La lettera settimanale di Don AMFanucci Cap. 8 UNA

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La lettera settimanale di Don AMFanucci Cap. 8 UNA
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci
―24 luglio 2016”
www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss)
Cap. 8
UNA CHIESA FUORI TEMPO
GIÀ NELLA PRIMA PARTE DEL SECOLO LUNGO
(1800 – 1878)
Parte nona
8.5.4 Il perché di un’assenza:: una Chiesa che strutturalmente non è all’altezza
Il perché dell’assenza è presto detto: al termine dell’uragano napoleonico, i vertici ecclesiastici temono
soprattutto lo spettro dell’anticlericalismo che, sostenuto dalla cultura liberista, va sempre più
impregnando la cultura politica dei regimi nati dalla Rivoluzione francese.
C’era da domandarsi, come sempre, se e fino a che punto le scelte della Chiesa avessero dato spago a
quell’anticlericalismo. Ma il tradizionale malvezzo di attribuire sempre e soltanto ai destinatari
dell’evangelizzazione i suoi buchi impedì alla gerarchia di porsi questa domanda.
Bisogna aiutare ―i poverelli‖, ma gli operai sfruttati pensino alla ―vera ricompensa‖1, il Paradiso.
È una Chiesa incapace di autentica tradizione, di quel trasmettere dinamico, proiettato in avanti, che le
permette di mettere a servizio della fame dell’uomo di oggi (fame ideale, fame concreta), con le
modalità che l’oggi richiede, il formidabile patrimonio, sia ideale che operativo, che le è stato trasmesso
da Cristo e dalla tradizione che da lui si è formata. In Europa ci si avvia verso quello che sarà uno dei
vertici della sua storia civile, lo stato sociale, e la Chiesa canta su tutt'altro registro. In Italia nasce la
Questione Romana, e la Chiesa continua a denunciare l’usurpazione, ed è praticamente assente laddove,
con in testa uomini preoccupati del vero bene della Chiesa, si discute animatamente su come risolverla.
Ma perché tutto questo? Le novità spiazzano la Chiesa per almeno tre motivi:
Primo motivo. Nel sec. XIX in tema di carità, la virtù che dovrebbe segnare anche le scelte politiche
della Chiesa, il dibattito teologico, uno degli iceberg più veritieri della coscienza ecclesiale, si è fatto
debolissimo. Nei sec. XV-XVI, in concomitanza con la scoperta del nuovo mondo, con il conseguente
allargamento obbligato degli orizzonti culturali di tutto l'Occidente, si erano avute discussioni di ampio
respiro circa la dimensione politica della carità, soprattutto in Spagna (Francisco Melchior Cano,
Domenico de Soto); invece nel corso dei sec. XVI-XVIIII nei manuali di teologia la carità perde
1
Cfr. G. ZAGHENI, o.c., 41
progressivamente il ruolo che le spetta, quello di ―regina virtutum” e diventa un’appendice della giustizia, un
sovrappiù facoltativo e riservato ai soli Cristiani..; la carità viene demandata sempre più ai trattati di ascetica, e di
conseguenza quasi riservata ai monaci2.
Secondo motivo. L'episcopato non è assolutamente all'altezza delle richieste radicali della storia; i
vescovi sono quasi tutti di estrazione cortigiana3, e del cortigiano hanno la mentalità; provengono quasi tutti
dalle classi politiche alte, sono stati dalla parte dei nobili durante la rivoluzione, e nella Francia di Luigi Filippo
sono diventati intellettuali organici del potere. Per questo le loro lettere pastorali, a cominciare da quelle
del Card. D'Astros, piangono la scristianizzazione delle masse, ma non sospettano nemmeno che quel
fenomeno abbia una qualche relazione con la nascita del proletariato, e nella triste disuguaglianza della
condizioni non vedono altro che l'ordine della Provvidenza; se Marx avesse avuto modo di leggere quei
documenti del magistero episcopale, vi avrebbe trovato materiale sovrabbondante per provare che la
religione è davvero l'oppio del popolo.
Terzo motivo: I papi non sono da meno. L'enciclica Mirari vos di Gregorio XVI, l’immediato
predecessore di Pio IX, condanna tutte le forme del liberalismo salvo una: il liberalismo economico, quello
che consegna l'operaio indifeso nelle mani del padrone; quanto a Pio IX, dalla sua penna, per denunciare le
iniquità sociali, non scaturisce mai una di quelle frasi folgoranti che egli trova invece per vituperare il liberalismo, il
socialismo e le potenze rivoluzionarie;
8.5.5 Non è all’altezza perché l’ideologia di cristianità blocca ogni apertura al nuovo
Il perché di fondo è la persistenza nel tempo della cosiddetta ideologia di cristianità.
Per ideologia di cristianità intendiamo un insieme di tesi che ha preso corpo unitario per la prima volta
addirittura all’alba del secondo millennio, al tempo del grande S. Gregorio VII (+ 1085) e della titanica
lotta per le investiture. Nell’―ideologia di cristianità‖ la Chiesa pensa se stessa come società perfetta,
gerarchica e accentrata, con leggi e istituzioni proprie, a fianco delle altre società ma al tempo stesso al
di sopra di esse. Una società che, sul piano culturale, è portatrice di una sua autonoma proposta di vita,
completa, globale, che non solo aspira ad avere, ma reclama un suo spazio e una sua visibilità politica,
in virtù della missione affidatale da Cristo, che è quella di legare e sciogliere, cioè d’insegnare a tutti e in
ogni campo, compresa la politica, dov’è il bene e dov’è il male; per questo il suo Fondatore l’ha
garantita contro ogni insidia da parte delle porte degli inferi, cioè di tutti quelli che non la pensano come
lei. il suo Fondatore l’ha garantita contro ogni insidia da parte delle porte degli inferi, cioè di tutti quelli
che non la pensano come lei.
Mutatis mutandis, è un po’ lo schema di base di Comunione e Liberazione, che parla di presenza con lo
stesso fervore con il quale l’Azione Cattolica parla di mediazione.
Chiaro che, se si assume questa ideologia come categoria del rapporto Chiesa/mondo, il mondo va o
conquistato, oppure demonizzato quando oppone resistenza.
Dopo un ultimo sussulto (con Pio XII, 1939-1958) quell’ideologia avrà fine con Giovanni XXIII
(1958–1963) e con il Concilio Vaticano II (1962-1965), e la Chiesa imparerà finalmente a guardare il
mondo con la dovuta simpatia.
Ma fino a tutto l’800 l’―ideologia di cristianità‖ professata dalla Chiesa per secoli compattò fortemente
la Chiesa, e fu universalmente condivisa, anche dagli autori più progressisti, come Lamennais4, al punto
da presiedere anche alla nascita della dottrina sociale della Chiesa e da impregnare di sé anche il culto
cattolico5, in particolare in quello reso al Sacro Cuore6 e alla Madonna7.
2
P. DONI, La carità nello studio della teologia e del magistero, in AA. VV. Diaconia della carità nella pastorale della chiesa locale,
Gregoriana 1988, 207
3 cfr. GONZALEZ FAUS, o.c., 467
4 cfr. G. ZAGHENI, L’età contemporanea, in Corso di storia della Chiesa IV, San Paolo 1996 41
5 ibid. 59
6 ibid. 61
7 ibid. 69
Ma la sua massima espressione fu la devozione al Papa8.
8.5.6 Un esito paradossale
La Bibbia aveva identificato nel banchetto una delle categorie simboliche di primaria importanza per
leggere la realtà del mondo, come campo unitario (anche se infinitamente variegato) dell’iniziativa di
Dio che di tutti gli uomini vuol fare una sola grande famiglia, invitata a sedersi allo stesso tavolo.
Ebbene, anche per la Chiesa il banchetto che conta è ormai diventato quello di cui parla Malthus 9, per
altri versi contestatissimo dalla stessa Chiesa, il grande banchetto della natura... al quale non c'è posto per colui
del cui lavoro la società non ha bisogno.―Aggiungi un posto a tavola‖? No, perché se i convitati si stringono per
fare posto all’ultimo arrivato, immediatamente si presentano altri intrusi e reclamano lo stesso favore, e l'armonia si
rompe.
La Chiesa, quinta colonna della borghesia.
E la borghesia ci conta, a sentire quello che dice un suo esponente, quel ―macellaio di genio‖ che
risponde al nome di Buonaparte Napoleone10: Quando un uomo muore di fame vicino ad un altro uomo, al
quale manca del tutto il denaro, non può accettare quella differenza se non c'è un'autorità che gli dice: Dio vuole così, è
necessario che ci siano poveri e ricchi nel mondo, ma poi per l'eternità la ripartizione sarà diversa. Non è possibile una
società senza disuguaglianze, non è possibile sopportare le disuguaglianze senza morale; non esiste morale accettabile
senza religione; è dunque necessaria un religione di popolo. Prosit. Ed era questa l’opinione prevalente tra i
cattolici. Esistevano, sì, piccoli gruppi che remavano in senso contrario, ma non avevano nessuna
possibilità di successo, visto che tra loro e i loro pastori c'è un abisso di incomprensione11.
8.6 Solo timide aperture al nuovo
Tra i pochi cattolici che hanno coscienza della natura strutturale del pauperismo, nella sua intrinseca
gravità e nella costanza con la quale si ripropone, si vanno timidamente affermando due novità di
rilievo.
Innanzitutto tra i cattolici si chiarisce la netta distinzione fra povertà come scelta virtuosa individuale e povertà
collettiva come condizione imposta dall’evolversi o dall’involversi della storia.

la prima, come Gesù ha insegnato, non dovrà mai essere eliminata dallo stile di vita della Chiesa;

la seconda ha origini e caratteri che derivano da mali sociali e pertanto non solo può , ma deve
essere rimossa con opportuni interventi sulla società.
In secondo luogo si intuisce, anche se timidamente, il ruolo positivo che possono avere le formazioni intermedie
nel conseguimento della giustizia sociale.
Particolarmente interessante questo secondo orientamento.
Il barone De Gérando, un uomo politico di successo, un valido pedagogista, ritenuto il precursore
dell’antropologia (+1842), nel suo Il visitatore del povero, sulla base del primato della carità rispetto
all’elemosina nella concezione cristiana della vita, ipotizza come più corretta, rispetto all'azione degli
individui da una parte e a quella dello Stato dall’altra, l’azione di associazioni benefiche serie e
qualificate.
La validità di queste ―formazioni sociali intermedie‖ è legata al fatto che in esse

è presente il singolo con il suo senso della carità dovuta al povero,

è presente lo Stato con i suoi apparati protettivi,

è presente la Chiesa, impegnata a fornire i sollievi più grandi e più veri, cioè la consolazione del Vangelo
8
A. ZAMBARBIERI, La devozione al papa, in Storia della Chiesa XXII/2, San Paolo 1990, 9 - 82
riferito da V. PAGLIA in o.c. 359
10 ibid.
11 tutte le frasi riferite in corsivo sono dovute alla penna di uno degli storici cattolici più universalmente apprezzati, Henry Daniel Rops,
in un'opera pre/conciliare, edita nel 1962: La Iglesia de las revoluciones, citata da Gonzalez Faus, o.c. 467- 469
9
ed i più utili soccorsi, vale a dire saggi consigli ed esempi per la riforma dei costumi.
Tesi che da una parte superano gli aspetti più arcaici degli orientamenti della Chiesa in ordine al
problema dei poveri, ma dall’altra restano ancorati alla convinzione che spetta in primo luogo alla
Chiesa occuparsi dei modi e degli strumenti con cui rimediare al pauperismo.
Secondo Menozzi non ha torto chi vede in questo orientamento la volontà della Chiesa di insediarsi
nella società civile per poter trattare da posizioni di forza con i poteri secolarizzati del mondo
moderno.
Gubbio, 19/07/ 2016
don Angelo M. Fanucci,
Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso
COME, QUANDO, PERCHÉ E A CHE SCOPO NACQUE LA COMUNITA’ DI
CAPODARCO 5
da ANGELO MARIA FANUCCI, La logica dell’utopia. Quando nacque la comunità di Capodarco
Assisi Cittadellla Editrice 1998
6.a continua
Capitolo quarto
IL MANIFESTO DELLA COMUNITÀ DI CAPODARCO (1)
Dopo l'esperienza di Lourdes, il gruppetto dei firmatari continuò a vedersi periodicamente. La
tessitura ideale ormai era sostanzialmente completata. Il dado era stato tratto. Decisero di pubblicare
un numero unico. Per illustrare il progetto di vita comunitaria agli amici handicappati che a Lourdes
non c'erano, a coloro che avevano dato la loro adesione in treno, ai molti altri potenziali protagonisti.
In vista di quella pubblicazione, Marisa ricorda che don Franco la fece «fotografare da tutte le
angolazioni, per dimostrare che era invalida ben bene». E ridacchia, ancora.
In cassa non c'erano i soldi per stampare il numero unico. Arrivò da Porto S. Giorgio la signora
Romagnoli; le era da poco morto un figlio, in un incidente con la moto; per ricordarlo si accollò lei le
spese di stampa. «E la prima spinta — disse — se siete nel giusto, il resto verrà».
Fu così che, nel Natale 1965, poté uscire il numero unico La Voce degli Esclusi, il manifesto di
Capodarco, grafica di Giancarlo Odino, carta semilucida.
Don Franco lo diffuse personalmente, girando l'Italia, per illustrarlo agli amici e al loro entourage.
Talvolta portò indietro qualche soldino. Addirittura.
A me sembra che, a distanza di oltre sei lustri, la lettura de La Voce degli Esclusi giustifichi pienamente il
giudizio di chi ha definito Capodarco come uno dei frutti più maturi del Concilio Vaticano II in Italia: Il
giudizio è di A. Mastantuono, teologo esperto di pastorale
È esistita un retorica conciliare. Micidiale, come tutte le retoriche. Le comunità cristiane hanno subito
un'alluvione di parole nuove e gratificanti, ma incapaci di modificare la loro situazione reale anche solo
di un iota o di un apice. La più inflazionata di queste parole è stata «comunità». Il vecchio parroco ha
deciso: da oggi la mia parrocchia si chiamerai comunità parrocchiale. Stat rosa pristina verhis: ancora una
volta viene contrabbandata come dato di fatto quella che è solo una trama evanescente di parole.
Capodarco anche in questo è sulla sponda opposta. La Voce degli Esclusi non è in alcun modo
comparabile con le numerose «rimasticazioni» di temi conciliati che in quegli anni ci alluvionarono.
Loreto, perché.
Il progetto fa perno sull'idea del Villaggio. Maurizio Marchini («il primo volontario!», parola di
fondatore), ex-alunno di don Franco placcato mentre faceva l'autostop sulla strada di Porto S. Giorgio,
ne realizzò il plastico. II Villaggio sarebbe sorto a Loreto, sul colle che sporge a sinistra per chi, spalle
al mare, ammira dal basso la linea elegantissima della cupola del Bramante. Perché proprio lì?
A onore di Lei, innanzi tutto, sacerdotessa dell'Umano: ogni donna lo è, Maria di Nazareth in termini
di assoluta eccellenza. lo, prete cattolico sulla soglia dei sessanta, ho fatto e ascoltato molte (troppe)
prediche sulla Madre del Signore. E ho coscienza che quasi sempre in quelle prediche la facilita’ della
proposta devota, l'alluvione degli aggettivi, l'impudenza delle figure retoriche finiscono per stravolgere
l'umana grandezza di questa figura centrale per la mia speranza di sequela cristiana. Nelle prediche
tutte affabulatorie di don Franco (si sa da dove e quando comincia, non si sa né dove andrà a parare,
né quando finirà), ho incontrato per la prima volta un certo modo di parlare di Maria di Nazareth.
Succoso, senza moine. Improntato ad un affetto profondo ma appena confessato, come velato; teso
ad esaltarne insieme fede e umanità. Sacerdotessa dell'Umano, appunto.
E poi a Loreto si era recato il Papa la prima volta che, nella storia dell'Italia unitaria, era uscito dal
Vaticano. E non era un Papa qualsiasi, era quel Giovanni XXIII che aveva impegnato la Chiesa ad
essere la Chiesa di tutti e in particolare la Chiesa dei poveri.
E infine in nessun altro posto d'Italia era possibile incontrare tanti soggetti disabili cui avanzare la
proposta di vita comunitaria, e per di più in un clima che spesso era di forte tensione religiosa e
morale.
Il villaggio, la tenda, l'uomo
Strutturalmente il progetto del Villaggio incarnava un'idea maniacale: quella della condivisione della vita
fra persone invalide o emarginate, a qualsiasi titolo, e persone valide.
Esso tenderà a sbiadire quando, l'anno dopo, la Comunità s'insedierà nella Villa Piccolomini, riapparirà
un istante nel 1970 (possibile insediamento a Lariano di Velletri), poi scomparirà del tutto. L'ideale
della condivisione invece a Capodarco si è sempre riproposto, in forme diverse; ma non ci abbiamo
mai rinunciato; anzi, per puntuale intuizione dell'attuale presidente don Vinicio Albanesi, la
condivisione si è precisata come condivisione del cesso. È la stessa intuizione di allora: lo slancio ideale o
modifica a fondo le condizioni materiali dell'esistenza, o non vale nulla. Ma la materialità del
condividere è efficace se vissuta con «senso della libertà e di reciproca disponibilità, ampio, nei
confronti della società»: così «L'appello di Lourdes», in La Voce degli Esclusi,
I prefabbricati destinati alla vita privata saranno piccoli e poveri. Cuore pulsante, il grande edificio
della Comunità: soggiorno, laboratori, spazi sociali e culturali.
Centro vitale: una chiesa a forma di tenda, figura biblicamente emblematica del rapporto di Jahweh col
suo popolo. Un Dio stabile e insieme provvisorio, che abita e insieme trascende, guida senza lasciarsi
imprigionare. La «tenda» è alternativa al «palazzo», anche al «sacro palazzo», tanto quanto la precarietà
e la provvisorietà dell'esperienza di fede sono alternative alla securizzante pesantezza dell'esperienza
religiosa. Abitare, lavorare, riflettere, pregare insieme. La teologia della tenda diviene con totale
naturalezza antropologia della convivialità. Se Dio è venuto ad abitare in una tenda vicino alle nostre,
noi non possiamo far altro che vivere insieme, intorno a Lui.
Politicamente, sullo sfondo della scelta che fonda lo Stato sociale, il progetto-villaggio è un inno alle
politiche promozionali, contro ogni possibile rigurgito cuslodialista. Da secoli in Europa ha stravinto,
come rimedio al problema dell'emarginazione, la politica del grande internamento di cui ha parlato
Michel Foucault nella Storia della follia nell'età classica edito da Rizzoli, nel 1992; una politica, sempre
incerta fra pietà e forca. secondo la felice intuizione di Bronislaw Gèremek 4. Tre parole d'ordine:
concentrare, controllare, far sopravvivere! Edifici enormi, funzionali, facilmente controllabili. E
dentro, stipati come vuole il Lume della Nuova Ragione, oves el boves, malati di mente e handicappati,
orfani civili e vedove di guerra. Un'ottima occasione; ufficialmente per andare incontro ai bisogni
dell'utenza, realmente per togliere dalla circolazione tutti i potenziali turbatori della pubblica serenità,
volgo rompicoglioni..
ll Villaggio è per tutti, e prima ancora di tutti, ma proprio tutti, anche quelli che il signor Dottore ha
dichiarato irrecuperabili.
Le politiche promozionali ne La Voce degli Esclusi trovano una formulazione estremamente avanzata:
l'autopromozione degli emarginati. Non la soluzione corporativa dei problemi della categoria degli
invalidi, ma una spinta umana e sociale al servizio dell'incontro e della crescita di tutti. Tanto più
credibile in quanto promossa da persone che in genere, bene che vada; sembrano credibili come
destinatari di quella spinta, non certo come propulsori.
Un ghetto? Vogliamo scherzare? Un crocevia. A disposizione di chiunque voglia farsi testimone di
Cristo risorto, per chiarire a se stesso e agli altri il vero significato del tempo che cammina verso la
Risurrezione come recita l’articolo ―Il nostro progetto‖ su ―La voce degli esclusi‖
Quando, nel 1984, la Comunità di Capodarco assumerà la nuova denominazione di Centro
Comunitario Gesù Risorto, queste dimensioni di fondo non verranno abbandonate; verranno invece
riproposte in chiave di antropologia teologica, una concezione della vita che ha la sua radice nella
rivelazione biblica e il suo centro nell'affermazione dell'infinita dignità della persona. Capodarco ha
vissuto e vive in un clima di laicità in positivo: dove cioè «laico» non vuol dire ne agnostico, né
semplicemente tollerante, ma proteso a cogliere quanto arricchisce, motiva e sostiene in radice la vita,
prima ancora che alla vita si sia dato un nome.
7.a continua
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CREDERE, OGGI
Giovani teologi si cimentano con il secolare pensiero della Chiesa
Dove STEFANO BOCCIOLESI rilegge CONGAR:
il valore della TRADIZIONE (2)
Stefano Bocciolesi ha avuto coraggio.
Nella prefazione alla sua ricerca su DA MUSEO A GIARDINO: la Tradizione nella vita della
Chiesa in YVES CONGAR, il Vicerettore del Santuario di S. Ubaldo distribuisce ringraziamenti a
mano aperta: a mons. Panfili, il suo diretto superiore nel servizio alla Basilica, al Prof. Testaferri
dell’Istituto Teologico di Assisi, a don Matteo Monfrinotti, al Vescovo di Gubbio Mons. Ceccobelli
…: ma è chiaro che lo sforzo di misurarsi con P. Congar è stato tutto suo.
Stefano Bocciolesi ha avuto coraggio: per recuperare la genuinità del pensiero conciliare, interamente sua è stata
la scelta del pensiero di Yves Congar, uno dei teologi che hanno fatto il Concilio. Scegliendo Yves Congar, Stefano
s’è attaccato proprio al punto giusto del capezzolo, là dove è più gustoso e genuino il latte della Mater
semper pariens, la Santa Chiesa che genera sempre nuovi figli, e la novità conciliare scorre nutriente come non
mai!!
Di più: tra i tanti contributi che Congar ha offerto al Concilio, Stefano ha scelto di parlare di uno dei
più controversi: quale valore, nella Chiesa cattolica, va attribuito alla TRADIZIONE
IL CONTESTO DELLE RICERA DI STEFANO:
L’ANTICA QUERELLE FRA CATTOLICI E PROTESTANTI
NATA DALLA DIVERSA CONCEZIONE
DEL RAPPORTO SCRITTURA/TRADIZIONE
La ricerca di Stefano si inserisce in un radicale scontro di opinioni, che ha spaccato la Chiesa
Occidentale (quella Orientale se n’era già andata agli inizi del secondo millennio) e ha
drammaticamente contrapposto la Chiesa Romana alla Chiesa della Riforma.
Tutto è cominciato nel XVI secolo, quando il monaco agostiniano Martin Lutero affisse sulla porta
della Cattedrale di Wittenberg 95 tesi da discutere in un pubblico dibattito, che avrebbe dovuto vertere
nell’immediato sulle indulgenze e poi, in generale sull'opera e la vera natura della Chiesa. Alla nascita
del "cristianesimo evangelico" contribuirono altri protagonisti di grande levatura, non solo in
Germania (Thomas Müntzer e Filippo Melantone), ma anche altrove: Giovanni Calvino a
Ginevra, Huldrych Zwingli a Zurigo,.
Accusato di eresia dai domenicani, Lutero venne convocato a Roma.
Doveva dimostrare la propria ortodossia: ma di fronte alla pochezza e alla banalità delle accuse che gli
venivano mosse, Lutero dichiarò di non riconoscere più l'autorità della Santa Sede e dette vita alla
Chiesa della Riforma.
Era Papa Leone X, secondogenito di Lorenzo dei Medici, di fronte alla protesta di Lutero dimostrò
tolleranza, ma soprattutto totale incomprensione della gravità dell’evento.
Le cose andarono avanti, la Chiesa Protestante si dette una teologia propria e una struttura solida; la
Chiesa di Roma continuò a trattare gli aderenti alla Chiesa Protestante come puri e semplici eretici e
scismatici.
Secoli di disprezzo e di calunnie
Da quel momento tra cattolici e protestanti corsero non solo incomprensione e freddezza, ma
inimicizia vera e propria e vere e proprie calunnie. A noi piccoli seminaristi Lutero veniva presentato
come un negatore del vangelo, un corruttore di monache, un fomentatore di guerre.
Poi cominciammo a chiamarli ―fratelli separati‖ e soprattutto scoprimmo che i loro approfondimenti
sulla parola di Dio surclassavano i nostri. Quando scoprimmo Rudolph Bultmann, e Karl Barth, e
Dietrich Bonhöffer i poveri manuali di esegesi che Zedda e Spadafora ci avevano consigliato, e trattati
di teologia dogmatica che
Lattanzi e Piolanti e Masi ci avevano messo in mano apparvero per quello che erano, una pessima
riproposta d un passato che era stato grande ma il tempo ormai se l’era mangiato.
In Concilio, in qualità di ―Esperti‖ , i teologi protestanti dettero il loro prezioso contributo. Tutto
finito? Tutto appianato?
LE
PERSISTENTI
DIFFERENZE
TRA
CATTOLICI
E
PROTESTANTI
Sono differenze importanti oggi così come lo erano all’inizio della Riforma.
E la Riforma ha coniato ―cinque sola‖ (sola è il termine latino per dire soltanto‖) che riassumono le
differenze
importanti
fra
i
cattolici
e
i
protestanti.
Le cinque variabili dell’aggettivo SOLUS, a designare i cinque pilastri della Teologia
Riformata:
 Sola Scriptura
 Solus Christus: Veniamo salvati solo con l’opera di Cristo
 Sola Gratia: la salvezza è per sola grazia
 Sola Fide: la giustificazione è per sola fede
 Soli Deo Gloria: solo a Dio la gloria
 Sola Scriptura
I protestanti credono che la Bibbia sia l’unica fonte della rivelazione speciale che di se stesso Dio ha
fatto all’umanità mediante Gesù all’umanità, e che in quanto tale essa insegni a noi tutti quanto è
necessario per la nostra salvezza. I seguaci di Lutero considerano la Bibbia il criterio unico mediante
cui dev’essere misurato tutto il comportamento cristiano.
I cattolici invece respingono la dottrina del ―sola Scriptura‖: sia la Bibbia sia la tradizione sacra
cattolico-romana siano egualmente vincolanti per i cristiani; tra le dottrine più diffuse (il purgatorio,
pregare i santi, l’adorazione o la venerazione di Maria, ecc.,) molte non hanno nessun fondamento di
sorta nella Scrittura, ma sono basate esclusivamente sulle tradizioni cattolico-romane. Sia la Bibbia sia
la sua ―Tradizione sacra‖ hanno pari autorità. Su questi la spaccatura fra cattolici e protestanti è
profondissima.
 Solus Christus
Secondo il Cattolicesimo, per volontà di Cristo il papa è il suo ―vicario‖, che per sua volontà ha preso
il posto di Gesù quale capo visibile della Chiesa. In quanto tale, egli ha la capacità di parlare ex cathedra
(con autorità) sulle questioni di fede e di pratica), e quando lo fa i suoi insegnamenti sono considerati
infallibili e vincolanti per tutti i cristiani.
I Protestanti credono che nessun essere umano sia infallibile e che soltanto Cristo sia il capo della
Chiesa.
I Cattolici si affidano alla successione apostolica per stabilire, quando potessero esserci dubbi in
proposito) chi è il vero papa e in ogni caso da dove viene la sua autorità.
Però i Protestanti l’autorità della chiesa non deriva dalla successione apostolica, ma solo dalla Parola di
Dio contenuta nella Bibbia. Il potere e l’autorità spirituali non riposano nelle mani di un semplice
uomo, ma nella stessa Parola di Dio documentata nella Scrittura.
Il Cattolicesimo insegna che soltanto la Chiesa Cattolica può interpretare la Bibbia in modo
appropriato e corretto.
I Protestanti invece credono che la Bibbia insegni che Dio ha mandato lo Spirito Santo per dimorare
in tutti i credenti, abilitandoli tutti a comprendere nel modo giusto il messaggio della Scrittura.
 Sola Gratia: la nostra salvezza (la nostra giustificazione) è frutto solo dell’iniziativa gratuita
di Dio (questo vuol dire “la grazia”) e non delle nostra opere buone.
Secondo il Cattolicesimo, la salvezza è iniziativa i Dio ma al tempo stesso risposta dell’’uomo che
compie le opera buone che la grazia gli ispira (opere meritorie).
Tra queste opere da compiere per salvarsi sono essenziali i sette sacramenti. La scelta divina di
giustificarci è solo l’inizio della salvezza: ognuno di noi deve edificare su di essa la propria vita, perché
l’uomo da parte sua deve meritarsi la grazia divina della giustificazione e l’eterna salvezza”: questa concezione della
giustificazione contraddice il chiaro insegnamento della Scrittura in passi come Romani 4:1-12, Tito
3:3-7 e tanti altri.
Per i Protestanti tutto questo è un di più: gli uomini sono giustificati da Dio solo perché Dio ha deciso
che tutti i loro peccati sono stati scontati da Cristo sulla croce e la giustizia del Cristo crocifisso per sua
misericordia è stata loro imputata a prescindere dalla bontà più o meno grande delle loro opere; essi
distinguono fra l’unico atto della giustificazione (quando siamo dichiarati giusti e santi da Dio per
l’espiazione di Cristo sulla croce) e la santificazione (il processo continuo in cui si è resi giusti, il quale
continua per tutta la nostra vita terrena). E dunque anche i Protestanti riconoscano che le opere sono
importanti, ma solo come frutto della salvezza, ma mai un mezzo per ottenerla.
 Sola Fide: la giustificazione è per sola fede
I cattolici e i protestanti divergono anche su cosa significa essere giustificati dalla gratuita iniziativa di
Dio per la sola fede.
Per i cattolici, la giustificazione comporta una mutazione ontologica, l’uomo che è stato giustificato
non è più quello di prima, è un essere qualitativamente diverso, l’azione di Dio l’ha reso giusto e
santo.
Per i Protestanti Dio ci ha imputato la salvezza, ma solo come un’imputazione esterna, noi siamo
riamasti indegne caricature del progetto di Dio, tali e quali eravamo prima. Lutero insiste sempre:
l’uomo è e rimane fimus (fango), truncus (un inutile pezzo di legno), lapis (una pietra inerte).
 Soli Deo Gloria: solo a Dio la gloria
La dottrina cattolica secondo la quale a Dio si deve latrìa (adorazione), ai Santi si deve dulìa
(venerazione) e alla Madonna iperdulìa (speciale venerazione) non ha il minimo fondamento biblico,
così come non ce l’ha la dottrina del purgatorio, e ancora meno la dottrina che ci illude di espiare con
la preghiera e le opere buone il debito che con Dio avevano i nostri cari nel momento in cui sono
morti.
.
Giustificati per fede in Cristo soltanto e grazie al fatto che questa giustizia ci viene imputata senza che
sia diventata davvero ―nostra‖, quando moriremo andremo direttamente in cielo per stare nella
presenza
del
Signore
(2
Corinzi
5:6-10
e
Filippesi
1:23).
***
Quando il Concilio cominciò, , proprio all’inizio della prima sessione la Scuola Romana, tramite il
lavoro delle Commissioni Antepreparatoria e Preparatoria presiedute da Mons. Pericle Felici (già padre
spirituale anche di don Angelo al Seminario Romano) presentò un primo schema, il cui
approfondimento avrebbe dovuto fare da base a tutto il lavoro successivo, intitolato DE
FONTIBUS REVELATIONIS.
LE FONTI
AL PLURALE. Si voleva radicalizzare e rendere definitivamente insuperabile la differenza fra
Cattolici e Protestanti.
Fu allora che si alzò a parlare un giovane prete tedesco, segretario del Card.Frings di Colonia. Si
chiamava don Joseph Ratzinger. A nome del ‖suo‖ cardinale, che era uno dei cinque Moderatori scelti
dall’Assemblea Conciliare, chiese ed ottenne che lo schema venisse immediatamente ritirato.
***
Fu allora che Yves Congar si convinse che occorreva tornare a riflettere su quella parola
(―TRADIZIONE‖) che rappresentava la più grave pietra di scandalo per un rinnovato cammino
ecclesiale che coinvolgesse sia i Cattolici che i Protestanti
Ed è su questa strada che il nostro don Stefano l’ha seguito passo passo
2.a continua
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