre puntate in questione regalano un primato politico all’agenda di Porta a Porta, altrimenti divisa abbastanza equamente tra il commento alle political e policy issue di maggiore attualità (cioè il punto sulla situazione del paese espresso dai Segretari dei maggiori partiti politici, Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano; la riforma del mercato del lavoro; la politica economica del governo) e l’approfondimento di questioni di cronaca e di costume (ossia i nuovi elementi emersi nelle indagini per l’omicidio di Melania Rea, avvenuto nell’aprile 2011; la morte di una giovane di Barletta per una partita corrotta di farmaci acquistata per via telematica dalla struttura ospedaliera in cui era ricoverata). C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 3 di 14 Tabella 2. Ballarò Tabella 3. Servizio Pubblico 20/03/12 27/03/12 03/04/12 10/04/12 17/04/12 La giornata decisiva Il posto di lavoro è a rischio L'incognita dell'IMU La vicenda di Umberto e Renzo Tasse e IMU/ Benigni e Woody Allen 22/03/12 29/03/12 19/04/12 Le mani pulite Lo stato sociale Spazzare via tutti Le due piazze televisive considerate dedicano un’unica puntata a testa al Lega-gate: in linea con le scelte editoriali dei due programmi, Ballarò sceglie di affrontare l’argomento direttamente, nel suo aspetto più coinvolgente, il familismo che emerge dalle forti somme che sarebbero state distratte dalle casse del partito per gli studi, ma soprattutto per i divertimenti del figlio e delfino del leader Umberto Bossi. Servizio Pubblico incornicia invece la vicenda all’interno della tematica dell’antipolitica, sottolineando l’estensione della “questione morale” e della mala gestione del finanziamento pubblico a quel movimento che aveva sempre fatto della legalità la sua bandiera. Non a caso, fra gli ospiti di entrambe le trasmissioni compare Matteo Renzi (Pd), già chiamato in causa dal caso Lusi e quindi “opinion leader” sulla questione; ma Floris sceglie di accompagnare il sindaco di Firenze ad uno dei “ministri tecnici” del governo Monti, Mario Catania, detentore del dicastero delle Politiche Agricole. Santoro, invece, completa il parterre del suo cantiere con un esponente del partito sotto accusa, l’europarlamentare Francesco Speroni (Lega Nord), e con il consigliere regionale “grillino” Giovanni Favia (MoVimento 5 Stelle). Ballarò inserisce la puntata tra due appuntamenti di servizio, dedicati all’introduzione della nuova imposta sugli immobili, perfettamente in linea con una programmazione dedicata ai temi del lavoro e dell’economia. Servizio Pubblico sembra invece riprendere, dopo un periodo di pausa pasquale, un discorso iniziato quasi un mese prima con una puntata dedicata al ventennale delle inchieste di Mani Pulite, con una puntata che provocatoriamente invoca la necessità di “spazzar via” (nuovamente?) l’intera classe politica italiana. Tabella 4. Matrix 20/03/12 22/03/12 26/03/12 27/03/12 28/03/12 03/04/12 04/04/12 05/04/12 Il giorno più lungo Matrimoni gay Serata Panariello La scomparsa di Roberta Carovita Imprese in crisi Bufera sulla Lega / Animalisti & Co. Bossi lascia 06/04/12 10/04/12 11/04/12 12/04/12 17/04/12 18/04/12 19/04/12 I giovani e la fede Orgoglio leghista Tempo di diete Cerco lavoro Donne senza giustizia Parla Rosi Mauro Addio al “Moro” Matrix conferma la sua vocazione giornalistica, prima che “salottiera”, introducendo l’argomento in una sorta di “breaking news”, un’anteprima nella quale a prendere la parola è Flavio Tosi (Lega Nord), e “dirottando” una sezione della puntata altrimenti dedicata alla sensibilizzazione verso tematiche animaliste. Quest’anteprima regala alla trasmissione la palma di maggiore approfondimento del Lega-gate, accompagnandosi alle puntate del 5, 10 e 18 aprile – ospiti nel primo caso Osvaldo Napoli (Pdl) e Fabio Evangelisti (Idv); nel secondo Maurizio Paniz (Pdl), Antonio Misiani (Pd), Antonio Borghesi (Idv), Mario Staderini (Radicali Italiani) e Matteo Salvini (Lega Nord); nel terzo una sempre più agguerrita Rosi Mauro, ormai iscritta al Gruppo Misto del Senato, con Paola Concia (Pd) e Daniela Santanchè (Pdl). C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 4 di 14 La seconda ospitata della Vicepresidente del Senato offre un’ulteriore motivazione nella scelta di analizzare le due puntate che la vedono protagonista: oltre ad essere l’unica ospite leghista realmente sotto accusa, in quanto chiamata direttamente in causa dalle argomentazioni contro la “politica economica” della Lega Nord al centro della discussione, Rosi Mauro contende il primato di presenze televisive solo a Matteo Salvini. Ma l’eurodeputato leghista, oltre a poter parlare da una posizione doppiamente favorevole – non chiamato in causa dalle circostanze incriminate ed esponente in grado di guardare alle vicende politiche italiane dall’osservatorio privilegiato di Bruxelles – imposta una difesa del partito che è tutta politica. Denuncia, nei salotti e nelle piazze elettroniche come sulla stampa, la volontà di “sabotare” elettoralmente la Lega Nord, attraverso un’inchiesta che prende l’avvio proprio nel giorno del deposito delle liste per le elezioni amministrative di maggio. Guadagnandosi l’appellativo di ultimo giapponese padano1, Salvini rappresenta una strategia comunicativa legata decisamente al contesto elettorale, più che a quello istituzionale. La strega in scena: rituali di delegittimazione e strategie di credibilità Pur in assenza di specifici procedimenti giudiziari volti ad accertare il suo coinvolgimento nella gestione dei fondi della Lega Nord, è possibile sostenere che Rosi Mauro sia stata oggetto di un processo mediatico volto ad approfondire, senza i vincoli di legittimità cui è chiamata la Magistratura, ma con effetti politici e pubblici non dissimili, il suo ruolo nel Lega-gate.Un ruolo peraltro invocato a più riprese dalle inchieste “ufficiali”, che hanno così dato un fondamento para-giuridico ai “capi d’accusa” dei quali i commentatori/accusatori hanno chiesto conto alla Vicepresidente del Senato. L’accostamento processo mediatico / processo reale è poi confortato dalla pratica, ormai consolidata, di leggere entrambe le attività, quella giudiziaria e quella di newsmaking, come articolazione discorsiva obbediente alle medesime regole della narratività. Così come il giornalismo è sempre più assimilato alla pratica di raccontar storie piuttosto che a quella di riportare notizie (Morcellini 2011), è possibile considerare un processo come una situazione narrativa, ossia […] pensare a un processo come a un testo, istituirlo come un racconto in cui certi soggetti sono orientati a realizzare determinati programmi narrativi, ad esempio: stabilire la verità, dimostrare l’innocenza di qualcuno, provare la colpevolezza di qualcun altro (Cavicchioli 1997, 94). Entro tale situazione narrativa, inoltre, si intrecciano due piani discorsivi, in cui gli attori si muovono secondo regole solo in parte coincidenti, con obiettivi e risultati distinti. In riferimento al più noto processo mediale italiano, il procedimento a carico di Sergio Cusani che in qualche modo anticipò i processi dell’epoca di Tangentopoli, Cavicchioli afferma: Tutti noi abbiamo guardato il processo Cusani anzitutto per vedere come ne sarebbero usciti i politici, che “figura” ci avrebbero fatto. In altre parole, specialmente per chi aveva un ruolo pubblico fino ad allora mai messo realmente in discussione, si trattava non solo di tutelare la propria fedina penale, ma anche di salvare la faccia. Sulla sedia dei testi si sono avvicendate n gran numero di persone che hanno dovuto fare i conti, chi più chi meno, col fatto di rendersi credibili, non perdere l’autorevolezza di cui erano investiti dal loro ruolo pubblico e dimostrarsi innocenti o quanto meno, il più possibile innocenti. È dal dosaggio di questi diversi scopi e dal modo in cui sono stati messi in atto che emergerà la “figura” complessivamente fatta da ognuno dei testi, così come dall’imputato (ivi, 98-99). 1 Andrea Scanzi, Salvini, l’ultimo giapponese padano, in Il Fatto Quotidiano, 7 aprile 2012. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 5 di 14 È sulla base di questo doppio terreno di gioco che l’autrice giudica positivamente le performances di Craxi e Cusani, e non quella di Forlani. I primi due, infatti, accettano le accuse assumendo che la realtà delle tangenti era non solo conosciuta da tutti, ma pratica comune e condivisa, collocata in una sorta di zona franca della moralità politica. […] è come se inscrivessero i loro discorsi non tanto all’interno di un frame processuale, bensì in un frame relativo all’etica pubblica. […] Il match che giocano è relativo alla dimensione pubblica e simbolica del processo, e quindi, televisiva. Forlani, al contrario, si comporta come se questa dimensione non lo toccasse (ivi, 102). Pur in assenza della necessità di dimostrare la propria innocenza di fronte alla giustizia ordinaria, Rosi Mauro, dal momento in cui le intercettazioni telefoniche tra il tesoriere Belsito e la segretaria amministrativa Dagrada l’hanno chiamata pesantemente in causa, si è certamente trovata a dover rendere credibile la propria posizione davanti all’opinione pubblica. Nel fare ciò in un’arena televisiva piuttosto che in un’aula di tribunale, il compito le è certamente stato facilitato, anche perché i due conduttori non tentano neppure di calarsi nel ruolo di Pubblico Ministero; ma le strategie narrative difensive messe in scena sono ugualmente analizzabili secondo la medesima lettura che ha condotto Pier Paolo Giglioli a formulare cinque differenti frames, intesi come tipizzazione dei fatti oggetto del dibattimento, cornici interpretative costruite dai principali attori del caso Cusani: 1) Mani Pulite. La legge sul finanziamento pubblico dei partiti è una legge dello Stato. Chiunque la violi commette un reato, che è moralmente molto più grave quando i rei sono i nostri rappresentanti in Parlamento, coloro a cui abbiamo dato la nostra fiducia. L’affare Montedison è la spia del grande livello di corruzione che giace al centro della vita pubblica e che insidia l’ordine morale del paese e l’essenza stessa della democrazia2. […] 2) Il reo confesso. Ammetto di aver (richiesto e) accettato un contributo in violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Me ne assumo la responsabilità e sono disposto a risponderne di fronte alla legge. Tengo a precisare tuttavia che questa era una prassi normale e che il contributo non ha influito sulla mia autonomia di uomo politico3. […] 3) Io non ne sapevo niente. Non mi risulta che sotto la mia gestione vi siano stati contributi illegali al mio partito. In ogni caso, se vi fossero stati (ma io lo escludo), non ne sapevo assolutamente niente. Il finanziamento era una cosa che riguardava l’amministrazione del partito, non la dirigenza politica. Se il segretario amministrativo afferma di avermi informato di finanziamenti illegali, evidentemente si sbaglia o ricorda male. Non sapevo neppure che vi fossero finanziamenti illegali negli altri partiti4. […] 4) La democrazia ha dei costi. Il sistema politico democratico si regge su organizzazioni, i partiti, che sono divenute sempre più complesse e costose e che bisognava far vivere. Tutti nel mondo politico sapevano che i bilanci di tutti i partiti, o almeno dei più grandi, erano falsi. Tutti i maggiori partiti ricevevano risorse aggiuntive provenienti da contributi non formalizzati e non legalizzati. Ma queste risorse sono state destinate in gran parte ad attività di natura politica, 2 Si tratta della cornice interpretativa costruita dal Pubblico Ministero Antonio Di Pietro (Giglioli 1997, 44). Questa è una cornice adottata da molti uomini politici, da Vizzini ad Altissimo, da La Malfa a Pomicino, da De Michelis a Martelli, nel tentativo di far valere la distinzione tra l’aver accettato denaro per finanziare il partito o per arricchirsi personalmente (ivi, 45). 4 Si tratta di un frame scelto nella sua interezza solo da Arnaldo Forlani, che rischiò di farlo apparire come mentitore soprattutto alla luce delle dichiarazioni del segretario amministrativo della Democrazia Cristiana Severino Citaristi (ivi, 48). 3 C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 6 di 14 sociale, culturale. La democrazia ha dei costi. Se i partiti muoiono, ci indirizziamo verso una società dominata da organizzazioni scarsamente democratiche, dalla videocrazia5. […] 5) Ma, per l’amor di Dio, sì. Noi siamo una giovane forza politica che non è mai stata compromessa nella corruzione della Prima Repubblica. Eravamo osteggiati da tutti e avevamo un gran bisogno di finanziamenti, che abbiamo cercato nel modo più corretto possibile. Alla vigilia delle elezioni, una grande azienda, ha offerto un piccolo finanziamento non registrato al nostro partito che l’amministratore ha accettato. Benché tutto questo sia avvenuto a mia insaputa, anch’io mi sarei comportato come lui se mi fossi trovato nella stessa posizione, perché per noi si trattava di una questione di vita o di morte6. Naturalmente, ad essere differente – a vent’anni di distanza – non è solo la fattispecie giuridica del reato di cui è chiamata a rispondere la classe politica: non le fonti del finanziamento, ma la gestione delle disponibilità economiche dei partiti, derivanti in primo luogo dal controverso strumento dei rimborsi elettorali; ma anche la capacità (o forse la volontà) del sistema giudiziario e di quello mediale di chiamare il sistema politico alle sue responsabilità. Inoltre, la presenza di un governo tecnico e quindi la temporanea separatezza dell’intera sfera politica dalla gestione del paese costituisce un elemento di disinnesco della polemica sul “caso Lusi” prima e sul “caso Belsito” poi. Infine, è lecito supporre che il registro discorsivo dell’antipolitica, ormai largamente diffuso, costituisca di per sé un disincentivo a portare le inchieste in corso verso le loro estreme conseguenze. Tuttavia, seppure in tono minore, le vicende politico-giudiziarie che hanno animato la prima metà del 2012 si situano ugualmente all’incrocio delle tre formazioni discorsive identificate in occasione del processo Cusani: legale, relativa cioè alle responsabilità giuridiche degli imputati; morale, riguardante l’onorabilità e l’affidabilità dei soggetti coinvolti; politica, centrata sul rapporto tra fini e mezzi dell’azione pubblica. Le accuse alla Vicepresidente del Senato Rosi Mauro sono ben riassunte dal primo servizio mandato in onda da Porta a Porta: “[…] La sua posizione è sotto la lente dei magistrati, sia perché anche lei, come i componenti della famiglia Bossi, avrebbe beneficiato dei soldi del partito, sia perché dalle telefonate intercettate emergerebbe una sua conoscenza dettagliata di come andavano le cose all’interno del Carroccio. La stessa Segretaria Amministrativa della Lega, Nadia Dagrada, ha del resto confermato ai PM di Milano i versamenti effettuati a favore di Rosi Mauro, aggiungendo anche che, dopo la malattia del Capo, la Senatrice si era addirittura installata in una casa attaccata a quella di Umberto Bossi. Nelle intercettazioni delle conversazioni tra la Dagrada e l’ex tesoriere Francesco Belsito balza fuori anche l’elenco delle cifre che la Senatrice si sarebbe fatta pagare dal partito: le visite dal cardiologo, diploma e laurea in Svizzera per almeno 120.000 Euro; Rosi Mauro avrebbe anche agevolato l’assunzione del fidanzato, e sua ex guardia del corpo, a Palazzo Madama. E anche a lui, a Pierangelo Moscogiuri, la Senatrice avrebbe fatto avere 60.000 Euro per la laurea in terra elvetica, e un mutuo agevolato. Altri 200-300.000 Euro prelevati dalle casse del Carroccio sarebbero andati al Sin.Pa […]” La Vicepresidente del Senato risponde punto per punto ai “capi d’accusa”, riassunti da Vespa con l’ausilio di un cartello in infografica; ma sceglie di partire dalla fine, evidenziando un primo elemento di grande interesse per la gestione comunicativa della sua “difesa”: la scissione tra la persona Rosi Mauro, messa sotto 5 Questo frame ha permesso a Bettino Craxi, se non altro, di riaffermare la sua natura di leader esperto e consapevole dei meccanismi della democrazia parlamentare(ivi, 51). 6 È un frame molto vicino al precedente, ma coniato per descrivere l’azione simbolica del leader della Lega Nord Umberto Bossi (ivi, 53-54). C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 7 di 14 accusa dall’intero comparto mediale, e la dirigente del Sindacato Padano Rosi Mauro, effettiva e legittima destinataria dei finanziamenti del movimento leghista: Vorrei specificare che quando parlano di Rosi Mauro parlano del sindacato. A Rosi Mauro la Lega Nord non ha mai dato un Euro. Ma bensì, da circa vent’anni a questa parte, da quando è stato fondato il Sindacato Padano, c’è la donazione che il movimento politico fa tutti gli anni al Sindacato Padano, tramite bonifico verificabile su tutti gli estratti dei conti correnti. Ecco perché ero incredula. Perché è questa favola che adesso… “a Rosi Mauro”. Quando si parla di Rosi Mauro, nel caso della donazione, non si parla di soldi a Rosi Mauro, ma bensì di soldi dati al Sindacato Padano. La distinzione richiama quella, introdotta dal primo dei frame identificati da Giglioli e dominante nel periodo di Tangentopoli, tra “rubare per sé” e “rubare per il partito”, ed è rinforzata dal netto diniego che la Senatrice oppone a qualunque accusa che lambisca l’ambito della sua vita privata, con particolare riguardo ai rapporti con il caposcorta del quale avrebbe favorito l’assunzione e al quale avrebbe acquistato una laurea in Svizzera: Mauro: Oggi è stato fatto un comunicato ufficiale dal Senato, e anche qui sono stata a guardare in questi giorni per vedere sin dove si arriva in questo paese. Pierangelo Moscagiuro7 è il mio caposcorta, non è in aspettativa, quindi anche qui hanno scritto… Vespa: Quindi non è assunto dal Senato Mauro: Assolutissimamente no, lui è in forza all’ispettorato del Senato. Ho assistito a un vero stillicidio, che mi ha fatto veramente male Vespa: Posso chiederle se è il suo compagno? Mauro: Questa è un’altra nefandezza. Qui hanno colpito anche nella vita privata. Poi la vedremo in altre sedi. È assurdo, ed è inconcepibile Vespa: Perché parlano di 60.000 Euro per una laurea in Svizzera di Moscagiuro, e di una stessa cifra per una laurea in Svizzera di Rosi Mauro? Mauro: Guardi, già ero asina a scuola […] non mi ha mai sfiorato quest’idea. Punto primo. E poi, mi scusi, io non posso, Direttore, rispondere di conversazioni che altre due persone stanno facendo al telefono. Bisognerebbe chiedere a queste persone cosa intendevano, cosa volevano dire, che messaggi magari volevano dare, ma io non posso dare una risposta su telefonate che altri hanno fatto. […] Per quanto riguarda la sottoscritta e il mio caposcorta, ripristiniamo un minimo di verità perché veramente questa vicenda credo che a più di qualche persona ha fatto male, assolutissimamente no. E io rispondo solo per la sottoscritta e per il mio caposcorta. Nella prima battuta di questo estratto dalle dichiarazioni rese a Porta a Porta, emerge un secondo importante elemento della difesa di Rosi Mauro: il richiamo all’istituzione che la Senatrice rappresenta. In questo caso, si tratta di un riferimento puramente strumentale, volto a garantire la veridicità delle sue affermazioni in quanto confermate da una comunicazione ufficiale del Senato della Repubblica. In seguito, soprattutto nell’ospitata a Matrix, la strategia di far coincidere la propria difesa con quella dell’istituzione diventerà più chiara, esplicitando una versione “emendata” del quarto frame individuato da Giglioli. I due punti elencati nell’ultima dichiarazione, poi, restituiscono altre due dimensioni di notevole interesse: l’ostentazione di uno stile autoironico, volta a cancellare nel pubblico l’antipatia che ha fin qui connotato la sua persona pubblica; e la prima esternazione di quella che sarà la sua principale linea difensiva: non posso rispondere di ciò che hanno detto altri. In un “processo” basato sulle dichiarazioni di Belsito e Dagrada contenute nelle intercettazioni allo studio degli inquirenti, l’incredulità di fronte alle accuse che 7 Il nome del caposcorta, come sottolinea la Senatrice stessa, è errato nel servizio di apertura. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 8 di 14 implicitamente le vengono mosse è l’atteggiamento che Rosi Mauro manterrà in entrambi i contesti comunicativi, a Porta a Porta come a Matrix. Anche in questo caso, la rivendicazione di un ruolo certo di primo piano, ma non dirigenziale né politico nel movimento leghista, sarà di fondamentale importanza per la Senatrice, al fine di rispondere all’implicito “non poteva non sapere” avanzato dai conduttori/accusatori. E di attingere alla cornice “Io non ne sapevo niente” con maggiore possibilità di successo di quanto avrebbe potuto il Segretario Federale del partito. La strategia della Vicepresidente del Senato procede dunque su un doppio binario: una quota dei movimenti finanziari “incriminati” esiste, ma è legittima e legata alla normale gestione del Sin.Pa.; l’altra parte, che riguarderebbe Rosi Mauro come persona privata, è una costruzione mediale priva di fondamento. Come afferma a Matrix: […] tutto quello che ho di mio me lo sono guadagnato lavorando. Non ho nessun problema, i miei conti correnti sono in regola, i miei 730 parlano, sono pubblici, li possono vedere tutti, tutti possono fare due conti e vedere magari quanto c’ho messo io di tasca mia in tutti questi anni. […] Tutto è dalla questione della donazione al Sindacato Padano, che è lecita, legale e legittima, un movimento politico lo può fare tranquillamente, passa attraverso bonifici e assegni che tra l’altro sono anche quelli verificabili. L’inattaccabilità di Rosi Mauro in quanto dirigente del Sindacato Padano è garantita, sulla scena di entrambi i talk, dalla presenza tra il pubblico di Ivana Maffei, avvocato della Senatrice. Ma questo espediente certamente spettacolare, che contribuisce alla narrativizzazione della vicenda in un frame giudiziario, è sfruttata appieno dal solo Vespa, e in due occasioni. Davanti al cartello che elenca i “capi d’accusa” contro la Senatrice, preso atto del fatto che le somme proverrebbero da lecite donazioni del movimento leghista al suo sindacato, il conduttore chiede dunque una quantificazione di tali donazioni. Non essendoci concordanza tra il contenuto delle intercettazioni e le stime dell’“accusata”, la questione è ancor più interessante. L’avvocato Maffei è allora chiamata in causa dalla sua assistita: ostenta a favore delle telecamere un voluminosissimo fascicolo, diviso presumibilmente per anni d’imposta, che rappresenterebbe il bilancio del Sin.Pa., e dichiara 60.000 Euro circa ricevuti nel 2009 e 101.000 Euro ricevuti nel 2010. Sul 2011 l’avvocato si dimostra in difficoltà, dichiara prima che non è stato versato nulla; poi, richiamata dalla Senatrice, ammette una somma irrisoria che non è in grado di quantificare; le due donne sono comunque in sintonia nel dichiarare che nulla è stato versato nel 2012. Più avanti nel corso della trasmissione, l’editorialista de La Stampa Marcello Sorgi veste momentaneamente i panni dell’avvocato accusatore, e tenta un attacco a questa linea difensiva, prontamente respinto dal giudice/conduttore Vespa: Sorgi: Il sindacato è in grado di dimostrare che quei fondi siano stati usati fino all’ultima lira per attività sindacale? Ci vorrebbero le ricevute, le date delle manifestazioni, quanto sono costate… Vespa: Marcello scusami: l’avvocato lì ha un pacco di estratti conto. Mauro: Lì c’è l’avvocato Maffei che ha tutte le carte. Stupisce che la reazione del conduttore, perfettamente sintonica con quella dell’“accusata”, non si soffermi su un aspetto citato poco prima dal giornalista/accusatore, che aveva elencato una serie di legittime destinazioni dei rimborsi elettorali, tra le quali non compariva, e poteva non comparire, il finanziamento di un’attività sindacale – il conduttore stesso, su suggerimento dell’esponente del Pd Marina Sereni, aveva sottolineato l’estraneità alla scena politica nazionale e internazionale della pratica del finanziamento di un sindacato da parte di un partito politico. Sul versante della destinazione “personale” del denaro distratto da Belsito dai fondi della Lega Nord si sofferma con qualche insistenza in più Alessio Vinci, che cerca di “strappare” all’“imputata” una C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 9 di 14 dichiarazione sui 2-300.000 Euro in diamanti che, nonostante le restituzioni del tesoriere, ancora mancherebbero dalle casse leghiste: Vinci: Ci può dire se lei cosi suoi risparmi ha comprato diamanti? Mauro: Io coi miei risparmi ho comprato tante cose, e sono tutte pubbliche, lecite e legali. La reticenza della Senatrice nel fornire risposte più circostanziate alle domande del conduttore di Matrix costituisce forse l’unico scostamento della sua strategia da una narrazione altrimenti coerente e credibile, nella migliore tradizione di quelle strategie che lo Handbook of Discourse Analysis definisce vincenti per un imputato che si rivolga alla Corte: The defendant’s own version of an accident is one of the most important phases of the interrogation. Some text-linguistic studies of speech behavior correlate styles of speech with the construction of a socially acceptable image […]. They show that it is important not only to behave in an adequate manner, but also to answer the questions by the judge “correctly” to get a fair hearing. The strategies used in “storytelling” create a good or a bad image of the defendants. Does the story fit the facts? It is obviously memorized, or does the defendant succeed in convincing the court that he or she is telling the truth? Does the defendant use technical vocabulary? Is the story consistent and coherent? How does the defendant evaluate the sitation? (Wodak 1985, 184-185) Introdotta la differenziazione tra somme (lecitamente) destinate al Sindacato e quelle (inesistenti) destinate alla sua persona, Rosi Mauro procede con indiscutibile sicurezza a spiegare una seconda distinzione, questa volta di ruolo, funzionale alla sua difesa. Quella tra la militante di prima linea, certamente vicina al leader, e la dirigente in possesso di quel potere che le avrebbe consentito di movimentare a suo piacimento le forti somme di denaro che sarebbero state distratte a suo favore. Ostentando ancora una volta una notevole carica autoironica, accetta per sé stessa il ruolo di “badante” di Umberto Bossi, nel senso “nobile” di persona che è stata vicina al leader dal momento della sua malattia e ha contribuito al suo ristabilimento; nega inoltre che tale ruolo di “badante” potesse metterla in condizione di sapere delle “politiche finanziarie” leghiste. In questo modo, la Senatrice infrange l’unico serio tentativo, mosso da entrambi i conduttori, di riportare la sua posizione, appunto, nel frame del dirigente che “non poteva non sapere”. Vespa: Ma davvero lei a Bossi non ha mai detto: stai attento, guarda che i tuoi figli forse possono dare qualche problema, stanno esagerando, quelle macchine chi l’ha pagate, chi non l’ha pagate… Siete così stretti, lei ha preso casa vicino a Gemonio per stare lì, dal 2004 non l’ha lasciato un secondo, un minuto, e non gli ha mai detto: attento Umberto Mauro: No perché vede io non posso e non sono mai entrata nei problemi e rapporti tra figli e genitori. Andai a dare una mano, questo è verissimo, ma io non sono a conoscenza di queste cose, Direttore: questa è la verità. Vinci: Lei è Vicepresidente del Senato, era uno dei massimi esponenti della Lega, una delle persone più vicine al leader Umberto Bossi. Possibile che tutto questo sia una sorpresa per lei? Mauro: Questa del dossier8 sì. Poi per quanto riguarda i rapporto con Belsito non ho nulla da nascondere: fino a poche settimane fa era il tesoriere della Lega Nord, era quello che decideva a livello amministrativo, e con il quale tutti i dirigenti della Lega han parlato. 8 Il settimanale Panorama, in edicola il giorno successivo alla trasmissione, prometteva nella storia di copertina i contenuti di un dossier riservato di Francesco Belsito su Roberto Maroni, a “dimostrazione” della lotta intestina che avrebbe agitato la Lega Nord e all’interno della quale la figura di Belsito, come quella di Mauro, sarebbero state sacrificate nell’ascesa politica di Maroni. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 10 di 14 Il rapporto con il leader è amicale, quasi familiare, e, con la discrezione di un’amica di famiglia, Mauro non si intromette nelle questioni che riguardano il rapporto tra il padre e i figli. Non nega esplicitamente di conoscere fatti che sarebbe potuto essere politicamente corretto riportare al leader del suo partito, ma in questo caso è il frame della famiglia a prevalere. D’altronde, la posizione di alto profilo all’interno del movimento pone la Senatrice nella condizione di avere rapporti continuativi con il tesoriere, ma non di conoscere qualcosa al di là della conoscenza comune di tutti i dirigenti. Quindi, o le appropriazioni indebite, i finanziamenti illeciti, finanche i rapporti con la ‘ndrangheta erano a conoscenza di tutti, ed è una posizione che non sarebbe conveniente per il movimento sostenere, e una via che i media-men sembrano non aver alcuna intenzione di battere, o la conoscenza di questi movimenti finanziari era questione strettamente vincolata al tesoriere e al Segretario Federale, o ancor meglio al tesoriere e a una ristretta élite, un contropotere entro il movimento leghista in azione contro il suo stesso leader. Ad ogni modo, il frame “Io non ne sapevo niente” rimane una carta che la Senatrice costruisce le condizioni per poter giocare. Rimane da esplicitare la cornice interpretativa più innovativa proposta da Rosi Mauro nel corso del dibattimento mediale in due puntate che è oggetto di questa analisi. Si è fatto accenno al riferimento alle istituzioni nella prima tranche della risposta alle “accuse” formulate a Porta a Porta. Otto giorni dopo, all’indomani della sua espulsione dalla Lega Nord e delle accuse lanciate contro di lei da Roberto Maroni nel corso della “Giornata dell’orgoglio Padano” del 10 aprile9, la Vicepresidente del Senato – ancora orgogliosamente in carica, anche se ormai appartenente al Gruppo Misto – afferma: Non sono indagata, non so cosa stia succedendo, solo perché ci sono queste intercettazioni o queste strane telefonate tra segretari del movimento, che tra l’altro lavorano ancor lì in via Bellerio, io sono stata messa sotto accusa e non so perché, e mi hanno chiesto di fare un passo indietro dall’istituzione, e cioè da Vicepresidente del Senato. Io ho detto no per un semplice motivo: perché se in questo paese da oggi in poi basta una telefonata, un’intercettazione, e tengo a precisare che con l’ex tesoriere della Lega Nord come col precedente tutti parlavano […] Se io avessi fatto un passo indietro sarebbe stato come innescare un meccanismo di colpevolezza in tante persone, e non lo trovo giusto. Ma soprattutto avrei permesso […] in questa fase che basta una telefonata, basta che qualcuno dica qualcosa di qualcuno che vengono decapitate le istituzioni. La storia difensiva di Rosi Mauro, sin qui certamente “consistent and coherent” – qualità richieste perché la dichiarazione d’innocenza risulti vincente – si arricchisce di un elemento fondamentale sul piano della credibilità della sua figura pubblica. Laddove il leader della Lega, nonostante le legittime attenuanti della malattia e della vecchiaia, non può esimersi dal “fare un passo indietro” di fronte ad uno scandalo che oltre al suo movimento coinvolge pesantemente anche la sua famiglia; la Senatrice può rifiutare di compiere il beau geste, e può farlo per perseguire un fine superiore persino alla fedeltà al partito in cui ha militato per oltre vent’anni: la difesa dell’istituzione che rappresenta, la quale non può divenire bottino di quella che ormai si configura come una guerra intestina nella Lega Nord, né tantomeno essere sottoposta gratuitamente ad un linciaggio mediatico sulla base di accuse non comprovate. Se le posizioni difensive precedenti rappresentano una strategia messa in campo sul piano giudiziario – anzi para-giudiziario, essendo la Senatrice chiamata a rendere conto delle possibili accuse mosse dagli inquirenti in due salotti televisivi – questo nuovo elemento opera pienamente sul piano politico. In piena coerenza con 9 Vinci lancia un filmato nel quale Maroni grida dal palco: “Il Segretario Federale Presidente della Lega Nord Umberto Bossi oggi ha chiesto di fare un gesto di dignità, di dimettersi, ad una persona che ha detto di no, me ne spiace davvero: Rosi Mauro”, e “Così finalmente potremo avere un Sindacato Padano vero, guidato da un padano vero!”. Il pubblico risponde con un coro da stadio: “Chi non salta Rosi Mauro è… è!”. Paola Concia, presente in studio, ricorda che durante l’oratoria di Maroni il pubblico si è lasciato andare a commenti ben più espliciti, rivolgendo alla Senatrice l’epiteto di “puttana”. Si tratta dello stesso giorno della messa in onda della puntata di Porta a Porta, ma essendo la trasmissione usualmente registrata intorno alle ore 18.00 e la manifestazione prevista per le 20.30 è plausibile che nulla di tutto ciò fosse ancora giunto all’attenzione di Vespa né della sua ospite. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 11 di 14 la strategia parallela, obiettivo di Rosi Mauro è anzitutto trasformare la percezione del proprio personaggio, il proprio ruolo nella storia, da “strega” a “vittima”; da donna senza scrupoli e manipolatrice, che usa il suo potere sul vecchio Re per ottenere un accesso più che discrezionale alle sue ricchezze e si pasce nel clima di corruzione finanziaria e morale che ha contribuito a creare, a donna forte e diretta, dalle scarse qualità mediali e spettacolari, ma onesta nella gestione del denaro, discreta nei suoi rapporti con un Capo al quale continua a tributare incondizionato affetto. Eroina ingiustamente accusata in un oscuro complotto dal quale intende salvare sé stessa a livello personale, come dirigente del Sindacato Padano, e come Vicepresidente del Senato della Repubblica. Ma in riferimento a quest’ultimo ruolo che si trova ad incarnare, l’unico non chiamato in causa direttamente dalle accuse, ma da esse pesantemente infangato, l’unico che costituisca per lei una posizione di potere (teoricamente) indipendente dal rapporto con Umberto Bossi, Rosi Mauro decide di portare l’attacco sul piano politico. I referenti non sono esplicitati fino in fondo, neppure quello che sembra essere il suo nemico diretto, Roberto Maroni. Preferisce, nello speech iniziale a Matrix, parlare di […] qualcosa che a me non è chiaro fino in fondo. Io ho spiegato a tutti i dirigenti della Lega e anche a Umberto Bossi che volevo capire prima che cosa stesse succedendo, e poi avrei preso la decisione. Anche perché chi mi conosce sa che sono tutt’altro che una poltronara, e se fossi stata una poltronara avrei pensato all’immediato futuro, a restare nel movimento, fare un passo indietro e poi essere ricandidata. Siamo a fine legislatura e non ho questo problema, ma il mio problema è quello di dire la verità, capire che cosa è successo, perché tutto questo fango addosso, ma non dagli ultimi giorni, ma da un due o tre anni a questa parte. Nel discorso di Rosi Mauro la condanna non è, nonostante tutto, rivolta contro la politica, e anche questo contribuisce a dare forza e coerenza alla sua difesa dell’Istituzione. Ad essere oggetto dei suoi attacchi, ad essere implicitamente o esplicitamente accusati, ad uscire sconfitti dal racconto della Vicepresidente del Senato sono piuttosto il giornalismo e la Magistratura. I rapporti burrascosi col primo sono chiari sin dalla primissima dichiarazione, a Porta a Porta: Io innanzitutto vorrei spiegare come stanno le cose, dire la verità, e poi vedremo. […] Io credo che debba emergere questa verità, perché quello che ho visto in questi giorni è un attacco mediatico, un processo mediatico senza precedenti. È giusto che la gente mi conosca, e lei sa Direttore quante volte mi ha invitato e io non sono mai venuta perché ho sempre scelto un altro modo di comunicare, essendo anche segretario del Sin.Pa., e forse ho fatto male, perché in questi giorni mi sono resa conto di che potere ha l’informazione. Quindi credo di avere il diritto di difendermi, e lo farò anche in Aula, perché io ho tutte le prove per poter rispondere a tutte le domande. Un giornalismo feroce quello sotto attacco, che procede a giudizi mediatici in assenza non solo di prove, ma anche dell’accusata, che è scelta per quel ruolo proprio perché esponente poco “mediatizzata” del partito, la cui reputazione può agevolmente essere smontata e il cui ruolo nelle presunte malversazioni può facilmente essere costruito ad arte. Un elemento che per contrasto rappresenta un elogio del salotto di Vespa prima e di quello di Vinci poi, che almeno accettano di mettere in scena il processo dando all’imputata la possibilità di dare la sua versione dei fatti. Ma le critiche, meno esplicite, alla Magistratura, sono forse anche più pesanti; ancora a Matrix, Rosi Mauro arriva a mettere in dubbio il contenuto e forse l’esistenza stessa delle intercettazioni sulle quali stanno lavorando gli inquirenti: Vinci: Mette in dubbio il contenuto di queste telefonate? Mauro: Metto in dubbio tutto, posso non mettere in dubbio quello che io so e posso parlare per me stessa. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 12 di 14 Vinci: Però quando si sentono questi soldi che girano, questi rimborsi… Mauro: Ma come faccio a saperlo? Se è vero che stan parlando il tesoriere della Lega Nord e l’amministrativa che lavora lì in Bellerio, son discorsi che fan tra di loro, io come faccio a saperli? Io posso sapere quello che ho detto io e quello che so io. Ad una lettura estrema, le intercettazioni addirittura non esisterebbero, o sarebbero un falso (e per questo il loro contenuto la lascerebbe “incredula” in ogni sua parte); ad una lettura minima, esse rappresenterebbero nient’altro che chiacchiere indegne di essere poste alla base di un procedimento giudiziario. Alle falsità che agiterebbero tanto il mondo del giornalismo quanto quello della Magistratura, Rosi Mauro contrappone un’istanza di verità, legittimata ad invocare non solo come individuo colpito nella sua reputazione sia privata – si pensi alla presunta relazione col caposcorta – sia pubblica – in quanto fondatrice e dirigente del Sindacato Padano. Soprattutto, come rappresentante delle istituzioni. Portare il livello dello scontro non sul piano politico, ma su quello istituzionale, rappresenta una scelta certamente interessante. Ciò permette a Rosi Mauro di esimersi dall’attacco diretto ai suoi ex colleghi di partito, e soprattutto al leader che dice di continuare a rispettare profondamente. Ma dietro a questa scelta potrebbe nascondersi una valutazione più pragmatica: la presa d’atto della compromissione definitiva dell’attore-partito entro un dibattito pubblico già dominato dal registro discorsivo dell’antipolitica. Al quale lo scandalo che ha travolto la Lega Nord, il movimento più ostentatamente lontano dalla corruzione del Palazzo, ha dato sicuro giovamento – anche al di là dell’effetto immediato registrato nelle elezioni amministrative del maggio 2012, a vantaggio del MoVimento 5 Stelle. Da una simile presa d’atto, deriverebbe la decisione di muoversi dalla più rassicurante, meno compromessa carica di Vicepresidente del Senato. Un livello istituzionale che non gode della fiducia riservata alla Presidenza della Repubblica, ma che può certamente essere accostato a quello della Presidenza della Camera – che neppure campagne stampa e giudizi politici ben più feroci di quelli che hanno animato la vicenda qui analizzata è ancora riuscito a privare della sua legittimazione. E che è legittimo supporre abbia rappresentato un palco credibile nel contesto di una politica ormai sfiduciata. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 13 di 14 Riferimenti bibliografici Bionda Maria Luisa, Bourlot Alberto, Cobianchi Vittorio, Villa Marina, 1998,Lo spettacolo della politica. Protagonismo e servizio pubblico nel talk show, Roma, Rai-Eri. Calise Mauro, 2000, Il partito personale, Roma-Bari, Laterza (nuova edizione aggiornata 2010). Cavicchioli Sandra, 1997, “Processi in televisione”, in Giglioli Pier Paolo, Cavicchioli Sandra, Fele Giolo, Rituali di degradazione: Anatomia del processo Cusani, Bologna, il Mulino. Debray Régis, 2003, Lo Stato seduttore. Le rivoluzioni mediologiche del potere, Roma, Editori Riuniti. Giglioli Pier Paolo, 1997, “Processi di delegittimazione e cerimonie di degradazione”, in Giglioli Pier Paolo, Cavicchioli Sandra, Fele Giolo, Rituali di degradazione: Anatomia del processo Cusani, Bologna, il Mulino. Morcellini Mario, 2011, a cura di, Neogiornalismo. Tra crisi e Rete, come cambia il sistema dell'informazione, Firenze, Mondadori Università. Pezzini Isabella, 1999, La Tv delle parole. Grammatica del talk show, Roma, RAI-ERI. Ruggiero Christian, 2011, Il declino della videocrazia. Tv e politica nell’Italia del Mediaevo, Napoli, ScriptaWeb. Statera Gianni, 1986, La politica spettacolo. Politici e mass media nell’era dell’immagine, Milano, Mondadori. Wodak Ruth, 1985, “The Interaction between Judge and Defendant”, in Van DijkTeun A., ed., Handbook of Discourse Analysis, London, Academic Press. C. Ruggiero, Rituali di degradazione politica e strategie di credibilità istituzionale: il caso Rosi Mauro Pagina 14 di 14