Lettera a Beethoven
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Lettera a Beethoven
LETTERA A BEETHOVEN di Carlo Matti La mappa e il sogno Caro Beethoven, avrei potuto scriverti una dotta lettera, colma di considerazioni erudite e di osservazioni tecniche, ma – poiché discendo culturalmente dall'omo sanza lettere, abituato alla concretezza del fare – ho preferito dialogare con te sfidando le tue partiture per pianoforte, piuttosto che con colte dissertazioni da studioso. Credo fermamente che l'unico discorso possibile sulla musica d'Arte sia la pratica della musica d'Arte. Probabilmente non condividerai completamente la mia interpretazione delle tue ultime tre sonate, e forse mi accuserai perfino di averle in parte snaturate e distorte – d'altro canto sappiamo bene che sei giustamente esigente e non sei certo di maniere gentili. Tuttavia ti prego di credere che le ho suonate senza vanità esibizionistica, ma con una devozione che potrei dire religiosa, indagando con costanza la lettera e lo spirito delle tue partiture. Come sai la partitura è spesso menzognera, è come la mappa che indica la via per raggiungere un tesoro, una mappa non sempre precisa il cui significato si perde nella stesura linguistica dei segni musicali. La partitura è la mappa, la musica è la strada, ma una strada inconoscibile, lontanissima nel passato e nel futuro: è la strada del Sogno. No, non voglio essere retorico nel parlare di Sogno. La dimensione onirica non è per me fuga dalla realtà, non è ingannevole cosmesi della fatica quotidiana (e quanta fatica nello studio delle tue sonate!). Il sogno è per gli uomini il più semplice indizio delle regioni imperlustrabili dell'Inconscio, preziosissimo indizio che gli antichi indovini e i profeti tenevano in gran conto. Là, nel mondo dietro e oltre il sogno c'è la regione della musica, e in particolare della tua musica, così concettuale, così distaccata dai sensi. La sorte ti ha condannato alla sordità, e se anche tu potessi leggere queste righe, se io potessi inviartele presso la tua casa di Vienna, anche in quel caso non potresti ascoltare le tue sonate, che per te vivono solo nella tua mente, perfette, senza scontrarsi con i limiti degli strumenti reali, del suono reale. La tua musica vive nella mente come i personaggi in cerca d'autore di Pirandello, compiuti, sempre identici a sé stessi, perfetti, vivissimi, autentici. nel pianoforte e la complessità strutturale dei tuoi brani rendono impossibile eseguirne un'interpretazione che renda pienamente giustizia ad ogni dettaglio, ad ogni cellula musicale e ad ogni elemento formale. Se si presta attenzione alla struttura ecco che diviene necessario allentare il rigore ritmico, se si privilegia il timbro ecco che la struttura Strumenti impossibili non appare più con la stessa chiarezza: la coperta della realtà tecnica e sonora è sempre Credo che se tu avessi potuto testare troppo corta, e non può mai comprendere direttamente queste tue sonate con il suono tutto il coraggio e la profondità del tuo reale del pianoforte, che si scontra con pensiero musicale. l'altezza e l'ambizione del tuo pensiero musicale, non avresti osato tanto. La tua musica non è musica di questo mondo Scandalizzerò molti esperti nel dire che la tua sensibile, ma è Arte che indica la via musica non è scritta per pianoforte, né per dell'Inconoscibile, la via dell'Irrazionale, del nessuno strumento reale: è scritta per Sogno. strumenti immaginari, perfetti e versatili, ma Nel pianoforte tu cerchi talora un vulcano di concretamente impossibili. In particolar modo suono, direi più che percussivo, talora vi la tua musica pianistica, straordinariamente cerchi invece una voce, una viola, talora un complessa sulla partitura, soffre il limite della tintinnio, un brillare di stelle. Talora ricerchi realtà, sino a giungere all'ineseguibilità. Non soltanto la solidità della struttura armonica e la semplice ineseguibilità tecnica, che si contrappuntistica, senza curarti del timbro. affronta con relativa facilità (e il secolo che mi Sempre però a guidarti è la ricerca della ha preceduto è stato ben più ardito di te nella Forma. ricerca delle estreme possibilità tecniche strumentali), ma un'ineseguibilità generata dallo spessore concettuale, dalla poliedricità La dualità della tua musica. Il pianoforte reale non riesce a produrre un'immagine fedele della tua Personalità mistica, tu hai forzato la forma musica, può soltanto lasciarne intuire sonata sino all'estrema conseguenza, sino a un'ombra. La varietà di timbri che tu cerchi distillarne l'essenza duale. La forma sonata è il simbolo della dualità nell'unità. L'universo è duale, c'è il giorno e la notte, la mente e il corpo, il sole e la luna, le idee e le cose, l'energia e la materia, lo yin e lo yang, il maschio e la femmina. Il pensiero e la vita degli uomini sono duali. Gli opposti si compensano e si equivalgono, sono come le due facce di un'unica medaglia. La sonata, come sai, ha due temi contrapposti: sono l'essenza della sonata. Lo sviluppo è la lotta tra il principio del primo tema e quello del secondo e nella ripresa si celebra l'alchimistica unione del Sole e della Luna nella raggiunta unità tonale originaria. Tu già dalla sonata op.109 tendi ad una struttura duale: il primo tempo è diviso in due parti contrapposte e tutta la sonata è di fatto divisa in due tempi, il Vivace (unito e seguito dal Presto) e il tema con variazioni. L'opera 110 nuovamente tende alla compiere la dualità formale: i primi due tempi sono contrapposti agli ultimi due (che sono anche fusi insieme). Nell'ultima tua sonata, l'opera 111, si compie la struttura duale, che indagavi già nelle precedenti sonate: in soli due tempi chiaramente contrapposti, uno strutturalmente radicato nel rigore contrappuntistico, l'altro rapito nell'esaltazione estatica delle infinite variazioni, si compie l'unità formale della dualità, la complexio oppositorum, l'unione paradossale degli opposti. Jazzy? È forse nell'unione degli opposti che hai intravisto il futuro? È in sogno che hai intuito il ritmo del Ragtime? Nuovamente scandalizzerò molti esperti nel dire che io credo che nella tua opera 111, ma anche nelle due precedenti sonate, tu abbia anticipato il Ragtime. Così ho voluto leggere i ritmi sincopati, gli sforzando sul levare, l'andamento così simile allo swing nelle variazioni dell'Arietta. Trovo incredibile che qualcuno possa negare il carattere profetico della tua intuizione ritmica. Oggi è facile leggere e comprendere i tuoi ritmi inattesi come anticipazioni del jazz, ma sono sicuro che tu li abbia intuiti come in un sogno tanto luminoso quanto inquieto, frutto di una ricerca che oso definire archeologica. L'archeologia e la profezia si incontrano e si confondono: il passato dimenticato illumina il futuro e nel futuro riaffiora il ricordo di civiltà scomparse. Nella continua ricerca dell'essenziale ritmico, nell'instancabile scolpire sottraendo materiale, puntando alla sintesi, hai scoperto il futuro del ritmo, come in una rivelazione di danza. È proprio la danza, l'elemento dinamico, antico, ancestrale, che ho voluto il più possibile privilegiare nella mia interpretazione di queste tue sonate, cercando in essa un possibile equilibrio tra le contrastanti esigenze esecutive che emergono dallo studio delle tue partiture. Nella danza ho voluto cercare la forza primordiale e originaria che rende vitale e unitaria anche la più complessa struttura formale, che così non si chiude nella speculazione concettuale ma si apre al Mistero. Nella danza ho voluto seguire la tua Arte, come una traccia sulla via dell'Inconoscibile, sospesa come ogni Arte tra ragione e sentimento, tra sensibilità e intuizione, simbolo unificatore degli opposti: ricerca instancabile della struttura che si trasfigura nell'Irrazionale, impossibile linguaggio dell'Indicibile. Teriyaki Records L'immagine di copertina è di Filippo Morini In questa registrazione Carlo Matti suona un pianoforte a quatto pedali Wendl & Lung