Luigi Torelli: un profilo biografico
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Luigi Torelli: un profilo biografico
Luigi Torelli: un profilo biografico Ritratto di Luigi Torelli (1860 c.) Lapide apposta sul palazzo di via Boschetti (angolo con corso Venezia) a Milano nel 1934 19 “ Il conte Luigi Torelli era piccolo di statura, ma aveva le membra ben proporzionate, il collo breve, il viso piccolo rotondo, il mento sottile rivolto all’insù, il naso pronunciato adunco, la barba poca e rasa sempre ad eccezione dei mustacchi, pochi pure i capelli, l’occhio vivo penetrante e a volte fulmineo. In tutta la persona ritraeva del signorile, dell’aristocratico; […] Nervoso di natura, i suoi movimenti erano rapidi e sulla fronte ampia l’anima gli si leggeva tutta quanta. Fu di tempra gagliarda. Si compiaceva degli esercizi fisici” Enrico Nestore Legnazzi, In morte del Conte Luigi Torelli senatore del Regno, Presidente della Società di Solferino e S. Martino, 27 aprile 1888. “Italiano, nativo lombardo, piemontese per riconoscenza” Luigi Torelli, 1865 1. Giovinezza Luigi Torelli nasce a Villa di Tirano, nell’attuale provincia di Sondrio, il 3 febbraio 1810, da Bernardo e da Luigina Guicciardi. I Torelli sono una famiglia conosciuta e stimata nella piccola realtà valtellinese: gli antenati di Luigi lottano infatti tra il cinquecento e il seicento per affermare l’autonomia della valle contro le mire annessionistiche dei Grigioni. Se i Torelli avevano osteggiato la dominazione svizzera, non avevano comunque dovuto particolarmente apprezzare quella francese se Bernardo, al ritorno degli austriaci, accetta un posto nella burocrazia imperialregia ed invia il sedicenne Luigi a studiare presso il Collegio Teresiano di Vienna, istituto di formazione delle élites amministrative dell’impero. In collegio frequenta alcuni giovani patrioti polacchi dai quali è informato dei moti del 1831 e stringe amicizia con il Duca di Reichstadt, figlio di Napoleone Bonaparte. Può essere probabilmente datata attorno a questo periodo la nascita della sua passione per la questione nazionale. Ma nel 1832 al suo rientro a Tirano, al termine di un viaggio di istruzione attraverso l’Europa, cede alle insistenze del padre e del nonno ed entra nell’amministrazione austriaca del Lombardo-Veneto, a Mantova. Padre e nonno: due personalità fondamentali per la formazione del giovane Luigi Torelli. Nonostante questo, dopo tre anni e mezzo si dimette. Perché? E’ difficile formulare ipotesi. Certo è che in questi anni la sua frequentazione di molti intellettuali riformatori renderanno palese l’incompatibilità delle sue idee con l’impiego austriaco. Inconsuete, poi, quasi inimmaginabili in un tempo in cui i contatti con il regno di Sardegna sono estremamente rarefatti, appaiono le sue frequentazioni di uomini dell’ambiente politico liberale moderato piemontese. Esse si riveleranno decisive per le scelte degli anni futuri. Sono anni di formazione questi, per il giovane Luigi Torelli, anni nei quali prende forma la sua vocazione di futuro politico e di amministratore. E’ forse per l’educazione ricevuta al Collegio 20 Teresiano, o forse per tradizione familiare, che si iscrive all’università di Pavia dove nel 1836 si laurea in giurisprudenza. E’ certo comunque che ha modo di dimostrare la sua naturale inclinazione alla concretezza proprio a Tirano durante l’epidemia di colera del 1837, dopo che le autorità locali si sono allontanate dalla città. Nella sua relazione egli non si limita a registrare gli eventi, ma cerca di proporre rimedi e questo sarà anche in seguito un segno distintivo di tutti i suoi scritti. Tale è la gratitudine dei suoi concittadini, che l’autorità austriaca riterrà giusto riconoscere i suoi meriti conferendogli, nel 1838, una medaglia d’oro. Torelli l’accetterà per poi offrirla, dieci anni dopo, al comitato per le cinque giornate di Milano. 2. Amicizie, opinioni, scelte politiche Nel 1843 viaggia per conoscere l’Italia: quanti piemontesi, lombardi, toscani, napoletani di quel tempo lo fanno? Il dibattito tra gli uomini del Risorgimento è aperto: si può ancora scegliere tra Ferdinando II. e Carlo Alberto. Torelli scarta decisamente la prima ipotesi. Da Napoli risale la penisola, visita Roma, giunge fino in Piemonte. In Toscana stringe amicizie che dureranno tenaci per tutta la vita. Una fra tutte, probabilmente la più importante, quella con Bettino Ricasoli. Dove si colloca il confine tra curiosità di viaggiatore, sete di cultura e passione politica? E, in politica, è poi così facile definire dei confini? In quello stesso 1843, nel mese settembre, è a Lucca, dove visita il 5° congresso degli scienziati italiani. Luigi Torelli è un uomo risolutamente schierato nel campo moderato, assolutamente chiuso nei confronti dei democratici, anche di quelli più vicini al Piemonte. Eppure a Lucca incontra il mazziniano Enrico Tazzoli, che già aveva avuto modo di conoscere e di apprezzare a Mantova; altre sue frequentazioni del variegato mondo dei democratici del suo tempo, seppur circoscritte, sono significative: Luigi De Boni e Lorenzo Valerio. Se il 1844, anno del suo matrimonio con Maria Belloni Branduardi e del decisivo incontro con il re Carlo Alberto, con il quale intratterrà una lunga corrispondenza sulla situazione lombarda, è per Torelli un anno importante, lo è ancora di più quello successivo. Nel corso del 1845 scrive infatti i Pensieri sull’Italia di un anonimo lombardo, testo fondamentale per comprendere il suo punto di vista alla vigilia della stagione risolutiva del risorgimento italiano. I pensieri sull’Italia, probabilmente la sua opera più significativa, sono articolati in tre parti. La prima è un excursus storico dedicato alla situazione della penisola prima e dopo la rivoluzione francese, al periodo napoleonico ed alla restaurazione austriaca; la seconda, sicuramente la più interessante, delinea il progetto del piano che egli riteneva più adatto per raggiungere l’unità d’Italia; la terza illustra la situazione del Lombardo-Veneto sotto la dominazione austriaca. In particolare nel suo saggio Torelli critica i moti del 1820-21 e del 1830-31: la mancanza di una realistica valutazione delle forze in campo aveva portato a suo avviso ad una scarsa considerazione della effettiva forza politica 21 e militare dell’Austria e alla esaltazione di un’opinione pubblica italiana orientata in senso nazionale che, nel primo trentennio del XIX secolo, appariva invece ancora limitata, incerta e confusa. “ Prima di intraprendere, esaminiamo bene il terreno, calcoliamo le forze; allorché queste saranno adeguate all’impresa, si ponga mano all’opera”. Come sempre, coerentemente con il suo carattere, prima di tutto la concretezza. L’indipendenza nazionale non aveva bisogno di utopisti ma di attenti conoscitori della situazione italiana ed internazionale e delle condizioni strutturali della penisola; aveva soprattutto bisogno di strumenti efficaci per l’azione e la formazione di un autentico spirito pubblico italiano. Ma come garantire all’azione un esito positivo? Torelli spiega il suo pensiero: in primo luogo, evitando una guerra tra stati italiani che avrebbe avuto le caratteristiche di una guerra civile; successivamente, unendo le forze militari del Piemonte, della Toscana e del Regno di Napoli contro l’esercito austriaco; infine, garantendo alle idee ed al piano dell’azione il massimo della diffusione, creando quindi una vasta opinione pubblica cosciente della necessità dell’indipendenza italiana ed in grado di trascinare i governanti dei tre stati nella guerra contro l’Austria. La fine della dominazione straniera sul territorio italiano avrebbe permesso la formazione di tre grandi regni costituzionali indipendenti: il Regno dell’alta Italia, il Regno dell’Italia centrale, il Regno della bassa Italia; mentre Roma, residenza del Papa, principe indipendente ma privato del suo potere temporale giudicato da Torelli inconciliabile con la formazione di una realtà italiana indipendente, sarebbe stata posta sotto la protezione dei tre regni. Essi sarebbero stati legati da omogeneità costituzionale, uniti doganalmente e monetariamente e vincolati da una perenne alleanza militare. Questo “il piano possibile date le attuali circostanze […] non quello desiderabile”, scrive Torelli. La federazione appare a lui dunque in quegli anni l’unica soluzione realisticamente percorribile, la tappa intermedia sulla strada della realizzazione di un unico stato. Il 1845 è un anno importante per Luigi Torelli anche per un altro motivo. Egli entra in contatto con la prestigiosa Società agraria torinese, la società di Camillo Benso di Cavour. Gli atti della società testimoniano l’importanza dei suoi interventi ed i suoi fattivi contributi. In quell’ambiente si fa conoscere ed apprezzare. Così, quando dopo le vicende della prima guerra d’indipendenza Torelli sarà costretto a riparare in Piemonte, egli non giungerà da estraneo, non sarà costretto alla triste anticamera degli esuli. 3. Uomo del Risorgimento, statista Le frequentazioni piemontesi favoriscono i suoi contatti con Carlo Alberto con il quale intrattiene un fitto epistolario sulla situazione lombarda. Nessuna meraviglia dunque se il 1848 lo vede tra i più decisi fautori della guerra all’Austria. Durante le Cinque giornate Torelli ha modo di confermare la propria determinazione. All’alba del 20 marzo 1848 sale su una guglia del duomo di 22 Milano dove, impugnato il tricolore, lo agita ripetutamente. Immagine degna di una oleografia del nostro Risorgimento e vivace testimonianza di un non comune coraggio fisico. Alla ripresa delle ostilità entra a far parte dell’esercito piemontese come capitano di stato maggiore e, dopo la fine della guerra e l’abdicazione del sovrano, si stabilisce definitivamente in Piemonte. Espulso dalla Lombardia, tutti i suoi beni confiscati, il Quarantotto dà un’accelerazione decisiva alla sua vicenda umana e politica. Luigi Torelli grazie alle sue relazioni con Cavour e con gli influenti membri della Società agraria torinese in quello stesso anno è nominato Ministro dell’agricoltura e del commercio nel governo Perrone di San Martino e nel luglio del 1849, con il rinnovo della Camera voluto da Vittorio Emanuele II, è eletto deputato di Arona. Nel Parlamento subalpino Torelli prende posto nei banchi della destra. Più precisamente nel gruppo della cosiddetta destra lombarda, parte di quella più vasta galassia di uomini politici conservatori di provenienza non solo piemontese o lombarda legati da un idem sentire de re publica, come Cavour, Ricasoli, La Marmora e Minghetti. Un conservatore fedele alla monarchia e allo Statuto, ma soprattutto un liberale che, rivolgendosi ai suoi elettori del collegio di Arona nel 1849, scrive: “sedendo a destra non mi credo meno liberale del più liberale della sinistra”. Un moderato che, nelle sue funzioni di governatore di Sondrio prima e di prefetto di Bergamo, Palermo, Pisa, di nuovo Palermo e Venezia successivamente, in un arco di tempo che va dal 1859 al 1872, cerca di esercitare l’autorità di cui è titolare con durezza, con energia com’è nel suo carattere, ma mai per scopi liberticidi, nel rispetto di quel concetto alto e severo di osservanza della legge tipico di chi crede nello stato di diritto. L’amicizia con Cavour è il riflesso di una comune visione delle cose che viene progressivamente definendosi soprattutto durante il cosiddetto decennio di preparazione. Al pari dello statista piemontese, Luigi Torelli ha della politica una visione di ampio respiro. Capisce che un futuro affrancamento dell’Italia dalla tutela austriaca sarà possibile solo a patto di inserire il Piemonte nella grande politica europea. Non stupisce quindi che, coerentemente a questo disegno, nel 1854 sia a fianco di Cavour nel sostenere l’intervento in Crimea. La simpatia per Napoleone III, considerato l’unico sovrano in grado di affiancare con successo il Piemonte in una guerra contro l’Austria, contribuisce in quello stesso anno ad accendere la sua passione per il progetto del canale di Suez. In un periodo in cui le strategie della maggior parte dei politici italiani appaiono ancora miopi e caratterizzate da un gretto localismo, Torelli dal pur limitato osservatorio di una periferica provincia d’Europa dimostra un’acuta capacità di analisi del quadro politico internazionale che, al di là dei limiti territoriali della penisola, lo spinge oltre le alpi e oltre il mare e lo colloca a fianco dei primi africanisti italiani. 23 Il 1859 è l’anno della seconda guerra d’indipendenza che porterà in un precipitare di eventi nel corso dei due anni successivi alla realizzazione dell’Unità d’Italia. È anche l’anno di apertura del decennio più intenso ed importante della carriera politica di Luigi Torelli. L’obbiettivo del giovane governo italiano è quello di consolidare da un punto di vista economico ed amministrativo l’unità appena raggiunta e completarne la realizzazione. L’ amministrazione necessita di uomini capaci e politicamente affidabili. Per questo Vittorio Emanuele II nel 1860 lo chiama a far parte del senato del regno. Nel dicembre 1859 è nominato governatore della provincia di Sondrio, incarico che ricoprirà fino all’ottobre 1861, quando sarà scelto per reggere la prefettura di Bergamo. A Sondrio come a Bergamo Torelli si occupa come sempre di cose concrete. Affronta i problemi economici, soprattutto quelli legati all’agricoltura delle due province, non di rado scontrandosi con la diffidenza ed il conservatorismo delle campagne. La fiducia nell’uomo, soprattutto da parte dei suoi amici della destra, in particolare di Bettino Ricasoli, è grande. Per questo motivo, nel febbraio 1862, è chiamato alla prefettura di Palermo. È un compito duro e pieno di insidie e Torelli ne percepisce tutte le difficoltà: intrico di interessi, odi e rancori secolari, omertà, privilegi ed usi ancestrali. Torelli si accinge immediatamente all’azione con decisione ed energia. Egli porta a Palermo la ferma convinzione che uno stato moderno debba reggersi su leggi certe ed eque e non su una giustizia patriarcale amministrata nel corso di caotiche riunioni. Statista fedele all’idea che la costruzione di un solido e responsabile spirito civico e nazionale necessiti di una rigorosa bonifica ambientale e sociale, individua nella mafia un cancro mortale da estirpare con ogni mezzo. La prima esperienza palermitana (vi tornerà dopo due anni) dura solo due mesi, nei quali però riesce ugualmente a sconvolgere il tessuto criminale della città. I palermitani sono ammirati da tanto dinamismo ma molti sono i perplessi, gli intimoriti. Molti sono anche coloro che lo avversano più o meno scopertamente e che premono per un suo allontanamento. Tra questi non possono mancare i seguaci di Garibaldi, nei confronti del quale Torelli manifesta aperta ostilità sul piano politico e diffidenza per la poca disciplina militare dei suoi volontari. E proprio l’imminenza dell’azione garibaldina che avrebbe portato alla giornata dell’Aspromonte suggerisce al nuovo primo ministro Urbano Rattazzi di sostituirlo con Giorgio Pallavicino Trivulzio, un vecchio ammiratore di Garibaldi, senza dubbio molto più malleabile di lui. 4. Prefetto a Pisa Gli amici dell’area toscana, primi fra tutti Ubaldino Peruzzi e Bettino Ricasoli, lo spostano allora nella sede di Pisa, recentemente istituita, dove giunge il 6 aprile 1862. Appena insediato nel nuovo ufficio il prefetto affronta due tra i problemi che maggiormente angustiano la città. Il primo, di ordine sociale, da lui definito “pauperismo eretto a sconcia professione”; il secondo, di ordine 24 economico, rappresentato dai danni che il disboscamento della valle dell’Arno sta causando all’agricoltura. Fedele al suo metodo, ordina la compilazione di una statistica della città e della provincia alla quale, alla luce di un esame meticoloso, preannuncia un prospero avvenire. Al di là delle previsioni, la statistica contribuisce senza dubbio ad una oggettiva conoscenza della situazione del territorio e rappresenterà un fondamentale strumento di documentazione e di lavoro per i suoi successori. Un’antica città ricca di monumenti e di memoria storica ma immobile e decadente non poteva non stimolare il dinamismo di un uomo come Torelli. E’ dovere del nuovo stato intervenire in modo significativo per marcare le differenze con la vecchia amministrazione e l’urbanistica e l’architettura delle città non possono rappresentare un’eccezione. Si tratta di applicare il concetto tipicamente risorgimentale di patria redenta attraverso il sangue ed il coraggio dei suoi figli. I figli di oggi dovranno essere degni dei figli di ieri. E come nel tempo dell’antica gloria tutti i pisani offrirono il loro contributo per la costruzione del duomo, così oggi è richiesta una rinnovata solidarietà per restituire nel dovuto onore il prezioso retaggio. Torelli rivolge così la sua attenzione al complesso monumentale più significativo, la Piazza del Duomo non tanto per compiere un’operazione di restauro, bensì per realizzare una revisione totale degli spazi e renderli degni del monumento. Le architetture devono risaltare sullo sfondo di grandi spazi, larghe strade ariose e rettilinee devono permetterne la visione. È questo l’orientamento prevalente in Italia e in gran parte d’Europa in quel periodo e Torelli lo sposa integralmente applicandovi come sempre il suo metodo: azione pronta e decisa. L’obbiettivo immediato dell’impresa è di carattere economico. Il nuovo prefetto non rimane insensibile alla segnalazione di un calo di presenze dei visitatori stranieri e si interroga sulle cause. Accresciuto flusso di viaggiatori verso Napoli favorito dall’unificazione? Carenza di strutture ricettive? Strade e piazze poco salubri? Si intervenga intanto immediatamente sull’area più significativa e se ne faccia un centro di spettacolare bellezza. Il programma tecnico della commissione della quale Torelli è presidente prevede l’eliminazione dei fabbricati che ingombrano la piazza (le case del Capitolo, la chiesa di San Ranierino, la casa dei curati) attuando così l’isolamento dei monumenti, l’apertura di un’ampia strada rettilinea attraverso gli orti dall’abside del duomo, lungo le mura urbane fino alla Porta a Lucca, ed infine l’allineamento degli edifici circostanti e la loro trasformazione in stile pisano. L’ultimo intervento, che prevede tra l’altro la rettifica del tratto finale della via Santa Maria, non viene realizzato. L’aspetto e l’equilibrio di tutto il complesso risultano completamente alterati e gli storici dell’arte, soprattutto dalla seconda metà del ‘900, non si risparmieranno nel criticare aspramente l’opera del prefetto e nel rallegrarsi per lo scampato pericolo dei non attuati interventi. Ma la necessità di restituire il dovuto onore al prezioso retaggio, le ragioni del decoro, le esigenze 25 dell’economia e, in poche parole, le opinioni prevalenti e generalmente condivise in quel tempo fanno sì che l’opera di Torelli, seppure ostacolata e segnata dall’ostilità di alcuni, riscuota una larga adesione. Durante la sua permanenza nella città Torelli deve affrontare un problema, per lui uomo della destra, assai delicato: l’arrivo a Pisa, l’8 novembre 1862, di Giuseppe Garibaldi, reduce dall’Aspromonte; proprio l’uomo a causa del quale il primo ministro Rattazzi aveva provveduto a richiamarlo in fretta da Palermo. L’eroe ferito appassiona e commuove, la sua venuta mette in fermento le locali società democratiche e gli studenti universitari. Un gruppo di essi, esuli veneti, mura una lapide che reca inciso un riferimento allo scontro tra l’esercito e i garibaldini che non può essere tollerato. Il prefetto fa redigere un nuovo testo e fa sostituire la targa con una nuova debitamente mondata dell’accenno fratricida. Sempre a Pisa nell’ottobre del 1864 si fa promotore dell’istituzione in Italia della Croce Rossa ed è protagonista delle celebrazioni del terzo centenario galileiano. Il bilancio dell’esperienza pisana di Torelli, conclusasi proprio nel mese di ottobre del 1864, è largamente positivo. Le sue iniziative riscuotono un ampio successo e risultano nel complesso assai gradite ai pisani. 5. Ministro, poi nuovamente prefetto, gli ultimi anni Immediatamente dopo avere lasciato la sede toscana Torelli è chiamato ancora una volta dal nuovo capo del governo La Marmora a reggere il ministero dell’agricoltura, industria e commercio, 15 anni dopo la sua prima esperienza quale responsabile di quel dicastero. Ma il governo La Marmora nasce in un periodo politicamente assai agitato. Il 1864 è l’anno della convenzione di settembre che sancisce il trasferimento della capitale da Torino a Firenze; l’aperta ostilità degli elementi più conservatori della corte sabauda, il malcontento dei dipendenti dei ministeri e la rabbia dei torinesi sfociano in una sommossa prontamente repressa nel sangue. Nonostante questo i 15 mesi di lavoro ministeriale vedono Torelli come sempre attivamente impegnato. Caduto nel maggio 1866 il ministero La Marmora, Torelli è di nuovo destinato alla prefettura di Palermo. La sua fama di grand commis di stato, fedele, capace, affidabile, lo rende predestinato alle difficoltà e la prefettura di Palermo in quel 1866 non rappresenta certamente un incarico tranquillo. Dopo pochi mesi dal suo arrivo egli deve infatti affrontare i gravissimi disordini passati alla storia come la Rivolta del sette e mezzo. Le limitazioni imposte alla festa di Santa Rosalia e l’introduzione del monopolio statale dei tabacchi fanno scoccare la scintilla. Dal 16 al 22 settembre infuria la ribellione. Il generale Cadorna è inviato a riportare l’ordine e le sue truppe attuano una feroce repressione. Torelli come sempre si dimostra rigido ed inflessibile servitore dello stato ed ancora 26 una volta evidenzia un non comune coraggio fisico: sale sul culmine dell’osservatorio di Palermo e con un tricolore segnala l’arrivo delle truppe. La gratitudine dello stato non tarda, a suo modo, a manifestarsi: sedata l’insurrezione è immediatamente destituito dall’incarico di prefetto ma decorato, per mano di Ricasoli, di una medaglia d’oro al valor civile. È amareggiato ed evidentemente contrariato dalle trame e dai maneggi di tanti politici. Un periodo di riflessione e di riposo appare indispensabile. Si reca allora in Egitto, dove in qualità di componente della direzione della società del canale di Suez controlla lo stato dei lavori. Rientrato in Italia sembra aver riacquistato la serenità perduta ed accetta così l’incarico di prefetto di Venezia. Sede prestigiosa, Venezia, ma che nasconde l’insidia della freschissima annessione al Regno, con tutti i problemi che ciò inevitabilmente comporta. Egli si dimostrerà come sempre capace e fedele. Quella veneziana, però, pur laboriosa, fruttuosa e densa di riconoscimenti, rappresenta l’ultima occasione per dispiegare ad un alto livello le sue capacità di amministratore. Anche a Venezia, pur partecipe ed appassionato dei problemi locali, i suoi interessi sono comunque sempre rivolti anche ai grandi temi politici nazionali. Egli scrive infatti un saggio nel quale giudica duramente i temporeggiamenti del governo nella questione romana e mette in guardia dalle possibili intromissioni francesi e austriache nelle vicende del Papa, che avrebbero rappresentato un grave pregiudizio per gli interessi del paese. In quegli anni Torelli sposa apertamente la causa del traforo dello Spluga contro il progetto che risulterà poi vincente - del Gottardo. Così facendo sostiene gli interessi commerciali della sua Valtellina ma si scontra con il ministro Lanza che gode dell’ appoggio del governo. Nel 1872, ancora una volta offeso e amareggiato, rassegna le dimissioni e si ritira a Tirano dove, abbandonata la politica attiva, si dedica alla società per la realizzazione dell’ossario dei caduti delle battaglie di San Martino e Solferino da lui creata nel 1869 ed ai suoi studi sulle condizioni del territorio italiano. Torelli è convinto che un presupposto ineludibile dello sviluppo nazionale sia l’opera di risanamento delle aree paludose e malariche. Il coronamento del suo lavoro è la Mappa della malaria, strumento prezioso per tutti coloro i quali in seguito vorranno affrontare il problema della bonifica in Italia. Dalla seconda metà degli anni settanta ha inizio la fase del declino. Nel 1874 è nominato conte dal re Vittorio Emanuele II, ma nel breve spazio di un anno, tra il 1876 ed il 1877, perde la moglie e la figlia. Stanco e malinconico, il suo stato di salute si fa sempre più precario. Nel 1880 è colpito da una crisi cardiaca nell’aula del senato ed è successivamente vittima di un rovinoso incidente. La sue attività si vanno sempre più rarefacendo. Nel novembre 1887 un nuovo grave attacco al cuore ne mette ancora una volta fatalmente alla prova la fibra. Muore a Tirano alle 13.30 27 del 14 di quello stesso mese. Il suo corpo viene tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero di Tirano. Il concorso di popolo, narrano le cronache, è grande. Pascià di Pisa, Tiranno della laguna, Torelli è uomo del suo tempo, appassionatamente partecipe delle vicende di un paese, l’Italia, che prende forma prima nelle menti, poi nella realtà. Al suo fianco camminano uomini diversi per indole, cultura, inclinazioni politiche. Alcuni, come lui, sono impulsivi ed impetuosi, concreti. Guardano gli intellettuali con sospetto. Tutti però, con i loro pregi ed i loro difetti, sono, per citare le parole di Ricasoli “quegli uomini che non possono essere lasciati a casa e dei quali il paese ha gran bisogno”: insomma, con Torelli, quegli uomini che hanno fatto il Risorgimento. 28