CORTE d`APPELLO di Milano, Sezione II, Sentenza del 22 febbraio

Transcript

CORTE d`APPELLO di Milano, Sezione II, Sentenza del 22 febbraio
SENTENZE IN SANITÀ
CORTE d’APPELLO di Milano, Sezione II, Sentenza del 22 febbraio 2007
Il reato di ingiuria è punibile a titolo di dolo generico, inteso come volontà di usare espressioni offensive
con la consapevolezza della attitudine offensiva delle parole usate. Pertanto è stato condannato un medico
al risarcimento del danno morale per pronunciato alla presenza anche di altre persone, parole offensive
nei confronti di una ausiliaria socio sanitaria.
omissis
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa in data 4.11.05 (dep. 14.3.06) il Tribunale di Milano, composizione
monocratica, condannava T.E. alla pena di Euro 300 multa, per il reato di cui all'art. 594 c.p.,
per avere offeso l'onore di L.P., ausiliaria socio sanitaria, in sua presenza, del personale sanitario
e dei pazienti, presso l'azienda ospedaliera […], pronunciando la frase "non voglio la donna di
servizio, non voglio lavorare con la donna di servizio".
In occasione di una visita medica di controllo, che il dr. T. si preparava ad effettuare, lo stesso,
dopo aver appreso che tutte le infermiere erano impegnate, pronunciava la frase riportata,
dinanzi al personale ed entrando nella sala medica ove era presente il piccolo paziente con la
madre.
La teste N.B. dichiarava di non ricordare perfettamente l'accaduto, anche se ricordava un litigio
tra il dr. T. e la signora L.
La Direzione Sanitaria dell'Ospedale, esprimeva, per iscritto, alla L. il proprio rammarico per
l'accaduto venivano concesse le circostanze attenuanti generiche per il comportamento
processuale. L'imputato veniva anche condannato al pagamento della somma di Euro 1000 a
titolo di risarcimento del danno morale provocato.
Con atto depositato in data 27.4.06 proponeva appello il difensore di T.E., rilevando:
1) Associazione per difetto dell'elemento psicologico del reato: anche se è sufficiente il dolo
generico, il Tribunale ha dato per scontata la coscienza e la volontà della condotta del medico di
offendere la odierna parte civile. In realtà la frase non risulta rivolta alla L. o ad altra persona in
particolare, rappresentando soltanto lo sfogo di un medico, costretto a lavorare senza personale
specializzato
2) Assoluzione per difetto dell'elemento oggettivo del reato: all'epoca il T. svolgeva le funzioni
di Primario del reparto di Pronto Soccorso, ove si presenta spesso la necessità di risolvere
urgenze con celerità e precisione. La frase doveva, pertanto, essere interpretata dal giudicane
con portata neutra
3) Associazione ex art. 530 comma 2° c.p.p.: la teste N., contrariamente a quanto ritenuto dal
primo giudice, dichiarava di non ricordare nulla dell'episodio e tanto meno l'esistenza di un
1
Sentenza 22 febbraio 2007
SENTENZE IN SANITÀ
litigio tra il medico e l'ausiliaria. Anche la missiva inviata dalla Direzione Sanitaria alla L. non
portava alcun elemento in favore della colpevolezza dell'imputato, il cui comportamento non
veniva ritenuto passibile di censura. Non veniva fornita la possibilità di rendere l'esame
dell'imputato, in precedenza ammesso
4) In subordine ridursi la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.
Motivi della decisione
Ritiene la Corte che la sentenza di primo grado debba essere riformata. Deve osservarsi, in via
preliminare, che, successivamente alla emissione della pronuncia della sentenza di primo grado,
in data 4.11.05, risultano maturati i termini di prescrizione del reato.
Prescrizione del reato
Alla data odierna deve dichiararsi non doversi procedere in ordine al reato ascritto perché
estinto per intervenuta prescrizione. - I fatti risalgono alla data del xxx; la sentenza, da parte del
Tribunale di Milano, veniva emessa in data 4.11.05; - Il contestato reato di ingiuria, ex art. 594
c.p., prevede una pena fino a sei mesi di reclusione o la pena della multa; - Ai sensi dell'art. 157
n. 4 c.p. il tempo necessario alla prescrizione è di anni 5 per delitto punito con pena inferiore ad
anni 5 di reclusione o con la pena della multa; - Anche a voler considerare eventuali cause
interruttive ex art. 160 c.p. il termine massimo, ex art. 160 comma 2° c.p. (anni 5 + anni 2 mesi
6 - "oltre la metà"), dalla data della commissione del fatto xxx, il periodo di anni 7 mesi 6 risulta
decorso alla data del 20.4.06, con la intervenuta estinzione del reato per avvenuta prescrizione.
Art. 878 C.p.p.
"Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle
restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati, dai reato, a favore della parte civile, il giudice
di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, decidono
sulla impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concerno gli
interessi civili". L'imputato veniva condannato al pagamento della somma di Euro 1000, a titolo
di risarcimento del danno morale procurato e, per tale motivo, appare necessario decidere
ugualmente sulla impugnazione, malgrado l'intervenuta prescrizione.
1) Assoluzione per difetto dell'elemento psicologico del reato: anche se è sufficiente il dolo
generico, come deduce il difensore appellante, il Tribunale avrebbe dato per scontata la
coscienza e la volontà della condotta del medico di offendere la odierna parte civile. In realtà,
anche se il motivo della espressione offensiva usata dal T. era da ricercare nel senso di
scoramento e disappunto, causati dalla assenza di personale specializzato infermieristico, la
frase risulta indirizzata nei confronti dell'unica persona che, per la qualifica ricoperta (ausiliaria
socio sanitaria) si trovava nelle condizioni di comprendere di essere oggetto della espressione
offensiva. "Il reato di ingiuria è punibile a titolo di dolo generico, inteso come volontà di usare
espressioni offensive con la consapevolezza della attitudine offensiva delle parole usate" (Cass.
V 29.5.98). Nella fattispecie, il T., avendo appreso la comunicazione della mancanza di
2
Sentenza 22 febbraio 2007
SENTENZE IN SANITÀ
personale infermieristico ed avendo appreso che, in sostituzione di questo, sarebbe intervenuta
la L., si rivolgeva, nei suoi confronti, usando l'espressione "donna di servizio", essendo ben
consapevole della portata offensiva della frase. In altri termini il T., pronunciando la frase alla
presenza della L., intendeva esprimere alla stessa il suo disappunto per doversi avvalere di una
ausiliaria sanitaria, non professionista, non specializzata e, con tale intento, la qualificava
"donna di servizio".
2) Assoluzione per difetto dell'elemento oggettivo del reato: all'epoca il T. svolgeva le funzioni
di Primario del reparto di Pronto Soccorso, ove si presenta spesso la necessità di risolvere
urgenze con celerità e precisione. La frase doveva, pertanto, secondo il difensore appellante,
essere interpretata dal giudicante con portata neutra. I rilievi non possono essere condivisi,
essendo fin troppo evidente l'intento offensivo avuto di mira dall'imputato. Forse esasperato
dalle difficoltà burocratiche, dalla assenza di personale specializzato, nel particolare ambiente di
un Pronto Soccorso, il T. avrebbe dovuto meglio controllare il proprio disappunto, evitando di
incolpare e di offendere una persona impegnata soltanto nell'eseguire le proprie mansioni e certo
non colpevole delle disfunzioni ospedaliere in tema di personale specializzato. Non può certo
negarsi la portata offensiva della espressione "donna di servizio", in quanto era evidente
l'intento del T. di declassare e dequalificare la L. (ausiliaria socio sanitaria), attribuendole la
qualifica di donna di servizio, espressione che richiama il personale addetto alle pulizie, senza
alcun riferimento alla attività sanitaria, che anche la L. svolgeva, all'interno dell'Ospedale. Dalla
istruttoria espletata è risultato che la L. non era comunque addetta alla effettuazione delle
pulizie, esistendo una impresa a ciò delegata (cfr. deposizione teste N.).
3) Assoluzione ex art. 530 comma 2° c.p.p.: sostiene il difensore appellante che la teste N.,
contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, dichiarava di non ricordare nulla
dell'episodio e tanto meno l'esistenza di un litigio tra il medico e l'ausiliaria.
L'argomento non è rilevante e può spiegarsi con l'intento della teste di non rendere dichiarazioni
eccessivamente sfavorevoli al dr. T. (indicato dalla stessa come medico con cui lavoro in
Ospedale). A ciò si aggiunga, oltre ai ricordi non precisi della teste, la circostanza che la
medesima difesa appellante non nega la pronuncia della frase, da parte del T., cercando di
individuare motivi che la giustificassero (disappunto, scoramento, esasperazione del medico
rispetto alla indicata situazione). Sostiene il difensore appellante che la missiva inviata dalla
Direzione Sanitaria alla L. non portava alcun elemento a sostegno della colpevolezza
dell'imputato, il cui comportamento non veniva ritenuto passibile di censura. In realtà, nella
missiva 1.12.98, la Direzione Sanitaria esprimeva il proprio rammarico per l'accaduto, facendo
anche riferimento "ad atteggiamenti personali non perfettamente ortodossi", ovviamente
riferendosi al comportamento del medico dr. T. Non rilevante deve ritenersi l'omesso esame
dell'imputato, in precedenza ammesso, potendo, probabilmente, scaturire dallo stesso soltanto
indicazioni sulla già dedotta assenza di intenzionalità.
3
Sentenza 22 febbraio 2007
SENTENZE IN SANITÀ
4) In subordine ridursi la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno: il motivo non può
essere accolto. Deve confermarsi la condanna dell'imputato al risarcimento del danno morale, in
favore della costituita parte civile, danno quantificato nella complessiva somma di Euro 1000,
che appare congrua, equa e rapportata al turbamento subito dalla L., nei cui confronti veniva
pronunciata la frase suddetta, alla presenza anche di altre persone.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.
In Riforma
della sentenza emessa dal Tribunato di Milano in data 4.11.05, nei confronti di T.E., dallo stesso
appellata
Dichiara
non doversi procedere in ordine alla imputazione ascritte al predetto per essersi il reato estinto
per intervenuta prescrizione.
Conferma
nel resto la sentenza appellata
Condanna
l'appellante al pagamento, in favore della parte civile, delle spese di difesa del grado, liquidate
in complessivi Euro 700, oltre IVA e CPA. Così deciso in Milano il 13 febbraio 2007.
Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2007.
4
Sentenza 22 febbraio 2007