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cinemavvenire.it - Seminario 2001: Analisi del film "I 400 colpi" - [20/08/2001] 03/04/08 07:38 Tutto quello che avreste voluto sapere sul cinema e non avete mai osato chiedere... Home Utilità Contatti: 10955 Versione stampabile Articoli Associazione 03/04/2008 7.38.05 GMT + 1 Chat Forum I 400 colpi, di François Truffaut Seminario 2001: Analisi del film "I 400 colpi" lunedì 20 agosto 2001 di Gianluca Gibilaro Immagini Film d’esordio di François Truffaut, I quattrocento colpi enuncia con sorprendente chiarezza temi e modi di tutta l’opera del regista francese. Nel 1957 Truffaut scriveva sui Cahiers du cinéma: "… Il film di domani mi appare più personale ancora di un romanzo, individuale e autobiografico come una confessione o come un diario. I giovani registi si esprimeranno in prima persona e ci racconteranno del loro primo amore o di uno più recente, una presa di coscienza dinanzi alla politica, un racconto di viaggio, una malattia, il loro servizio militare, il loro matrimonio, le loro ultime vacanze, e ciò piacerà per forza perché sarà autentico e nuovo… Il film di domani sarà un atto d’amore". Un inno a quella "rivoluzione della sincerità"che trova ne I quattrocento colpi il suo primo esempio: il film sembra infatti tradurre in pratica senza ulteriori filtri o mediazioni le istanze teoriche (e polemiche) che il giovane critico andava esprimendo da qualche tempo sulle pagine dei Cahiers. L’autobiografia, nell’ipotesi di Truffaut, rappresenta dunque la possibilità (l’unica possibilità) di esprimere idee e sentimenti autentici perché soggettivamente sentiti: ecco che allora, dal punto di vista linguistico, una delle questioni più interessanti da indagare è proprio il meccanismo dell’espressione della soggettività e della messa in atto di quel dialogo con lo spettatore che nel cinema di Truffaut si fa confronto e presa di posizione sulla totalità dell’esperienza umana. Truffaut sgombera immediatamente il campo dalla possibile confusione fra macchina da presa soggettiva e cinema soggettivo: "la cinepresa soggettiva è il contrario del cinema soggettivo: quando ci si sostituisce al personaggio è impossibile identificarsi in lui. Si ha cinema soggettivo quando lo sguardo dell’attore incrocia quello dello spettatore. Perciò se il pubblico sente la necessità di identificarsi, si identificherà automaticamente con il viso di cui ha più spesso incontrato lo sguardo, con l’attore che è stato più spesso ripreso da vicino e di faccia. E’ quello che è successo con Jean-Pierre Léaud. […] Credevo di essere oggettivo, ma più lo filmavo di faccia, più lo rendevo presente, e più la gente si identificava in lui". Ecco che allora il posizionamento della macchina da presa diventa davvero una presa di posizione nei confronti di Antoine e del mondo. Dal punto di vista tematico, I quattrocento colpi rappresenta un’ideale continuazione di Les mistons, terzo cortometraggio accreditato e primo film a tutti gli effetti completamente attribuibile a Truffaut. Già in Les mistons sono presenti molti punti fermi di quella che sarebbe stata la poetica di Truffaut e molti "luoghi"caratteristici del suo cinema: gli adolescenti esclusi e bisognosi di affetto, il rapporto con la figura femminile, l’incombenza della morte, la scrittura come affermazione della propria esistenza nel mondo. Ma ne I quattrocento colpi Truffaut sviluppa questi temi in una nuova direzione rispetto a Les mistons: questa volta al centro della vicenda non c’è "il gruppetto di guastafeste curiosi e impertinenti, ma un solo ragazzino, introverso e sottomesso; non più il confronto alla pari, in termini di tempo e spazio cinematografici, tra bambini e la coppia di adulti, ma una distribuzione delle inquadrature totalmente a favore del giovanissimo protagonista, unico personaggio a tutto tondo in un mondo di adulti ostili, a cui il regista dedica pochi e significativi tratti". L’identificazione dello spettatore con Antoine passa da qui: la distribuzione delle inquadrature tra Antoine e il mondo adulto segna una netta prevalenza del primo a svantaggio del secondo. Ma oltre all’opposizione binaria Antoine / mondo adulto, un altro conflitto informa l’intera messa in scena de I quattrocento colpi : si tratta del contrasto fra gli interni, filmati prevalentemente in piani ravvicinati e statici, e gli esterni, nei quali dominano campi lunghi e movimenti di macchina. Un esempio del primo caso si può facilmente rintracciare nella sequenza in cui la madre di Antoine, dopo avergli fatto il bagno, gli propone un patto: ciascuno ha i suoi piccoli segreti, e se Antoine non rivelerà il suo (Antoine aveva in precedenza sorpreso per la strada la madre in compagnia dell’amante) e otterrà un buon voto nel compito di francese, avrà in premio del denaro. Si tratta di una sequenza carica di tensione, che Truffaut organizza attraverso una rigorosa alternanza di campi e controcampi ravvicinati che enfatizzano la tensione del momento e la reciproca diffidenza. Madre e figlio sono http://www.cinemavvenire.it/articoli.asp?IDartic=648 Pagina 1 di 3 cinemavvenire.it - Seminario 2001: Analisi del film "I 400 colpi" - [20/08/2001] 03/04/08 07:38 vicini, ma divisi: così la scelta di messa in scena diviene il corrispettivo visivo dello stato psicologico dei personaggi e del loro rapporto. Questa scelta di messa in scena sottilmente claustrofobica è tanto più significativa quanto più vivo è il contrasto con la sequenza immediatamente seguente, nella quale vediamo Antoine e i suoi compagni di scuola sottrarsi uno dopo l’altro alla guida dell’insegnante di ginnastica. Il punto di vista in questo caso è del tutto inatteso: la gag è proposta con un’inquadratura dall’alto. Si tratta di una scelta espressiva che stabilisce un rapporto di forte contrapposizione con la sequenza che la precede immediatamente: se al chiuso Antoine e i suoi coetanei sono costretti a subire le pressioni dell’autorità parentale, all’aperto se ne fanno allegramente beffe. Il senso di una tale scelta espressiva è tanto più evidente in quanto la sequenza del professore di ginnastica progressivamente abbandonato dall’intera scolaresca rimanda in maniera diretta a una sequenza analoga di Zero in condotta di Jean Vigo. Anche in questo caso, come d’altronde è possibile verificare nell’intera filmografia di Truffaut, la citazione non è un riferimento dotto o una strizzata d’occhio al pubblico cinefilo, bensì una necessità: cinema che si è nutrito di cinema, quello di Truffaut, nel quale la realtà passa anche per frammenti di altri film. Questa opposizione legata alla messa in scena dello spazio (interno/esterno) porta con se un’ulteriore contrapposizione, quella fra il ritmo dilatato delle sequenze ambientate in interni e il ritmo ellittico dettato dai campi lunghi e dai movimenti di macchina delle sequenze ambientate in esterni. A questa alternanza fra ritmo dilatato e ritmo ellittico si sottrae la giustamente famosa del colloquio-interrogatorio con la psicologa del riformatorio, organizzata da inquadrature statiche e ravvicinate di Antoine, nella quale la durata filmica sembra corrispondere alla durata reale della conversazione. La sequenza, tuttavia, è significativa soprattutto per la radicale scelta di messa in scena: Truffaut colloca fuori campo la figura della psicologa, rinunciando pertanto alla scontata (ma altrove utilizzata con espliciti intenti espressivi, come abbiamo visto) soluzione del campo-controcampo: la sensazione finale di immediatezza e verità non è dunque frutto di improvvisazione né un effetto della presunta "durata reale", bensì di una scelta forte di messa in scena e di messa in serie. La necessità di reinventare una situazione già proposta in modo convenzionale in molti film, di non cadere nel tranello delle convenzioni, con quel che di falso e insincero comportano, induce Truffaut da un lato a lasciare totale libertà al suo attore per ottenere un effetto di maggiore spontaneità, dall’altro a scegliere una messa in scena fortemente portatrice di senso: Antoine appare in una mezza figura in penombra, il volto illuminato da sinistra da una lampada, quasi che il colloquio con la psicologa fosse un interrogatorio poliziesco: una sensazione accentuata dalla ripetitività delle domande intercalate dai frequenti stacchi di montaggio e dai tre stacchi a nero che interrompono la continuità della visione. La rinuncia al controcampo sulla psicologa assume una forte valenza simbolica: l’assenza in colonna visiva della donna interrogante permette alla sequenza di ergersi a sinèddoche di tutte le interpellazioni colpevolizzanti cui il mondo ostile degli adulti sottopone (ha sottoposto e sottoporrà) Antoine. Ma la sequenza nella quale Truffaut esplicita il suo personale rapporto con il giovanissimo protagonista è certamente quella in cui Antoine viene condotto in riformatorio su un furgoncino della polizia. La sequenza si apre con una soggettiva di Antoine attraverso le sbarre del cellulare e prosegue alternando tre lunghe inquadrature oggettive di Antoine in primo piano a due inquadrature nelle quali la macchina da presa è collocata alle spalle di Antoine, proponendo un punto di vista analogo, ma non coincidente, con quello della soggettiva di apertura. L’importanza della sequenza dal punto di vista narrativo è indubbia: essa segna il traumatico distacco di Antoine da Parigi, e non a caso è l’unica occasione nella quale vediamo Antoine piangere. Il dramma del distacco si consuma infatti in quelle stesse strade che avevano accolto Antoine nel suo vagabondare solitario. Ma questa volta quella libertà che Antoine sembrava aver trovato nelle sue peregrinazioni notturne per Parigi gli viene negata: la contrapposizione tra libertà e prigionia trova nell’alternanza di campi e controcampi il suo corrispondente formale. Ma all’interno della sequenza in esame, i punti di vista su Antoine sono tre: quello oggettivo, che abbiamo visto impiegare con maggiore frequenza nel film (vedi sopra); quello soggettivo, utilizzato al contrario con singolare parsimonia; e quello semisoggettivo. E’ in queste due inquadrature semisoggettive che percepiamo con forza una presenza dietro e accanto ad Antoine: è la presenza di Truffaut, angelo custode e osservatore partecipante. Questa sequenza, oltre ad esplicitare il rapporto fra Truffaut e Antoine, rappresenta il momento nel quale emerge con maggiore chiarezza la figura della prigionia, uno stilema che ricorre con frequenza in tutto l’arco del film. Il primo piano di Antoine dietro le sbarre (anticipato nella sequenza precedente da un’altra inquadratura analoga, raccordata anche in quel caso con una soggettiva da dietro le sbarre), infatti, rappresenta in maniera del tutto esplicita ciò che nell’arco del film è costantemente suggerito, ossia la condizione di recluso del protagonista. Abbiamo avuto modo in precedenza di sottolineare come le sequenze ambientate in interni presentassero con http://www.cinemavvenire.it/articoli.asp?IDartic=648 Pagina 2 di 3 cinemavvenire.it - Seminario 2001: Analisi del film "I 400 colpi" - [20/08/2001] 03/04/08 07:38 evidenza il motivo della costrizione: ripreso in spazi angusti e prevalentemente con inquadrature ravvicinate, Antoine è prigioniero, limitato nella sua libertà di movimento e di espressione. Questo motivo, naturalmente, assume maggiore evidenza nelle sequenze del commissariato e in quelle del riformatorio. Occorre aggiungere tuttavia che a casa, dove il suo letto è collocato nell’ingresso, così come a scuola, Antoine fa esperienza di spazi precari, nei quali gli è impedito di trovare una collocazione stabile e confortevole. A questo vero e proprio campionario di "figure della prigionia e del disagio fisico"fanno da contraltare le già citate sequenze in esterni nelle quali "Antoine diventa un bambino libero di vagabondare e giocare. In compagnia di René, sfugge alla solitudine; da solo, fa incontri magici: Jeanne Moreau, il mare". Quest’ultimo incontro segna la conclusione del film: Antoine fugge dal riformatorio e, dopo una lunga corsa, raggiunge la spiaggia. Nell’immaginazione di Antoine il mare, precedentemente evocato nel corso del film, rappresenta lo spazio utopico della libertà, ma non solo: l’oceano rappresenta una meta misteriosa e simbolica, metafora del desiderio di affrancarsi dal peso di un’esistenza infelice, è l’oggetto di un desiderio indefinito e sconosciuto. Il ritmo dato alla sequenza in fase di montaggio (sei stacchi in cinque minuti) offre allo spettatore la possibilità di correre accanto ad Antoine, di leggere sul suo volto prima la stanchezza, poi la rabbia, la disperazione, infine lo sconcerto. Le lunghe carrellate che propongono la corsa di Antoine verso la battigia esaltano la tensione al movimento e alla libertà del protagonista, mettendolo in rapporto con il paesaggio. La sequenza potrebbe essere collocata all’interno di quella dialettica chiuso/aperto o prigionia/libertà che abbiamo individuato come operante in tutto l’arco del film se a questa sensazione di libertà e movimento non si contrapponesse in questo caso un commento musicale malinconico, che dà alla corsa di Antoine una valenza diversa da quella di altre sequenze in esterni. La sequenza, infatti, non prelude a un definitivo affrancamento di Antoine: giunto in prossimità del mare e attraversata sempre più lentamente, quasi con incertezza, la spiaggia, Antoine si bagna i piedi per poi indietreggiare. La macchina da presa inquadra Antoine ormai fermo e si avvicina a riprenderlo in primo piano. E "sul primo piano perplesso e raggelato del ragazzo l’immagine si arresta, fissando in un lungo frame stop il suo sguardo disperato, che invade lo schermo per interrogare gli spettatori. Il film si conclude, l’avventura ideale di Antoine no". I commenti dei lettori volevo solo dire di vale Inserisci un commento 28/10/2002 Downloads Scarica il materiale in formato .doc http://www.cinemavvenire.it/articoli.asp?IDartic=648 Pagina 3 di 3