La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati di

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La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati di
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO – SEZIONE QUARTA –
SENTENZA 12 APRILE 2016 NEL RICORSO 12060/12- M.C E A.C.
CONTRO ROMANIA – PRES. SAJÒ –OPINIONE CONCORRENTE
WOJTYCZEC- OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE KURIS
LA ROMANIA HA VIOLATO GLI OBBLIGHI POSITIVI DERIVANTI DAGLI ARTICOLI 1, 3
E 14 DELLA CEDU NON AVENDO, A SEGUITO DI UNA DENUNZIA PENALE PER
LESIONI E INTIMIDAZIONE MOTIVATI DA ODIO FONDATO SULL’ORIENTAMENTO
SESSUALE DELLE VITTIME, CONDOTTO UNA RAPIDA ED EFFICIENTE INDAGINE SUL
CASO, LASCIANDO PRESCRIVERE IL REATO, E NON AVENDO ADOTTATO SPECIFICHE
DISPOSIZIONE DI LEGGE PENALE PIÙ GRAVI SUI REATI MOTIVATI DA ODIO
FONDATO SU TALE FATTORE DI RISCHIO, TRATTANDOLI SU UN PIANO DI PARITÀ
CON QUELLI NON MOTIVATI DA ODIO OMOFOBICO E COSÌ PREVEDENDO UN
MINORE TERMINE DI PRESCRIZIONE.
Diritti dell’uomo- CEDU- diritto di non subire trattamenti inumani e
degradanti- obbligo dello Stato di proibire e punire efficacemente tali
trattamenti inflitti a opera di privati- conseguente obbligo di svolgere
adeguate indagini e adottare disposizioni di legge speciali- inadempimento
dello Stato- sussistenza.
(CEDU, artt. 1, 3. 14)
La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati
di impedire trattamenti inumani e degradanti costituenti hate
crimes (nella specie, omofobici) nel senso che non è solo
necessario svolgere efficienti indagini a seguito della loro
denunzia, ma anche che essi non debbano essere trattati su un
piano di parità con i delitti non motivati da odio.
Roberto de Felice
Avvocato dello Stato
1) Nella decisione in commento1, e la cui parte centrale sotto si
riassume in fatto e si traduce nella motivazione in diritto, la Corte di
Strasburgo evidenzia le potenzialità e la estrema necessità del
ricorso alla interpretazione evolutiva. E’ noto che la CEDU, firmata a
Roma nel 1950 da un ristretto gruppo di Paesi europei, fu stabilita
come garanzia collettiva (rafforzata dalla obbligatoria accettazione
della giurisdizione di una Corte permanente, l’esecuzione delle cui
decisioni era rimessa al Comitato dei Ministri) in reazione all’orrore
suscitato dalle massicce violazioni dei diritti umani perpetrate
durante il Secondo Conflitto Mondiale anche da Stati Europei di
antica e consolidata civiltà.
2) In questo quadro, la proibizione assoluta della tortura e di
trattamenti o pene inumani e degradanti non poteva non
riferirsi che ad atti compiuti dalle Autorità degli Stati
contraenti o per conto degli stessi. Precisamente, l’intenzione
dei conditores era quella di imporre obblighi negativi alle Parti
del Trattato.
3) Ma, sin dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, la
giurisprudenza della Corte ha ritenuto che ad essi
incombessero altresì obblighi positivi, argomentando dal
disposto dell’articolo 1 della Convenzione che fa obbligo agli
stessi di applicare e rispettare i diritti sanciti dagli articoli da 2
a 14. Non è sufficiente che uno Stato sia obbligato da un
Trattato a rispettare certi comportamenti; invero, sin da prima
della Seconda guerra Mondiale esistevano strumenti che
sancivano l’esistenza di determinati diritti umani, rimasti
lettera morta in quelle tragiche circostanze. Occorre che i
singoli ordinamenti nazionali vietino e sanzionino quelle
condotte, e una parte non piccola di questa serie di obblighi
positivi è l’approntamento di un efficiente meccanismo
interno di tali violazioni. Meccanismo o procedura che proprio
nel caso di specie si è rivelato totalmente inefficace.
4) Ma l’opera interpretativa della Corte non si è limitata a fare
emergere gli obblighi positivi, bensì ha provveduto a un
significativo ampliamento della tutela di tali diritti, concepiti in
una dimensione verticale (uno Stato non può violarli, o non
1
Vedi il testo integrale qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-161982
deve tollerare che suo agenti lo facciano, punendoli, nei
confronti degli esseri umani soggetti alla sua giurisdizione) in
una dimensione orizzontale degli stessi. Uno Stato deve altresì
sanzionare tali violazioni se poste in essere da privati nei
confronti di privati. Ora, e con riferimento all’articolo 3 della
CEDU, è difficilmente pensabile che possa essere infranto il
monopolio statale della pena o delle indagini (in cui la tortura
è vietata) ma ben possono essere inflitti trattamenti inumani o
degradanti al di fuori del framework dei pubblici poteri.
Questo è esattamente il caso di specie, preceduto da una
massiccia serie di precedenti della Corte.
5) Nella sua dimensione verticale, l’articolo 3, verticalmente
inteso, deve comportare la abrogazione di leggi o prassi che
consentano espressamente l’inflizione di tali maltrattamenti (
come ad esempio nei rapporti familiari; la memoria corre alla
severa denunzia di Antolisei della giustificazione operata dalla
nostra Cassazione penale della maritalis districtio). In quella
orizzontale, comporta non solo l’espresso divieto, ma
l’efficace punizione ed effettivo accertamento dell’atto vietato
da parte dello Stato stesso.
6) La decisione aggiunge al quadro la particolare valenza lesiva di
siffatti maltrattamenti, se motivati da odio discriminatorio, e
quindi costituenti degli hate crimes. Invero, la discriminazione
fondata sull’orientamento sessuale con riguardo al diritto di
non subire tali trattamenti è vietata dall’articolo 14 della CEDU
e, nel caso della Romania, dall’articolo 1 del Protocollo
Addizionale 12 alla CEDU, da quello Stato, ma non dall’Italia,
ratificato.
7) La stessa si riallaccia al precedente Identoba v Georgia,
concernete l’affermazione della responsabilità dello Stato ai
sensi dell’articolo 3 e 11 in combinato disposto con l’articolo
14 CEDU per avere detto Stato omesso di disporre idonea
vigilanza e tutela di polizia al Gay Pride di Tbilisi, attaccato da
violenti manifestanti religiosi, così ledendo tanto i suoi
obblighi positivi al fine di evitare l’inflizione di trattamenti
degradanti, tanto il diritto alla libertà di riunione e di
associazione.
Sono molto importanti (e costituiscono
precedente) espressioni identiche nelle due sentenze, che
identificano nella complessa condotta di percosse
accompagnate da umilianti espressioni omofobiche un
comportamento complessivo tale da superare la soglia di
gravità richiesta per invocare l’articolo 3, poiché tale condotta
induce a intimidire le vittime dalla partecipazione a ulteriori
manifestazioni di supporto della comunità LGBTI.
8) La differenza tra i due casi sorge dalla paradossale circostanza
della esistenza, in Georgia, di una non applicata normativa
contro i delitti d’odio. Questo caso spicca per la affermazione
netta che la omessa previsione di norme penali specifiche su
tali crimini: trattarli su un piede di parità con altre condotte di
percosse non è un esatto adempimento dell’articolo 3 e dei
suoi obblighi positivi, perché il crimine di odio è peculiarmente
distruttivo della cornice dei valori tutelati dalla Convenzione.
Tra di essi spicca il diritto di chiunque al rispetto della propria
vita privata, nozione comprendente anche gli aspetti
fondamentali della sua personalità, quali l’orientamento
sessuale, ai sensi dell’articolo 8. Anzi conduce all’impressione
della connivenza con i gruppi di haters, tradottasi in pratica
nella prescrizione del reato.
9) La lezione che quindi si trae dalla decisione in commento è che
gli ordinamenti nazionali devono punire in modo
specificamente qualificato e – data l’allusione alla prescrizione
che generalmente è in proporzione diretta con la pena
edittale- più grave i crimini di odio motivati da discriminazione
etnica, razziale, religiosa, di origine nazionale, orientamento
sessuale, identità di genere e ogni altro fattore di rischio
individuato dalla giurisprudenza. Non importa – si aggiunge in
questa sede – se l’aumento di pena debba conseguire a
un’autonoma fattispecie di reato, al concorso di altro reato o a
una circostanza aggravante, quello che è essenziale è che la
speciale previsione funzioni è che siano effettive le relative
indagini.
10) Un crimine d’odio è un’offesa della legge penale il cui motivo
essenziale è colpire il membro di una comunità o minoranza
che ha in comune un fattore di rischio (comunemente, sesso,
razza e religione; nel diritto elaborato dalla Corte di
Strasburgo va incluso l’orientamento sessuale). Tale
definizione è quella dell’OCSE/ODIR2, che specifica come gli
effetti del crimine di odio, motivato dalla volontà di colpire la
vittima come membro di un gruppo, si estende all’intero
gruppo e di fatto impedisce l’integrazione dell’intera società;
dunque il danno prodotto dal crimine di odio è estremamente
più grave di quello di una condotta criminale non motivata da
odio. Il fattore di rischio potrebbe anche solo essere
‘’percepito’’ e non reale (caso dell’uomo confuso per
omosessuale o ebreo senza esserlo) senza che ciò cambi la
2
http://www.osce.org/odihr/36426?download=true
maggiore gravità del fatto. Il Consiglio d’Europa, nella
raccomandazione 31 marzo 2010 del Comitato dei Ministri
CM/Rec (2010)5 stabilisce delle linee guida contro la
discriminazione per i fattori di rischio ‘’identità di genere ‘’ e
‘’orientamento sessuale’’ statuendo: Gli Stati membri
dovrebbero garantire che, nella determinazione della pena,
possa costituire circostanza aggravante la motivazione legata
all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Nulla
prevede in merito il Codice Penale Italiano, vaga essendo la
circostanza aggravante dei ‘’motivi abietti o futili’’ ivi prevista
dall’art 61, n 1 ( al contrario e paradossalmente il reato
dell’immigrato clandestino è sempre aggravato ex art 61 n 11
bis); tale circostanza peraltro può essere elisa dal giudizio di
comparazione ( art 69 cp) con un’attenuante qualsiasi, non
essendo una circostanza a effetto speciale ( artt 63 co 4 e 69
cp). Il chiaro intento della raccomandazione in commento è
quello di aggravare in ogni caso la pena sicché essa non
potrebbe essere attuata che da una circostanza aggravante a
effetto speciale.
11) Il tentativo del legislatore italiano di introdurre disposizioni
antiomofobiche ( ddl 245 Camera, Scalfarotto, modificato più
volte dal testo originario, che includeva la fattispecie negli artt
3 L 654/75 quanto all’istigazione all’odio o alla violenza di
radice omofobica, e 3 DL 122/93 per le altre fattispecie,
approvato alla Camera il 19 settembre 2013, con significative
mutilazioni anche soppressive dell’aggravante speciale) langue
immeritatamente al Senato
( dove il partito
dichiaratamente progressista di Governo ha una mera
maggioranza relativa, minata dall’appartenenza di molti
senatori a frange cattoliche estremiste) dove può dirsi
abortito.
12) Deve dunque essere presagita una condanna dell’Italia,
qualora anche qui denunzie per reati di odio, in carenza di
circostanze che non vedrebbero un significativo aggravamento
di pena di un reato di breve prescrizione come le percosse,
trovassero come esito l’estinzione (evitabile invece se, come
nel testo originario del ddl 245 fosse estesa agli hate crimes
omofobici l’aggravante ex art 3 DL 122/93 che comporta un
aumento di pena della metà nei delitti motivati da odio
religioso, etnico etc, e non può essere ritenuta suvvalente alle
attenuanti) per le stesse ragioni per cui lo è stata la
Repubblica di Romania.
13) Infatti, ogni volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
faccia gemmare dal tronco della CEDU per interpretazione un
nuovo dovere dello Stato, il portato normativo della stessa si
amplia in misura corrispondente per tutti gli Stati contraenti.
Tale efficacia interpretativa erga omnes risulta dalle chiare
espressioni della Corte Costituzionale nelle sentenze 348 e
349 del 2007:
‘’La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali,
la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di
un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti
dell'uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme
della Convenzione stessa. Difatti l'art. 32, paragrafo 1,
stabilisce: «La competenza della Corte si estende a tutte le
questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della
Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad
essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47».
Poiché le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che
ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la
naturale conseguenza che deriva dall'art. 32, paragrafo 1,
della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali
assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della
CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle
norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte
specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed
applicazione. Non si può parlare quindi di una competenza
giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi
giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione
interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno
riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ciò a
precisare i loro obblighi internazionali nella specifica
materia’’
Si deve dunque concludere che è già attuale per l’Italia aggravare
le pene per gli hate crimes motivati dall’orientamento sessuale
della vittima.
***
A)La decisione. I fatti rilevanti
Con sentenza del 12 aprile 2012 la Quarta sezione della
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato la
Romania per violazione dell'articolo 3 e dell’art 14 CEDU.
Nel proprio ricorso, due cittadini romeni esponevano che il
3 giugno dell'anno 2006 avevano partecipato al Gay Pride
di Bucarest. Alla manifestazione era stata accordata la
autorizzazione e la protezione della polizia. Verso le sette
di sera, alla fine del Corteo, i ricorrenti e quattro altri
manifestanti lasciavano l'area della manifestazione
preoccupandosi di non recare con sé distintivi o insegne di
qualunque tipo che li avrebbero identificati come
partecipanti alla marcia, così come raccomandato dalla
polizia. Eppure erano attaccati da un gruppo formato da
sei uomini e una donna incappucciati a bordo della locale
metropolitana, venendo altresì insultati come ‘’finocchi’’ e
invitati a trasferirsi in Olanda da quei soggetti, che
brandivano sbarre di ferro. Le vittime si recarono
immediatamente al pronto soccorso che diagnosticava al
primo ricorrente escoriazioni che non richiedevano giorni
di prognosi e al secondo contusioni multiple con una
prognosi di due giorni.
A) La stessa notte le vittime sporgevano denuncia alla
stazione di polizia numero 25 della città di Bucarest. Nella
denuncia specificavano che gli attaccanti avevano dovuto
riconoscerli nella folla mentre partecipavano alla parata,
pertanto ritenevano di essere stati identificati in
quell'occasione. Riferivano alla polizia anche degli insulti
ricevuti durante l'aggressione. Nel ricorso alla Corte di
Strasburgo le parti affermano che gli agenti di polizia si
erano dimostrati così sorpresi, dopo aver appreso che le
vittime, benché omosessuali, erano individui con persone
con un lavoro regolare e posizioni di responsabilità, in
condizioni di relativo benessere, che avevano cercato di
dissuaderli dal presentare una denuncia avvertendoli
anche che avrebbero dovuto sottoporsi a confronto con i
loro aggressori in tribunale. Il 5 giugno l'avvocato dei
ricorrenti produceva numerose fotografie dell'attacco
riprese da un fotografo presente per puro caso sul luogo.
In alcune fotografie i volti degli aggressori erano visibili.
Tuttavia la denuncia, a seguito di una riorganizzazione
delle forze di polizia sul territorio, era stata più volte
trasmessa da un commissariato all'altro finché il 4 aprile
dell'anno successivo era stata registrata presso la
Questura di Bucarest. I ricorrenti avevano chiesto
informazioni per iscritto sull'andamento delle indagini e
avevano anche, in un esposto al Ministro degli Interni,
lamentato la mancanza di efficaci investigazioni sul caso.
Emergeva, tra l'altro, che un agente delle forze di sicurezza
era stato identificato tra gli aggressori. Le indagini
languirono benché fosse stata prodotta una lista di 45
persone multate dalla polizia durante il Pride del 2006. Il
fatto che uno di essi fosse un fan dello Steaua aveva
portato la polizia anche a frequentare le partite di calcio
tra la tifoseria dello Steaua per tentare di identificare il
medesimo e altri aggressori. Il 9 agosto 2011, infine, la
Questura informava i ricorrenti che non aveva intenzione
di procedere penalmente a causa della intervenuta
prescrizione. Nella nota la polizia spiegava che le indagini
erano state rese difficili dall'iniziale smarrimento della
denuncia. La decisione delle forze di polizia era
confermata- su reclamo- dal procuratore della Repubblica
di Bucarest il 4 ottobre successivo, e il 18 giugno del 2012
dal procuratore generale su ricorso gerarchico avverso la
decisione del primo magistrato. Anche la decisione del
procuratore generale, opposta, era confermata dal
tribunale di Bucarest il 9 agosto del 2012 che in
motivazione ammetteva che le indagini erano state
condotte con scarsa diligenza, ma che era necessario in
ogni caso applicare la prescrizione.
B) Esattamente due mesi dopo i fatti, l'11 agosto del 2006,
l'articolo 317 del codice penale rumeno era stato
modificato nel senso che segue:
Incitare all'odio sulla base della razza, della nazionalità, dell'origine
etnica, della lingua, della religione, del sesso, dell'orientamento
sessuale, delle opinioni, delle opinioni politiche, delle convinzioni, della
ricchezza, dell'origine sociale, dell'età, della disabilità, della malattia o
della affezione dal virus dell'Hiv, è punibile con la detenzione da sei
mesi a tre anni o con una multa.
Questo articolo del codice, non presente neanche in una
pallida imitazione nel diritto penale italiano, era tuttavia
entrato in vigore dopo i fatti e quindi non poteva
funzionare bene non poteva essere applicato nel senso di
rendere più lungo il termine di prescrizione del reato. Va
però sottolineato che i denunzianti avevano richiesto di
qualificare il reato anche sotto il più grave titolo della
associazione per delinquere, che non si sarebbe prescritto
in quei brevi termini.
C) La sentenza, a questo punto, esamina un'indagine
condotta dal Commissario per i diritti umani del Consiglio
d'Europa sulla discriminazione fondata sull'orientamento
sessuale e l'identità di genere. Quest’indagine evidenziava
dati particolarmente sfavorevoli, con riferimento alla
Romania, in ordine alla tolleranza delle persone
omosessuali.
B)Le eccezioni preliminari
D) I ricorrenti avevano lamentato la violazione degli articoli
3,6,8 e 14 della Convenzione e dell'articolo 1 del
protocollo 12 alla stessa, con relazione all'inadempimento
del dovere di indagare in modo adeguato sulla loro
denuncia penale. Rispondendo alle deduzioni del Governo
in sede preliminare la Corte, con riferimento
all'esaurimento dei rimedi interni richiesto dalla
Convenzione prima di poter proporre ricorso alla stessa
ricorda che è necessario che nello Stato in cui si lamenta
sia avvenuta la violazione dei diritti garantiti dalla
Convenzione di cui al ricorso l'esistenza dei rimedi in
questione deve essere sufficientemente certa non solo in
teoria ma anche in pratica. La regola, inoltre, secondo la
giurisprudenza della Corte deve essere interpretata con
una una certa flessibilità e senza eccessivi formalismi. Nel
caso di specie la Corte ha ritenuto che il rimedio concesso
dall'ordinamento rumeno alle parti, la denuncia penale,
era del tutto inefficace e tale si era dimostrata, in quanto
le Autorità non avevano indagato in modo sufficiente. Per
quanto riguarda il termine di decadenza del ricorso alla
Corte di sei mesi, che decorrerebbe dalla data della
decisione finale nel procedimento interno, appare
evidente che se non vi è un rimedio effettivo il termine
decorre dalla data degli atti di cui il ricorrente a Strasburgo
si duole. Ma quando una situazione è continuativa il
termine stesso decorre solo dalla fine della continuativa
violazione del diritto. Esisteva già un precedente in cui la
Corte aveva ritenuto che la negligenza nelle investigazioni
di polizia, in questo caso in un ricorso riguardante la
Turchia, non può che far decorrere il termine dal momento
in cui le parti siano debbano essere consapevoli della
mancanza di ogni efficace indagine penale. Nel caso di
specie i ricorrenti erano stati tempestivi nel denunciare e
diligenti nel produrre alle Autorità di polizia tutti i
documenti probatori in loro possesso, come le fotografie
menzionate. Peraltro è normale che le indagini siano
segrete perché le Autorità di polizia agiscono di loro
iniziativa, ma, nel caso di specie, il termine doveva
ritenersi decorrere dal 9 agosto 2012, data della decisione
del tribunale di Bucarest sulla opposizione alla
archiviazione confermata dal procuratore generale, e il
ricorso era stato proposto alcuni mesi prima.
C)Il merito
Accogliendo il ricorso, la Corte motiva come di seguito. La
traduzione è a cura dell’Autore della nota a sentenza.
‘’Valutazione della Corte
oggetto della causa
105. La Corte ritiene che il dovere delle Autorità di
prevenire la violenza motivata dall'odio da parte di
privati e di indagare sull'esistenza di ogni possibile
motivo discriminatorio dietro l'atto di violenza possa
essere compreso tra gli obblighi positivi previsti negli
articoli 3 e 8 della Convenzione, ma che possa anche
essere ritenuto formar parte degli obblighi positivi delle
Autorità ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione per
assicurare tutelare i valori fondamentali protetti dagli
articoli 3 e 8 senza discriminazioni (vedi Ciorcan e altri
v. Romania, nn. 29414/09 e 44841/09, § 158, 27
gennaio 2015; Identoba e altri v. Georgia, n. 73235/12,
§§ 63 and 64, 12 Maggio 2015; Bekos e Koutropoulos v.
Grecia, n. 15250/02, § 70, ECHR 2005-XIII (per
estratto); B.S. v. Spagna, n. 47159/08, §§ 59-63, 24
luglio 2012; e confronta con Begheluri e altri v.
Georgia, n. 28490/02, §§ 171-79, 7 Ottobre 2014). A
causa della connessione delle suddette previsioni,
questioni come quelle del presente caso possono invero
essere esaminate ai sensi di una soltanto di queste
due previsioni, non sorgendo alcuna questione
separata ai sensi delle altre, o possono richiedere un
esame contestuale alla luce di diversi articoli. Questo
punto deve essere deciso in ciascun caso alla luce dei
suoi fatti e della natura delle allegazioni fatte.
106. Nelle circostanze particolari del presente caso,
alla luce delle allegazioni dei ricorrenti che la violenza
perpetrata contro di loro aveva implicazioni
omofobiche che sono stati completamente trascurati
nelle indagini dalle Autorità, la Corte ritiene che il
modo più appropriato di procedere sia sottoporre le
doglianze dei ricorrenti a un doppio contemporaneo
esame ai sensi degli articoli 3 e 8 in combinato
disposto con l'articolo 14 della Convenzione (vedi
Identoba, cit., § 64) e, se occorra, con l’art 1 del
Protocollo addizionale 12 alla Convenzione.
Principi generali
107. La Corte ribadisce sin dall’inizio, che un
maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di
gravità per essere ricompreso nello scopo dell'articolo
3. La valutazione di questo minimo è relativa: dipende
da tutte le circostanze del caso, come la natura e il
contesto del maltrattamento, la sua durata, i suoi
effetti mentali e fisici, e, in alcuni casi il sesso, l'età e
lo stato di salute della vittima ( vedi ad es., Bouyid v.
Belgio [GC], n. 23380/09, § 86, ECHR 2015; M. e M. v.
Croatia, n. 10161/13, § 131, 3 Settembre 2015; A. v.
Regno Unito, 23 Settembre 1998, § 20, Reports of
Judgments and Decisions 1998-VI; and CostelloRoberts v. Regno Unito, 25 Marzo 1993, § 30, Series A
n. 247-C).
108. La Corte ha ritenuto che un trattamento sia
degradante, e così ricada nell’ambito del divieto
sancito nell'articolo 3 della Convenzione, se causa
della sua vittima sentimenti di paura e angoscia
inferiorità (vedi ad es., Irlanda v. Regno Unito, 18
gennaio 1978, § 167, Series A n. 25, e Stanev v.
Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 203, ECHR 2012), se
umilia o degrada un individuo ( umiliazione agli occhi
del medesimo, vedi Raninen v. Finlandia, 16 dicembre
1997, § 32, Reports 1997-VIII, e/o o nei confronti di
altri, vedi Gutsanovi v. Bulgaria, no. 34529/10, § 136,
ECHR 2013) ne fosse questo il fine o meno (vedi Labita
v. Italia [GC], n. 26772/95, § 120, ECHR 2000-IV), se
spezza la resistenza fisica o morale della persona o la
induce ad agire contro la sua volontà o la sua
coscienza ( vedi Jalloh v. Germania [GC], n. 54810/00,
§ 68, ECHR 2006-IX), o se mostra una mancanza di
rispetto per la dignità umana o la sminuisce (vedi
Svinarenko e Slyadnev v. Russia [GC], nn. 32541/08 e
43441/08, §§ 118 and 138, 17 luglio 2014).
109. L'obbligo delle Alte Parti Contraenti ai sensi
dell'articolo 1 della Convenzione di proteggere per tutti
all'interno delle proprie giurisdizioni i diritti e le libertà
definiti nella Convenzione, considerato insieme
all'articolo 3, richiede che gli Stati prendano misure
che mirino ad assicurare che gli individui all'interno
della loro giurisdizione non siano soggetti a
maltrattamenti, inclusi maltrattamenti procurati da
privati (vedi M.C. v. Bulgaria, n. 39272/98, § 149,
ECHR 2003-XII, confermata più di recente da O’Keeffe
v. Irlanda [GC], n. 35810/09, § 144, ECHR 2014).
110. Inoltre, l’assenza di una qualsiasi responsabilità
diretta dello Stato per atti di violenza di tale gravità, al
fine di applicare l'articolo 3 della Convenzione non
libera lo Stato da tutti gli obblighi previsti da questo
articolo. In tali casi l'articolo 3 richiede che le Autorità
conducano una indagine ufficiale ed effettiva
sull'allegato
maltrattamento
anche
se
tale
maltrattamento è stato inflitto da privati (vedi M.C.,
cit., § 151; C.A.S. e C.S. v. Romania, n. 26692/05, §
69, 20 marzo 2012; e Denis Vasilyev v. Russia, n.
32704/04, §§ 98-99, 17 dicembre 2009).
111. Anche se lo scopo delle obbligazioni positive dello
Stato potrebbe differire tra i casi in cui il trattamento
contrario all'articolo 3 è stato inflitto mediante il
coinvolgimento di agenti dello Stato e i casi in cui la
violenza è stata inflitta da privati, i requisiti che
concernono un'indagine ufficiale sono simili. Perché
l'indagine sia considerata effettiva, dovrebbe in linea di
principio poter condurre all'accertamento dei fatti del
caso e alla identificazione e punizione dei responsabili.
Questo non è un obbligo quanto al risultato da
raggiungere ma quanto ai mezzi da impiegare. Le
Autorità devono avere preso le iniziative loro
ragionevolmente disponibili per assicurare la prova
concernente l'incidente, incluso interrogare i testimoni
oculari, la polizia scientifica e così via. Ogni mancanza
nelle indagini che mini la loro capacità di stabilire le
cause dei maltrattamenti o l'identità delle persone
responsabili rischia di violare questo standard, e un
requisito di puntualità e ragionevole speditezza è
implicito in questo contesto. Nei casi di cui all'articolo
3 della Convenzione in cui l'efficacia delle indagini
ufficiali è stata in questione la Corte ha spesso
valutato se le Autorità abbiano reagito prontamente
alle denunce a tempo debito. E’ stata data importanza
all'apertura
delle
indagini,
alle
lungaggini
nell'assunzione di dichiarazioni e alla lunghezza del
tempo impiegato per le indagini preliminari (vedi
Bouyid, cit., §§ 119-123; Mocanu e altri, cit., § 322;
Identoba, cit., § 66; Begheluri, cit., § 99; Denis
Vasilyev, cit., § 100 con ulteriori citazioni; e Stoica v.
Romania, n. 42722/02, § 67, 4 marzo 2008). Una
pronta risposta da parte delle Autorità nell'indagare le
denunce di maltrattamenti può in linea generale essere
considerata essenziale per mantenere la fiducia
pubblica nell'applicazione della legge e nella
prevenzione di ogni apparenza di collusione o di
tolleranza di atti illeciti. La tolleranza da parte delle
Autorità nei confronti di tali atti non può che minare la
pubblica fiducia nel principio di legalità e il rispetto da
parte dello Stato della legge (vedi Membri della
Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani e altri
v. Georgia, n. 71156/01, § 97, 3 maggio 2007).
112. Inoltre, quando l'indagine ufficiale ha condotto
alla instaurazione di procedimenti nelle corti nazionali
i procedimenti nel loro complesso, incluso il
dibattimento, devono soddisfare i requisiti dell'articolo
3 della Convenzione. Sotto questo aspetto la Corte ha
già ritenuto che i meccanismi di protezione disponibili
ai sensi della legge nazionale dovrebbero operare in
pratica in un modo che consenta l'esame del merito di
un caso particolare entro un tempo ragionevole (vedi,
ad es., W. v. Slovenia, n. 24125/06, § 65, 23 gennaio
2014).
113. Quando si indaga su incidenti di natura violenta,
come maltrattamenti, le Autorità dello Stato hanno il
dovere di adottare tutte le misure ragionevoli per
scoprire ogni possibile motivo discriminatorio, che,
questa Corte ammette, è un compito difficile. L'obbligo
dello Stato resistente di indagare possibili motivi
discriminatori per un atto violento è un obbligo di
usare i suoi mezzi migliori per fare ciò, e non è
assoluto. Le Autorità devono fare tutto ciò che è
ragionevole nelle circostanze per raccogliere e
assicurare le prove, per esplorare tutti i mezzi empirici
di scoperta della verità, e per emettere decisioni
pienamente motivate imparziali e obiettive, senza
omettere fatti sospetti che possono essere indicativi di
violenza indotta per esempio da intolleranza razziale o
religiosa, o violenza motivata da discriminazione
basata sul genere (vedi Nachova e altri v. Bulgaria
[GC], nn. 43577/98 and 43579/98, § 160, ECHR
2005-VII; Membri della Congregazione dei Testimoni di
Geova di Gldani e altri v. Georgia,, §§ 138-42, cit.; e
Mudric v. Repubblica di Moldavia, n. 74839/10, §§ 6064, 16 luglio 2013, recentemente ribadita in in
Identoba, cit., § 67). Il fatto di trattare la violenza e la
brutalità che sorgano da attitudini discriminatorie su
un piede di parità con la violenza che accada in casi
che non abbiano tali circostanze sarebbe ignorare la
specifica natura di atti che sono peculiarmente lesivi
dei diritti fondamentali. Una omissione di operare una
distinzione nel modo in cui situazioni che sono
essenzialmente differenti siano trattate può costituire
un trattamento ingiustificato inconciliabile con
l'articolo 14 della Convenzione (vedi, per esempio,
Begheluri , cit., § 173).
114. Inoltre, gli obblighi positivi dello Stato sono
impliciti nel diritto all'effettivo rispetto della vita
privata ai sensi dell'articolo 8; questi obblighi possono
includere l'adozione di misure anche nella sfera delle
relazioni degli individui tra loro. Mentre la scelta dei
mezzi per assicurare l'adempimento dell'articolo 8
nella sfera di protezione contro atti di privati è in linea
di principio all'interno del margine di apprezzamento
dello Stato, la deterrenza effettiva contro atti gravi,
dove sono in gioco valori fondamentali ed aspetti
essenziali della vita privata richiede efficaci previsioni
della legge penale. I bambini e altri individui
vulnerabili, in particolare, hanno diritto a un'effettiva
protezione (vedi, particolarmente, Söderman v. Svezia
[GC], n. 5786/08, § 81, ECHR 2013; C.A.S. e C.S., § 71
e M.C., § 150, decisioni sopra citt.; e, mutatis
mutandis, O’Keeffe, § 144, e Identoba ¸ §§ 72-73 e 94,
decisioni sopra citt.).
115. La Corte ribadisce di non avere escluso la
possibilità che l'obbligo positivo dello Stato ai sensi
dell'articolo 8 di salvaguardare l'integrità fisica
dell'individuo possa estendersi a questioni relative alla
natura effettiva di un'indagine penale ( vedi C.A.S. e
C.S., § 72 e M.C., § 152, decisioni sopra citt.).
Applicazione di questi principi al presente caso
soglia di severità
116. Poiché i ricorrenti hanno lamentato che le
Autorità hanno omesso di condurre un'indagine
effettiva sulle loro denunce che la violenza perpetrata
nei loro confronti aveva avuto riflessi omofobici, la
Corte nota che i ricorrenti sono stati attaccati sulla via
del ritorno a casa da una marcia gay. La marcia stessa
era stata accompagnata da contromanifestazioni che,
nonostante la protezione della polizia accordata ai
partecipanti, terminarono nell'applicazione di multe a
numerosi individui per avere disturbato l'evento. I
ricorrenti furono attaccati da un gruppo di persone
che, i ricorrenti credono, li avevano osservati durante
la marcia e poi seguiti nella metropolitana. Gli
attaccanti si erano diretti immediatamente contro di
loro e gli avevano maltrattati tanto fisicamente quanto
verbalmente. Entrambi i ricorrenti hanno riportato
ferite e si sono sottoposti a terapia di gruppo per
affrontare il trauma psicologico sofferto. Hanno
descritto i sentimenti di degradazione ansietà e senso
di pericolo che hanno sofferto a causa dell'attacco.
117. La Corte ritiene che il fine del maltrattamento
fisico e verbale era probabilmente spaventare i
ricorrenti così da farli desistere dalla loro pubblica
espressione di supporto per la comunità LGBTQI( vedi
Identoba, cit., §70). I sentimenti di stress emotivo dei
ricorrenti devono essere stati esacerbati dal fatto che,
benché avessero seguito alla lettera le istruzioni
emesse dagli organizzatori della marcia al fine di
evitare di divenire vittime di aggressione e non
avessero marchi distintivi su di loro, furono attaccati a
causa della loro partecipazione alla marcia gay e così
perché stavano esercitando diritti garantiti dalla
Convenzione.
118. Ricordando le relazioni di cui ai paragrafi 46 e
101 la Corte riconosce che la comunità gay lesbica
bisex transessuale nello Stato resistente si trova in
una situazione precaria essendo soggetta ad attitudini
negative nei confronti dei suoi membri.
119. Alla luce di quanto precede la Corte conclude che
il trattamento, descritto in modo convincente dai
ricorrenti al quale furono soggetti fu diretto contro la
loro identità e deve necessariamente avere suscitato in
loro sentimenti di paura, angoscia e insicurezza
(confronta Identoba, cit., § 71, e Begheluri, cit., §§ 108
e 117) non era compatibile con il rispetto per la loro
dignità umana e raggiungeva la soglia di severità
richiesta per essere ricompreso nell'ambito dell'articolo
3 letto in combinato disposto con l'articolo 14 della
Convenzione.
Effettività delle indagini
120. La Corte ribadisce che i ricorrenti avevano sporto
una denuncia penale la notte degli incidenti e che
entro alcuni giorni avevano prodotto tutte le prove a
loro disposizione, che a loro vedere, rendevano
possibile l'identificazione di alcuni dei membri del
gruppo degli aggressori. Tuttavia nessun passo
significativo fu preso nell'indagine per un periodo di
quasi un anno dal giugno del 2006, la data in cui fu
sporta la denuncia penale, all'aprile 2007, la data in
cui il fascicolo fu alla fine assegnato alla Questura.
Anche al tempo in cui le indagini erano state
ufficialmente concluse dal pubblico ministero, oltre
cinque anni dopo l'iniziale denuncia penale, la polizia
non aveva ancora identificato i malfattori. Inoltre la
Corte non può ignorare che durante l'indagine vi
furono notevoli periodi di inattività da parte delle
Autorità. L'intero processo durò fino al 9 agosto 2012,
cioè un tempo complessivo di più di sei anni, un
periodo di tempo che non solo è capace di minare
un'indagine,
ma
anche
di
compromettere
definitivamente le sue chances di essere mai
completato.
121. La Corte è disposta ad accettare l'obiezione che
l'indagine possa non essere stata facile, dato il
significativo numero di persone coinvolte nella
contromanifestazione e i passi necessari per
identificarle; inoltre i cambiamenti organizzativi
all'interno delle forze di polizia avevano aggiunto delle
difficoltà alla soluzione del caso. I cambiamenti
organizzativi e la ristrutturazione, tuttavia, non
sospendono gli obblighi dello Stato ai sensi della
Convenzione. Inoltre, la Corte nota numerosi errori
nell'indagine, alcuni dei quali riconosciuti dalle stesse
Autorità nazionali. In particolare si deve notare che
durante le indagini la polizia non ha fatto altro che
ascoltare un testimone oltre ad assistere a 29 partite
di calcio e a fare controlli casuali alle stazioni della
metropolitana in cinque occasioni. Non sembra che
abbia fatto uso in qualche modo significativo delle
prove addotte dai ricorrenti, in special modo le
dichiarazioni, le fotografie e l'identificazione di alcuni
individui nel gruppo degli attaccanti. La Corte, in
particolare, nota che, anche se i ricorrenti avessero
identificato alcuni degli attaccanti, le Autorità
nazionali e il Governo nei loro scritti avanti la Corte
hanno continuato a sostenere l'impossibilità di
condurre un'indagine nel presente caso in ragione
della impossibilità di identificare gli autori della
violenza (vedi Membri della Congregazione dei
Testimoni di Geova di Gldani, cit., § 118). Inoltre, la
Corte non può accettare che le gli atti di indagine
intrapresi dalle Autorità nazionali possano essere
ritenuti passi appropriati verso l'identificazione e la
punizione dei responsabili dell'incidente, in particolare
perché queste misure furono adottate molto tempo
dopo gli eventi iniziali.
122. Inoltre, si deve notare che in nessun momento le
Autorità iniziarono indagini penali contro i sospetti
responsabili. La Corte ha già stabilito che l'omissione
di aprire indagini penali anche se il maltrattamento è
stato inflitto da agenti dello Stato, può compromettere
la validità delle prove raccolte durante le fasi
preliminari delle indagini stesse. La Corte non trova
alcuna ragione di giudicare diversamente nelle
circostanze del caso presente, dove il maltrattamento
fu perpetrato da privati, ma le indagini ricadevano
degli obblighi positivi dello Stato ai sensi e nel rispetto
dell'articolo 3.
123. La Corte osserva che, protraendo le indagini, le
Autorità nazionali hanno anche consentito che fossero
applicate le disposizioni sulla prescrizione (vedi Membri
della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani,
cit., § 119). Hanno rifiutato di esaminare i fatti ai sensi
di ogni altro articolo del codice penale nonostante la
richiesta espressa dei ricorrenti a questo fine, che
rimase senza esito. La Corte nota che la richiesta dei
ricorrenti non era senza fondamento, poiché ci
potevano essere altre previsioni del codice penale che
avrebbero potuto meglio descrivere i crimini oggetto di
indagine.
124. In modo più significativo su questo punto, la
Corte ritiene che le Autorità non hanno assunto i passi
necessari al fine di esaminare il ruolo svolto da
possibili moventi omofobici alla radice dell'attacco. La
necessità di condurre un'indagine significativa sulla
possibilità di discriminazione alla radice dei motivi
dell'attacco era indispensabile data l'ostilità contro la
comunità LGBTQI nello Stato resistente alla luce delle
affermazioni dei ricorrenti che discorsi d'odio, che
erano chiaramente omofobici erano stati pronunciati
dagli assalitori durante l'incidente. Le Autorità
avrebbero avuto dovuto agire in tal senso nonostante il
fatto che l'istigazione ai discorsi d'odio non fosse
punibile al tempo in cui gli incidenti si verificarono,
poiché i reati potevano essere classificati in un modo
che avrebbe consentito una effettiva amministrazione
della giustizia. La Corte ritiene che senza un approccio
rigoroso da parte delle Autorità di polizia, i crimini
motivati
dal
pregiudizio
saranno
inevitabili
inevitabilmente trattati su un piede di parità con i casi
che non coinvolgano tali motivazioni, e l'indifferenza
che ne risulta sarà equivalente a un'acquiescenza
ufficiale o anche a una connivenza con i crimini d'odio
(vedi Identoba, cit., § 77; e, mutatis mutandis, Ciorcan,
cit., § 167. Inoltre, senza un'indagine significativa
sarebbe difficile per lo Stato resistente applicare
misure dirette a migliorare la protezione di polizia di
simili pacifiche dimostrazioni del futuro così minando
il
pubblico
affidamento
nella
politica
antidiscriminatoria dello Stato.
125 Le considerazioni che precedono sono sufficienti
per consentire alla Corte di concludere che le indagini
nelle denunce sulle denunce di maltrattamento sono
state inefficaci perché sono durate troppo a lungo,
sono state ostacolate da gravi errori, e hanno omesso
di considerare possibili motivi discriminatori. Vi è di
conseguenza stata una violazione dell'articolo 3 -dal
punto di vista procedurale- della Convenzione, in
combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione
su questo punto.
126 Questa conclusione esige che la Corte non deve
esaminare il resto di questo ricorso proposto ai sensi
degli articoli 3 e14 della Convenzione, cioè che la
polizia abbia intenzionalmente protratto le indagini per
motivi omofobici e le allegazioni fatte ai sensi
dell'articolo 8 della Convenzione, dell'articolo 1 del
protocollo numero 12 allegato alla Convenzione…. La
Corte ritiene che questi motivi siano parimenti
ammissibili ma che essendo stata esaminata la
principale questione legale sollevata nel presente
ricorso che così non vi sia necessità di emettere un
separato giudizio sul merito degli altri motivi.’’
D)Opinioni concorrenti e parziale dissenso
E) In un'opinione concorrente il giudice Wojtyczek
ha ritenuto che l'approccio della Corte potrebbe
dare l'impressione, laddove si menziona
l'attitudine negativa della popolazione rumena
nei confronti della comunità LGBTI, che i
parametri usati varino a seconda delle realtà
nazionali esaminate. Al contrario, se l'articolo 3
è applicabile, qualsiasi Autorità nazionale ha il
dovere di stabilire di accertare tutte le
circostanze rilevanti per la responsabilità penale
degli aggressori compreso il movente. Anche il
giudice Kuris ha espresso una breve opinione
parzialmente dissenziente. A suo avviso anche le
doglianze mosse ai sensi degli articoli 8, 11 e 13
CEDU sia separatamente sia in combinato
disposto con l'articolo 14 dovevano essere
esaminate compiutamente. Tale modo di
procedere avrebbe consentito un maggiore
risarcimento del danno avrebbe consentito di
riconoscere un indennizzo maggiore. Più in
generale il giudice dissenziente non ritiene che la
Corte possa arbitrariamente ritenere che non vi
sia necessità di esaminare una o altra parte del
ricorso. [Tale è anche l’opinione di chi scrive].