La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati di
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La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati di
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO – SEZIONE QUARTA – SENTENZA 12 APRILE 2016 NEL RICORSO 12060/12- M.C E A.C. CONTRO ROMANIA – PRES. SAJÒ –OPINIONE CONCORRENTE WOJTYCZEC- OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE KURIS LA ROMANIA HA VIOLATO GLI OBBLIGHI POSITIVI DERIVANTI DAGLI ARTICOLI 1, 3 E 14 DELLA CEDU NON AVENDO, A SEGUITO DI UNA DENUNZIA PENALE PER LESIONI E INTIMIDAZIONE MOTIVATI DA ODIO FONDATO SULL’ORIENTAMENTO SESSUALE DELLE VITTIME, CONDOTTO UNA RAPIDA ED EFFICIENTE INDAGINE SUL CASO, LASCIANDO PRESCRIVERE IL REATO, E NON AVENDO ADOTTATO SPECIFICHE DISPOSIZIONE DI LEGGE PENALE PIÙ GRAVI SUI REATI MOTIVATI DA ODIO FONDATO SU TALE FATTORE DI RISCHIO, TRATTANDOLI SU UN PIANO DI PARITÀ CON QUELLI NON MOTIVATI DA ODIO OMOFOBICO E COSÌ PREVEDENDO UN MINORE TERMINE DI PRESCRIZIONE. Diritti dell’uomo- CEDU- diritto di non subire trattamenti inumani e degradanti- obbligo dello Stato di proibire e punire efficacemente tali trattamenti inflitti a opera di privati- conseguente obbligo di svolgere adeguate indagini e adottare disposizioni di legge speciali- inadempimento dello Stato- sussistenza. (CEDU, artt. 1, 3. 14) La Corte di Strasburgo interpreta gli obblighi positivi degli Stati di impedire trattamenti inumani e degradanti costituenti hate crimes (nella specie, omofobici) nel senso che non è solo necessario svolgere efficienti indagini a seguito della loro denunzia, ma anche che essi non debbano essere trattati su un piano di parità con i delitti non motivati da odio. Roberto de Felice Avvocato dello Stato 1) Nella decisione in commento1, e la cui parte centrale sotto si riassume in fatto e si traduce nella motivazione in diritto, la Corte di Strasburgo evidenzia le potenzialità e la estrema necessità del ricorso alla interpretazione evolutiva. E’ noto che la CEDU, firmata a Roma nel 1950 da un ristretto gruppo di Paesi europei, fu stabilita come garanzia collettiva (rafforzata dalla obbligatoria accettazione della giurisdizione di una Corte permanente, l’esecuzione delle cui decisioni era rimessa al Comitato dei Ministri) in reazione all’orrore suscitato dalle massicce violazioni dei diritti umani perpetrate durante il Secondo Conflitto Mondiale anche da Stati Europei di antica e consolidata civiltà. 2) In questo quadro, la proibizione assoluta della tortura e di trattamenti o pene inumani e degradanti non poteva non riferirsi che ad atti compiuti dalle Autorità degli Stati contraenti o per conto degli stessi. Precisamente, l’intenzione dei conditores era quella di imporre obblighi negativi alle Parti del Trattato. 3) Ma, sin dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che ad essi incombessero altresì obblighi positivi, argomentando dal disposto dell’articolo 1 della Convenzione che fa obbligo agli stessi di applicare e rispettare i diritti sanciti dagli articoli da 2 a 14. Non è sufficiente che uno Stato sia obbligato da un Trattato a rispettare certi comportamenti; invero, sin da prima della Seconda guerra Mondiale esistevano strumenti che sancivano l’esistenza di determinati diritti umani, rimasti lettera morta in quelle tragiche circostanze. Occorre che i singoli ordinamenti nazionali vietino e sanzionino quelle condotte, e una parte non piccola di questa serie di obblighi positivi è l’approntamento di un efficiente meccanismo interno di tali violazioni. Meccanismo o procedura che proprio nel caso di specie si è rivelato totalmente inefficace. 4) Ma l’opera interpretativa della Corte non si è limitata a fare emergere gli obblighi positivi, bensì ha provveduto a un significativo ampliamento della tutela di tali diritti, concepiti in una dimensione verticale (uno Stato non può violarli, o non 1 Vedi il testo integrale qui: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-161982 deve tollerare che suo agenti lo facciano, punendoli, nei confronti degli esseri umani soggetti alla sua giurisdizione) in una dimensione orizzontale degli stessi. Uno Stato deve altresì sanzionare tali violazioni se poste in essere da privati nei confronti di privati. Ora, e con riferimento all’articolo 3 della CEDU, è difficilmente pensabile che possa essere infranto il monopolio statale della pena o delle indagini (in cui la tortura è vietata) ma ben possono essere inflitti trattamenti inumani o degradanti al di fuori del framework dei pubblici poteri. Questo è esattamente il caso di specie, preceduto da una massiccia serie di precedenti della Corte. 5) Nella sua dimensione verticale, l’articolo 3, verticalmente inteso, deve comportare la abrogazione di leggi o prassi che consentano espressamente l’inflizione di tali maltrattamenti ( come ad esempio nei rapporti familiari; la memoria corre alla severa denunzia di Antolisei della giustificazione operata dalla nostra Cassazione penale della maritalis districtio). In quella orizzontale, comporta non solo l’espresso divieto, ma l’efficace punizione ed effettivo accertamento dell’atto vietato da parte dello Stato stesso. 6) La decisione aggiunge al quadro la particolare valenza lesiva di siffatti maltrattamenti, se motivati da odio discriminatorio, e quindi costituenti degli hate crimes. Invero, la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale con riguardo al diritto di non subire tali trattamenti è vietata dall’articolo 14 della CEDU e, nel caso della Romania, dall’articolo 1 del Protocollo Addizionale 12 alla CEDU, da quello Stato, ma non dall’Italia, ratificato. 7) La stessa si riallaccia al precedente Identoba v Georgia, concernete l’affermazione della responsabilità dello Stato ai sensi dell’articolo 3 e 11 in combinato disposto con l’articolo 14 CEDU per avere detto Stato omesso di disporre idonea vigilanza e tutela di polizia al Gay Pride di Tbilisi, attaccato da violenti manifestanti religiosi, così ledendo tanto i suoi obblighi positivi al fine di evitare l’inflizione di trattamenti degradanti, tanto il diritto alla libertà di riunione e di associazione. Sono molto importanti (e costituiscono precedente) espressioni identiche nelle due sentenze, che identificano nella complessa condotta di percosse accompagnate da umilianti espressioni omofobiche un comportamento complessivo tale da superare la soglia di gravità richiesta per invocare l’articolo 3, poiché tale condotta induce a intimidire le vittime dalla partecipazione a ulteriori manifestazioni di supporto della comunità LGBTI. 8) La differenza tra i due casi sorge dalla paradossale circostanza della esistenza, in Georgia, di una non applicata normativa contro i delitti d’odio. Questo caso spicca per la affermazione netta che la omessa previsione di norme penali specifiche su tali crimini: trattarli su un piede di parità con altre condotte di percosse non è un esatto adempimento dell’articolo 3 e dei suoi obblighi positivi, perché il crimine di odio è peculiarmente distruttivo della cornice dei valori tutelati dalla Convenzione. Tra di essi spicca il diritto di chiunque al rispetto della propria vita privata, nozione comprendente anche gli aspetti fondamentali della sua personalità, quali l’orientamento sessuale, ai sensi dell’articolo 8. Anzi conduce all’impressione della connivenza con i gruppi di haters, tradottasi in pratica nella prescrizione del reato. 9) La lezione che quindi si trae dalla decisione in commento è che gli ordinamenti nazionali devono punire in modo specificamente qualificato e – data l’allusione alla prescrizione che generalmente è in proporzione diretta con la pena edittale- più grave i crimini di odio motivati da discriminazione etnica, razziale, religiosa, di origine nazionale, orientamento sessuale, identità di genere e ogni altro fattore di rischio individuato dalla giurisprudenza. Non importa – si aggiunge in questa sede – se l’aumento di pena debba conseguire a un’autonoma fattispecie di reato, al concorso di altro reato o a una circostanza aggravante, quello che è essenziale è che la speciale previsione funzioni è che siano effettive le relative indagini. 10) Un crimine d’odio è un’offesa della legge penale il cui motivo essenziale è colpire il membro di una comunità o minoranza che ha in comune un fattore di rischio (comunemente, sesso, razza e religione; nel diritto elaborato dalla Corte di Strasburgo va incluso l’orientamento sessuale). Tale definizione è quella dell’OCSE/ODIR2, che specifica come gli effetti del crimine di odio, motivato dalla volontà di colpire la vittima come membro di un gruppo, si estende all’intero gruppo e di fatto impedisce l’integrazione dell’intera società; dunque il danno prodotto dal crimine di odio è estremamente più grave di quello di una condotta criminale non motivata da odio. Il fattore di rischio potrebbe anche solo essere ‘’percepito’’ e non reale (caso dell’uomo confuso per omosessuale o ebreo senza esserlo) senza che ciò cambi la 2 http://www.osce.org/odihr/36426?download=true maggiore gravità del fatto. Il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione 31 marzo 2010 del Comitato dei Ministri CM/Rec (2010)5 stabilisce delle linee guida contro la discriminazione per i fattori di rischio ‘’identità di genere ‘’ e ‘’orientamento sessuale’’ statuendo: Gli Stati membri dovrebbero garantire che, nella determinazione della pena, possa costituire circostanza aggravante la motivazione legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Nulla prevede in merito il Codice Penale Italiano, vaga essendo la circostanza aggravante dei ‘’motivi abietti o futili’’ ivi prevista dall’art 61, n 1 ( al contrario e paradossalmente il reato dell’immigrato clandestino è sempre aggravato ex art 61 n 11 bis); tale circostanza peraltro può essere elisa dal giudizio di comparazione ( art 69 cp) con un’attenuante qualsiasi, non essendo una circostanza a effetto speciale ( artt 63 co 4 e 69 cp). Il chiaro intento della raccomandazione in commento è quello di aggravare in ogni caso la pena sicché essa non potrebbe essere attuata che da una circostanza aggravante a effetto speciale. 11) Il tentativo del legislatore italiano di introdurre disposizioni antiomofobiche ( ddl 245 Camera, Scalfarotto, modificato più volte dal testo originario, che includeva la fattispecie negli artt 3 L 654/75 quanto all’istigazione all’odio o alla violenza di radice omofobica, e 3 DL 122/93 per le altre fattispecie, approvato alla Camera il 19 settembre 2013, con significative mutilazioni anche soppressive dell’aggravante speciale) langue immeritatamente al Senato ( dove il partito dichiaratamente progressista di Governo ha una mera maggioranza relativa, minata dall’appartenenza di molti senatori a frange cattoliche estremiste) dove può dirsi abortito. 12) Deve dunque essere presagita una condanna dell’Italia, qualora anche qui denunzie per reati di odio, in carenza di circostanze che non vedrebbero un significativo aggravamento di pena di un reato di breve prescrizione come le percosse, trovassero come esito l’estinzione (evitabile invece se, come nel testo originario del ddl 245 fosse estesa agli hate crimes omofobici l’aggravante ex art 3 DL 122/93 che comporta un aumento di pena della metà nei delitti motivati da odio religioso, etnico etc, e non può essere ritenuta suvvalente alle attenuanti) per le stesse ragioni per cui lo è stata la Repubblica di Romania. 13) Infatti, ogni volta che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo faccia gemmare dal tronco della CEDU per interpretazione un nuovo dovere dello Stato, il portato normativo della stessa si amplia in misura corrispondente per tutti gli Stati contraenti. Tale efficacia interpretativa erga omnes risulta dalle chiare espressioni della Corte Costituzionale nelle sentenze 348 e 349 del 2007: ‘’La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Difatti l'art. 32, paragrafo 1, stabilisce: «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47». Poiché le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall'art. 32, paragrafo 1, della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. Non si può parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia’’ Si deve dunque concludere che è già attuale per l’Italia aggravare le pene per gli hate crimes motivati dall’orientamento sessuale della vittima. *** A)La decisione. I fatti rilevanti Con sentenza del 12 aprile 2012 la Quarta sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato la Romania per violazione dell'articolo 3 e dell’art 14 CEDU. Nel proprio ricorso, due cittadini romeni esponevano che il 3 giugno dell'anno 2006 avevano partecipato al Gay Pride di Bucarest. Alla manifestazione era stata accordata la autorizzazione e la protezione della polizia. Verso le sette di sera, alla fine del Corteo, i ricorrenti e quattro altri manifestanti lasciavano l'area della manifestazione preoccupandosi di non recare con sé distintivi o insegne di qualunque tipo che li avrebbero identificati come partecipanti alla marcia, così come raccomandato dalla polizia. Eppure erano attaccati da un gruppo formato da sei uomini e una donna incappucciati a bordo della locale metropolitana, venendo altresì insultati come ‘’finocchi’’ e invitati a trasferirsi in Olanda da quei soggetti, che brandivano sbarre di ferro. Le vittime si recarono immediatamente al pronto soccorso che diagnosticava al primo ricorrente escoriazioni che non richiedevano giorni di prognosi e al secondo contusioni multiple con una prognosi di due giorni. A) La stessa notte le vittime sporgevano denuncia alla stazione di polizia numero 25 della città di Bucarest. Nella denuncia specificavano che gli attaccanti avevano dovuto riconoscerli nella folla mentre partecipavano alla parata, pertanto ritenevano di essere stati identificati in quell'occasione. Riferivano alla polizia anche degli insulti ricevuti durante l'aggressione. Nel ricorso alla Corte di Strasburgo le parti affermano che gli agenti di polizia si erano dimostrati così sorpresi, dopo aver appreso che le vittime, benché omosessuali, erano individui con persone con un lavoro regolare e posizioni di responsabilità, in condizioni di relativo benessere, che avevano cercato di dissuaderli dal presentare una denuncia avvertendoli anche che avrebbero dovuto sottoporsi a confronto con i loro aggressori in tribunale. Il 5 giugno l'avvocato dei ricorrenti produceva numerose fotografie dell'attacco riprese da un fotografo presente per puro caso sul luogo. In alcune fotografie i volti degli aggressori erano visibili. Tuttavia la denuncia, a seguito di una riorganizzazione delle forze di polizia sul territorio, era stata più volte trasmessa da un commissariato all'altro finché il 4 aprile dell'anno successivo era stata registrata presso la Questura di Bucarest. I ricorrenti avevano chiesto informazioni per iscritto sull'andamento delle indagini e avevano anche, in un esposto al Ministro degli Interni, lamentato la mancanza di efficaci investigazioni sul caso. Emergeva, tra l'altro, che un agente delle forze di sicurezza era stato identificato tra gli aggressori. Le indagini languirono benché fosse stata prodotta una lista di 45 persone multate dalla polizia durante il Pride del 2006. Il fatto che uno di essi fosse un fan dello Steaua aveva portato la polizia anche a frequentare le partite di calcio tra la tifoseria dello Steaua per tentare di identificare il medesimo e altri aggressori. Il 9 agosto 2011, infine, la Questura informava i ricorrenti che non aveva intenzione di procedere penalmente a causa della intervenuta prescrizione. Nella nota la polizia spiegava che le indagini erano state rese difficili dall'iniziale smarrimento della denuncia. La decisione delle forze di polizia era confermata- su reclamo- dal procuratore della Repubblica di Bucarest il 4 ottobre successivo, e il 18 giugno del 2012 dal procuratore generale su ricorso gerarchico avverso la decisione del primo magistrato. Anche la decisione del procuratore generale, opposta, era confermata dal tribunale di Bucarest il 9 agosto del 2012 che in motivazione ammetteva che le indagini erano state condotte con scarsa diligenza, ma che era necessario in ogni caso applicare la prescrizione. B) Esattamente due mesi dopo i fatti, l'11 agosto del 2006, l'articolo 317 del codice penale rumeno era stato modificato nel senso che segue: Incitare all'odio sulla base della razza, della nazionalità, dell'origine etnica, della lingua, della religione, del sesso, dell'orientamento sessuale, delle opinioni, delle opinioni politiche, delle convinzioni, della ricchezza, dell'origine sociale, dell'età, della disabilità, della malattia o della affezione dal virus dell'Hiv, è punibile con la detenzione da sei mesi a tre anni o con una multa. Questo articolo del codice, non presente neanche in una pallida imitazione nel diritto penale italiano, era tuttavia entrato in vigore dopo i fatti e quindi non poteva funzionare bene non poteva essere applicato nel senso di rendere più lungo il termine di prescrizione del reato. Va però sottolineato che i denunzianti avevano richiesto di qualificare il reato anche sotto il più grave titolo della associazione per delinquere, che non si sarebbe prescritto in quei brevi termini. C) La sentenza, a questo punto, esamina un'indagine condotta dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa sulla discriminazione fondata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere. Quest’indagine evidenziava dati particolarmente sfavorevoli, con riferimento alla Romania, in ordine alla tolleranza delle persone omosessuali. B)Le eccezioni preliminari D) I ricorrenti avevano lamentato la violazione degli articoli 3,6,8 e 14 della Convenzione e dell'articolo 1 del protocollo 12 alla stessa, con relazione all'inadempimento del dovere di indagare in modo adeguato sulla loro denuncia penale. Rispondendo alle deduzioni del Governo in sede preliminare la Corte, con riferimento all'esaurimento dei rimedi interni richiesto dalla Convenzione prima di poter proporre ricorso alla stessa ricorda che è necessario che nello Stato in cui si lamenta sia avvenuta la violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione di cui al ricorso l'esistenza dei rimedi in questione deve essere sufficientemente certa non solo in teoria ma anche in pratica. La regola, inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte deve essere interpretata con una una certa flessibilità e senza eccessivi formalismi. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che il rimedio concesso dall'ordinamento rumeno alle parti, la denuncia penale, era del tutto inefficace e tale si era dimostrata, in quanto le Autorità non avevano indagato in modo sufficiente. Per quanto riguarda il termine di decadenza del ricorso alla Corte di sei mesi, che decorrerebbe dalla data della decisione finale nel procedimento interno, appare evidente che se non vi è un rimedio effettivo il termine decorre dalla data degli atti di cui il ricorrente a Strasburgo si duole. Ma quando una situazione è continuativa il termine stesso decorre solo dalla fine della continuativa violazione del diritto. Esisteva già un precedente in cui la Corte aveva ritenuto che la negligenza nelle investigazioni di polizia, in questo caso in un ricorso riguardante la Turchia, non può che far decorrere il termine dal momento in cui le parti siano debbano essere consapevoli della mancanza di ogni efficace indagine penale. Nel caso di specie i ricorrenti erano stati tempestivi nel denunciare e diligenti nel produrre alle Autorità di polizia tutti i documenti probatori in loro possesso, come le fotografie menzionate. Peraltro è normale che le indagini siano segrete perché le Autorità di polizia agiscono di loro iniziativa, ma, nel caso di specie, il termine doveva ritenersi decorrere dal 9 agosto 2012, data della decisione del tribunale di Bucarest sulla opposizione alla archiviazione confermata dal procuratore generale, e il ricorso era stato proposto alcuni mesi prima. C)Il merito Accogliendo il ricorso, la Corte motiva come di seguito. La traduzione è a cura dell’Autore della nota a sentenza. ‘’Valutazione della Corte oggetto della causa 105. La Corte ritiene che il dovere delle Autorità di prevenire la violenza motivata dall'odio da parte di privati e di indagare sull'esistenza di ogni possibile motivo discriminatorio dietro l'atto di violenza possa essere compreso tra gli obblighi positivi previsti negli articoli 3 e 8 della Convenzione, ma che possa anche essere ritenuto formar parte degli obblighi positivi delle Autorità ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione per assicurare tutelare i valori fondamentali protetti dagli articoli 3 e 8 senza discriminazioni (vedi Ciorcan e altri v. Romania, nn. 29414/09 e 44841/09, § 158, 27 gennaio 2015; Identoba e altri v. Georgia, n. 73235/12, §§ 63 and 64, 12 Maggio 2015; Bekos e Koutropoulos v. Grecia, n. 15250/02, § 70, ECHR 2005-XIII (per estratto); B.S. v. Spagna, n. 47159/08, §§ 59-63, 24 luglio 2012; e confronta con Begheluri e altri v. Georgia, n. 28490/02, §§ 171-79, 7 Ottobre 2014). A causa della connessione delle suddette previsioni, questioni come quelle del presente caso possono invero essere esaminate ai sensi di una soltanto di queste due previsioni, non sorgendo alcuna questione separata ai sensi delle altre, o possono richiedere un esame contestuale alla luce di diversi articoli. Questo punto deve essere deciso in ciascun caso alla luce dei suoi fatti e della natura delle allegazioni fatte. 106. Nelle circostanze particolari del presente caso, alla luce delle allegazioni dei ricorrenti che la violenza perpetrata contro di loro aveva implicazioni omofobiche che sono stati completamente trascurati nelle indagini dalle Autorità, la Corte ritiene che il modo più appropriato di procedere sia sottoporre le doglianze dei ricorrenti a un doppio contemporaneo esame ai sensi degli articoli 3 e 8 in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione (vedi Identoba, cit., § 64) e, se occorra, con l’art 1 del Protocollo addizionale 12 alla Convenzione. Principi generali 107. La Corte ribadisce sin dall’inizio, che un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità per essere ricompreso nello scopo dell'articolo 3. La valutazione di questo minimo è relativa: dipende da tutte le circostanze del caso, come la natura e il contesto del maltrattamento, la sua durata, i suoi effetti mentali e fisici, e, in alcuni casi il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima ( vedi ad es., Bouyid v. Belgio [GC], n. 23380/09, § 86, ECHR 2015; M. e M. v. Croatia, n. 10161/13, § 131, 3 Settembre 2015; A. v. Regno Unito, 23 Settembre 1998, § 20, Reports of Judgments and Decisions 1998-VI; and CostelloRoberts v. Regno Unito, 25 Marzo 1993, § 30, Series A n. 247-C). 108. La Corte ha ritenuto che un trattamento sia degradante, e così ricada nell’ambito del divieto sancito nell'articolo 3 della Convenzione, se causa della sua vittima sentimenti di paura e angoscia inferiorità (vedi ad es., Irlanda v. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 167, Series A n. 25, e Stanev v. Bulgaria [GC], n. 36760/06, § 203, ECHR 2012), se umilia o degrada un individuo ( umiliazione agli occhi del medesimo, vedi Raninen v. Finlandia, 16 dicembre 1997, § 32, Reports 1997-VIII, e/o o nei confronti di altri, vedi Gutsanovi v. Bulgaria, no. 34529/10, § 136, ECHR 2013) ne fosse questo il fine o meno (vedi Labita v. Italia [GC], n. 26772/95, § 120, ECHR 2000-IV), se spezza la resistenza fisica o morale della persona o la induce ad agire contro la sua volontà o la sua coscienza ( vedi Jalloh v. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, ECHR 2006-IX), o se mostra una mancanza di rispetto per la dignità umana o la sminuisce (vedi Svinarenko e Slyadnev v. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, §§ 118 and 138, 17 luglio 2014). 109. L'obbligo delle Alte Parti Contraenti ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di proteggere per tutti all'interno delle proprie giurisdizioni i diritti e le libertà definiti nella Convenzione, considerato insieme all'articolo 3, richiede che gli Stati prendano misure che mirino ad assicurare che gli individui all'interno della loro giurisdizione non siano soggetti a maltrattamenti, inclusi maltrattamenti procurati da privati (vedi M.C. v. Bulgaria, n. 39272/98, § 149, ECHR 2003-XII, confermata più di recente da O’Keeffe v. Irlanda [GC], n. 35810/09, § 144, ECHR 2014). 110. Inoltre, l’assenza di una qualsiasi responsabilità diretta dello Stato per atti di violenza di tale gravità, al fine di applicare l'articolo 3 della Convenzione non libera lo Stato da tutti gli obblighi previsti da questo articolo. In tali casi l'articolo 3 richiede che le Autorità conducano una indagine ufficiale ed effettiva sull'allegato maltrattamento anche se tale maltrattamento è stato inflitto da privati (vedi M.C., cit., § 151; C.A.S. e C.S. v. Romania, n. 26692/05, § 69, 20 marzo 2012; e Denis Vasilyev v. Russia, n. 32704/04, §§ 98-99, 17 dicembre 2009). 111. Anche se lo scopo delle obbligazioni positive dello Stato potrebbe differire tra i casi in cui il trattamento contrario all'articolo 3 è stato inflitto mediante il coinvolgimento di agenti dello Stato e i casi in cui la violenza è stata inflitta da privati, i requisiti che concernono un'indagine ufficiale sono simili. Perché l'indagine sia considerata effettiva, dovrebbe in linea di principio poter condurre all'accertamento dei fatti del caso e alla identificazione e punizione dei responsabili. Questo non è un obbligo quanto al risultato da raggiungere ma quanto ai mezzi da impiegare. Le Autorità devono avere preso le iniziative loro ragionevolmente disponibili per assicurare la prova concernente l'incidente, incluso interrogare i testimoni oculari, la polizia scientifica e così via. Ogni mancanza nelle indagini che mini la loro capacità di stabilire le cause dei maltrattamenti o l'identità delle persone responsabili rischia di violare questo standard, e un requisito di puntualità e ragionevole speditezza è implicito in questo contesto. Nei casi di cui all'articolo 3 della Convenzione in cui l'efficacia delle indagini ufficiali è stata in questione la Corte ha spesso valutato se le Autorità abbiano reagito prontamente alle denunce a tempo debito. E’ stata data importanza all'apertura delle indagini, alle lungaggini nell'assunzione di dichiarazioni e alla lunghezza del tempo impiegato per le indagini preliminari (vedi Bouyid, cit., §§ 119-123; Mocanu e altri, cit., § 322; Identoba, cit., § 66; Begheluri, cit., § 99; Denis Vasilyev, cit., § 100 con ulteriori citazioni; e Stoica v. Romania, n. 42722/02, § 67, 4 marzo 2008). Una pronta risposta da parte delle Autorità nell'indagare le denunce di maltrattamenti può in linea generale essere considerata essenziale per mantenere la fiducia pubblica nell'applicazione della legge e nella prevenzione di ogni apparenza di collusione o di tolleranza di atti illeciti. La tolleranza da parte delle Autorità nei confronti di tali atti non può che minare la pubblica fiducia nel principio di legalità e il rispetto da parte dello Stato della legge (vedi Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani e altri v. Georgia, n. 71156/01, § 97, 3 maggio 2007). 112. Inoltre, quando l'indagine ufficiale ha condotto alla instaurazione di procedimenti nelle corti nazionali i procedimenti nel loro complesso, incluso il dibattimento, devono soddisfare i requisiti dell'articolo 3 della Convenzione. Sotto questo aspetto la Corte ha già ritenuto che i meccanismi di protezione disponibili ai sensi della legge nazionale dovrebbero operare in pratica in un modo che consenta l'esame del merito di un caso particolare entro un tempo ragionevole (vedi, ad es., W. v. Slovenia, n. 24125/06, § 65, 23 gennaio 2014). 113. Quando si indaga su incidenti di natura violenta, come maltrattamenti, le Autorità dello Stato hanno il dovere di adottare tutte le misure ragionevoli per scoprire ogni possibile motivo discriminatorio, che, questa Corte ammette, è un compito difficile. L'obbligo dello Stato resistente di indagare possibili motivi discriminatori per un atto violento è un obbligo di usare i suoi mezzi migliori per fare ciò, e non è assoluto. Le Autorità devono fare tutto ciò che è ragionevole nelle circostanze per raccogliere e assicurare le prove, per esplorare tutti i mezzi empirici di scoperta della verità, e per emettere decisioni pienamente motivate imparziali e obiettive, senza omettere fatti sospetti che possono essere indicativi di violenza indotta per esempio da intolleranza razziale o religiosa, o violenza motivata da discriminazione basata sul genere (vedi Nachova e altri v. Bulgaria [GC], nn. 43577/98 and 43579/98, § 160, ECHR 2005-VII; Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani e altri v. Georgia,, §§ 138-42, cit.; e Mudric v. Repubblica di Moldavia, n. 74839/10, §§ 6064, 16 luglio 2013, recentemente ribadita in in Identoba, cit., § 67). Il fatto di trattare la violenza e la brutalità che sorgano da attitudini discriminatorie su un piede di parità con la violenza che accada in casi che non abbiano tali circostanze sarebbe ignorare la specifica natura di atti che sono peculiarmente lesivi dei diritti fondamentali. Una omissione di operare una distinzione nel modo in cui situazioni che sono essenzialmente differenti siano trattate può costituire un trattamento ingiustificato inconciliabile con l'articolo 14 della Convenzione (vedi, per esempio, Begheluri , cit., § 173). 114. Inoltre, gli obblighi positivi dello Stato sono impliciti nel diritto all'effettivo rispetto della vita privata ai sensi dell'articolo 8; questi obblighi possono includere l'adozione di misure anche nella sfera delle relazioni degli individui tra loro. Mentre la scelta dei mezzi per assicurare l'adempimento dell'articolo 8 nella sfera di protezione contro atti di privati è in linea di principio all'interno del margine di apprezzamento dello Stato, la deterrenza effettiva contro atti gravi, dove sono in gioco valori fondamentali ed aspetti essenziali della vita privata richiede efficaci previsioni della legge penale. I bambini e altri individui vulnerabili, in particolare, hanno diritto a un'effettiva protezione (vedi, particolarmente, Söderman v. Svezia [GC], n. 5786/08, § 81, ECHR 2013; C.A.S. e C.S., § 71 e M.C., § 150, decisioni sopra citt.; e, mutatis mutandis, O’Keeffe, § 144, e Identoba ¸ §§ 72-73 e 94, decisioni sopra citt.). 115. La Corte ribadisce di non avere escluso la possibilità che l'obbligo positivo dello Stato ai sensi dell'articolo 8 di salvaguardare l'integrità fisica dell'individuo possa estendersi a questioni relative alla natura effettiva di un'indagine penale ( vedi C.A.S. e C.S., § 72 e M.C., § 152, decisioni sopra citt.). Applicazione di questi principi al presente caso soglia di severità 116. Poiché i ricorrenti hanno lamentato che le Autorità hanno omesso di condurre un'indagine effettiva sulle loro denunce che la violenza perpetrata nei loro confronti aveva avuto riflessi omofobici, la Corte nota che i ricorrenti sono stati attaccati sulla via del ritorno a casa da una marcia gay. La marcia stessa era stata accompagnata da contromanifestazioni che, nonostante la protezione della polizia accordata ai partecipanti, terminarono nell'applicazione di multe a numerosi individui per avere disturbato l'evento. I ricorrenti furono attaccati da un gruppo di persone che, i ricorrenti credono, li avevano osservati durante la marcia e poi seguiti nella metropolitana. Gli attaccanti si erano diretti immediatamente contro di loro e gli avevano maltrattati tanto fisicamente quanto verbalmente. Entrambi i ricorrenti hanno riportato ferite e si sono sottoposti a terapia di gruppo per affrontare il trauma psicologico sofferto. Hanno descritto i sentimenti di degradazione ansietà e senso di pericolo che hanno sofferto a causa dell'attacco. 117. La Corte ritiene che il fine del maltrattamento fisico e verbale era probabilmente spaventare i ricorrenti così da farli desistere dalla loro pubblica espressione di supporto per la comunità LGBTQI( vedi Identoba, cit., §70). I sentimenti di stress emotivo dei ricorrenti devono essere stati esacerbati dal fatto che, benché avessero seguito alla lettera le istruzioni emesse dagli organizzatori della marcia al fine di evitare di divenire vittime di aggressione e non avessero marchi distintivi su di loro, furono attaccati a causa della loro partecipazione alla marcia gay e così perché stavano esercitando diritti garantiti dalla Convenzione. 118. Ricordando le relazioni di cui ai paragrafi 46 e 101 la Corte riconosce che la comunità gay lesbica bisex transessuale nello Stato resistente si trova in una situazione precaria essendo soggetta ad attitudini negative nei confronti dei suoi membri. 119. Alla luce di quanto precede la Corte conclude che il trattamento, descritto in modo convincente dai ricorrenti al quale furono soggetti fu diretto contro la loro identità e deve necessariamente avere suscitato in loro sentimenti di paura, angoscia e insicurezza (confronta Identoba, cit., § 71, e Begheluri, cit., §§ 108 e 117) non era compatibile con il rispetto per la loro dignità umana e raggiungeva la soglia di severità richiesta per essere ricompreso nell'ambito dell'articolo 3 letto in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione. Effettività delle indagini 120. La Corte ribadisce che i ricorrenti avevano sporto una denuncia penale la notte degli incidenti e che entro alcuni giorni avevano prodotto tutte le prove a loro disposizione, che a loro vedere, rendevano possibile l'identificazione di alcuni dei membri del gruppo degli aggressori. Tuttavia nessun passo significativo fu preso nell'indagine per un periodo di quasi un anno dal giugno del 2006, la data in cui fu sporta la denuncia penale, all'aprile 2007, la data in cui il fascicolo fu alla fine assegnato alla Questura. Anche al tempo in cui le indagini erano state ufficialmente concluse dal pubblico ministero, oltre cinque anni dopo l'iniziale denuncia penale, la polizia non aveva ancora identificato i malfattori. Inoltre la Corte non può ignorare che durante l'indagine vi furono notevoli periodi di inattività da parte delle Autorità. L'intero processo durò fino al 9 agosto 2012, cioè un tempo complessivo di più di sei anni, un periodo di tempo che non solo è capace di minare un'indagine, ma anche di compromettere definitivamente le sue chances di essere mai completato. 121. La Corte è disposta ad accettare l'obiezione che l'indagine possa non essere stata facile, dato il significativo numero di persone coinvolte nella contromanifestazione e i passi necessari per identificarle; inoltre i cambiamenti organizzativi all'interno delle forze di polizia avevano aggiunto delle difficoltà alla soluzione del caso. I cambiamenti organizzativi e la ristrutturazione, tuttavia, non sospendono gli obblighi dello Stato ai sensi della Convenzione. Inoltre, la Corte nota numerosi errori nell'indagine, alcuni dei quali riconosciuti dalle stesse Autorità nazionali. In particolare si deve notare che durante le indagini la polizia non ha fatto altro che ascoltare un testimone oltre ad assistere a 29 partite di calcio e a fare controlli casuali alle stazioni della metropolitana in cinque occasioni. Non sembra che abbia fatto uso in qualche modo significativo delle prove addotte dai ricorrenti, in special modo le dichiarazioni, le fotografie e l'identificazione di alcuni individui nel gruppo degli attaccanti. La Corte, in particolare, nota che, anche se i ricorrenti avessero identificato alcuni degli attaccanti, le Autorità nazionali e il Governo nei loro scritti avanti la Corte hanno continuato a sostenere l'impossibilità di condurre un'indagine nel presente caso in ragione della impossibilità di identificare gli autori della violenza (vedi Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani, cit., § 118). Inoltre, la Corte non può accettare che le gli atti di indagine intrapresi dalle Autorità nazionali possano essere ritenuti passi appropriati verso l'identificazione e la punizione dei responsabili dell'incidente, in particolare perché queste misure furono adottate molto tempo dopo gli eventi iniziali. 122. Inoltre, si deve notare che in nessun momento le Autorità iniziarono indagini penali contro i sospetti responsabili. La Corte ha già stabilito che l'omissione di aprire indagini penali anche se il maltrattamento è stato inflitto da agenti dello Stato, può compromettere la validità delle prove raccolte durante le fasi preliminari delle indagini stesse. La Corte non trova alcuna ragione di giudicare diversamente nelle circostanze del caso presente, dove il maltrattamento fu perpetrato da privati, ma le indagini ricadevano degli obblighi positivi dello Stato ai sensi e nel rispetto dell'articolo 3. 123. La Corte osserva che, protraendo le indagini, le Autorità nazionali hanno anche consentito che fossero applicate le disposizioni sulla prescrizione (vedi Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani, cit., § 119). Hanno rifiutato di esaminare i fatti ai sensi di ogni altro articolo del codice penale nonostante la richiesta espressa dei ricorrenti a questo fine, che rimase senza esito. La Corte nota che la richiesta dei ricorrenti non era senza fondamento, poiché ci potevano essere altre previsioni del codice penale che avrebbero potuto meglio descrivere i crimini oggetto di indagine. 124. In modo più significativo su questo punto, la Corte ritiene che le Autorità non hanno assunto i passi necessari al fine di esaminare il ruolo svolto da possibili moventi omofobici alla radice dell'attacco. La necessità di condurre un'indagine significativa sulla possibilità di discriminazione alla radice dei motivi dell'attacco era indispensabile data l'ostilità contro la comunità LGBTQI nello Stato resistente alla luce delle affermazioni dei ricorrenti che discorsi d'odio, che erano chiaramente omofobici erano stati pronunciati dagli assalitori durante l'incidente. Le Autorità avrebbero avuto dovuto agire in tal senso nonostante il fatto che l'istigazione ai discorsi d'odio non fosse punibile al tempo in cui gli incidenti si verificarono, poiché i reati potevano essere classificati in un modo che avrebbe consentito una effettiva amministrazione della giustizia. La Corte ritiene che senza un approccio rigoroso da parte delle Autorità di polizia, i crimini motivati dal pregiudizio saranno inevitabili inevitabilmente trattati su un piede di parità con i casi che non coinvolgano tali motivazioni, e l'indifferenza che ne risulta sarà equivalente a un'acquiescenza ufficiale o anche a una connivenza con i crimini d'odio (vedi Identoba, cit., § 77; e, mutatis mutandis, Ciorcan, cit., § 167. Inoltre, senza un'indagine significativa sarebbe difficile per lo Stato resistente applicare misure dirette a migliorare la protezione di polizia di simili pacifiche dimostrazioni del futuro così minando il pubblico affidamento nella politica antidiscriminatoria dello Stato. 125 Le considerazioni che precedono sono sufficienti per consentire alla Corte di concludere che le indagini nelle denunce sulle denunce di maltrattamento sono state inefficaci perché sono durate troppo a lungo, sono state ostacolate da gravi errori, e hanno omesso di considerare possibili motivi discriminatori. Vi è di conseguenza stata una violazione dell'articolo 3 -dal punto di vista procedurale- della Convenzione, in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione su questo punto. 126 Questa conclusione esige che la Corte non deve esaminare il resto di questo ricorso proposto ai sensi degli articoli 3 e14 della Convenzione, cioè che la polizia abbia intenzionalmente protratto le indagini per motivi omofobici e le allegazioni fatte ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, dell'articolo 1 del protocollo numero 12 allegato alla Convenzione…. La Corte ritiene che questi motivi siano parimenti ammissibili ma che essendo stata esaminata la principale questione legale sollevata nel presente ricorso che così non vi sia necessità di emettere un separato giudizio sul merito degli altri motivi.’’ D)Opinioni concorrenti e parziale dissenso E) In un'opinione concorrente il giudice Wojtyczek ha ritenuto che l'approccio della Corte potrebbe dare l'impressione, laddove si menziona l'attitudine negativa della popolazione rumena nei confronti della comunità LGBTI, che i parametri usati varino a seconda delle realtà nazionali esaminate. Al contrario, se l'articolo 3 è applicabile, qualsiasi Autorità nazionale ha il dovere di stabilire di accertare tutte le circostanze rilevanti per la responsabilità penale degli aggressori compreso il movente. Anche il giudice Kuris ha espresso una breve opinione parzialmente dissenziente. A suo avviso anche le doglianze mosse ai sensi degli articoli 8, 11 e 13 CEDU sia separatamente sia in combinato disposto con l'articolo 14 dovevano essere esaminate compiutamente. Tale modo di procedere avrebbe consentito un maggiore risarcimento del danno avrebbe consentito di riconoscere un indennizzo maggiore. Più in generale il giudice dissenziente non ritiene che la Corte possa arbitrariamente ritenere che non vi sia necessità di esaminare una o altra parte del ricorso. [Tale è anche l’opinione di chi scrive].