La Storia Dei Celti Insubri e altro

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La Storia Dei Celti Insubri e altro
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Una popolazione che non conosce le proprie origini non ha un’Anima ed è destinata
a scomparire nel mare indistinto ed anonimo di culture e modi di pensare estranei ed
imposti dall’esterno da coloro che vogliono vederci solo come consumatori e non
come soggetti attivi e coscienti.
Nonostante che i Celti non avessero un concetto chiaro di “Nazione” e fossero divisi
in tribù indipendenti tra loro, tenevano molto a conservare aperti i collegamenti fra le
loro diverse comunità.Furono essi nella zona Alpino-Lacustre i grandi costruttori di
strade.
Una delle grandi invenzioni celtiche fu il cerchio di ferro per le ruote dei carri.
Le strade celtiche in montagna erano ampie, in terra battuta o ciotoli tondi; in pianura
la pavimentazione stradale era talvolta costituita da assi di quercia, frassino o ontano
piazzate fianco a fianco. Le comunità locali si occupavano di mantenere in ordine il
tratto di strada fra il loro villaggio e il prossimo.
IL POPOLO “CELTA” E LA SUA LINGUA
Essi chiamavano se stessi col nome della loro particolare tribù, Insubri, Allobrogi,
Edui; fortemente individualisti non conoscevano un nome che comprendesse l’intera
etnia. I romani li chiamarono “Galli” da una parola celta che significa
“STRANIERO”, utilizzata nel senso che essi stessi si ritenevano
“NUOVI ARRIVATI ” in Padania.
I Celti parlavano una lingua indoeuropea imparentata con l’oscoumbro e con il latino,
lingua che si può suddividere in otto varianti :
Il celtico K con i dialetti irlandese (gaelico) e scozzese (erse) tuttora parlati in
Irlanda e Scozia, il manx dell’isola di Man.
Il celtico P delle quattro parlate gallesi (cymraeg) ancora vive nel Galles.
Il cornico (cornish) dialetto della Cornovaglia ormai utilizzato solo da studiosi.
Il Bretone che sopravvive a fatica nelle zone rurali della Bretagna derivato
direttamente dal Gallese e dal Cornico.
Il Gallico o celtico continentale, lingua ormai scomparsa dopo l’avvento del
Cristianesimo che però ha lasciato molti vocaboli e suoni nel francese e nelle parlate
del Piemonte e della Lombardia soprattutto nel bacino del Ticino.
Il Leponzio o celtico-ligure di cui purtroppo ci restano pochi esempi e che interessa
la nostra regione.
Possiamo arguire che essere “Celta” non era una faccenda strettamente
etnica, ma piuttosto una questione di cultura e di linguaggio.
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PIETRA RAME BRONZO FERRO
Il primo metallo utilizzato dai Celti fu il rame, che si trovava puro e malleabile anche
in natura. Con la martellatura a freddo di grosse pepite si ottenevano i primi oggetti.
Il bronzo è una lega del rame. Una specie di “bronzo naturale” si ottenne per caso
utilizzando rame impuro che conteneva una certa percentuale di arsenico. La
tecnologia del bronzo raggiunse soprattutto a Como, nella Brianza e nel Vallese vette
altissime ed una lavorazione artistica stupefacente. Intanto al bronzo si sostituiva il
ferro per gli strumenti di lavoro e le armi. Una “numismatica” celta (III secolo a.c.)
resa necessaria per effettuare pagamenti con mercanti stranieri che non accettavano il
baratto; queste monete solitamente erano d’argento ma anche di oro e bronzo di cui
abbiamo diversi esempi e le più interessanti riguardano direttamente la nostra terra,
sono le misteriose monete ritrovate in quantità sul lago d’Orta ed anche in tutta l’area
Leponzia, nonché nel milanese. Sono “dramme” d’argento, ad imitazione delle
monete greche di Marsiglia recanti la scritta “Dikoi” (leggi Rikoi).
Il primato dell’estrazione dell’oro e la sua lavorazione spettava ai villaggi del
Malcantone, a nord di Lugano. L’argento veniva ottenuto nei monti ricchi di porfido
(Valceresio e Monte S.Giorgio): il minerale ricavato dal filone di Galena presente nel
porfido. L’argento veniva battuto a freddo o fuso legandolo con piccole quantità di
rame per farne gioielli e monili o intarsiare oggetti in bronzo.
NOBILI, SACERDOTI e POPOLO
I Celti di tutta Europa erano organizzati in tribù (clan) i cui membri si riconoscevano
in un antenato comune a qualunque casta essi appartenessero. Perché i Celti si
dividevano in TRE caste ben definite: guerrieri (nobili), druidi (sacerdoti e poeti) e
uomini liberi. Le caste erano trasversali ai clan e non vi era modo di passare da una
casta all’altra: i figli ereditavano la casta del padre.
BRENNO (corvo: animale magico celta, connesso con la dea della battaglia) un
valoroso guerriero scelto dai suoi seguaci che comandava unicamente durante il
periodo della campagna bellica per ritirarsi nell’ombra, al termine di essa.
I Brithem
La Legge tradizionale era conosciuta da specialisti appartenenti alla classe dei druidi,
detti Brithem. Essi erano dei giuristi, non dei giudici, che spiegavano la Legge e
lasciavano che il Re poi giudicasse il singolo caso dopo averli interpellati. Il Brithem
era istruito in scuole dove doveva imparare a memoria un gran numero di testi e di
casistica che gli venivano insegnati oralmente, non essendoci nulla di scritto. I
giuristi, protetti dal loro manto religioso, erano liberi di girovagare attraverso il
mondo celtico con il risultato di un continuo interscambio di nozioni.
Le sanzioni effettive per coloro che commettevano crimini, erano l’esilio e la perdita
o la riduzione dello status sociale, e questo bastava ad impedire che venissero
commessi altri crimini. In caso di delitti particolarmente efferrati, o che
danneggiavano pesantemente l’intera comunità, i colpevoli venivano arsi vivi
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ritualmente, rinchiusi in grandi canestri sagomati in forma di animale, durante le
cerimonie per il solstizio d’inverno. Curiosa è l’usanza di digiunare per ottenere
soddisfazione per una causa giusta.
I druidi formavano una casta sacerdotale dalle molte specializzazioni: vi erano i
druidi veri e propri, i Vati, i BardiI Druidi erano al di sopra di ogni regola.
Le case erano di tronchi e canne intrecciate ricoperte di argilla con alla base un
muretto di pietra, il tetto di giunci come si usa in Bretagna ed Irlanda.
La terra coltivabile e a pascolo era di proprietà del clan ed era inalienabile, ogni
famiglia ne coltivava quanta gliene serviva e non poteva ne venderla ne acquistarne.
I boschi erano considerati proprietà divina; chiunque poteva servirsene per cacciare o
raccogliere legna e frutta dopo aver chiesto ai Druidi il permesso.
LA FAMIGLIA
Nella famiglia la donna per importanza era equiparata all’uomo, aveva grande peso
nella società e poteva essere eletta ad alti uffici.
Vi erano le Druidesse che erano particolarmente versate nell’arte della divinazione.
Una donna poteva divenire guerriera e comandare eserciti. Nessuna carica, neppure
quella Reale le era preclusa. Nel caso di una regina la sua fecondità garantiva il suo
legame con le divine forze della Natura. Nel matrimonio era l’uomo che pagava un
prezzo alla famiglia della sposa per risarcirla della perdita del lavoro della donna che
si recava a vivere presso il marito. In questa società i ragazzi dopo i sette anni
venivano spesso mandati nella casa di un uomo di casta o fama superiore per essere
allevati, in modo da essere educati al meglio. Tornavano nella propria famiglia verso
i diciassette anni, età in cui erano considerati adulti. Ma il legame con la famiglia
adottiva restava molto stretto; chi era cresciuto insieme restava legato da VERA
amicizia per tutta la vita e c’era l’obbligo per il figlio adottivo di mantenere i genitori
di adozione.
L’igiene era molto curata, ma si mangiava e beveva in modo ingordo. I Celti
mangiavano in cerchio seduti a terra con davanti un basso tavolino. Si usava il
coltello e il cucchiaio che ognuno si portava da casa. Il cibo era servito su piatti di
terracotta o di legno. Musica, canti ed incontri di lotta allietavano il pranzo.
I Druidi
La religione Celta appare a prima vista poco comprensibile all’uomo moderno.
I Druidi erano in aggiornamento permanente, non ritenevano che ci fossero limiti al
SAPERE e non avendo dogmi di fede si sentivano in dovere di studiare e
sperimentare sempre nuove idee.
Ponevano particolare attenzione a due elementi della Natura che li circondava:
l’acqua zampillante e vitale, ma che può essere anche distruttrice,
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gli alberi perché nel loro ciclo vitale annuale stà il segreto del vivere eterno. Il loro
morire in inverno e rifiorire in primavera è la prova della FORZA della Natura. Il
culto degli alberi aveva i
suoi beniamini in ordine d’importanza magica nell’agrifoglio, il tasso, la quercia e il
sorbo.
LUG “il lucente dal lungo braccio” a cui sono stati dedicati tanti villaggi (Lugano,
Luino, Luvinate) era soprannominato Moccus (verro) indicando con ciò la sua
qualità di dio dell’abbondanza. I “Lugoves” erano ad esempio la corporazione degli
artigiani dediti alla fabbricazione di zoccole e scarpe, borse di cuoio e zaini: i calzolai
delle alpi avevano il loro centro del culto di Lug a Avenches in Svizzera. Giovane
bello e atletico è anche dio delle cime delle montagne; vittorioso sugli esseri malefici
dell’oltretomba, possiede una meravigliosa lancia e una fionda, ai suoi piedi ci sono i
trè animali simbolici : la capra (ricchezza e fecondità delle mandrie), il gallo
(risveglio a nuova vita dopo il sonno della morte), la tartaruga ( saggezza, lunga
vita, legame con la terra). La sua festa è in agosto : la Lugnasad, festa propiziatoria
di buon raccolto e di fertilità, occasione di riunione dell’intera tribù. Ogni popolo
legato ai Celti aveva i suoi dei preferiti ed il culto verteva su di essi. La formula del
GIURAMENTO DICE : “ Giuro sugli dei sui quali il mio popolo giura”.
La “LUCE” di Blenio
Blenio è il nome di una valle dell’alto Ticino e prende il nome dal dio della luce e del
sole : Blenos.
Il più antico tra le divinità, il suo culto risale ai Megaliti, dio pastore protettore dei
greggi e delle mandrie. Egli ha la luce e il calore del sole, il suo nome deriva dalla
radice Bel = brillante ; cura le malattie ed è associato alle sorgenti di acque termali.
Come il sole sul suo carro di fuoco e luce percorre il cielo e porta la primavera. A
Beltaine ( 30 aprile) le bestie erano fatte passare una ad una tra due fuochi
simboleggianti la divinità, per allontanare le malattie. La sera di Beltaine (“ fuoco
brillante” ) si spengono tutti i focolai e li si riaccende con una sacra cerimonia. Il
giorno dopo, ornati di nuovi fiori e foglie si danza intorno ad un albero ornato
d’offerte e si banchetta con birra, latte, formaggio e verdura ( 1° maggio ) quindi si
parte per condurre le mandrie ai campeggi estivi. Il culto di Belenos come dio solare
aveva anche connotazioni galliche : a lui si erigevano pietre fitte ( Menhir ) come
simbolo di potenza virile e collegate alla riproduzione del bestiame. Queste pietre
potevano essere solitarie ma più spesso disposte in allineamento secondo una precisa
direttiva astronomica.
La festa celtica di Imbloc celebrata il 1° febbraio deriva dalla parola Oimelc = “latte
di pecora” e Imb = “lavare”. E’ una festa pastorale per celebrare la nascita di agnelli
e capretti ma anche una cerimonia di pulizia primaverile dopo il tempo invernale di
segregazione forzata. Era caratterizzata da grandi pulizie e cerimonie di offerta e
preghiera presso cascate, sorgenti e laghetti sacri durante i quali ci si lavava per
purificarsi e si gettavano in acqua monili e oggetti preziosi come offerta alle
misteriose tre dee “Matrones” (le tre sorelle) ninfe acquatiche di grande potere
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magico. Tre donne raffigurate come portatrici di frutta, cereali, legumi, portatrici di
cibo cioè di vita. La vita legata all’acqua senza la quale nulla cresce.TRE aspetti
di un’UNICA dea misteriosa. Questa figura soprannaturale che come l’acqua pervade
tutto ed è parte di tutto ed il cui culto è segreto e compare con molti nomi :
SULEVIA, quando cura le malattie tramite l’immersione nel pozzo sacro;
BRIGHID, ( DIVENUTA POI Santa Brigida con l’avvento del cristianesimo) che
dona la capacità di creare musica e poesia ma che soprattutto è la patrona dei fabbri.
NOTOSVELTA, se sgorga purissima dalla roccia e disseta gli esseri viventi.
La Luna era per i Celti “ la Signora del Tempo”, perché misuravano i loro mesi, i
loro anni ed i loro “ saecula” di trent’anni attraverso il moto della luna. L’enigmatico
calendario Gallico in bronzo di Coligny rappresenta un ciclo di 62 mesi lunari
consecutivi. Nel nostro folklore alpino restano ricordi di questo culto tramite la
connessione di cappelle dedicate alla Vergine con sorgenti, fontane o pozzi ed anche
attraverso storie che parlano di apparizioni di “ Dame Bianche” nelle vicinanze di
cascate o corsi d’acqua.
Il culto del dio Cernunnos si perde nella notte dei tempi. Cernunnos, il signore degli
animali, siede nella posizione del loto, come le divinità buddiste ed è protettore del
mondo degli animali. E’ considerato colui che controlla la crescita degli alberi e
mantiene la foresta folta e fertile; viene rappresentato con tre volti simboleggianti il
Pensiero, la Parola e l’Azione. Egli ha corna di cervo, l’animale più nobile e più
grande dell’antica foresta prealpina.
La sua enorme popolarità tra la gente comune lo fece sopravvivere al cristianesimo;
le autorità ecclesiastiche per debellare il suo culto lo equipararono ingiustamente a
Satana.
Il culto delle alture, tipico dei Leponzi, si evidenzia nell’uso sacrale dei grandi massi
erratici e delle rocce coppellate ed istoriate esprime divinità locali, benevoli e
familiari : Poenius protettore dei passi montani; Albiorix il rè dell’Alpe, divinità
benefica che governa gli alpeggi e Segomo Dunatis il Signore delle vette.
IL MONDO DEI MORTI
Le religioni antiche erano segrete : esse donavano i loro insegnamenti sotto forma
ermetica, questo per mettere fuori causa tutti coloro che spiritualmente ed
intellettualmente non arrivavano a comprendere. Le religioni antiche riservavano la
profondità delle loro conoscenze a coloro che erano dotati di sensibilità superiore.
Le tombe monumentali come Dolmen e Cromlech solitamente non contengono resti
umani, oppure sono stati riutilizzati più volte, questo perché l’anima del morto
restava legata alle sue ossa (o alle sue ceneri) ed abitava la tomba solo per sette anni.
In effetti il numero SETTE ( sette oggetti, sette pietre disposte in un certo modo, tre
oggetti e quattro pietre, ecc. ) si ripete nella maggioranza delle sepolture preromane
in tutto il mondo celtico ed anche nella nostra terra dei laghi e monti. L’anima
(usiamo questa parola cristiana, ma per i Celti era l’Essenza Cosmica Divina )
dormiva nella tomba per sette anni ed i resti servivano d’abitazione: Durante questo
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periodo si riposava e rinnovava ed il sonno cancellava i ricordi della vita precedente.
Ma l’ottavo anno, essa tornava in vita reincarnandosi in un nuovo essere umano.
LA REINCARNAZIONE
La religione Megalitica Solare era una religione di Spirito e resurrezione, uguale per
tutti, senza peccati e senza punizioni ultraterrene, per questo le genti neolitiche e
dell’età del bronzo la trovarono così bella e vi aderirono entusiasticamente. Essa
faceva della morte un semplice trapasso da una vita all’altra e toglieva la paura
dell’ignoto. Si credeva che tutto avesse un’anima e fosse compartecipe dell’Essenza
Divina : uomini, animali, piante, anche il mondo minerale, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Perciò anche gli oggetti di metallo, di terra cotta, di vetro avevano un’anima perché
composti da minerali acqua e fuoco. Così si ponevano oggetti amati nella tomba
perché seguissero l’uomo nella sua nuova vita penetrando con l’anima vecchia in
nuovi oggetti che gli sarebbero stati cari. La maggior parte delle sepolture nelle
necropoli erano a cremazione e questo fatto trovava la sua spiegazione nel
perfezionamento del pensiero sulla vita d’oltretomba. La liberazione dell’anima è un
concetto religioso molto arcaico e la cremazione semplifica e libera subito lo Spirito
distruggendo in una vampata la materia e purificandola, perché il fuoco è purezza
assoluta ( la parola italiana “purezza” deriva dal greco “PYR” che si traduce fuoco ).
Dovendo però lo Spirito riposare sette anni ecco che le ceneri vengono raccolte e
riposte in un’urna per essere seppellite nella tomba, la “casa” del riposo, da dove poi
l’Anima rinnovata uscirà per entrare nel nuovo corpo. Le tombe sono ben distanziate
l’una dall’altra a file diagonali e la loro orientazione segue sempre il corso del SOLE
: da levante a ponente. Di proposito non scriviamo “da est a ovest” perché
l’orientamento era ottenuto osservando ad occhio il corso del sole il giorno della
sepoltura. Il punto della sua levata cambia secondo il variare delle stagioni. E’
frequente porre al centro del tumulo una rozza stele o Menhir di forma slanciata o
triangolare, non lavorato. L’effetto ottenuto doveva essere alquanto suggestivo. Le
sepolture erano ritenute SACRE perché anche dopo la reincarnazione attorno ad esse
aleggiava parte del potere magico-spirituale ( Prana ) del morto.
Il Cromlech non è altro che una tomba a pozzo di misure esagerate, l’ “Alleè” che
spesso l’accompagna è lo spazio dove svolgere il rituale. La sacralità del luogo è
aumentata spesso dal suo isolamento. Non deve sorprenderci questo atteggiamento
sacrale verso un “morto eccellente” poiché l’usanza è filtrata fino a noi attraverso il
Cristianesimo che ha fatto sua questa credenza creando santuari e Sacri Monti
santificati dai cadaveri dei Santi ai quali al gente chiede la grazia. Esempio di culto
pagano indoeuropeo assimilato ad una religione salvifica di origine medio-orientale.
I Massi Avello : si tratta di sarcofagi scavati in grandi massi erratici e disseminati nei
boschi del com’asco e in piccola misura anche sui monti delle prealpi varesine.
Sorgono sempre isolati senza che nelle vicinanze tracce di necropoli o di costruzioni
possano fornire qualche indicazione che possa servire ad illuminarci da chi e quando
furono costruiti.
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Per la Spiritualità Celtica come era possibile che un dio, il quale essendo pura
energia può trasformarsi a suo piacimento in una miriade di forme, possa essere
confinato in un aspetto umano ? Tutto ciò sembra loro infantile e immaturo, infatti
prima dell’avvento della colonizzazione romana le immagini di divinità erano
stilizzate e simboliche. Per i Leponzi, gli Amboni e poi gli Insubri il tempio non era
concepibile, non si poteva confinare Dio in uno spazio chiuso e angusto. Per
esprimere la loro grande fede ingenua e sincera, ad essi serviva spazio, aria, calore.I
luoghi di culto dei nostri antenati erano i NEMETON : boschi Sacri con una radura
circolare dove officiare, o cerchi di pietre su un terrapieno, i cromlech, e gli
allineamenti di pietrefitte eredità megalitica. Il pozzo o sorgente Sacra ove si gettava
un gioiello od un’arma preziosa per implorare una grazia e il masso erratico che si
drizza verso il cielo sul quale vengono incise figure stilizzate d’uomini e animali e
coppelle, piccole cavità rotonde, prodotte dal ruotare di un bulino con sabbia
abrasiva, disposte forse in modo da riprodurre la costellazione che compare in quel
punto del cielo a perpendicolo sul masso del giorno magico consacrato al Dio
protettore del Clan. A volte alcune coppelle sono unite da uno scavo che può
continuare oltre il bordo della pietra : essi servivano per versarvi le offerte di vino,
birra o miele.
Si possono trovare anche massi incisi con orme di piedi; questi “altari” con impronte
di piedi incise sono molto frequenti in Francia, Germania e Polonia. Spettacolare la
pietra di Lans Le Villards con 60 impronte di piedi e 50 grandi coppelle !
Il masso con impronte è legato al culto di divinità solari e trova la sua massima
diffusione nella tradizione indù (arya) del Phrabat. Praticato tutt’oggi esso consiste
nel fare offerte di fiori e colore a sculture di impronte di piedi, la dove si pensa che il
Dio sia sceso sulla terra per benedire i fedeli.
IL NEMETON –
Come facevano i sacerdoti antichi a riconoscere il Nemeton ?
Per giudicare la sacralità del luogo, i Celti ed i loro precursori, consideravano un
punto particolare della FORESTA dove tenere un rituale stagionalmente in alcuni
giorni dell’anno, perché proprio in quel periodo in tale luogo, scelto dopo accurati
studi, credevano si scatenasse una forza magnetica al massimo della sua potenza.
Agendo in questo modo, il sacerdote otteneva una comunione universale tra i
partecipanti ed un’energia cosmica di cui la nostra attuale civiltà può avere
unicamente dei barlumi, forando la bariera del razionalismo. Il centro del
NEMETON, fosse esso una radura, un masso erratico, una pietra coppellata o una
sorgente, rappresentava la porta d’ingresso verso il Divino. Vi erano Nemeton dotati
di potere femminile ed altri maschili, mentre la maggior parte erano neutri.
I Cromlech ed i Menhir furono eretti al centro di Nemeton per aumentare il potere
mistico lasciato dalla forza vitale del personaggio sepolto sotto do essi. La fede del
potere taumaturgico e magico di questi luoghi continuò in epoca romana ed anche
dopo. Essa era così forte che la chiesa paleocristiana individuò in questi santuari
all’aria aperta dei nemici ben più pericolosi delle decadute divinità del Pantheon
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ellenico-romano, e subito si affrttò ad osteggiarli e distruggerli come fecero i
missionari cristiani a Milano abbattendo e poi bruciando il Nemeton di querce degli
Insubri che era dove sorge oggi S. Ambrogio.
L’ordine perentorio di Carlo Magno di distruggere le pietre Sacre pena la
scomunica ed il decreto di pena di morte mediante decapitazione o rogo a chiunque
fosse sorpreso a pregare presso di esse, in un bosco od a una sorgente scatenò la furia
distruttrice dei “buoni cristiani”.
Quanti menhir o statue steli furono frantumate tra Arsalo e Bellinzona?
Probabilmente DECINE e DECINE. Massi coppellati furono spezzati e
riutilizzati come materiali da costruzione, così pure bassorilievi dei tempietti GalloRomani. E dove non era possibile distruggere si cristianizzava il luogo edificando una
cappella o un oratorio. Eppure anche nell’ambito della Chiesa ci fu qualche voce
isolata che lamentava questa persecuzione nel confronto dei Druidi come una perdita
di conoscenza che avrebbe potuto essere utile.
S. Colombano ad esempio, o lo sconosciuto abate Bretone che lasciò scritto : “Perché
distruggere queste pietre del sapere ed uccidere i loro sacerdoti, quando tutte le
scienze e tutte le arti del passato sono incise su di esse ?”. Si era nel VII secolo
dopo Cristo.
UN VILLAGGIO SULLA MONTAGNA
I Leponzi costruivano i loro piccoli villaggi ( 10-20 focolari ) in posizione protetta
con alle spalle le montagne. Per l’agricoltura utilizzavano il sistema di terrazzamento,
coltivando orzo, due tipi di miglio, lenticchie fave , ortaggi e vitigni.Lino, canapa e
lana fornivano materia prima per la tessitura. Per l’allevamento utilizzavano il
sistema della transumanza estiva agli alpeggi alti. Lungo le strade che salivano nei
tratti più lunghi si possono trovare le “balme”: ripari addossati a massi erratici con
recinti di pietra a secco dove custodire gli animali. Tipica la “balma” in comune di
Crodo, a sud della torre di Rencio, con altezza eccezionalmente superiore ai 2 m. con
grande masso erratico e un complicato sistema di recinti concentrici. Gli abitanti di
questi villaggi durante l’inverno, al cadere della neve dovevano aver accumulato
provviste sufficienti per parecchi mesi, poiché le nevicate abbondanti li segregavano
nelle loro case per lungo tempo. Era il tempo dei racconti, delle favole e dei canti
attorno al fuoco e dell’artigianato familiare: tessere pezze di lana, intrecciare ceste,
lavorare piccoli oggetti in legno ecc. . Questi manufatti venivano poi portati a
vendere in primavera. Col disgelo, infatti, alcuni membri della comunità utilizzavano
valichi e costoni per passare di valle in valle ed effettuare un piccolo commercio.
MEGALITI
Ricordiamo che nel secolo scorso molti tempietti preromani e posteriori furono
distrutti per utilizzarne le pietre, così le troviamo ad esempio inglobate nel muro della
chiesa di Calice (Domodossola) dei bassorilievi con l’immagine di Cernunno. Nel
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Medioevo molte stele furono trasformate in croci; così a Magognino sopra Stresa, una
roccia recante ben 274 coppelle era fatta oggetto di un culto così appassionato da
doverla “cristianizzare” a forza costruendovi sopra un’edicola dedicata a S. Grato.
Guardacaso quella pietra era stata battezzata dal popolino “ La Pietra del Fulmine”,
ora inglobata nella cappella di S. Grato protettore (toh! Guarda che caso!) dai fulmini
e dalle tempeste. Proseguendo ecco la fonte Sacra alle “tre fiole”, diventata Fontana
Braga (cappella della Madonna Addolorata) ed ecco, dopo qualche centinaio di metri
la grande natura a picco sul lago su cui sorge la chiesa di S. Paolo posta su un rialzo
(molto sospetto) di pietre.
Risalendo da qui le pendici del monte in linea retta con la chiesa, ci troveremo su di
un bellissimo altopiano, un tempo tutto a pascoli ed ora un campo da golf: è il “Ber”
il nome dei Celti la cui vetta più alta, la Motta Rossa, ha i sentieri che la circondano
disseminati di rocce coppellate. Vi sono stati ritrovamenti litici databili al 2000°.c.
ECCO UN PERCORSO SACRO AI CELTI :
La roccia del fulmine, La fontana magica, L’antico villaggio con il
masso altare, La fortezza del capo, I pascoli comunitari, Il monte
santuario, La torbiera ed il monte del falò.
VI E’ TUTTO IL MICROCOSMO DEI NOSTRI ANTENATI
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I Leponzi della montagna erano spinti ad esternare il loro pensiero religioso dal
bisogno di comunicare ai posteri RITI e CERIMONIE. Il loro concetto di spazio,
dimensione, tempo, figura , non segue regole fisse come il nostro. I massi sono incisi
con determinati simboli. Innanzitutto “coppelle” : escavazioni circolari effettuate
facendo ruotare una pietra aguzza più dura del materiale sottostante, con l’ausilio di
sabbia abrasiva. Secondo le ultime scoperte se numerose riproducono costellazioni
particolarmente legate al ciclo vegetativo della zona : riempite di burro fuso o sego
venivano “accese” in simbolo di offerta; altre collegate da cataletti servivano alle
offerte di liquidi : sangue, latte, birra, per propiziarsi il dio del luogo. Caratteristiche
sono le incisioni a croce che nulla hanno in comune con il mondo cristiano. Esse
sono in realtà lo schema più semplice per disegnare il corpo umano : un’asta verticale
per il corpo e testa di cui dipartono le braccia aperte in adorazione.
Questo identificare, da parte degli abitanti del secolo scorso, i massi incisi con culti
demoniaci o stregonerie, rispecchia il fatto che segretamente questi luoghi furono
oggetto di culto pagano ancora per lungo tempo dopo la cristianizzazione. Ne è prova
che ben sette concili della Chiesa Cattolica ( Arles 452d.c.- Tours 567 – Auxerre
578 – Nantes 658 – Toledo 681 e 693 – Leptina 743 ) sentirono il bisogno di
condannare severamente e scomunicare gli adoratori di “ fontes, arbores et saxa” (
sorgenti, alberi e sassi ). Dove non fu possibile sradicare questo culto si procedette
alla “cristianizzazione delle rocce” ponendo su di esse croci di ferro, inglobandole in
muri di chiese o erigendo santuari e cappelle; oppure distruggendole, come fece la
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soldataglia di S. Ambrogio sul Monte di Varese, dove poi sorgerà il santuario del
Sacro Monte.
Ancora oggi, molti vecchi pastori lasciano nelle coppelle bacche, bricciole di pane e
pezzetti di formaggio. C’è pure da ricordare che in Val Veddasca fino a poco tempo
fa, sui massi incisi più spettacolari la sera di Ferragosto, con rituale che risale
certamente all’epoca dei Celti, venivano accesi fuochi di ginepro messo a bruciare in
cima a lunghe pertiche.
La religione celta non fu distrutta dai conquistatori romani, molto tolleranti ed aperti
a nuove idee, ma sopravvisse, ed essendo un credo legato alla natura e non
dogmatico fu molto difficile da sradicare per i missionari cristiani, così resistette a
lungo nel popolono e nei luoghi dove sorgevano le vecchie rovine dei Dunn si
radunavano gli ultimi pagani a pregare i loro dei. Ed allora erano queste rovine che
bisognava distruggere ed esorcizzare: cristianizzandole costruendo su di esse chiese
dedicate a due santi guerrieri e soldati: S. Martino e S. Michele.
SION DEGLI UBERI
La valle dell’alto Rodano ha il suo centro naturale nel luogo dove è poi sorta la
cittadina di Sion.
I villaggi di questa zona, erano di piccole dimensioni e raggruppavano qualche decina
di casette rettangolari con le pareti in canniccio ricoperto di argilla (più avanti si
costruirà con tronchi orizzontali sovrapposti) strette le une alle altre e circondate da
una palizzata. Il villaggio era posto su di un’altura per protezione. La società era
prettamente agricola-pastorale: l’allevamento dei caprini è predominante. Le
credenze religiose si richiamavano alla grande religione solare Megalitica mantenuta
nella società celta con gli dei Belenos e Lug.
Il fatto che il disegno inciso su una stele rinvenuta a Sion si possa dividere in TRE
parti, suggerisce una connotazione proto-celta, cioè indo europea, col suo mondo
tripartito: la testa, il cielo governato dal sole sorgente di luce e calore. Il busto, la
terra con i simboli di potenza e prosperità.Il basso corpo, mondo sotterraneo sede
dell’oltretomba. Così le TRE CASTE : I sacerdoti corrispondono alla testa, il busto
rappresenta i guerrieri, ed i contadini e i pastori la terrestre parte inferiore.
LA GENTE DELL’ ACQUA
“Our” (terra fluviale) era chiamata la fascia di colline moreniche che si sviluppa
lungo la valle del Ticino. Colline discontinue e frastagliate, anticamente coperte da
foreste di querce e pino silvestre. Su queste colline fiorì in età preistorica il villaggio
e la necropoli di “Uraseéa” (Golasecca) che rappresentò l’ultima espressione della
civiltà centroeuropea dei campi d’urne e sviluppò in modo originale le idee nuove
della civiltà celtica di La Téne.
Questa terra era abitata dal popolo dei Votodrones (Voda-dron) il cui nome ha il
significato di “acqua che scorre.” Ci furono complessi legami politico-economici tra i
Celti del Ticino e dell’Adda ed i mercanti toscani, come possiamo immaginare dal
10 La Storia Dei Celti Insubri e altro
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fatto che nelle Prealpi due nomi tradiscono la presenza etrusca: Oltrona al Lago sul
Lago di Varese e Oltrona s. Mamete vicino a Como: OL-trona dall’etrusco Truna
= rocca. Due rocche-magazzino per il commercio con i Celti. Dagli Etruschi, i
Leponzi e i Votodrones impararono l’alfabeto scritto.
Verbano (Ver-bano = Uir-ben : “acqua dei monti”).
Como ( Koma = piano tra i monti ).
La tessitura era molto avanzata con telai semplici ma in grado di creare stoffe di lana,
lino e canapa con disegni complessi e multicolori. Gli artigiani del Ticino erano abili
imitatori, pronti a copiare oggetti che la moda richiedeva, ad esempio i bacili di
bronzo a trè piedi ( tripodi ) utilizzati per bruciare incenso nelle cerimonie rituali,
prima importati direttamente dall’Etruria, poi fabbricati direttamente sul posto.
Agricoltura, allevamento e TANTO commercio, questa era la vita della gente
dell’acqua.
Megaliti
* * *
e
Astronomia
* * * *
Votodrones, Amboni, Uberi, Sebuani e Leponzi praticavano la religione del Sole e
degli Astri.
La massima espressione religiosa della cultura di Golasecca furono i recinti funebri di
pietre circolari detti Cromlech. Vedremo che essi si pongono alla fine della grande
cultura megalitica che ebbe inizio attorno al 7000 a.C. e culminò tra il 4000 ed il
3500 a.C. con la costruzione dei grandi monumenti di Stonehenge, Carnai,
Newgrange.
I recinti tombali golasecchiani hanno dimensioni modeste ma imitano al meglio i
monumenti del Nord Europa, e la stessa cosa si può dire per i tumuli di recente
scoperta.
Il grande Cromlech, ora scomparso, scoperto nella brughiera di Vigano era orientato
con la sua allée in direzione S. N. verso il Polo Nord Celeste ( Orsa Minore ), questo
forniva una serie di allineamenti astronomici con Vega, Delta Cygni e Theta Scoprii
( levata e tramonto ) e due stelle della Costellazione di Orione :Betelgeuse e
Bellatrix.
Fra i Cromlech, ora andati distrutti, merita un cenno il complesso di Vergiate detto
“alle Cornelliane”; esso fu costruito basandolo su due Costellazioni poste
all’estremo Nord e all’estremo Sud del cielo : Cassiopea e la Croce del Sud.
Costellazioni interessate da questo allineamento : Orione, Pleiadi, Scorpio e la
Stella Aldebaran. Gli altri allineamenti erano connessi con le Pleiadi, Orione,
Scorpione Centauro, Cassiopea. Questi semplici recinti di pietre erano stati studiati
in modo geometricamente molto più complesso di quanto potessero sembrare a prima
vista.
Sparpagliati in modo apparentemente disordinato lungo 2500 chilometri di costa
atlantica nel Nord Ovest europeo, vi sono alcuni dei più antichi e strani monumenti
11 La Storia Dei Celti Insubri e altro
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creati dall’uomo. Menhir, Dlmen, barrow e cromlech di una civiltà perduta
nell’oblio del tempo.
Gente di varie etnie unificate dallo stesso ardore religioso, con cura e laboriosamente,
mise queste pietre in una precisa posizione secondo criteri matematici e
astronomici che possiamo tradurre ma di cui non conosciamo lo scopo. Essi erano
astronomi e matematici, geometri e conoscitori delle Sottili energie sotterranee, di
straordinaria abilità. Evidentemente, doveva esserci qualcosa come una “santità
pagana”speciale nei punti dove venivano costruiti questi monumenti. Qualcosa di
paranormale ed esoterico, che solo i Druidi potevano comprendere completamente.
Ma quali segreti della TERRA possono avere compreso i costruttori di Megaliti?
Una sola cosa è chiara, se questi luoghi hanno un potere occulto, esso può derivare
solo dalla Natura e dall’attenta osservazione degli astri che i suoi costruttori ebbero
mentre elaboravano la loro religione basata sul culto del Sole e delle Leggi della
Natura.
Due cose colpiscono l’uomo moderno che si trova a studiare questi resti del passato :
l’armonia geometrica è PERFETTA, perciò i sacerdoti costruttori megalitici erano
ottimi matematici e utilizzavano queta abilità prima che altri nel mondo lo facessero.
La loro astronomia è STUPEFACENTE, con margini di errore così piccoli da
risultare trascurabili e questo senza possedere la nostra moderna strumentazione.
Accettando questi risultati ecco che ci si presenta un’ulteriore problema:
Come questi Sacerdoti-scienziati ottennero la loro conoscenza?
Come la passarono di generazione in generazione e da popolo a popolo?
Ci dovevano essere dei GENI che per primi ebbero l’idea e la elaborarono e doveva
esserci una qualche specie di scuola in cui gli studenti imparavano queste teorie.
E’ possibile che la casta dei Druidi, che tanta importanza aveva tra i celti, fosse
l’erede dell’antica saggezza dei costruttori di Megaliti.
Quale impellente motivo spinse la gente di quel tempo ad effettuare un tale
sforzo psico-fisico?
Non abbiamo una risposta, per ora. Possiamo solo congettuare che la verità si
nasconda in quelle Energie prodotte da Terra e Cielo che noi non siamo più in grado
di riconoscere e che invece erano note ed usate da questi nostri antenati, che più di
noi vivevano in armonia con i ritmi della NATURA.
Il
Monsorino
La tipologia della necropoli del Monsorino a Golasecca è di enorme importanza
essendo l’unica rimasta in Nord Italia che ancora rispecchi il culto megalitico con
schemi e rituali simili a quelli che i Celti di Scozia, Irlanda e Bretagna portarono
avanti sino all’era cristiana.
Visitando il Santuario di Monsorino (a Sud di Sesto Calende) formato da 3 cromlech
e 2 allèe si respira un’aria sacrale e magica: il bosco, il piccolo altopiano con le forre
ripide, il silenzio delle pietre, danno l’impressione di vivere in altre epoche, dove il
soprannaturale conviveva con la natura e l’uomo in una sintesi che abbiamo perduto
nella nostra corsa verso il progresso tecnologico.
12 La Storia Dei Celti Insubri e altro
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Il cromlech era la tomba di personaggi importanti, davanti al quale in particolari
occasioni si svolgevano riti e cerimonie connessi con il culto degli antenati
divinizzati come “protettori”.
Il più antico cromlech di Golasecca è quello di Carrera (Sesto Calende) del VIII
secoloa.C. mentre i più recenti sono del V° secolo a. C.. In Italia troviamo cromlech
anche in Liguria, Toscana, Veneto e Umbria.
MONTI di Ferro e Rame
Nel 1500 a.C. quella che oggi è la provincia di Como si presentava come
un’ondeggiare di colline ricoperte da foreste e disseminate di laghetti.Sulle rive di
questi, sorgevano i villaggi su palafitte, uno dei più importanti sorgeva sul lago di
Pusiano, ma ve ne erano anche ad Annone, Segrino e Montorfano. Nuovi arrivi di
Celti dallo Spluga e dal Malora ( la Val Bregaglia ovvero: Val pre-Gallia, la Porta
per la Gallia) daranno vita ai paesi di Civiglio, Erbonne, Manera di Lomazzo, Carate
Lario, Zelbio e Varenna. Qui predomina la cultura d’origine elvetica di La Teéne.
Questo popolo che abbandona le terre del bacino del Reno ed attraversa le Alpi
svizzere ed il passo dello Spluga per scendere nel bacino del Lario, non è un esercito,
ma sono tribù con donne, bambini e anziani. Dalla fusione della gente ligure con
questi Celti nasceranno le tribù orobiche che svilupperanno nel com’asco la civiltà di
Golasecca.
Appiano Gentile sarà subito sede di nuovi villaggi. Altri centri minori sono Brunate,
Montorfano e Grandate. Fra i villaggi sparsi sul crinale della Spina Verde, che poi si
condenseranno in Como avranno molta importanza Val di Vico e Villa Nessi.
Una grande comunità di uomini Liberi, guerrieri e pastori, dal lungo pugnale di ferro
a lama falcata come quelli di Schignano in Val d’Intelvi. Moltrasio e Civate erano
altri centri dediti alla pastorizia; tra Argegno e Brienno, gli Orobici svilupparono
centri per la raccolta e l’essicazione del pesce.
Gli abitanti di questo centro, si sentono Speciali ed hanno coniato un nome che li
unisce e li fa sentire fieri: Comenses, il loro centro è Komum Oppidum che non è
solo un ricco luogo dove la vita è più facile e attira gente dal Sud a Nord, ma anche
un grande centro magico-religioso che resterà tale per tutta l’età del ferro ed anche
dopo la conquista romana; solo nel I° secolo a.C. si sposterà dalla collina alla riva del
lago dove prenderà il nome di Novum Comum.
L’ oppidum di Monte Caslè
Monte Caslè, Monte Castello.
Il ricordo dell’antica fortezza celta è rimasto nell’immaginario collettivo e si è
tramandato per tremila anni. Seguendo le indicazioni per la vetta si sale la
montagna, superato quello che una volta era un laghetto, raggiungiamo la cima dove
sorgeva la fortezza degli Intelvi.
13 La Storia Dei Celti Insubri e altro
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Resta poco da vedere, purtroppo gli scavi non sono stati valorizzati come meritavano.
Una volta, all’epoca degli scavi archeologici, il monte era privo di alberi: un grande
altopiano erboso utilizzato come pascolo comunale dagli abitanti di Ramponio. La
cima del Caslè, millenni addietro era tutta coronata e cintata da un muro di blocchi di
pietra. Scendendo allo stagno, che ora è asciutto per gran parte dell’anno, a circa 40
metri verso ponente vi è il primo masso altare: un micascisto erratico lungo m. 5,70
sulla cui superficie si trovano 21 coppelle. Disposto in un punto chiave per il
controllo dell’altopiano, l’oppidum era il vertice di un immaginario triangolo i cui
altri due punti di riferimento erano dati da due massi erratici che certamente
servivano da luogo di culto. Il masso della Vercea tutto istoriato di coppelle e un
secondo masso coppellato posto alla base del Monte Pinzernone.
Komum e la “Spina Verde”
La Spina Verde è un cuneo di colline che si insinua tra l’attuale Como centro e gli
abitati periferici. Nell’epoca dei Celti vi erano boschi di querce e frassino. E’ nel
parco della “spina verde”che possiamo vedere le tracce della vecchia “Komu”.
Passeggiando nel bosco possiamo ritrovare i resti dell’abitato del V° secolo a.C.,
sotto Prestino l’altopiano è stato abitato fin dal III° secolo a.C., a fianco nella zona di
Rebbio è stata scavata la necropoli della Ca Morta. I ritrovamenti archeologici sono
stati fatti (e lo sono tuttora) quasi per caso da contadini e studenti. Attualmente si
contano una sessantina di aree archeologiche più quaranta rocce incise. Si sono
inoltre ritrovati vasi, ciotole, piatti, brocche, bicchieri, grandi contenitori e mestoli,
tutto in ceramica con frammenti di oggetti d’importazione (Grecia, Etruria).
L’industria prevalente a Komu era la lavorazione dei metalli: si sono ritrovate a
Pianvalle oltre 60 forme di fusione per gioielli, lame e asce oltre ad un certo numero
di forni. In località Leno sono visibili le basi di due “torri” che probabilmente
fiancheggiavano l’ingresso dell’Oppidum, anche il Baradello ( Bar = monte Dell =
piccolo ) sorge sul luogo di una precedente torre d’avvistamento.
L’area Sacra di questo agglomerato urbano si trova a Casate e Prestino. Accanto a
questo “luogo Sacro vi è un campo da gioco, che mediante le fotografie aeree mostra
la presenza di Menhir nel sottosuolo. Aree Sacre all’aperto che possono essere del
tipo di Casate sono state scavate in Svizzera, a Port ed a La Tène.
Insubri : “la tribù del cinghiale”
Le vallate alpine che si affacciano sulla testa del lago Verbano e su tutta la sponda
Nord del Ceresio e che ora forma il Canton Ticino, nel X secolo a.C. erano
disseminate di pochi centri rurali. Intorno al Verbano prendevano impulso dalla
cultura di Golasecca, mentre sul Ceresio e nel Malcantone si collegavano
naturalmente al grande centro di Como. Coltivavano : frumento, orzo, miglio e lino
nonché la vite per ottenere vino. Sappiamo che si cibavano anche di mele (che
facevano essiccare per l’inverno) pinoli, cornioli e soprattutto nocciole. Pescavano
14 La Storia Dei Celti Insubri e altro
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lucci, trote ed oltre ad allevare bovini, suini ed ovini cacciavano molto il cervo, il
caprioli, il camoscio e il cinghiale.
E’ una civiltà che convive con l’uso della pietra e l’evoluzione della metallurgia.
La scrittura comincia a diffondersi nelle Prealpi tra il VI ed il V° secolo a.C. : sono
iscrizioni su lapidi, epigrafi, le prime scritte da destra a sinistra, le più recenti con
andamento opposto. L’alfabeto è definito Nord Etrusco, ma sarebbe meglio, dato
certi caratteri originari, chiamarlo “Prealpino”. Ha due varianti : l’alfabeto di
Golasecca e quello di Lugano. Nelle prealpi lo si userà per 500 anni, fino all’avvento
dell’alfabeto latino. Le iscrizioni sono in graffite su terracotta o oggetti in bronzo,
oppure incise su steli di pietra. Le traduzioni indicano una lingua molto antica che
mescola termini di dialetti non indoeuropei con parole indoeuropee tipicamente
celtiche.
Una delle ricchezze che portarono il benessere in queste valli fu la scoperta della
metallurgia : prima si conobbe l’oro ed il rame, poi il piombo e di riflesso l’argento
ed infine lo stagno ed il ferro. L’oro lo si trovava nelle sabbie dei fiumi : Ticino,
Maggia, Brenno, oppure nei quarzi dell’alta montagna. Il porfido del Mendrisiotto
dava argento e piombo, il ferro in Val Ma robbia e nei monti tra Porlezza e Lugano.
Le tombe a pozzo delle necropoli hanno spesso un piccolo “menhir”sul tumulo,
ricordo della civiltà megalitica come i cromlech ritrovati nei pressi di Locarno. Vi è
un luogo Sacro dove il fiume Melezza confluisce nel Maggia: un roccioso
promontorio tra due fiumi, a Tegna, detto” Castello” che si alza per 300 metri dal
fondo valle. La scarsità di armi rinvenute nelle necropoli, rispetto alla numerosa
popolazione e la ricchezza dei corredi funebri, compresi piccoli tesori di monete
celtiche coniate ad imitazione delle monete d’argento “massaliote” (di Marsiglia) ma
più rozze e recanti la leggenda DIKOI, ci mostrano una popolazione tranquilla e
pacifica, che senza sbalzi avanza sulla via dello sviluppo artigiano e commerciale,
con una continuità culturale invidiabile.
Askona (“grande acqua”) aveva magazzini e porticcioli dove la merce veniva
accumulata per poi essere caricata sui cavallini di montagna e proseguire così il
viaggio, come pure ve n’era uno alla foce del Toce, ma vi era anche un Luogo Sacro
dove recarsi a ringraziare gli dei per il viaggio tranquillo e prima di trasbordare,
lasciavano una statuetta di Mocco o Cernunno per invocare la grazia di un felice
ritorno. Anche Stabio era un altro importante luogo di scambio e sosta per il traffico
Nord-Sud al quale si fermavano le merci provenienti da Komu e dalla bassa Insubria.
Con l’arrivo degli Insubri sorsero molti di questi fortilizi ( Dunn) posti ognuno a
controllo di una via di transito commerciale. Esili tracce ci possono portare a
riconoscere i Dunn di Induco che controllava il passaggio da Varis (Varese) alla
Valganna e Valceresio, Besano ed Ardena. Ad Orino (dove sorse poi la rocca), Duno
e Cavona per la Valcuvia. Brebbia e forse Cardana signoreggiavano sui laghetti
morenici ai piedi del Campo dei Fiori, mentre il Verbano era guardato da Taino,
Angera, Ispra, Arona, Calogna (sopra Lesa) e Portovaltravaglia. La piccola fortezza
fungeva anche da banca prestiti a cui i membri del Clan potevano attingere al
momento del bisogno, come pure vi era il magazzino granaglie d’emergenza per le
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annate di carestia. Insomma, non era solo un caposaldo militare ma piuttosto, un vero
centro sociale-tribale.
INSUBRI : Il loro nome deriva da “Brae” con significato di pontile o palafitta.
Gli Insubri provenienti dalla Gallia, ebbero buon gioco ad imporre la loro leadership
sulle pacifiche comunità di Golasecca: ad una ad una le popolazioni di Comenses
(Como), Vertamocori (Novara),Laevi (Turbino), Montunates (Albizzate), Marici
(Pavia) e Braecori (Erba) divennero parte integrante del nuovo popolo.
I villaggi erano solitamente sparsi in campagna e quando si presentavano compatti
avevano pianta circolare con viuzze concentriche.
Possiamo concludere che gli INSUBRI furono il popolo CELTA che tentò di
formare uno Stato unitario Gallico da opporre alla nascente potenza di Roma.
Purtroppo gli eventi storici bloccheranno questo interessante tentativo.
Arsalo Seprio : “Nessun villaggio in Insubria è più antico”, così declamava nel
1784 lo storico Campana.
Ubicato sulla strada principale che collegava il Ticino con la capitale Mediolanum,
Arsalo Seprio fu un grosso villaggio come è testimoniato da ben due necropoli. Lo
studio dei corredi funerari fornisce utili notizie sugli Insubri. Arsalo era una comunità
con una precisa divisione dei compiti lavorativi . le donne si occupavano della
tessitura e della produzione di farina, mentre gli uomini svolgevano il lavoro pesante
agricolo ed allevavano il bestiame. La società aveva un capo ed una classe nobile,
come evidenziato dai corredi tombali. Il nucleo abitativo, era composto da ben 25
villaggi tra due fiumi : l’Astrona e l’Arno e che facevano capo al centro
“Artius”(l’orso).
Insubre era anche Albigiade (Albizzate) patria dei Muntuates, come pure Gallarate
(“di proprietà dei Galli”) con i suoi due villaggi di cui il principale posto sulla strada
che portava ai laghi ed il secondo (in realtà un’insieme di villaggetti sparsi) deito al
commercio e all’artigianato posizionato lungo il corso dell’Arno.
Cuveglio: deriva dalla parola Celta “Cous”che vuol dire “covo”, paese situato nella
“Vallis cum via”= Valcuvia, nome attribuito a questo villaggio per la sua posizione
riparata dentro un’insenatura. Anche Gemonio ed Azzio hanno origini preistoriche e
nella necropoli del primo si rinvennero due vasi di bronzo del tipo “a becco
d’anitra”. I due villaggi erano collegati a Cuvio da una strada, di cui ancora oggi
restano tracce, che partiva da Cuvio vicino alla fontana degli uffici.Ancora agli inizi
del secolo XX° d.C., gli abitanti della zona erano soprannominati “Ruten”dal celtico
“Ru”: strada. Anche a Cavona doveva sorgere un villaggio sulle alture, forse un
fortilizio dato che nel 1840 si ritrovarono parecchi monili ed armi di bronzo e ferro.
Purtroppo questi reperti finirono dispersi in Austria. Forse il mistero dell’antichità
della Valcuvia è legato ai terrazzamenti di Cavona.
Duno, come dice il nome, era probabilmente un fortilizio. Orino ( dalla radice
“Ouer”) = “in margine dell’acqua”. Arcumeggia , in celtico Arxmedia = “fortezza
di mezzo”.
Per la ricorrenza della festività di S.Antonio, il folclore popolare vuole che si
accendano i falò per scacciare le “streghe” nel giorno del Santo, che noi sappiamo
corrisponde alla festa di Imbloc per i Celti. Le foreste che coprivano il Campo dei
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Fiori e la Martica erano un paradiso di caccia, percorse anche da belve, l’ultimo orso
fu ucciso a Brinzio nel 1740d.C. ed i lupi si trovano ancora alla fine del secolo
scorso.
Cosacchi ( “insenatura”), Gaggio (“bosco”),Brenta (“corvo”), Vararo, che si trova
più in basso di ora, deriva da “Var” = acqua. Brenta era situata ove ora sorge
S.Qurico, perché la parte bassa già paludosa era resa più impervia per il gran numero
di torrentelli che scendevano dai monti e venivano attraversati con le passerelle detti
“trvaconi”.
Queste valli erano particolarmente legate al culto delle TRE dee Matrone, culto
acquatico che si sviluppò nel culto delle cascate. Così erano considerate Sacre la
“Cascata delle Marianne”, dove Marianne sta per le tre dee ad Arcumeggia, e la
cascata nella valletta laterale lungo la strada di S.Antonio a Nasca, dove ancora nel
1920 le ragazze portavano offerte per avere successo in amore. Al culto di Lug (in
romano Mercurio) era dedicata la Vallis Merculiola (Val Marchirolo); Sacro a
Beleno era il uogo ove ora sorge la chiesa prepositurale di Leggiuno: Beleno era
anche il dio protettore di Angera e Ispra dove sorgeva un Oppidum sulla collina a
picco sul Lago (località Fornaci).
Furono edificati :Guir (Gavirate), Kunmaer (Comerio), Lugnatis (Luvinate).
Necropoli dell’età del ferro sono state scavate a Gavirate (S.Trinità) e CoquioCaldana, Biandronno, Ispra, Trebbia, Besozzo e nella zona di Leggiuno e Caravate.
Per comodità di pascoli e possibilità di pianori ubertosi dove praticare l’agricoltura,
gli Insubri si sistemarono in tutta la regione di colline moreniche protetta dal Campo
dei Fiori e contenente i laghetti di Monate, Comabbio, Brabbia e Varese. L’ultima
migrazione celta porta tra noi nuove invenzioni : la botte in legno cerchiata in ferro,
un perfezionamento della ruota per carri con nuova cerchiatura a caldo che ne evita
l’usura ed una specie di mietitrice a trazione chiamata “vallus”.
Una lunga strada segue alla base il massiccio montuoso e passata la fortezza di Orino
risale verso i “Valisch” di Brinzio, antico passo che unisce i villaggetti sui laghi con
la Valganna. Il nome Brinzio deriva dalla radice “Bria-Brea” come Trebbia, Brabbia
e significa “Ponte-costruzioni sull’acqua”. Forse qui sorgevano palafitte?
Ganna e Ghirla : questi villaggi sorgevano sulle alture dei Scerè e a mezza costa del
Pianbello(Pen = Vetta- Bol) su cui sorgeva il masso erratico che fungeva da luogo
sacro “Sass di Bol” Marzio, che in dialetto si pronuncia Maeghc è gallico e indica un
campo dove si radunano le assemblee. Altra pietra considerata apportatrice di virilità
e perciò ritenuta sacra è l’obelisco naturale verso la cima del Minisfreddo (Menis
frei = “pietra lunga vicino alla sorgente”).
Il mondo celta e ligure resterà ancora presente sino al nostro secolo attraverso i
toponimi, il “dialetto”, il folklore ed il modo di pensare tradizionalmente arcaico
della nostra gente di montagna.
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Tratto dal libro di
Roberto Corbella
Il popolo “Celta” e la sua lingua
CELTI
Pietra, Rame, Bronzo, Ferro:
Nobili, Sacerdoti e Popolo
GUIDE MACCHIONE
E
Editore
E
L
La Famiglia
I DRUIDI
La Luce di Blenio
Il Mondo dei morti
La reincarnazione
Un villaggio sulla montagna
MEGALITI
Sion degli Uberi
La gente dell’acqua
Megaliti e Astronomia
Il Monsorino
Monti di Ferro e Rame
L’Oppidum di Monte Caslè
Komum e la “Spina Verde”
INSUBRI :”la tribù del cinghiale
Lipomo / Idea del consigliere Guzzon per valorizzare i sassi coppellati
“Un percorso tra gli antichi Massi scolpiti”
Un percorso botanico e astronomico lungo i boschi che circondano il paese.
E’ una proposta del consigliere Manuel Guzzon, capogruppo della lista di
minoranza, che sembra suscitare un certo interesse anche da parte della
giunta comunale.
Guzzon, per rivitalizzare la vita culturale del paese, propone di recuperare le
radici storiche di Lipomo. Tra queste la presenza, sul territorio comunale, di
alcuni massi coppellati :
“grosse pietre scolpite dai nostri antenati con simboli rituali”.
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I più celebri sono il “sass sura Lipomm”, sulle pendici del monte Croce, oltre
al “Sasso di Mezzo” e il “Sasso di Enzo” in località Tarliscia.
Secondo recenti studi sembrerebbe che le raffigurazioni incise su questi
grandi massi abbiano un significato astronomico :
riprodurrebbero infatti il cielo visibile sopra Como di 3000 anni fa.
Un firmamento visibile soltanto in parte oggi alle nostre latitudini per il
fenomeno della precessione degli equinozi.
Di qui l’idea del consigliere di minoranza di far conoscere queste
testimonianze alle giovani generazioni, attraverso un sentiero ad hoc e con
cartelli di spiegazione.
Secondo il parere del sindaco di Lipomo, Giuseppe Novajra, l’idea di fare
raggiungere come meta turistica i massi coppellati è sicuramente
interessante, anche se andranno superati due ostacoli :
la ricerca di fondi per realizzare questo percorso e
per tenerne curata la manutenzione.
Dal “Corriere di Como” 21 luglio 2001
( pag. 7)
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19 La Storia Dei Celti Insubri e altro