sentenza in materia di estorsione
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sentenza in materia di estorsione
R.g. N.R R.g. Dib. / / Sentenza n. /15 Depositata il Irrevocabile il Redatta scheda il Appello/Ricorso proposto da TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo Italiano Il Giudice Dott. Claudio POLITI, all’udienza del 22 dicembre 2015 ha pronunciato la seguente sentenza nei confronti di: 1) P. G., nato a P. il 6.9.1974, elettivamente domiciliato in C., Via G. C. 10 c/o lo studio dell’avv. E. L.; = libero, assente = Assistito e difeso di fiducia dall’Avv. E. L. e dall’avv. A. P.del Foro di Tivoli IMPUTATO vedasi allegato Le parti hanno così concluso: Il P.M.: “condanna alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione” La parte civile: “deposita conclusioni scritte e nota spese” Il difensore dell’imputato: “assoluzione perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il reato” MOTIVI DELLA DECISIONE A seguito di decreto ritualmente emesso dal GUP in sede in data 5 novembre 2013, P. G. era tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Tivoli, in composizione monocratica, per rispondere del reato di tentata estorsione compiutamente indicato in rubrica. Ammessa la costituzione di parte civile di S. M. ed accolte le richieste istruttorie formulate dalle parti, sono stati escussi i testi S. M., P. E. e P. F.. Quindi, alla successiva udienza del 22 dicembre 2015, le parti hanno concluso come in epigrafe ed il Giudice ha emesso il dispositivo, letto in udienza. Le condotte rilevanti sono pacifiche e documentate dalle sostanzialmente concordi deposizioni rese da tutti e tre i testimoni escussi nel corso del dibattimento. In particolare, è pacifico che, quando l’imputato e la parte civile posero termine al loro lungo fidanzamento durato dal 2002 al 2005, il Pacifici iniziò a richiederle la restituzione di un prestito che, attraverso la sorella, le aveva corrisposto, allo scopo di consentirle di partecipare ad un corso da operatrice socio-assistenziale. Risultati vani i primi tentativi di rientrare in possesso del denaro, l’imputato chiese alla ex fidanzata di incontrarlo in un parcheggio di Cave nel tardo pomeriggio del 9 marzo 2008 e, quando ella arrivò con una amica a bordo della sua macchina, la avvicinò e la minacciò di mostrare a suo padre delle fotografie compromettenti che, a suo dire, aveva custodito nel telefonino. Di qui nacque una accesa discussione tra i due, in esito alla quale la S.si sentì male e venne accompagnata presso il Pronto Soccorso di Palestrina e successivamente sporse rituale querela, dando così origine al presente procedimento. Dagli elementi emersi nella fase istruttoria si può dunque desumere che il denaro richiesto ha avuto una natura restitutoria di un precedente prestito, con conseguente inquadramento della fattispecie ex art. 393 c.p. anziché ex art. 629 c.p.. Sul punto, si è infatti osservato che "il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile in alcun modo davanti all’autorità giudiziaria" (Sez. 2, n. 51433 del 04/12/2013 - dep. 19/12/2013, P.M. e Fusco, Rv. 257375). Si è inoltre precisato che "i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione (la cui materialità è descritta dagli artt. 393 e 629 c.p. nei medesimi termini) si distinguono in particolare in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia" (Cass. Sez. II, n. 705 del 01/10/2013 - dep. 10/01/2014, Traettino, Rv. 258071). Ne consegue che "deve essere escluso il dolo del delitto di estorsione, e il fatto va qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, nell’ipotesi in cui l’autore della violenza o della minaccia abbia agito nella convinzione ragionevole della legittimità della propria pretesa, pur se è illecito il modo scelto dall’agente per realizzarla" (Cass. Sez. II, Sentenza n. 9121 del 19/04/1996 Ud. (dep. 15/10/1996) Rv. 206204). Nel caso di specie, dagli elementi acquisiti in atti, si evince come l’odierno imputato, in costanza di fidanzamento, abbia effettivamente erogato per il tramite della sorella un finanziamento alla S., il cui corrispettivo riteneva di dover e poter recuperare, con la condotta sopra descritta. Sul punto, è appena il caso di aggiungere che "in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’effettiva azionabilità della pretesa in sede giurisdizionale e la possibilità di realizzarla in virtù di una pronuncia giudiziale non costituiscono presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva – purché non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l’opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse l’esplicazione della violenza o il ricorso alla minaccia – dell’esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice deve intendersi come possibilità di fatto, indipendentemente dalla fondatezza dell’azione e quindi dall’esito eventuale della stessa" (Cass. Sez. II, Sentenza n. 7911 del 27/02/1997 Ud. (dep. 12/08/1997) Rv. 208465). La condotta del Pacifici, per come si è manifestata, è allora certamente illecita e penalmente rilevante, in quanto realizzata (come è pacifico in atti) mediante plurime minacce di esibire al padre della ragazza delle foto compromettenti riguardanti la figlia. Essa va tuttavia qualificata in termini di esercizio arbitrario alla luce della (non pretestuosa) sussistenza di un diritto azionabile. Riqualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (nella sua forma tentata), va emessa sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione conseguente a prescrizione, essendo decorso dal 9 marzo 2008 un periodo di tempo superiore ai sette anni e mezzo. Si fissa in gg. 30 il termine di deposito della sentenza, atteso il complessivo numero di processi in decisione. P.Q.M. visto l’art. 521 e 531 c.p.p. riqualificato il reato contestato all’imputato nella fattispecie di cui agli art. 56, 393 c.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di P. G., poiché il reato è estinto per maturata prescrizione. Motivazione in giorni trenta. Tivoli, 22 dicembre 2015 IL GIUDICE (dott. Claudio Politi)