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L'uomo e la macchina
Clint Eastwood e l’Airbus che atterrò sull’Hudson
/ 12.12.2016
Sully, di Clint Eastwood, con Tom Hanks, Aaron Eckhart, Laura Linney (Stati Uniti 2016)
Il 15 gennaio 2009, poco dopo essere decollato da New York, un Airbus venne colpito quando era
ancora a bassa quota da uno stormo di oche selvatiche che compromise il funzionamento di entrambi
i motori. Nei pochissimi minuti a disposizione il pilota realizzò di non avere il tempo sufficiente per
rientrare all’aeroporto di LaGuardia come gli suggerivano da terra. D’istinto, decise allora di
effettuare un amarraggio sul fiume Hudson, portando così miracolosamente in salvo 155 passeggeri
e l’equipaggio. Un eroe indimenticabile, un personaggio ormai mitico. Ma solo per la gente comune,
commossa, ammirata, riconoscente. Non per la Commissione d’inchiesta: che mise in dubbio la sua
scelta, accusandolo (ma con l’uso esclusivo di strumenti tecnici, come le simulazioni di volo) di avere
attentato alla vita dei passeggeri con una decisione azzardata.Attraverso la sua lunga filmografia
Clint Eastwood ha illustrato tutta una serie di eroi, questo di Sully è tra i suoi più semplici, credibili
e diretti. Fra i meno ambigui di quelli che hanno spesso abitato i capolavori dell’autore di Unforgiven
e Mystic River. Al contrario, letteralmente trasportato dalla trasparenza dello sguardo di Tom
Hanks, “Sully” Sullenberg continuerà a ripetere di non aver fatto che il proprio mestiere.Da grande
cineasta, Eastwood coglie al volo (è il caso di dirlo) questa situazione: ovviando all’elementarità di
un film d’azione (di una qualità plastica, sonora e realistica comunque formidabili) del quale lo
spettatore conosce già la felice conclusione.Lontane dall’idea di suspense, già le prime immagini di
Sully sono allora quelle di un aereo di linea che s’infila fra i grattacieli di Manhattan per
schiantarvisi contro. Non si tratta però dell’Airbus di Sully, bensì di un incubo del protagonista, di
una manipolazione dello spettatore. La prima di una serie di deviazioni dalla storia che “già
conosciamo”, l’evocazione dello spettro del World Trade Center, tanto difficile per l’America da
eliminare. La presenza di un eroe “positivo” come Sully, la straordinaria conclusione del suo atto di
apparente trasgressione rappresenta un primo tentativo del film di elaborarne il trauma.
Seguiranno altre riflessioni, tutte innescate da una sceneggiatura e un montaggio dall’efficacia
straordinaria. Da una parte vi sono l’onestà del protagonista, le sue qualità morali, l’evidenza della
sua esperienza, dall’atra una lunga serie di flashback che tende a destrutturare la progressione
drammatica: l’incessante ripetitività degli attimi fatali finirà per collocare in una dimensione mentale
dubbi e sensi di colpa del protagonista.Se nella sua sfida alla retorica Sully ci riconduce al cinema
dei Frank Capra e John Ford, i riferimenti alla nostra epoca con i suoi problemi più urgenti non
mancano di sorprendere nell’opera di un cineasta ottantaseienne. L’ossessiva presenza mediatica, il
prevalere degli interessi finanziari e assicurativi spiegano l’accanimento della Commissione
accusatrice. La teoria degli esperti secondo cui l’aereo avrebbe potuto tranquillamente ritornare agli
aeroporti è basata su analisi tecnologiche e teoriche; la decisione di Sully nasce invece dall’istinto di
un pilota esperto e responsabile nell’unicità dell’istante reale. È l’importanza determinante del
fattore umano, confrontato con il dilagare di un affidamento sempre più imprescindibile dalla
macchina. Tutto questo fa ancora una volta di Eastwood qualcosa di più emozionante del semplice
grande erede di un’estetica in via di estinzione.