Leggi il parere n. 25 della Fondazione Studi
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FONDAZIONE STUDI CONSULENTI DEL LAVORO PARERE N.25 DEL 07.11.2012 Impianti e apparecchiature per finalità di controllo da installare negli ambienti di lavoro VIDEOSORVEGLIANZA Le regole, i divieti e le autorizzazioni per i datori di lavoro E’ vietato (art. 4 Legge 20 maggio 1970, n. 300) l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le Rappresentanze sindacali aziendali. In assenza di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede la DPL, stabilendo le modalità per l'uso di tali impianti. Riferimenti La giurisprudenza tendenzialmente esclude dall’ambito di operatività del divieto in esame, quelli che vengono definiti controlli difensivi, cioè volti a tutelare il patrimonio azienda o comunque ad accertare condotte illecite del lavoratore. Tuttavia, anche in questo caso, è necessario rispettare la procedura sindacale o amministrativa. (Corte di Cassazione con sentenza n. 1236 del 18.2.1983). Sono vietati gli apparecchi di controllo installati a totale insaputa del lavoratore (Cass febbraio 1983 n. 1236). A tale fine non rileva che gli apparecchi siano stati solo installati e non ancora utilizzati (Cass 6 marzo 1986 n. 1490). Si ricorda che il Codice della Privacy (D.Lgs. n. 196/2003) richiama integralmente la disciplina posta dall'art. 4 dello Statuto. Esso, pertanto, si pone quale regolamentazione aggiuntiva rispetto a quella settoriale di limitazione del potere di controllo del datore e impone una lettura integrata dei due sistemi normativi (si veda Provvedimento del Garante per la privacy dell’8 aprile 2010). Procedura L’installazione degli impianti presuppone la sussistenza di un accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza di questo, di un’autorizzazione della DPL. A tale fine è sufficiente la sottoscrizione da parte delle RSA che esprimano la maggioranza del personale. Devono essere inoltre essere coinvolte necessariamente le RSA o le DPL delle provincie nelle quali sono ubicate le singole unità produttive, anche qualora l’impianto tecnologico presenti caratteristiche costruttive e di funzionamento standardizzate e del tutto identiche su tutto il territorio nazionale (Risp interpello Min. Lav. 5 dicembre 2005 n. 2975). Dal 3 aprile 2011, espletata la procedura prescritta e prima di installare un impianto di videosorveglianza, il datore di lavoro deve (Provv. Garante Privacy 8 aprile 2010): - informare i lavoratori della presenza delle telecamere con appositi cartelli; - nominare un incaricato della gestione dei dati videoripresi; - posizione le telecamere verso le zone a rischio, evitando di collocarle in maniera unidirezionale sui lavoratori impegnati nella loro attività; - conservare le immagini raccolte solo per un massimo di 24 ore dalla rilevazione (salvo speciali esigenze). Le istanze del datore di lavoro dirette alle Direzioni provinciali del lavoro, tese ad ottenere l'autorizzazione ad installare impianti e apparecchiature audiovisive (vedi fac simile), sono soggette all'imposta di bollo nella misura di euro 14,62 (art. 3 della tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972), così come il provvedimento di autorizzazione rilasciato delle predette Direzioni provinciali (Nota Ministero del lavoro 17 febbraio 2011 n. 4016). Il Ministero del lavoro è intervenuto con la nota n. 7162del 16 aprile 2012 per semplificare l’installazione dei sistemi di controllo a distanza, soprattutto in quegli esercizi commerciali (ricevitorie, tabaccherie, oreficerie, farmacie, edicole, distributori di carburante) dove non ci sono rappresentanze sindacali. Il personale ispettivo, pertanto, sarà indirizzato verso attività maggiormente finalizzate alla lotta al sommerso o alla verifica del controllo delle norme sulla sicurezza, piuttosto che al sopralluogo preventivo nei suddetti locali. Finora la procedura di istallazione richiedeva che personale ispettivo delle DPL, prima di procedere al rilascio dell’autorizzazione procedessero con un accertamento tecnico dello stato dei luoghi (planimetria dei locali, numero impianti da installare ecc..).Il Ministero ha riconosciuto sufficiente la richiesta espressa del datore di lavoro che costituisce una presunzione di ammissibilità della richiesta. Pertanto, d’ora in poi, per il rilascio dell'autorizzazione sarà sufficiente la sola documentazione tecnica prodotta. Non è lecito installare telecamere che controllino i lavoratori anche in aree di locali dove si trovino saltuariamente. Nella newsletter 3 aprile 2009, il Garante della privacy ribadisce il principio che il divieto di videosorveglianza vige anche nel caso in cui i luoghi dove sono installate le telecamere siano frequentate dal personale dipendente anche solo temporaneamente. Nella fattispecie l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha disposto il blocco delle riprese effettuate, senza autorizzazione, da una cooperativa con delle telecamere poste in aree suscettibili di transito da parte dei lavoratori. La Legge 20 maggio 1970, n. 300 vieta l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e comunque, qualora l’installazione di impianti audiovisivi sia dettata da esigenze tecnico – produttive, organizzative o da motivi inerenti la sicurezza sul lavoro, l’installazione è ammessa, a condizione che vi sia l’accordo con le Rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di accordo, vi sia l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro che detta le modalità di utilizzo al fine di garantire la tutela dei lavoratori. Evidentemente dall’utilizzo di detti impianti c’è la possibilità oggettiva di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti, vietata, appunto, dallo Statuto dei lavoratori. Il parere del Garante tiene conto degli interventi nel tempo della Corte di Cassazione, in particolare la sentenza 6 marzo 1986 n. 1490, che prevedeva il divieto di controllo a distanza dei lavoratori, anche all’ipotesi di: “… controlli discontinui o esercitati su locali in cui i lavoratori possano trovarsi solo per attività saltuarie o per temporanea sottrazione ad attività dovute…”. L’utilizzo di sistemi di videosorveglianza è soggetto a precise regole che il Garante privacy ha comunque tracciato nel provvedimento del 20 maggio 2004 e nel rispetto dell’art. 4 Legge 300/70: divieto di interferenza nella vita privata e nella sfera di riservatezza; necessità di adempiere ad un obbligo di legge o per garantire un interesse legittimo; proporzionalità del trattamento delle immagini rispetto agli scopi; temporaneità della conservazione delle immagini; informazione a tutto il personale con cartelli e segnaletiche chiare Di Recente la Cassazione ha affermato che non commette reato il datore di lavoro che videosorveglia i lavoratori, dopo avergli fatto firmare un apposito documento autorizzativo, espressione della loro volontà e del loro assenso alla esistenza dell’impianto di controllo, ciò anche in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali (Cassazione, sentenza dell’11 giugno 2012, n. 22611). Casistica IPOTESI Registrazioni filmate dirette a tutelare il patrimonio aziendale contro atti penalmente illegittimi posti in essere da terzi o dipendenti VIOLAZIONE DEL DIVIETO Si se finalizzate al controllo dell'attività dei dipendenti (divieto assoluto e inderogabile) FONTE Provvedimento Garante Privacy 8 aprile 2010 No se trattasi di controllo “difensivo” e il controllo dell'attività lavorativa è solo incidentale. L'installazione dell'impianto deve essere comunque preceduta dall'accordo con le r.s.a. ovvero dall'autorizzazione amministrativa della D.P.L. e con l'informazione specifica di avvenuta installazione delle apparecchiature fatta nei confronti dei dipendenti Utilizzo di computer portatili/palmari muniti di appositi programmi volto a registrare e successivamente risposta interpello Ministero Si lo strumento in questione del Lavoro 28/11/2006 n. risulta potenzialmente 25/I/0006585 utilizzabile per finalità di controllo a distanza dell'attività inviare via internet al server aziendale l'avvenuta effettuazione delle varie visite presso clienti, memorizzandone data e ora. Con eventuale dotazione di apposita scheda sim è possibile, inoltre, verificare gli spostamenti materialmente compiuti dai lavoratori lavorativa dei dipendenti. E' necessario l'accordo con le r.s.a. ovvero l'autorizzazione della D.P.L. . Rilevazione delle presenze: - in generale con un sistema elettronico No in quanto registra dati estrani alla prestazione lavorativa ed è attivato di volta in volta dallo stesso lavoratore Trib. Milano 26 marzo 1994 Si se si tratta di un so generalizzato - attraverso le impronte digitali del dipendente Apparecchiature di controllo del costo del servizio telefonico Provv. Garante Privacy 21 luglio 2005; Newsletter Garante Privacy 3 agosto No se solo nei confronti di quei dipendenti che abbiano, in 2006 mn. 280 virtù delle mansioni ad essi assegnate, la necessita di accedere ad aree meritevoli di Provv Garante Privacy 15 febbraio 2008 particolare protezione Si se viene controllata anche l’attività del lavoratore Risposa interpello Ministero del lavoro 6/06/2006 n. 25/I/0000218 No se il controllo ha lo scopo di consentire una più corretta imputazione contabile dei costi delle linee telefoniche, ma non implica alcun collegamento tra l’attività lavorativa dei singoli dipendenti e l’uso dell’apparecchio telefonico Sistemi di geolocalizzazione collocati sui veicoli aziendali dei lavoratori tramite impianto GPS Si se non vi è stato previo accordo con i sindacati o autorizzazione della DPL newsletter Garante Privacy 16 dicembre 2010 n. 344 Sistemi che consentano al No se si tratta di controllo Trib. Milano 14 giugno 2001 provider di riconoscere quale lavoratore effettui collegamenti internet difensivo Cass. 22 febbraio 2010 n. 4375 Si se si monitora l’attività lavorativa del singolo dipendente Internet sul posto di lavoro Il controllo dei lavoratori può essere esercitato anche attraverso la tracciabilità della navigazione in internet che attraverso il controllo della posta elettronica aziendale I possibili controlli effettuati dal datore di lavoro sull’utilizzo dell’account aziendale si pongono però in contrasto con il divieto del controllo a distanza dell’attività lavorativa, posto dall’art. 4 della L. 300/70 che prevede il divieto generale di installazione e l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature che abbiano quale lo scopo di controllare a distanza l’attività dei lavoratori che trova una deroga solamente ove giustificato da esigenze organizzative o di sicurezza. In tali casi, l’utilizzo di impianti dai quali possa derivare la possibilità di controllare a distanza l’attività lavorativa è legittimo a condizione che tale installazione sia stata preventivamente concordata con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, autorizzata dall’Ispettorato del Lavoro. Il principio viene esteso anche al caso dei cosiddetti controlli difensivi, e cioè ai controlli posti in essere dal datore di lavoro per accertare il compimento di un illecito da parte del prestatore di lavoro e non per controllare, anche indirettamente, l’attività lavorativa Il Garante della privacy con la delibera n. 13/2007 ha affermato che può risultare opportuno adottare un codice interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente e da sottoporre ad aggiornamento periodico. A seconda dei casi andrebbe ad esempio specificato: se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla "navigazione" in Internet (ad es., il download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file nella rete interna; in quale misura è consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica o di rete, anche solo da determinate postazioni di lavoro o caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l'arco temporale di utilizzo (ad es., fuori dall'orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro); quali informazioni sono memorizzate temporaneamente (ad es., le componenti di file di log eventualmente registrati) e chi (anche all'esterno) vi può accedere legittimamente; se e quali informazioni sono eventualmente conservate per un periodo più lungo, in forma centralizzata o meno (anche per effetto di copie di back up, della gestione tecnica della rete o di file di log); se, e in quale misura, il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari o occasionali, indicando le ragioni legittime specifiche e non generiche per cui verrebbero effettuati (anche per verifiche sulla funzionalità e sicurezza del sistema) e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni); quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente; le soluzioni prefigurate per garantire, con la cooperazione del lavoratore, la continuità dell'attività lavorativa in caso di assenza del lavoratore stesso (specie se programmata), con particolare riferimento all'attivazione di sistemi di risposta automatica ai messaggi di posta elettronica ricevuti All'onere del datore di lavoro di determinare e rendere noto nell’azienda di un codice interno rispetto al corretto uso dei mezzi e agli eventuali controlli, il Garante sottolinea l’obbligo di informare comunque i lavoratori ai sensi dell'art. 13 del Codice privacy, rispetto a eventuali controlli gli interessati hanno infatti il diritto di essere informati preventivamente, e in modo chiaro, sui trattamenti di dati che possono riguardarli. Uso della posta elettronica La segretezza della corrispondenza è tutelata nel nostro ordinamento dalla Carta Costituzionale. L’art. 15 della Costituzione dispone, infatti, che: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. A tutela di tale principio, il codice penale punisce “chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta…” ( si veda anche Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281 e 11 marzo 1993, n. 81; art. 616, quarto comma, c.p.; art. 49 Codice dell'amministrazione digitale). A seguito della modifica introdotta dall’art. 5, Legge 23 dicembre 1993, n. 547, la norma penale equipara espressamente la corrispondenza telematica a quella tradizionale. Presupposto per la configurabilità del citato reato è che si tratti di corrispondenza chiusa. La legge sulla Privacy – D. Lgs. n. 196/2003 – ed in particolare l’Allegato B (Disciplinare Tecnico in materia di misure minime di sicurezza), contempla poi che il datore di lavoro, in qualità di titolare del trattamento dei dati, deve essere a conoscenza della password di accesso alla posta elettronica per garantire l’accesso ai dati e ai sistemi utilizzati dal dipendente in caso di sua assenza prolungata. Ne consegue che Il lavoratore che utilizza la casella di posta elettronica aziendale, si espone alla possibilità che anche altri lavoratori della stessa azienda, che è titolare dell'indirizzo, possano lecitamente entrare nella sua casella e leggere i messaggi contenuti, previa consentita acquisizione della relativa password la cui finalità non è quella di proteggere la segretezza dei dati personali del singolo lavoratore ma solo quella di impedire che ai suddetti strumenti possano accedere persone estranee alla società.. Tanto meno si può pensare che leggendo la posta elettronica contenuta nel computer del lavoratore si possa verificare un non consentito controllo sulle attività di quest'ultimo visto che l'uso dell'e-mail costituisce un semplice strumento aziendale a disposizione del lavoratore al solo fine di consentire allo stesso di svolgere i propri compiti lavorativi e che, come tutti gli altri strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro, rimane nella totale disponibilità dell’azeinda senza alcuna limitazione. Al riguardo il Tribunale di Torino del 15.9.2006, n. 143 ha affermato quanto segue: «Il dipendente che utilizza la casella di posta elettronica aziendale si espone al rischio che anche altri della medesima azienda - unica titolare del predetto indirizzo - possano lecitamente accedere alla casella in suo uso non esclusivo e leggerne i relativi messaggi in entrata e in uscita ivi contenuti, previa acquisizione della relativa password, la cui finalità non risulta essere allora quella di proteggere la segretezza dei dati personali custoditi negli strumenti posti a disposizione del singolo lavoratore, bensì solo quella di impedire che ai suddetti strumenti possano accedere anche persone estranee alla società.” In senso conforme Cass. 19.12.2007 n. 47096, che ha stabilito che: «Non integra il reato di cui all'art. 616 cod. pen. la condotta del superiore gerarchico che prenda cognizione della posta elettronica contenuta nel computer del dipendente, assente dal lavoro, dopo avere a tal fine utilizzato la password in precedenza comunicatagli in conformità al protocollo aziendale». Ne consegue che il datore di lavoro è legittimato a porre in essere dei controlli a posteriori sulla correttezza dell’operato del dipendente che utilizzi la posta elettronica nel caso in cui ne sospetti l’uso abusivo, senza incorrere nel divieto, previsto all’art. 4 l. n. 300/70, di controllo all’insaputa sulle modalità di esecuzione della prestazione. La conferma viene dalla sentenza della Corte di Cassazione., sez. lav., del 23 febbraio 2012, n.2722, che ha stabilito: «tale fattispecie è estranea al campo di applicazione dell'articolo 4 dello statuto dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetuazione di eventuali comportamenti illeciti dagli stessi posti in essere. Il cd. controllo difensivo, in altre parole, non riguardava l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell'istituto bancario presso terzi». Nello scenario sopra descritto è necessario che il datore di lavoro renda disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio: [email protected], etc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali. Inoltre il datore di lavoro dovrà valutare l’opportunità di assegnare al lavoratore un diverso indirizzo destinato ad uso privato; inoltre lo stesso dovrà metta a disposizione di ciascun lavoratore apposite funzionalità nella posta elettronica, di facile utilizzo, che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze (ad es. per ferie o malattia ), messaggi di risposta contenenti le l’avviso che quel particolare lavoratore è assente e i contatti di un altro lavoratore che lo sostituisce o dell’azienda in genere. In particolare il Grante della Privacy con la delibera n. 13/2007 ha stabilito: il datore di lavoro renda disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio, [email protected], [email protected], ufficioreclami@società.com, [email protected], etc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali (ad esempio, [email protected], rossi@società.com, mario.rossi@società.it); il datore di lavoro valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un diverso indirizzo destinato ad uso privato del lavoratore il datore di lavoro metta a disposizione di ciascun lavoratore apposite funzionalità di sistema, di agevole utilizzo, che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze (ad es., per ferie o attività di lavoro fuori sede), messaggi di risposta contenenti le "coordinate" (anche elettroniche o telefoniche) di un altro soggetto o altre utili modalità di contatto della struttura. É parimenti opportuno prescrivere ai lavoratori di avvalersi di tali modalità, prevenendo così l'apertura della posta elettronica. In caso di eventuali assenze non programmate (ad es., per malattia), qualora il lavoratore non possa attivare la procedura descritta (anche avvalendosi di servizi webmail), il titolare del trattamento, perdurando l'assenza oltre un determinato limite temporale, potrebbe disporre lecitamente, sempre che sia necessario e mediante personale appositamente incaricato (ad es., l'amministratore di sistema oppure, se presente, un incaricato aziendale per la protezione dei dati), l'attivazione di un analogo accorgimento, avvertendo gli interessati; in previsione della possibilità che, in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all'attività lavorativa, si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica, l'interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell'attività lavorativa. A cura del titolare del trattamento, di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile; i messaggi di posta elettronica contengano un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l'eventuale natura non personale dei messaggi stessi, precisando se le risposte potranno essere conosciute nell'organizzazione di appartenenza del mittente e con eventuale rinvio alla predetta policy datoriale. Sanzioni Per l’inosservanza delle disposizioni in materia di apparecchi di controllo (art. 4 e 38 L. 300/70; artt. 114 e 171 D.lgs 196/2003), a meno che il fato non costituisca un reato più grave, è prevista l’ammenda da € 154 a € 1.549, oppure l’arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene sono applicate congiuntamente ed inoltre, qualora la pena dell’ammenda sia inefficace, il giudice può quintuplicarla. Per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di videosorveglianza è prevista la sanzione amministrativa, da €30.000,00 a € 180.000,00 (art. 162, comma 2 ter D.lgs 196/2003). Fac simile istanza DPL DITTA Marca Da Bollo Spett.le DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI ________________________ OGGETTO: ISTANZA AI SENSI DELL’ARTICOLO 4 LEGGE 20 MAGGIO 1970 N. 300 _l_ sottoscritto _______________________________________, in qualità di Legale Rappresentante dell’ esercizio____________________________________________________________ , con sede in ________________________, via _________________________________________n._______ P.I. e/o C.F.______________________________________________________________________ PREMESSO 1. che per esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale si rende necessaria l’installazione di un sistema di videosorveglianza antirapina; 2. che non è presente alcuna Rappresentanza Sindacale in azienda; 3. che il numero dei dipendenti attualmente in forza all’ azienda è pari a _____(_________); 4. che verranno installate n. ___________(___________) telecamere fisse o mobili su ________pareti interne del _______________in modo da permettere una visione globale delle persone che entrano ed escono dal locale, degli scaffali contenenti merce esposta al pubblico, degli spazi destinati alla vendita e alla sosta del pubblico, e n. _______(_____) telecamere fisse all’ esterno dei locali; 5. che le registrazioni verranno conservate nel rispetto del punto 3.4 del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 29 Aprile 2004, pubblicato sul bollettino n. 49 dell’ Aprile 2004 e comunque non oltre 24 ore, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura dell’ esercizio per ferie e varie; 6. che non verranno in alcuna maniera ripresi tramite telecamere i posti fissi di lavoro e i dipendenti. Per tramite della presente, ad ogni effetto di legge e di regolamento, CHIEDE Il rilascio dell’ autorizzazione per l’installazione delle apparecchiature audiovisive, così come previsto dall’ articolo 4 delle legge 20 Maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). _____________________lì_________________ In fede (timbro e firma) ______________________ Documenti da allegare alla presente domanda 1) n. 2 marche da bollo da € 14,62 n. 1 da applicare sulla domanda e n. 1 per il rilascio dell’autorizzazione. 2) planimetrie dei locali con evidenziato il posizionamento delle telecamere e relativo raggio d’azione. 3) descrizione dell’impianto di videosorveglianza, che riassuma le caratteristiche tecniche e funzionali dell’impianto utilizzato e delle relative prestazioni: caratteristiche della telecamera, tipologia di supporto, capacità e modalità di conservazione delle immagini, caratteristiche del videoregistratore. 4) visura Camera di commercio o fotocopia del registro – imprese. 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