WEB2724_percorso7 1..13

Transcript

WEB2724_percorso7 1..13
PERCORSO TEMATICO 7
L’uomo
Naturalismo e materialismo
L’uomo come essere naturale
Due concezioni antropologiche
Nella filosofia greca si manifestano fin dall’inizio due concezioni della natura umana fortemente contrapposte: nel primo caso l’uomo è considerato un essere naturale, simile agli
altri esseri viventi e derivato dallo stesso arché, dal principio unitario che forma l’universo;
nel secondo caso si afferma un netto dualismo tra la naturalità dell’uomo, costituita dal
corpo e dalle passioni ad esso connesse, e la dimensione divina, rappresentata dall’anima,
racchiusa nel corpo come in una prigione.
L’uomo
come essere
naturale
La prima tendenza inizia con la filosofia ionica. Per Talete, Anassimandro e Anassimene non
c’è nessuna frattura tra l’uomo e la natura, tanto che manca persino un interesse specifico
verso la riflessione antropologica. Spiegando l’universo, viene spiegato implicitamente anche l’uomo, che dell’universo è parte. Questa tradizione prosegue con Eraclito, secondo il
quale il fondamento comune dell’uomo e dell’universo, come sosterranno più tardi gli stoici,
è il lógos, che è ragione universale ma anche razionalità umana, e che stabilisce cosı̀ una
stretta consonanza tra uomo e natura. Anche i cosiddetti filosofi pluralisti, come Empedocle, Anassagora e Democrito, considerano l’uomo un essere naturale. Per Democrito,
come più tardi per Epicuro, l’anima è costituita da atomi, come il corpo e come tutti gli altri
esseri, ed è perciò mortale: alla morte del corpo si disgrega, venendo al tempo stesso a
cessare ogni sensazione. L’uomo è simile a tutti gli altri animali e il distacco dal mondo
animale è spiegato mediante lo sviluppo della civiltà. Per Anassagora, tale sviluppo è dovuto
all’intelletto e alle mani, cioè alla ragione ma anche alla capacità di trasformare concretamente la natura, attività che ha fatto evolvere l’uomo, consentendogli di differenziarsi
da tutti gli altri esseri viventi. Anche Democrito delinea una teoria dello sviluppo umano,
secondo la quale l’uomo si unisce ai propri simili a causa della necessità di difendersi meglio
dagli animali feroci e di procurarsi più facilmente i mezzi di sostentamento. Per poter
comunicare con gli altri e rendere quindi più efficiente la cooperazione, l’uomo inventa il
linguaggio, che ha quindi un’origine convenzionale ma al tempo stesso costituisce un potente strumento di coesione sociale e di sviluppo.
L’uomo come essere sociale
La centralità
dell’uomo
Il linguaggio è il fondamento della società, che costituisce la dimensione all’interno della
quale l’uomo può realizzare veramente la propria natura. Nell’età della polis, i sofisti sottolineano la centralità dell’uomo, che diviene l’oggetto quasi esclusivo della riflessione filosofica. Da essere naturale, l’uomo diventa un essere politico o, per riprendere la celebre
definizione di Aristotele, un «animale sociale».
Il mito
di Protagora
Nel Protagora Platone narra un mito, attribuito al sofista protagonista del dialogo. Racconta Protagora che anticamente gli dèi plasmarono gli esseri viventi, assegnando poi a
1
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
7. L’uomo
Prometeo e a Epimeteo il compito di fornire ogni specie delle facoltà necessarie per la
sopravvivenza. Epimeteo insistette per svolgere da solo il compito, dando ad alcuni
animali la velocità, ad altri la forza, ad altri ancora artigli o zanne, e cosı̀ via. Quando
però giunse il momento di provvedere all’uomo, Epimeteo si accorse di avere esaurito
tutte le facoltà che aveva a disposizione. Giunto Prometeo, per rimediare all’errore, rubò
agli dèi il fuoco e la sapienza tecnica per farne dono agli uomini, in modo che anch’essi
potessero garantirsi la sopravvivenza. Gli uomini però usavano questi doni per danneggiarsi l’un l’altro, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della specie. Per evitare ciò,
Giove incaricò Ermes di dare loro il rispetto e la giustizia, cioè l’arte politica, e di farne
partecipi tutti gli uomini, non solo alcuni, come era avvento per le altre arti, ad esempio
quella medica. In questo modo, sorsero le città e gli uomini incominciarono a collaborare
invece di combattersi.
L’uomo
è un essere
sociale
L’uomo si caratterizza dunque come essere sociale, e la società costituisce anche il criterio
di legittimazione dei valori e della morale, dato che le norme di comportamento e le leggi
sono decise dalla città; non poggiano su nessun fondamento oggettivo, ma unicamente
sull’accordo tra i cittadini. Più precisamente, la celebre frase di Protagora, secondo la quale
l’uomo è misura di tutte le cose, può essere letta in più modi, a seconda del significato che
diamo al termine «uomo». Se consideriamo «uomo» il singolo individuo, viene meno ogni
riferimento alla dimensione comune e ognuno è il centro unico della conoscenza e della
morale.
Protagora non sembra spingere fino a queste conseguenze il proprio pensiero, dal momento che individua criteri per un accordo tra l’ambito individuale e quello collettivo. Per
quanto riguarda la conoscenza, sostiene, è vero, che il miele è dolce per la persona sana e
amaro per il malato e quindi non possiamo sapere qual è la sua natura; ma aggiunge che è
preferibile essere sani piuttosto che malati e che, quindi, dobbiamo considerare dolce il
miele. Sostiene anche che non esistono il giusto e il bene in sé, dato che la retorica può
rendere migliore il discorso peggiore. Ma aggiunge che è preferibile ciò che è utile per la
città, non per il singolo. Tutto, perciò, è relativo all’uomo, ma inteso come collettività, come
polis, non come singolo.
Il relativismo
Anche se i valori sono sanciti dalla collettività e non dal singolo, l’esistenza di tante comunità
diverse consente comunque di parlare di relativismo culturale. L’apologo di un sofista
anonimo dice che se tutti i popoli del mondo potessero raccogliere in una valle tutto ciò che
giudicano sconveniente e cattivo, e se poi ognuno di essi potesse liberamente prendere ciò
che giudica apprezzabile e buono, al calar del Sole nella valle non resterebbe nulla, perché
ciò che è negativo per gli uni è positivo per gli altri, e viceversa. Per i sofisti, quindi, l’uomo
è integralmente e costitutivamente un «animale politico», solo nella polis realizza la propria
natura e costruisce, potremmo dire, la propria stessa essenza.
La posizione
socratica
Anche Socrate muove da questi presupposti, anche per lui l’individuo non è concepibile al di
fuori dell’orizzonte della polis. Introduce però un’importante novità: se non esistono verità
oggettive, esistono però verità e valori fondati sulla ragione, sui quali ogni essere razionale
deve convenire, come quando dimostriamo un teorema geometrico. Ma allora, essi sono
universali, comuni a tutti i popoli, anzi, a tutti gli uomini di ogni tempo. Pur condividendo la
centralità della polis, Socrate di conseguenza si distacca dai sofisti sottolineando l’importanza della dimensione interiore, della coscienza, simboleggiata dal «demone» che ne ha
guidato le scelte fondamentali. Contestualmente afferma l’immortalità dell’anima e quindi
si ricollega in una certa misura al dualismo inaugurato da Pitagora e teorizzato compiutamente da Platone.
2
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
7. L’uomo
PERCORSI TEMATICI
L’anima come scintilla divina: il dualismo antropologico
Il dualismo pitagorico
La tradizione
orficodionisiaca
Profondamente diversa dal naturalismo è la concezione antropologica dei pitagorici, che
deriva da quella orfico-dionisiaca. Secondo la tradizione, i Titani attirarono Dioniso, bambino, con l’inganno e lo dilaniarono, cibandosi delle sue carni. Il dio venne poi fatto rinascere, dal cuore rimasto integro, a opera di Giove, che incenerı̀ i Titani. Dalle loro ceneri
ebbero origine gli uomini, che ne conservarono la natura animalesca, nobilitata però dalla
carne del dio che avevano mangiato. Il mito spiega il dualismo antropologico: l’anima
deriva dalla scintilla divina, racchiusa nel corpo come in una prigione. E spiega anche il rito
centrale dei baccanali: la caccia a un capretto o a un cerbiatto rappresentante Dioniso,
dilaniato dalle baccanti che ne consumavano le carni crude. Intorno al V I I secolo a. C., la
religione dionisiaca è oggetto di una riforma attribuita alla figura presumibilmente mitica di
Orfeo, che sviluppa in senso ascetico il dualismo dionisiaco, tendendo a liberare mediante
la musica l’elemento divino da quello materiale, l’anima dal corpo.
L’antropologia
pitagorica
Pitagora conserva importanti elementi della tradizione orfico-dionisiaca: il dualismo; la
necessità di una purificazione per liberare l’anima dal corpo, ottenuta però non mediante la
musica, ma con la conoscenza matematica; la teoria della metempsicosi, cioè delle reincarnazioni successive dell’anima finché essa non si è completamente purificata. Il dualismo
anima-corpo viene rielaborato filosoficamente: al corpo sono legati i sensi, le passioni,
l’individualità, mentre la conoscenza matematica che libera l’anima è razionale e universale. Per pervenire ad essa occorre quindi andare oltre l’individualità e ciò che la caratterizza. Ne consegue che non si può conoscere finché non si è raggiunto un grado
sufficiente di purificazione, e infatti la scuola pitagorica prevede un periodo di iniziazione
caratterizzato da riti, da proibizioni e da prescrizioni che gli adepti devono seguire rigorosamente. Solo al termine di questo percorso potranno accedere alla conoscenza matematico-filosofica.
L’antropologia platonica: il corpo prigione dell’anima
L’immortalità
dell’anima
Il dualismo pitagorico viene ripreso da Platone, che ne fa uno dei fondamenti della propria
filosofia. Come Pitagora, Platone sostiene le tesi dell’immortalità dell’anima e della metempsicosi. Nel Fedone platonico, Socrate parla della morte come del punto di arrivo della
filosofia, che tende, anche durante la vita, a separare per quanto possibile l’anima dal
corpo, avviando un processo che con la morte raggiunge il proprio compimento. Nello
stesso dialogo vengono proposte molte prove dell’immortalità dell’anima, perché l’immortalità non è soltanto un presupposto etico ma anche gnoseologico. La conoscenza è
spiegata infatti a partire da idee innate, che sono acquisite nell’intervallo tra un’esistenza e
l’altra, quando l’anima è libera dal corpo e può contemplare direttamente le idee.
Purificazione
e conoscenza
Non tutti, però, raggiungono lo stesso grado di conoscenza. Come viene spiegato in forma
mitica nel Fedro, l’anima contempla più o meno a lungo le idee a seconda del grado di
purificazione raggiunto nella vita terrena. Essa è infatti paragonata a un carro alato, guidato
da un auriga, che è l’anima razionale, e tirato da due cavalli, simboleggianti le passioni. La
forza relativa dell’auriga e dei cavalli (in particolare quello nero, che rappresenta l’anima
concupiscibile, legata ai piaceri del corpo) determina la permanenza più o meno lunga nel
mondo delle idee, prima di precipitare di nuovo verso il mondo sensibile, tornando a incarnarsi. Dal racconto mitico emergono alcuni concetti importanti: 1) l’anima è modificata
dal corpo, e ne conserva in un certo senso l’impronta, mediante le passioni che continuano
a segnarla anche dopo la morte; quindi le scelte etiche che compiamo durante la vita de-
3
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
7. L’uomo
terminano il destino dell’anima nell’aldilà; 2) dalla qualità dell’anima, raggiunta durante la
vita terrena a seconda del grado di purificazione dalle passioni, dipende la conoscenza o
meno delle idee; c’è quindi un forte legame tra conoscenza e morale.
La
conoscenza
come ricerca
interiore
Dall’antropologia platonica emerge un’ulteriore conseguenza, forse più importante delle
precedenti. Quando l’anima torna a incarnarsi dimentica le idee contemplate, ma il loro
ricordo viene progressivamente risvegliato mediante l’esperienza o l’educazione. La conoscenza è quindi anamnesi, ricordo, cioè si caratterizza come un processo interno, come la
raggiunta coscienza di ciò che è già in noi. In modo simile alla maieutica socratica, illustrata
mediante il famoso esempio del Menone, noi conosciamo guardando dentro di noi.
Plotino: la materia come non-essere
Spirito
e materia
Il contrasto anima/corpo assume dimensioni cosmiche in Plotino, caratterizzandosi come
contrapposizione tra spirito e materia. Secondo la sua suggestiva metafora, l’essere è
emanato dall’Uno come la luce dal Sole; allontanandosi dal Sole, la luce si affievolisce
sempre più fino a lasciar posto alle tenebre, che non sono però un essere, ma semplicemente
mancanza di luce; allo stesso modo, la materia è «non ens», mancanza di essere. Essa non è
infatti compresa tra le ipostasi che rappresentano i gradi gerarchici dell’essere: Uno, Intelletto, Anima. Comunque, non esiste la tenebra assoluta, e quindi anche la materia in qualche
modo «è», sia pure come limite estremo dell’essere, come la zona più oscura della realtà. In
quanto privazione, essa è mancanza, anche se relativa, di essere, e in questo senso è «male»,
inteso quindi non come realtà sostanziale, ma come assenza di bene.
La via della
purificazione
L’universo è vivificato da un’anima del mondo che dà forma e razionalità alla materia,
producendo la natura. Dell’anima del mondo fa parte anche quella umana, che è in rapporto di conflitto e contrapposizione con il corpo. Il corpo la individua, separandola dalla
totalità e dall’unità del tutto. L’anima può, però, liberarsi dall’individualità, cioè dal corpo e
dalle passioni, per fare ritorno all’Uno. Il cammino verso la riunificazione è quindi un
superamento della propria particolarità, mediante varie tappe: la virtù, che ci fa sentire
un’unica cosa con l’umanità; l’arte, che ci unifica alla natura; la dialettica, mediante la quale
raggiungiamo l’intelletto universale conoscendo l’unità delle idee; infine l’estasi, cioè l’identificazione con l’Uno stesso.
Anima
del mondo
e anima
dell’uomo
Come in Platone, anche in Plotino sussiste quindi un forte dualismo tra anima e corpo, cui
si unisce la necessità di una liberazione dal corpo e dalla particolarità, di una purificazione
per gradi che riconduca l’anima a ricongiungersi con il tutto, con l’universale e con l’unità
suprema. In modo più accentuato che in Platone (in particolare con il Timeo), ma nella
stessa prospettiva, anche in Plotino tra l’anima dell’uomo e quella del mondo esiste una
stretta consonanza, una similarità di fondo: la ragione che guida l’uomo è della stessa
natura della razionalità universale che guida teleologicamente l’universo. Questa corrispondenza fa dell’uomo un essere speciale, l’unico in grado di percorrere a ritroso la via
dell’allontanamento dall’Uno, per ricongiungersi ad esso.
Agostino: l’interiorità e il peccato
Il corpo
e l’incarnazione
La tradizione cristiana si ricollega per molti aspetti a quella platonica. L’immortalità dell’anima ne costituisce ovviamente uno dei postulati fondamentali, senza il quale l’intero
edificio perderebbe significato. Il cristianesimo dà però anche importanza al corpo, collegato
strettamente al dogma dell’incarnazione. «E il Verbo – cioè il lógos, come recita il testo greco
– si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni, 1, 1): il corpo è il tramite per il
quale Dio si fa uomo, perciò non può essere solo negativo. Esso è il tempio di Dio, destinato
a risorgere nel giorno del Giudizio per ricongiungersi con l’anima.
4
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
7. L’uomo
PERCORSI TEMATICI
Le due
tradizioni del
cristianesimo
Nel cristianesimo convivono, in realtà, due tradizioni diverse relativamente al modo di
considerare il corpo e il suo rapporto con l’anima. La prima è quella pauliciana, che
identifica in modo quasi ossessivo la carne con il peccato e conduce a una radicale svalutazione del corpo e di tutto ciò che ad esso è collegato: le passioni, i piaceri ecc. «Io
dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato», scrive
san Paolo. La seconda, che si afferma soprattutto con la filosofia scolastica e si richiama ad
Aristotele, vede il corpo in modo positivo, anche se deve essere subordinato all’anima come
le passioni alla ragione.
Il corpo,
la tentazione
e il peccato
In Agostino, che si ricollega alla tradizione pauliciana, il rapporto anima-corpo è vissuto in
toni drammatici: il corpo è fonte di tentazioni che possono corrompere l’anima, allontanandola da Dio e determinandone la dannazione eterna. Alla prospettiva platonica si
aggiunge un concetto nuovo rispetto alla filosofia greca, quello di «peccato». Esso era presente nella religione greca e lo ritroviamo espresso, ad esempio, nella tragedia, ma religione
e filosofia avevano seguito, nella Grecia classica, percorsi separati. Con il cristianesimo, la
religione è il fondamento della rielaborazione filosofica e dunque il concetto di «peccato»
assume rilievo teoretico.
Platone
ed Agostino
Per Platone, se l’anima cede alle passioni segna il proprio destino, tornando a incarnarsi in
un essere inferiore. Ciò, però, non è una punizione per una colpa, ma la conseguenza logica
della condizione dell’anima: se è dominata dalle passioni del corpo, sarà essa stessa a
scegliere di incarnarsi in un essere che le consenta di realizzare la propria natura, cioè di
soddisfare le passioni legate ai piaceri fisici. Se, al contrario, ha raggiunto un elevato grado di
purificazione, tenderà a scegliere un destino terreno corrispondente al proprio stato, incarnandosi ad esempio in un filosofo, lontano dai piaceri del corpo. Tale concetto è espresso
nel mito di Er, che chiude la Repubblica. Nel cristianesimo, invece, il peccato è contro Dio,
che giudica l’anima, determinandone il destino eterno. In Agostino, il peccato è soprattutto
separazione da Dio e la pena, prima ancora della dannazione, è rappresentata proprio da
questo distacco.
L’uomo come
persona
Nella sua filosofia, l’anima assume un’assoluta preminenza non solo antropologica e morale,
ma anche ontologica rispetto al corpo. Agostino risponde al dubbio scettico con la certezza
di sé («si fallor sum»), intraprendendo un lungo cammino interiore che rappresenta il cuore
della sua riflessione. L’importanza dell’interiorità si ricollega a un altro aspetto dell’antropologia cristiana che la differenzia da quella greca: il considerare l’uomo come persona,
cioè da un lato come individuo unico e irripetibile, dall’altro come realtà complessa e per
alcuni aspetti anche contraddittoria. In Agostino questo aspetto assume un rilievo particolare. Siamo molto lontani dalla definizione aristotelica dell’uomo come «animale razionale».
La vita stessa di Agostino, rielaborata e meditata nelle Confessioni, testimonia la complessità
dei processi interiori.
La
complessità
dell’anima
Alla base di questo nuovo concetto sta una rielaborazione di quello di volontà. Esso è
presente in tutta la tradizione greca: è implicito in quello di «purificazione» ed esprime, per
dirla con Platone, la lotta tra l’anima razionale e quella concupiscibile; anche Epicuro,
d’altro lato, sottolinea la necessità di scegliere tra i piaceri, mediante un calcolo guidato dalla
ragione; gli stoici, poi, parlano del dovere come imperativo morale di affermare la razionalità
contro le passioni, fino a rimuoverle completamente. Ma nel cristianesimo, e in Agostino in
particolare, il concetto di «volontà» si emancipa dalla sua relazione con la ragione e diviene
problematico, per più motivi, ma soprattutto perché la ragione non è più la componente
privilegiata dell’uomo, poiché non può spiegare la fede, che si basa piuttosto sull’intuizione
e sul sentimento. Alla volontà Agostino lega non la ragione ma l’amore, nel nuovo significato
5
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
7. L’uomo
che assume nel cristianesimo: non più éros ma agápe, amore di Dio, che è sia il soggetto che
l’oggetto dell’amore stesso.
La tentazione
Il peccato, inoltre, non è connesso solo alla colpa, cioè all’azione, ma anche alla tentazione.
L’uomo è agito da forze esterne, il bene e il male hanno la propria fonte in Dio e in Satana. La
coscienza dell’uomo diventa allora il palcoscenico di una lotta che lo supera ma alla quale
egli partecipa in prima persona, il teatro di forze tra le quali deve scegliere. La psicologia
umana risulta molto più complessa rispetto al mondo greco e, al tempo stesso, assume
accenti tragici. Per Socrate e per Platone conoscere il bene voleva dire automaticamente
sceglierlo: non era concepibile conoscere il bene e fare il male. In Platone il rapporto era
meno immediato perché risultava complicato dall’influenza delle passioni, ma chi conosce il
bene si è liberato dalle passioni e quindi si torna, anche se in modo meno diretto, all’equazione socratica. Per Agostino si può conoscere il bene e scegliere il male: è la volontà
che decide tra le due alternative, come è implicito nel concetto stesso di «tentazione».
Il peccato
originale e
il pessimismo
antropologico
La visione antropologica di Agostino cambia progressivamente nelle ultime opere in seguito
alla polemica contro Pelagio. Alla riflessione sul peccato individuale si sovrappone quella
sul peccato originale, che ha corrotto la natura umana rendendola incapace di fare il bene
se non in seguito alla grazia divina. Questa nuova prospettiva lo allontana nettamente dalla
filosofia platonica e da quella greca in generale, dove il concetto di «responsabilità» è sempre
individuale. D’altra parte, però, se l’uomo potesse scegliere autonomamente tra il bene e il
male, se potesse fare il bene e in questo modo salvarsi, l’incarnazione e il sacrificio di Cristo
perderebbero ogni significato. La visione dell’uomo diventa decisamente pessimistica:
l’umanità è una massa virtualmente dannata, incapace, in seguito al peccato di Adamo, di
fare il bene. Anche in questo caso, Agostino si richiama a san Paolo, giungendo a sostenere la
salvezza solo a opera della grazia divina, e quindi la predestinazione.
La Chiesa
amministratrice
della grazia
Con l’istituzionalizzazione del cristianesimo e con il consolidamento della Chiesa, la
drammaticità del conflitto interno si stempera, riassorbita dalla protezione che la Chiesa
stessa offre contro il male, mediante i sacramenti, a condizione che il credente si abbandoni
ad essa, seguendone gli insegnamenti e le norme di vita. La salvezza dipende dalle opere
individuali e dalla mediazione della Chiesa, amministratrice della grazia divina. Ma l’influenza agostiniana resterà presente, riaffiorando più volte nel corso del Medioevo, fino a
tornare in primo piano nella riforma luterana.
L’uomo come unione di anima e corpo
La ragione come essenza dell’uomo
Nonostante le differenze che abbiamo sottolineato, Platone, Plotino e Agostino sono collocabili su uno stesso percorso che privilegia l’interiorità, come conseguenza della centralità
attribuita all’anima sul corpo nella loro contrapposizione.
L’antropologia
aristotelica
Una forma particolare di dualismo, diversa da quella platonica, è sostenuta da Aristotele.
Egli distingue nettamente tra anima e corpo, ma nega che siano separabili. L’uomo, come
ogni sostanza, è composto da materia e forma, che compongono un’unione inscindibile
(sinolo); l’anima costituisce la forma, il corpo la materia. In quanto forma, l’anima è l’atto
che guida la potenzialità della materia verso la realizzazione della propria natura, e ha quindi
un ruolo privilegiato, ma per lo stesso motivo non può esistere separata dal corpo.
L’anima è concepita da Aristotele come funzione vitale e dunque è propria di tutti gli
esseri viventi. Nelle piante esiste l’anima vegetativa, responsabile della conservazione e delle
6
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
7. L’uomo
PERCORSI TEMATICI
funzioni organiche; negli animali, l’anima sensitiva svolge le stesse funzioni e in più provvede alla sensibilità e al movimento; nell’uomo, infine, l’anima razionale, oltre a svolgere le
funzioni vegetativa e sensitiva, possiede anche quelle superiori legate al pensiero e alla
conoscenza. L’uomo è l’unico essere a possederla e per questo Aristotele lo definisce «animale razionale». In ogni caso, l’anima è sempre legata al corpo e muore con esso.
L’intelletto
attivo è
universale o
individuale?
Accanto all’anima mortale, Aristotele parla anche dell’esistenza di un intelletto attivo, da
essa distinto. La conoscenza concettuale consiste infatti nel passaggio da ciò che è intelligibile, cioè in potenza, a ciò che è intelletto, cioè compreso in atto. Ma ogni passaggio dalla
potenza all’atto presuppone l’esistenza dell’atto in atto come guida del processo, quindi di
un intelletto in atto che attua la «potenzialità» degli intelligibili in potenza. Di conseguenza,
Aristotele ipotizza l’esistenza di un intelletto passivo, che rappresenta la possibilità di conoscere, e di un intelletto attivo, che rappresenta la conoscenza in atto. L’intelletto attivo
comprende perciò l’esistenza in atto dei concetti. Essendo privo di potenzialità, tale intelletto non è soggetto al cambiamento e dunque è immortale. Questa teoria di Aristotele è
stata interpretata in vario modo. Alessandro di Afrodisia e Averroè considerano, anche se con
sfumature diverse, l’intelletto attivo come una realtà trascendente e impersonale, identificabile con la mente divina. I filosofi scolastici, in particolare Alberto Magno e Tommaso,
interpretano invece l’intelletto attivo come individuale, recuperando in tal modo l’immortalità dell’anima, indispensabile per una lettura di Aristotele in ottica cristiana.
L’uomo e il lógos: l’immanentismo degli stoici
La centralità
del lógos
La razionalità come carattere distintivo dell’uomo è accentuata, rispetto allo stesso Aristotele, dallo stoicismo. Il lógos domina l’universo e la storia, guidandoli in modo provvidenziale e al tempo stesso necessario, perché ciò che è razionale non può essere
diversamente da com’è. L’antropologia riflette questa impostazione complessiva. L’anima è
corporea, ma al tempo stesso è distinta dal corpo, rispetto al quale rappresenta l’elemento
razionale. Più in dettaglio, gli stoici distinguono otto parti dell’anima: una per ognuno dei
cinque sensi, il linguaggio, il principio riproduttivo o spermatico e infine l’egemonico, cioè la
ragione, che costituisce il principio direttivo. Anche se è corporea, l’anima, in quanto parte
del lógos, non muore ma, una volta separata dal corpo, torna in seno all’anima del mondo,
alla razionalità universale.
Anima
e corpo
nell’antropologia stoica
L’anima razionale deve controllare il corpo, e deve garantire una vita secondo natura, cioè
secondo il lógos inteso sia come principio razionale della natura fisica sia come fondamento
della natura razionale dell’uomo, che deve dominare gli impulsi e le passioni. Partendo dal
presupposto che tutto è razionale e che, di conseguenza, tutto avviene in modo necessario,
gli stoici escludono la libertà. Crisippo, a tal proposito, paragona l’uomo a un cagnolino
legato al carro: in ogni caso, seguirà il carro, ma potrà farlo spontaneamente, e allora si
sentirà libero, oppure costretto, e in questo caso soffrirà perché strattonato continuamente.
Se segue la ragione, la volontà dell’uomo coincide con la razionalità del tutto e dunque egli si
sente libero, se si lascia trascinare dalle passioni, avvertirà la razionalità del mondo come
qualcosa di estraneo, come una costrizione dolorosa. Per questo, l’uomo deve liberarsi dalle
passioni, sradicandole completamente da sé e raggiungendo l’apatia, intesa come negazione – a privativa – del páthos, delle passioni come componente irrazionale, e quindi deve
ambire a essere letteralmente «senza passioni». Tuttavia, come il cagnolino legato al carro
segue necessariamente una direzione ma ha un margine di movimento dato dalla lunghezza
del guinzaglio, anche l’uomo deve seguire ciò che è razionale ed essere virtuoso, ma può
scegliere nell’ambito di ciò che non riguarda direttamente la razionalità, i cosiddetti indifferenti. Si può e si deve essere virtuosi sia nella ricchezza che nella miseria, sia nella salute
7
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
7. L’uomo
che nella malattia. I beni materiali e le condizioni fisiche sono indifferenti per la virtù, ma è
preferibile essere sani e vivere in condizioni agiate. Ciò che è preferibile nell’ambito degli
indifferenti è denominato «valore». La salute, la ricchezza, la bellezza ecc. sono valori, e
possiamo sceglierli se il conseguirli è compatibile con la virtù, che in ogni caso è prioritaria.
L’antropologia degli stoici è quindi complessa: da un lato implica la «purificazione»,
come quella platonica, intesa in modo drastico come uno sradicamento delle passioni, che
sono il contrario della razionalità; dall’altro, però, non nega la ricerca del piacere e dei beni
materiali, purché non risveglino le passioni e non siano in contrasto con la virtù, risultando
sotto questo aspetto più vicina all’etica aristotelica che a quella platonica.
Tommaso: il corpo modifica l’anima
Tommaso
e Aristotele
La filosofia di Tommaso d’Aquino è largamente influenzata da quella di Aristotele, il quale
parlava dell’uomo come sinolo, unione inscindibile di anima e corpo. Di conseguenza, come
si è detto, per Aristotele l’anima è destinata a morire con il corpo. Ovviamente Tommaso
non può condividere questa posizione e vede nell’intelletto attivo di cui parla Aristotele
l’anima immortale negata in ambito antropologico.
Il corpo
modifica
l’anima
Il legame tra l’anima e il corpo è comunque secondo Tommaso molto stretto, tanto che su di
esso egli basa la soluzione del problema dell’individualità e della responsabilità morale.
Se consideriamo, come aveva fatto Aristotele, l’anima come forma e il corpo come materia
del sinolo, sorge una difficoltà. La forma, infatti, è per definizione unica per tutti gli individui
di una stessa specie. Tutti gli uomini, ad esempio, hanno la forma «uomo» e possono di
conseguenza rientrare nella comune definizione di «animale razionale». Aristotele aveva
risolto il problema della individualità attribuendola al corpo: la forma è identica per tutti gli
uomini, la materia (il corpo) è il fondamento della individualità. Pericle è un uomo come
Alcibiade, ma sono individui diversi perché diversa è la loro materia, il loro corpo.
Che cosa succede allora dopo la morte, quando l’anima si distacca dal corpo? Che cosa
«individua» Pericle rispetto ad Alcibiade e a tutti gli altri uomini? Si tratta di un problema
importante, perché ad esso è legata la responsabilità morale e quindi il giudizio finale.
Tommaso ritiene che il legame tra anima e corpo sia tanto stretto da cambiare l’anima
stessa, che viene modificata dalle esperienze che compie durante la vita terrena. Dopo la
morte del corpo, l’anima conserva queste modificazioni differenziandosi dalle altre anime
che hanno avuto corpi ed esperienze diverse, e mantiene quindi la propria individualità. Ma
ciò che ha modificato l’anima, e ne ha fatto qualcosa di unico, non è tanto il legame con la
materia, quanto piuttosto con le passioni, che rappresentano l’aspetto morale legato tradizionalmente al corpo. In questo ambito, la filosofia di Tommaso non è lontana da quella di
Platone. L’anima è modificata dal corpo, è segnata dalle passioni, dai vizi, cosı̀ come dalla
virtù. In un certo senso, l’uomo, durante la vita terrena, costruisce la propria individualità
eterna e quindi determina il proprio destino nell’aldilà.
8
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
7. L’uomo
PERCORSI TEMATICI
TESTI A CONFRONTO
T
1
Aristotele: L’anima
Aristotele considera l’anima come la forma dell’individuo, che costituisce un sinolo, un’unione
inscindibile, di anima e corpo, di forma e materia. Da ciò consegue che l’anima muore con il
corpo. Il trattato Peri psyches (De anima) è uno dei più noti e più discussi nell’antichità e nel
Medioevo. La filosofia cristiana recupererà l’esistenza di un’anima immortale in relazione all’intelletto attivo che, nello stesso trattato, Aristotele definisce immortale perché privo di potenza
e quindi non soggetto al divenire.
" Aristotele
ha appena
ricordato le
opinioni dei
filosofi precedenti sull’anima
" Pur essen-
do mortale,
l’anima non è
materiale ed
è distinta dal
corpo
" Il possede-
re il sapere
viene paragonato al
sonno, l’esercitarlo alla
veglia: spiega
questo paragone
R
ifacciamoci daccapo come al punto di partenza e cerchiamo di definire che
cos’è l’anima e quale potrebbe esserne la nozione più generale. C’è un genere di cose esistenti che chiamiamo sostanza. La sostanza è, in un primo senso,
la materia e cioè quel che non è, per se stesso, una cosa determinata; in un
secondo, è la figura e la forma, secondo la quale la materia è già detta questa cosa
determinata; in un terzo, poi, è il composto di materia e forma. La materia è
potenza, la forma atto1: quest’ultima può aversi in due modi: o come la scienza o
come l’esercizio attuale della scienza. Ma principalmente si ritengono sostanze i
corpi e, in particolare, i corpi naturali: questi sono i principi degli altri. Dei corpi
naturali altri hanno vita, altri no: per vita intendo il fatto di nutrirsi da sé, di
aumentare, di deperire. Per ciò ogni corpo naturale che partecipa della vita sarà
sostanza e precisamente sostanza nel senso di sostanza composta. E poiché si
tratta di un corpo con una determinata qualità e cioè partecipe di vita, il corpo
non sarà l’anima perché il corpo non rientra negli attributi di un soggetto, ma è
piuttosto sostrato e cioè materia. È dunque necessario che l’anima sia sostanza, in
quanto forma del corpo naturale che ha la vita in potenza. Tale sostanza è atto:
dunque l’anima è atto d’un corpo di siffatta natura. L’atto si intende in due modi,
come scienza e come esercizio della scienza. È chiaro che l’anima lo è al modo
della scienza perché sonno e veglia implicano la presenza dell’anima – e la veglia
corrisponde all’esercizio della scienza, il sonno al possesso della scienza senza il
suo attuale esercizio. Ora nello stesso individuo il possesso della scienza è anteriore per origine all’esercizio: quindi l’anima è l’atto prima di un corpo naturale
che ha la vita in potenza – tale è il corpo munito di organi2. Organi sono anche le
parti delle piante, ma estremamente semplici: cosı̀ la foglia ricopre il pericarpo e
il pericarpo il frutto: le radici, poi, sono l’analogo della bocca, giacché entrambe
traggono il nutrimento. Se perciò si deve proporre una definizione comune a ogni
specie di anima sarà l’atto prima di un corpo naturale munito di organi. Per
questo non s’ha da cercare se l’anima e il corpo sono uno come non lo si fa per la
cera e la impronta e, in una parola, per la materia di ciascuna cosa e ciò di cui è
materia: l’uno e l’essere infatti si dicono in più significati, ma quello fondamentale è l’atto.
(Aristotele, Dell’anima,
II,
1. atto: preferiamo rendere «entelécheia» con «atto», come fa la
maggioranza dei traduttori, perché il termine è di uso più comune
rispetto ad «entelechia».
2. quindi l’anima ... organi: come il possesso della scienza è an-
5
10
15
20
25
30
1, trad. it. di R. Laurenti, con alcune varianti, in Opere,
Roma-Bari, Laterza, 1983, vol. IV, pp. 127-28)
teriore all’esercizio di essa, allo stesso modo l’anima è atto primo
rispetto al corpo cui dà vita; come avviene per la scienza, che si
possiede indipendentemente dall’esercitarla o meno, l’anima dà
vita al corpo per il solo fatto di essere in esso.
9
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
T
2
7. L’uomo
Epicuro: L’anima è materiale
Per Epicuro l’anima è materiale e quindi mortale. Proprio questa caratteristica fonda l’argomento principale per superare la paura della morte: se il dolore è sensazione e questa dipende
dall’anima, la morte, essendo dissoluzione dell’anima, non può produrre dolore. L’anima è
composta da atomi, anche se più piccoli e mobili rispetto agli altri, dato che devono pervadere
tutto il corpo: infatti ovunque c’è sensibilità c’è l’anima.
" L’anima è
fatta di atomi
ed è diffusa per
tutto il corpo,
come attesta la
sensazione
" Che cosa
provano
«le capacità
dell’anima»
ecc.?
" Qual è il
rapporto tra
anima e corpo? Riassumilo con
parole tue
D
opo di ciò, bisogna considerare, rifacendoci sempre alle sensazioni e alle affezioni, come l’anima sia un corpo sottile, sparso per tutto il composto, assai
simile a un soffio e avente in sé una certa mistura di calore, per un verso quindi simile
all’uno e per un verso all’altro; e c’è poi in essa una parte che per la sua estrema
sottigliezza si differenzia anche da questi elementi, e per questo si trova in una
particolare connessione col resto dell’organismo. Provano ciò le capacità dell’anima e
le sue affezioni, i moti e i pensieri, e tutte quelle facoltà per la cui privazione cessiamo
di vivere. Bisogna tenere per certo che la causa della sensazione risiede nell’anima;
essa non la possiederebbe, se non fosse racchiusa nel resto del composto; il resto del
composto, che è condizione che l’anima possa esercitare questa sua funzione di
causa, partecipa poi anch’esso delle proprietà accidentali dell’anima, anche se non di
tutte quelle che ad essa son proprie; per cui, una volta che l’anima sia separata dal
corpo, questo perde ogni facoltà di sentire. Possedeva infatti tale facoltà non di per sé,
ma perché gliela procurava un’altra realtà nata insieme con lui1; e quest’altra realtà,
per via della forza prodotta intorno ad essa col movimento, attua in sé la sensazione e
poi per il contatto e la corrispondenza, come si è detto, la trasmette al corpo.
Perciò, fino a che l’anima è nel corpo, essa non perde la facoltà di sentire, anche
se qualche parte dell’organismo si stacca; qualunque parte di essa vada distrutta
per la dissoluzione intera o parziale, di ciò che le fa da recipiente, finché essa
permane, continua ad avere la facoltà di sentire. Al contrario, il resto dell’organismo, sia che continui a sussistere interamente sia parzialmente, una volta che si
separi da esso quella data quantità di atomi ch’è necessaria a costituire la natura
dell’anima, non possiede più la facoltà di sentire. Tuttavia, se tutto il corpo si
dissolve, l’anima si disperde e non possiede più le stesse capacità né il movimento,
per cui perde anche la capacità di sentire. Non è possibile, infatti, concepire l’anima
come senziente se non in questo complesso di anima e corpo dotato di determinati
moti: non lo è più quando il corpo che la racchiude e circonda non sia più tale da
consentire all’anima che sta in esso i moti ch’essa ha attualmente.
5
10
15
20
25
(Epicuro, Epistola a Erodoto, in Opere, Torino, Utet, pp. 170-71)
1. insieme con lui: cioè l’anima.
J Lo sviluppo argomentativo
Tesi da dimostrare: l’anima è materiale e compenetra
tutto il corpo.
Primo argomento: la connessione con il corpo è provata
dal fatto che se vengono meno le facoltà dell’anima, l’organismo muore.
Secondo argomento: la sensazione è nell’anima, ma deriva dal corpo (dagli organi di senso), perciò l’anima deve
essere connessa con il corpo.
10
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
Terzo argomento: il corpo partecipa delle facoltà dell’anima, perciò cessa di sentire quando essa viene meno.
Conclusione: se si dissolve l’anima, l’organismo cessa di
sentire; se viene meno qualche parte del corpo, l’anima
continua comunque a sentire, ma se l’intero organismo si
disgrega anch’essa viene meno.
7. L’uomo
T
3
PERCORSI TEMATICI
Agostino: L’anima e la carne
Siamo nel Libro X delle Confessioni, noto anche per la trattazione della memoria e del tempo.
Agostino passa in rassegna le tentazioni che possono provenire dai diversi sensi, sviluppando
l’equazione «corpo = peccato». Egli passa in rassegna, in modo sistematico, le diverse concupiscenze della carne, in relazione a ogni singolo senso. Parla quindi, nel brano che segue, della
concupiscenza della carne in relazione all’odorato, all’udito e quindi alla vista.
" La bellezza
è considerata
negativa perché lega alle
cose materiali
" Che signi-
ficato ha
il termine
«legare»
" La luce è
negativa se
ci fa amare
il mondo terreno in sé, è
positiva se
la bellezza
materiale ci
conduce poi
a quella
spirituale
e a Dio
" Perché
questa
condanna
degli oggetti
artificiali?
" Sai coglie-
re il motivo
platonico
presente
in questo
passo?
L
A CONCUPISCENZA DELLA CARNE: LA VISTA.
Rimane il piacere di questi occhi del corpo: e ne farò confessione che giunga
alle pie e fraterne orecchie di coloro che formano il tuo tempio1, concludendo cosı̀
l’argomento delle tentazioni della carne; esse mi battono ancora non ostante i miei
gemiti e il mio desiderio di essere rivestito della mia abitazione che è dal cielo.
Dànno piacere agli occhi la bellezza e la varietà delle forme, i colori luminosi,
armonizzati. Non leghino essi l’anima mia: il Signore la leghi, che ha creato tutte
codeste cose «buone assai», ma che sono il mio bene, perché il mio bene è Egli
stesso. In tutta la giornata, basta che io sia sveglio, esse mi colpiscono, non c’è mai
quiete da esse, come invece avviene da canti e persino da tutto il resto, nel silenzio.
La regina dei colori, codesta luce che si effonde su tutto quello che cade sotto i
nostri occhi, in qualunque luogo io mi sia durante il giorno, a qualunque cosa io
attenda, senza che vi faccia attenzione, di proposito, mi blandisce con lusinghe
molteplici: e si insinua cosı̀ impetuosa che, se vien sottratta improvvisamente, la si
cerca con ansia, se manca a lungo, crea la tristezza nell’animo, ma secondo la sua
interiore visione. [...]
Eccola la luce, l’unica, che fa una cosa sola di tutti quelli che la vedono e la
amano. Ma questa luce terrena, di cui stavo parlando, con la sua seducente e
pericolosa dolcezza nasconde la vita ai ciechi amatori del mondo: coloro invece che
sanno lodar Te attraverso essa, «o Dio creatore del tutto»2 possono invocarla nel suo
inno, non ne sono travolti nel loro sonno: e cosı̀ bramo per me. Resisto alle seduzioni degli occhi, affinché i miei piedi che entrano nel tuo cammino non rimangano impastoiati, e sollevo a Te gli occhi invisibili perché Tu sciolga i miei piedi
dai lacci. Tu me li liberi ripetutamente, ché vi si lasciano prendere: non cessi di
liberarmeli, mentre io tanto spesso rimango preso dalle insidie sparse tutto all’intorno, perché Tu non dormirai, Tu non sonnecchierai, o custode d’Israele3.
Che infinità di attrattive hanno aggiunto gli uomini alle lusinghe degli occhi in
varietà di arti e di industrie: vesti, calzature, vasi, oggetti di ogni genere, pitture e
svariate forme di plastica, tutti eccedenti di gran lunga le necessità di un uso
moderato e ogni pia significazione! Perseguono la esteriorità di quello che fanno e
abbandonano, nel loro intimo, Colui che li ha fatti, distruggendo in se stessi l’opera
del Creatore.
Ma anche da tutto ciò io sciolgo un inno e offro un sacrificio di lode a Colui che
ha offerto un sacrificio per me, o mio Dio, o mia bellezza: tutte codeste cose belle
che passano dalla mente dell’artista alle sue mani abili sono una emanazione di
quella bellezza che è al di sopra di ogni intelligenza; e ad essa giorno e notte anela la
mia anima. Ma gli autori ed i cultori della bellezza esteriore traggono dalla eterna
bellezza la misura della lode, non la misura dell’uso: misura che si trova in essa, ma
1. color che ... tempio: tutti coloro che fanno parte della Chiesa,
definiti già da san Paolo templum Dei, tempio di Dio.
5
10
15
20
25
30
35
2. «o Dio creatore del tutto»: è il primo versetto dell’inno liturgico
Deus, creator omnium, attribuito a sant’Ambrogio.
3. Tu non dormirai ... Israele: Salmo C X X , 4 (n.d.t).
11
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
PERCORSI TEMATICI
" Il distacco
dal mondo
terreno riecheggia il
concetto di
purificazione
della tradizione platonica
7. L’uomo
non sanno vederla, a sufficienza, sı̀ da non essere trascinati troppo lontano da Te,
da conservare le loro forze per Te, invece di disperderle in raffinatezze snervanti. 40
Ed anch’io che parlo e giudico cosı̀, anch’io soffermo il passo davanti a tali forme
di bellezza: ma Tu me ne liberi, Tu me ne liberi, Signore, perché la tua misericordia
sta davanti ai miei occhi. Io, nella mia miseria, mi lascio prendere; Tu, nella tua
misericordia, me ne liberi, talvolta senza che io me ne avveda, quando vi avevo
appena posto il piede, talvolta facendomi soffrire, quando mi ci ero attaccato.
45
(Agostino, Le confessioni, trad. it. di C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1974)
LAVORO SUL TESTO
O Sia Aristotele sia Epicuro considerano materiale e mortale l’anima, ma con alcune importanti differenze: sai individuarle?
O Agostino considera, come Epicuro, l’anima fonte delle sensazioni, ma queste hanno una valenza
negativa. Perché? Che cosa spinge Agostino a condannare i sensi?
12
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4
7. L’uomo
PERCORSI TEMATICI
FARE FILOSOFIA
WEBQUEST: La cibernetica:
il problema anima/corpo
nella fantascienza e nella scienza
Rifletti sul problema anima-corpo partendo dalla filmografia consigliata
Hai visto il film A.I. (Artificial Intelligence) di Steven Spielberg, da un’idea di Stanley Kubrick (2001)? Narra la
storia di David, un bambino artificiale, ma capace anche di provare sentimenti. Viene adottato da una
coppia, il cui figlio naturale sembrava in coma irreversibile. Quando, però, questi inaspettatamente si
risveglia dal coma, il piccolo cyborg viene allontanato. Egli allora cercherà di diventare un bambino vero
per riconquistare l’affetto della «madre adottiva», e la storia si sviluppa con riferimenti, anche espliciti, alla
vecchia fiaba di Pinocchio, forse il primo essere «artificiale» dotato di coscienza.
Le macchine che pensano e la possibilità che possano sviluppare una coscienza di sé è presente in molti
film e racconti di fantascienza. Ne conosci alcuni? I Cyborg (dalla fusione dei termini inglesi cybernetic e
organism, cioè uomini con un numero più o meno ampio di parti artificiali che ne potenziano le abilità)
sono ormai parte dell’immaginario collettivo, cosı̀ come gli androidi capaci di provare sentimenti. Ma
potrebbero essere realtà? Secondo l’ipotesi fisicalista, la coscienza potrebbe essere solo il risultato di una
struttura neurale molto complessa, ma in via di principio riproducibile artificialmente. Che cosa ne pensi?
I Prova a cercare in Internet le trame di film che affrontano questo argomento, se già non li conosci, e
discutine con i tuoi compagni. Per la tua ricerca, puoi utilizzare le seguenti indicazioni.
– Alcuni film interessanti per il problema mente/corpo:
A.I. (Artificial Intelligence), di Steven Spielberg (2001)
Nirvana, di Gabriele Salvatores (1997)
Blade Runner, di Ridley Scott (1982)
2001. Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick (1968)
– Ti proponiamo adesso una ricerca in Internet a partire da alcune indicazioni iniziali. Dato che i siti
Internet cambiano frequentemente, non avrebbe senso indicarli in un volume a stampa. Ti presentiamo invece alcuni suggerimenti per fare ricerca: le stringhe della terza colonna sono costruite in
modo da selezionare i risultati, circoscrivendoli a poche decine al massimo: usale con un motore di
ricerca (ad esempio Google – www.google.it). Anche i concetti da definire e gli autori principali
possono esserti utili per impostare la ricerca. Si tratta in ogni caso di indicazioni iniziali che potrai
integrare. Alla fine dell’attività dovrai essere in grado di esprimere il tuo parere, documentato dai
risultati, sui problemi riportati nella prima colonna, dopo aver definito i concetti elencati nella
seconda colonna.
13
& Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4