CURIOSANDO QUA E LÀ: LA VAL DI GIüST

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CURIOSANDO QUA E LÀ: LA VAL DI GIüST
CURIOSANDO QUA E LÀ:
LA VAL DI GIüST
Un nome curioso dalle molteplici origini
La Valle Spluga, in provincia di Sondrio è conosciuta
anche come “Val di Giüst”
(Valle dei Giusti). Questo curioso nome potrebbe avere
molteplici origini: forse aveva un senso ironico o derivava dal privilegio di amministrare la giustizia per conto
proprio; un’ulteriore spiegazione è data dalla presunta
esistenza di una colonia di
ebrei (qui il cognome Levi è
molto diffuso).
San Giacomo, Campodolcino e Madesimo, con le loro
frazioni, sono i tre comuni
che la compongono.
L’economia di montagna è
sempre stata di sussistenza,
molto spesso ai limiti della
sopravvivenza. Nelle valli, gli
uomini avevano inventato
dei lavori stagionali compatibili con l’agricoltura di montagna, che richiedeva braccia forti, prevalentemente
da maggio ad ottobre.
Attualmente, originarie della zona, sono in funzione
solo otto distillerie: Luigi
Francoli di Ghemme, la cui
qualità è conosciuta nel
mondo; la Scaramellini di
Sandrà, che produce una
grappa apprezzata dai veri
intenditori; la Levi St. Roch
di Aosta, vanto della Vallée;
la Della Morte - Schenatti di
Tirano, che ha valorizzato la
viticoltura valtellinese; la Vener Francesco, distilleria che
rifornisce moltebaltre realtà
del settore; la Levi Serafino
di Romano a Neive, che
tanto valore ha aggiunto alla
buona grappa con la poesia
delle etichette sempre diverse; la Montanaro - Trussoni,
storica distilleria albese, e la
lombarda Ghelfi .
All’inizio, il Grapat faceva
l’ambulante: con un alambicco su ruote, dopo la
vendemmia, passava di fattoria in fattoria, si assumeva
l’obbligo di produrre buona
grappa e di pagare una tassa, in base alla capacità di
produzione dell’alambicco.
I vignaioli, oltre alle vinacce,
fornivano la legna, un alloggio di fortuna ed un compenso pattuito in cambio
della grappa prodotta.
Il cognome Levi era assai diffuso tra i distillatori della prima metà del Novecento. Sopra sono fotografate alcune bottiglie del periodo.
Partendo da sinistra: Grappa alle erbe alpine della Guglielmo Levi di Aosta; Grigio Verde della Egidio Levi di Settimo Vittone;
due diverse Acquavite di Moscato della Levi Serafino e della Levi Eugenio. Questi quattro Levi erano fratelli (figli di Angelo);
la bottiglia a destra è di un cugino, Battista Levi, della quale è fotografata una rara Grappa con sigillo reale con fasci.
Nella foto a fianco: Grappa della Trussoni con sigillo reale con fasci imbottigliata in vetro di recupero. (© Poli Museo della Grappa)
Vecchissima immagine dei “grapat” al lavoro nella distilleria Vener.
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Rara Acquavite con sigillo reale con
fasci della Scaramellini di Sandrà (VR),
imbottigliata in vetro di recupero.
(© Poli Museo della Grappa)
Dalla Valle Spluga partivano, ad ottobre, i “Grapat”
o “Lambichin” per distillare acquavite in tutto il nord
Italia (dopo aver preparato
il fieno e la legna per l’inverno) e tornavano in tempo per i lavori di primavera.
A chi proveniva da una
zona di confine, dove si
rischiava la galera o la
vita con il contrabbando,
non faceva certo paura
misurarsi con la fiscalità
applicata alla distillazione
in modo sempre più crescente. Se questi due motivi erano ben compatibili
con la scelta di fare il distillatore rimane da capire
una vera stranezza: tutti gli
uomini partivano da paesi
al di sopra dei 1000 metri, dove non crescono viti.
L’attività di distillazione delle
vinacce inizia prima del 1797.
Tale data, infatti, è incisa su
due bellissmi candelieri d’argento, donati dai rappresentanti dei distillatori con
la scritta “expensis acquavitariorum ex benefactorum”
(foto sotto), conservati nella
Chiesa di Campodolcino.
Bottiglia di Acquavite di Piemonte
risalente ai primi anni ‘50 della
Distilleria Francoli di Ghemme (NO).
(© Poli Museo della Grappa)
Evidentemente i Grapat si
erano fatti un buon nome;
infatti la zona di influenza si ampliava sempre
di più: Veneto, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia, Toscana e in Svizzera.
Col passar del tempo le distillerie divennero fisse così
da poter lavorare giorno e
notte con alambicchi più
produttivi (in gran parte
erano i Balma di Asti) e di
migliore qualità. Il metodo
di distillazione utilizzato era
a fuoco diretto.
La scelta dei luoghi dove
impiantare la distilleria derivava sia dalla conoscenza
della clientela e dei buoni
vigneti sia dall’esigenza di
non farsi concorrenza tra
valligiani. Gli stessi capostipiti delle famiglie, divenuti
anziani, provvedevano a
Due mignon anni ‘70 della St. Roch
di Aosta e della
Vener di Parma.
distribuire i figli in luoghi
diversi installando nuove distillerie o rilevandole da altri.
Sei dei nove figli di Levi
Angelo (1859-1937) divennero distillatori: a Bistagno
(AL), ad Aosta, a Cortemilia
(CN), a Neive (AT), a San
Colombano al Lambro (MI)
e a Settimo Vittone (TO).
Con le distillerie fisse cambiò notevolmente il movimento migratorio: infatti,
anche le famiglie dovettero
seguire i padri.
Inizialmente solo per la
stagione invernale mentre,
con le nuove generazioni,
le famiglie si stanziarono
definitivamente nei luoghi
di distillazione. I Grapat
cercavano i garzoni solo
nei paesi d’origine, per non
disperdere i segreti della
distillazione. Solitamente i
“famèi” lavoravano sempre
nella stessa distilleria e, nonostante la giornata lavorativa fosse molto pesante e
lunga dalle 16 alle 18 ore,
sette giorni su sette, a fine
stagione si poteva tornare a
casa con un po’ di soldi e
alcune bottiglie di grappa.
Con i dati raccolti dall’autore del testo da cui è stato tratto questo articolo
(Gregorio Luigi Fanetti di
Campodolcino) si sono
potute censire ben 198 (!)
distillerie fondate da lavoratori provenienti dalla Val
di Giüst: un numero impensabile per una popolazione
che non raggiungeva le
duemila unità.
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