Madeleine sogna di Gilda Policastro

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Madeleine sogna di Gilda Policastro
Abbiamo chiesto a diversi scrittori di leggere l’inizio del
romanzo Madeleine dorme di Sarah Shun-lien Bynum fino al
punto in cui la protagonista si addormenta,
per poi provare a continuare da lì.
Questo è il sogno che ha scritto Gilda Policastro.
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l’autore sarà invitato alla cena con Sarah Shun-lien Bynum a
Più Libri Più Liberi 2011.
Trovi l’estratto da cui partire e tutte le informazioni sulla pagina
facebook di Madeleine dorme oppure qui:
http://transeuropaedizioni.it/madeleine-sogna.php
madeleine sogna
di gilda policastro
È Griselda, adesso, a volere la sua rivincita su Charlotte.
Le corde recise suonano una melodia stonata, Monsieur
Marais la troverà di certo e sarà riportata a casa, e punita,
oh se sarà punita, senz’altro verrà legata e rinchiusa da
qualche parte come merita, e battuta, forse, per la sua
fuga ingrata. Con la prima corda rotta, attorno ai polsi,
stretta e uh, Charlotte grida che non è giusto, che non può
farle questo, che deve lasciarla libera, che è un vecchio
orco e lei una bambina così piccola, portata via dalla sua
famiglia, e per cosa? È notte, Charlotte piange coi polsi
serrati, in ginocchio sotto la finestra, la brezza della notte
sui poveri piedi sporchi di terra e nudi, la luna calante
non è testimone né amica. Griselda non ha lacrime, non
è che un ritratto. Eppure sente come una pena, ma per sé
o per Charlotte? Griselda senza Charlotte non è niente,
e Charlotte ha tradito Griselda fuggendo. La mano della
ragazza, legata, raggiunge il volto di Griselda comunque, e
sebbene non possa chiudere gli occhi, lei, riesce a sentire
le dita di Charlotte sulle guance, sulle ciglia, e ne trema,
come può tremare un volto fissato una volta per tutte, come
può sentire un’immagine quando l’originale da cui è presa
sbiadisce. Monsieur Marais, dopo averla legata, ha usato
le rimanenti corde per batterla, come previsto (o voluto?)
da Griselda: non senza aver prima contemplato a lungo le
tonde natiche della ragazza, che più della luna vincevano
in pallore le tenebre della stanza vuota ed enorme in cui
l’aveva rinchiusa. Per il suo bene, così le ripeteva, Charlotte,
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mia piccola, mia cara. Poi, quando si fece rosso fuori per
il primo sole, e i segni sulle natiche dello stesso colore,
Charlotte sentì il suo signore avvicinarsi a lei con un arnese
nuovo, che non era la corda di prima, non sfiorava, non
fischiava, ma solcava, schiudeva, insistendo sempre sullo
stesso punto, come se non ci fosse altra via, al segreto del
suo corpo e alla sua obbedienza. Scandivano la nuova fatica
di Monsieur Marais i suoi stessi lamenti (oh, uh), non c’era
traccia del suono rimoto della viola a gamba. Il volto di
Charlotte che ricorda è vecchio, potrà distendersi solo per
morire oramai, come accade: sulla paletta dello strumento
è rimasta Griselda che guarda, bambina e sola.
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