i rapporti di filiazione - Dipartimento di Giurisprudenza

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I RAPPORTI DI FILIAZIONE
- 1.La paternità del figlio legittimo.
2.. Presunzione di concepimento durante il matrimonio.
- 3. Il disconoscimento della paternità: a). le condizioni; b) i termini e la
legittimazione;
– 4. La prova della filiazione legittima.
– 5. Il riconoscimento dei figli naturali;
- 6. La dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità.
– 7. La legittimazione dei figli naturali
La paternità del figlio legittimo
231 Il marito è il padre del figlio concepito durante il matrimonio. L’articolo
231 del codice civile, pone una presunzione ovvero una attribuzione legale, diretta a
superare le difficoltà di prova di uno dei tradizionali presupposti di legittimità e può
essere vinta soltanto con l’azione di disconoscimento di cui all’articolo 235.
Essa opera in presenza dei tre presupposti dello status, riassunti nella formula
figlio concepito durante il matrimonio, e cioè un matrimonio valido (o putativo) tra i
genitori, parto della moglie e concepimento durante il matrimonio.
L’attribuzione di madre, spetta alla donna che ha partorito, secondo una regola
non scritta ma radicata nell’esperienza comune. Più di recente tale attribuzione è posta
in dubbio dalla irruzione delle tecniche di procreazione assistita eterologa con
intervento dei donatori e in specie le pratiche di surrogazione della maternità, con la
possibile concorrenza tra la madre genetica e la madre gestante.
E’ ormai comune in dottrina e giurisprudenza l’opinione che subordina
l’operatività della presunzione di paternità ad un ulteriore presupposto, non menzionato,
ossia che il figlio sia stato dichiarato come legittimo nell’atto di nascita ed abbia
quindi un titolo di stato. Così ove la donna coniugata si avvalga della facoltà di non
essere nominata nell’atto di nascita, la mancata indicazione della madre non consente di
individuarne il marito. E, data l’ammissibilità del riconoscimento di figlio adulterino
anche da parte di donna coniugata (vedi articolo 250 del codice civile, comma 1), la
presunzione di paternità non opera qualora in sede di formazione dell’atto di nascita la
madre abbia dichiarato il nato come proprio figlio naturale e quindi non concepito ad
opera del marito: in tale ipotesi viene a mancare il titolo attributivo dello status di figlio
legittimo, senza che il marito abbia interesse (o sia legittimato) a proporre l’azione di
disconoscimento.
La presunzione di paternità di cui all'art. 231 cod. civ. non opera per il semplice fatto della
procreazione da donna coniugata, ma solo quando vi siano anche un atto di nascita di figlio legittimo o,
in difetto, il relativo possesso di stato, mentre, quando risulti che la madre abbia dichiarato il figlio come
naturale, difettando l'operatività di detta presunzione e dello status di figlio legittimo, non è necessario il
disconoscimento ai sensi dell'art. 235 cod. civ., ne' si frappone alcun ostacolo all'azione per la
dichiarazione giudiziale della paternità naturale di persona diversa dal marito. (Cass.Sez. 1, Sentenza n.
8059 del 27/08/1997).
1
Presunzione di concepimento durante il matrimonio
232 Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono
trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora
trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento dello scioglimento o della
cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di
separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla
data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati
autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi
previsti nel comma precedente.
La presunzione di concepimento prevista dall’articolo 232 del codice civile, ha
carattere di presunzione assoluta con esclusione di ogni prova contraria, salva l’azione
di disconoscimento.
La presunzione, in base al secondo comma, non opera con riferimento alla nascita
dopo i trecento giorni dall’epoca della autorizzazione data ai coniugi a vivere separati in
caso di separazione giudiziale o consensuale (che coincide con la comparizione delle
parti davanti al presidente del tribunale), ovvero nei casi di procedimento per
annullamento del matrimonio, a sensi dell’articolo 126 del codice civile.
La modificazione del rapporto giuridico matrimoniale prodotto dalla separazione
personale, comprende anche la cessazione dell’obbligo della fedeltà, da cui deriva la presunzione
di paternità per cui dalla data della autorizzazione, nel corso del procedimento (di separazione o di
annullamento) non è più giustificabile presumere che il concepimento sia avvenuto ad opera del
marito.
233 Il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso,
non ne disconoscono la paternità.
Tale disposizione, contenuta nell’articolo 233 del codice civile, prevede una
ipotesi di filiazione legittima per il nato “prima” dei centottanta giorni (art. 233). Lo
stato di figlio legittimo, infatti, esiste per effetto della formazione del titolo di stato e
può venir meno solamente se viene esercitata l’azione di disconoscimento della
paternità, da parte del marito o del figlio stesso. Nell’ipotesi di figlio nato al di fuori
della presunzione (prima dei centottanta giorni dalla data del matrimonio) la legge
consente che il figlio stesso sia reputato legittimo, salva l’azione di disconoscimento del
coniuge o dello stesso figlio.
In questo caso, secondo la giurisprudenza (Cass. 88/4281 e 90/1211), l’articolo
233 vale a rendere inoperanti le condizioni di ammissibilità dell’azione di paternità
(adulterio eccetera), ma non solleva l’attore dall’onere di provare con qualsiasi mezzo il
difetto di paternità.
Tale azione di disconoscimento va comunque proposta entro il termine previsto
dall’articolo 244 del codice civile. La decorrenza del termine, a seguito della sentenza
della C.Cost. 134 del 1985, decorre dall’anno della “scoperta” del supposto “adulterio”
all’epoca del concepimento, inteso l’adulterio in senso lato di rapporto con persona
diversa da quella successivamente sposata ( Cass. 00/5248).
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Il disconoscimento della paternità, per il caso in cui il figlio sia nato dopo la celebrazione del
matrimonio, ma prima che siano trascorsi centottanta giorni, ai sensi dell'art. 233 cod. civ. (nuovo testo),
implica, a carico dell'istante, la prova del fatto costitutivo della relativa pretesa, cioè la prova delle non
paternità, atteso che detta posteriorità della nascita rispetto al matrimonio è di per sé sufficiente ad
integrare una presunzione di "status" di figlio legittimo, anche se, trattandosi di concepimento avvenuto
all'infuori del matrimonio, il disconoscimento medesimo non è soggetto alle condizioni fissate dall'art.
235 cod. civ. (nuovo testo). Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12211 del 29/12/1990.
Con riguardo al disconoscimento della paternità del figlio nato prima di centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio, ai sensi dell'art. 233 cod. civ. la suddetta data della nascita, escludendo la
presunzione di concepimento in costanza di matrimonio, vale a rendere inoperanti le condizioni
d'ammissibilità dell'azione previste dal successivo art. 235 cod. civ., ma non esenta l'attore dall'onere
di fornire la prova, con ogni mezzo, circa il difetto di paternità, non essendo quel dato temporale
sufficiente a giustificare l'accoglimento della domanda, perché di per sé non ostativo all'acquisto dello
stato di figlio legittimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4281 del 25/06/1988.
La disciplina del termine di cui all'art. 244 cod. civ. conseguente alla sentenza della Corte
costituzionale n. 134 del 1985 - che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il secondo comma
dell'art. 244 cod. civ. nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello stesso
codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a
conoscenza dell'adulterio della moglie - è applicabile non soltanto nell'ipotesi in cui si proponga l'azione
di disconoscimento del figlio nato dopo i centottanta giorni dal matrimonio deducendo l'adulterio quale
condizione d'ammissibilità ai sensi dell'art. 235, n. 3 cod. civ., ma anche in quella di esercizio
dell'azione di cui all'art. 233 cod. civ., nell'ambito del quale l'asserito "adulterio" all'epoca del
concepimento costituisce di per sé il fatto costitutivo della pretesa Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5248 del
21/04/2000.
Anche in relazione all'ipotesi dell'azione di disconoscimento di paternità di figlio "reputato
legittimo" nato prima che siano decorsi 180 giorni dalle nozze, la "scoperta" dell'adulterio commesso
all'epoca del concepimento - alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato
dall'art. 244 cod. civ. (come additivamente emendato con sentenza n. 134/1985 della Corte
costituzionale) - va intesa come acquisizione certa della conoscenza ( e non come mero sospetto ) di un
fatto - non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera
frequentazione della moglie con un altro uomo - rappresentato o da una vera e propria relazione, o da
un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole
disconoscere. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6477 del 23/04/2003.
La presunzione assoluta di concepimento, a norma dell'art. 232 cod. civ., del figlio nato dopo
centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio non esclude la possibilità di provare, mediante
l'azione di disconoscimento di paternità ai sensi dell'art. 235 cod. civ., che il figlio sia stato concepito
prima della celebrazione del matrimonio e non sia frutto dell'Unione con la madre poi sposata. In tal
caso l'attore è tenuto a provare la sussistenza di almeno una delle condizioni preliminari previste dal
citato art. 235, dovendosi intendere la parola "coniugi", "marito", "moglie", "adulterio" in esso usate in
senso estensivo, come se al momento del concepimento il matrimonio fosse già avvenuto, atteso che la
diversa interpretazione finirebbe con il limitare il disconoscimento di paternità alla sola ipotesi in cui la
madre abbia tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. (Cass. Sez. 1, Sentenza
n. 5626 del 09/06/1990. Conf 4272/83, mass n. 429200 ).
La presunzione assoluta di concepimento, a norma dell'art. 232 cod. civ., del figlio che sia nato
dopo centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è diretta ad impedire nei confronti di chi sia
nato entro tali limiti ogni possibilità di contestazione circa lo status di figlio legittimo spettantegli, ma
non esclude la possibilità di provare che il figlio sia stato concepito prima della celebrazione del
matrimonio e che non sia frutto dell'unione della madre con chi è poi divenuto suo marito. In questa
ipotesi l'azione di disconoscimento di paternità è ammissibile sulla base della dimostrazione da parte
dell'attore di una qualunque delle quattro condizioni preliminari previste dall'art. 235 cod. civ.
dovendosi intendere le parole "coniugi", "marito", "moglie", "adulterio" usate nella citata norma in
modo estensivo come se al momento del concepimento il matrimonio fosse già avvenuto e ciò allo scopo
di evitare una interpretazione della disposizione sicuramente in contrasto con le norme costituzionali in
quanto finirebbe per limitare il disconoscimento di paternità del figlio legittimo nato dopo centottanta
giorni dal matrimonio, ma concepito sicuramente prima della sua celebrazione, alla sola ipotesi in cui la
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madre abbia tenuto celato al marito la propria gestazione e la nascita del figlio. Cass. Sez. 1, Sentenza
n. 4272 del 22/06/1983.
234 Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo
i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti
civili del matrimonio, è stato concepito durante il matrimonio.
Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando
il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o
dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data di comparizione dei
coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere
separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma
precedente.
In ogni caso il figlio può proporre azione per reclamare lo stato di legittimo.
Il figlio nato dopo i trecento giorni dallo scioglimento, annullamento o cessazione
degli effetti civili del matrimonio non può essere considerato né denunciato come
legittimo, in quanto al medesimo non è attribuito immediatamente lo status di figlio
legittimo, ma è da ritenere figlio naturale riconosciuto da chi se ne assume la maternità
fino a quando non venga vittoriosamente esercitata l’azione di reclamo dello status, in
cui venga data la prova che la gestazione si sia eccezionalmente prolungata. Per l’ipotesi
che il figlio sia stato denunciato come legittimo, nell’atto di nascita, ricorre una delle
ipotesi di contestazione della legittimità di cui all’articolo 248 del codice civile, ovvero
una ipotesi che consente il disconoscimento.
La portata applicativa della norma, nella diversa ipotesi di separazione personale
dei coniugi, in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, in virtù della
disposizione contenuta nel secondo comma, non è limitata al solo caso di gravidanza
eccezionalmente protrattasi oltre i 300 gg. ma va estesa, nell’ipotesi di coniugi
autorizzati a vivere separati, pure all’ipotesi di una convivenza, anche temporanea o
occasionale fra i coniugi stessi (Cass. 86/2603 e 85/3541), la cui prova va fornita dal
reclamante.
Ai sensi del novellato art. 234 in correlazione al precedente art. 232, cod. civ. nell'ipotesi di figlio
nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili
del matrimonio, ovvero ancora dall'autorizzazione data ai coniugi di vivere separati, si presume
l'illegittimità del figlio medesimo, con la conseguenza che, ai fini dell'onere della prova, nell'azione di
disconoscimento della paternità, non spetta al marito provare (oltre la separazione) la mancanza
assoluta di rapporti intimi, sebbene alla moglie, che si oppone al disconoscimento, dimostrare che vi è
stata riunione temporanea, con possibilità di incontri intimi e quindi della copula fecondatrice. Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 2603 del 14/04/1986.
In caso di riconciliazione fra coniugi, già autorizzati a vivere separati nel corso di procedimento
di separazione personale, riprende ad operare la presunzione di concepimento durante il matrimonio di
cui all'art. 232 primo comma cod. civ., con la conseguenza che il figlio nato dopo la riconciliazione,
avvenuta prima del decorso di trecento giorni da quella autorizzazione, si reputa legittimo, salva l'azione
di disconoscimento Cass. Sez. 1, Sentenza n. 541 del 23/01/1984.
Il disconoscimento della paternità
Le condizioni.
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L’azione ex art. 235 è rivolta al disconoscimento di paternità del figlio concepito
durante il matrimonio, vale a dire nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data
dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del
matrimonio.; e perché possa raggiungere il suo fine superando la presunzione legale di
paternità, è richiesto dalla legge che i fatti o situazioni atti ad escludere, se provati, la
paternità del marito si siano verificati nel periodo di tempo compreso tra il trecentesimo
giorno prima della nascita (termine corrispondente alla durata massima della gestazione)
e il centottantesimo giorno prima della nascita (termine corrispondente alla durata
minima della gestazione): ciò vale per tutti i citati fatti o situazioni, in cui consistono i
casi presi in considerazione dalla legge perché sia esercitabile l’azione. La presunzione
di paternità del marito è superata se viene provato che uno di quei fatti o situazioni si è
verificato nel periodo di tempo cosi delimitato dalla legge.
Le condizioni perché possa essere esercitata l’azione di disconoscimento della
paternità sono elencate nell’articolo 235 del codice civile.
La contestazione della legittimità del figlio da presumersi concepito in costanza di
matrimonio ai sensi dell’art. 232, 2°co. può essere effettuata solo con l’azione di
disconoscimento di cui alla norma in commento e, quindi, da parte dei soggetti, nei
termini e alle condizioni ivi pre viste, mentre non è esperibile l’azione. di contestazione
del la legittimità di cui all’art. 248, la quale si configura come disposizione residuale per
le contestazioni diverse da quelle inerenti alla paternità (C 95/9463, C 96/547. C 00/5
3529).
Il figlio nato da madre coniugata, che abbia lo stato di figlio legittimo attribuitogli dall'atto di
nascita (sussista o meno pure il possesso del relativo "status"), non può contestare la paternità legittima
avvalendosi dalla disposizione di cui all'art. 248 cod.civ., in quanto tale norma non è concorrente con
quella dettata in tema di disconoscimento della paternità e non può ad essa derogare, dato che configura
un'azione con contenuto residuale, esperibile solo ove non siano previste e regolate altre azioni di
contestazione della legittimità. Ne deriva che, per rimuovere la presunzione di concepimento durante il
matrimonio, deve avvalersi dell'azione di disconoscimento della paternità anche il figlio che sia nato
decorsi trecento giorni dall'omologazione della separazione consensuale (o dalla pronuncia di
separazione giudiziale) Cass. Sez. 1, Sentenza n. 547 del 25/01/1996.
I casi previsti nei numeri 1 e 2 della disposizione in esame, consentono il
disconoscimento quando i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso tra il
trecentesimo giorno e il centottantesimo giorno prima della nascita e quando durante
il tempo predetto il marito era affetto da impotenza anche soltanto di generare. In
questi casi, la prova dei fatti indicati dalla legge può essere sufficiente da sola ad
escludere la paternità.
Qualora l’azione di disconoscimento venga proposta nei confronti del bambino
nato dopo il decorso di più di 300 gg. dalla separazione (o dalla non coabitazione),
spetta alla madre, stante la mancata operatività della presunzione, fornire la prova della
paternità mediante la dimostrazione della coabitazione o di rapporti sessuali con il
marito nel periodo legale di concepimento (C 86/2603); ne deriva che la carenza di tale
prova giustifica di per sé l’accoglimento della domanda, senza che si renda necessario il
ricorso ad indagini ematologiche (C 85/3541).
Quando l’attore abbia provato la mancanza di coabitazione, per qualunque causa
che abbia dato luogo a condizioni soggettive tali da rendere improbabile l’esistenza di
rapporti intimi, spetta alla parte convenuta l’onere di provare, anche per presunzioni, il
ripristino temporaneo della coabitazione ovvero che eventuali incontri occasionali siano
sfociati in rapporti intimi.
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In tema di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio, per effetto
della legge 19 maggio 1975 n. 151, per quanto riguarda l'ipotesi della mancata coabitazione, la nuova
formulazione dell'art. 235 n. 1 cod. civ. ha sostituito la nozione di fisica impossibilità di coabitare per
causa di allontanamento od altro fatto con quella più generica ed ampia di "non coabitazione": nozione
- quest'ultima - che (al di là del significato testuale delle parole usate ed alla luce della ratio legis, da
identificarsi nella presunzione che la coabitazione tra i coniugi comporti naturalmente il mantenimento
dei rapporti sessuali) va intesa come comprensiva delle ipotesi in cui i coniugi - pur avendo abitato nello
stesso alloggio o vissuto nella stessa città o avuto comunque possibilità di visita o d'incontro - si siano
trovati insieme in circostanze di tempo e di luogo e in condizioni personali e soggettive tali da rendere
improbabile che essi abbiano potuto avere rapporti intimi. Dal che consegue, che quando l'attore abbia
dimostrato la "non coabitazione", nel senso precisato, la parte convenuta deve, essa provare, fornendo
idonei elementi presuntivi il ripristino anche temporaneo della coabitazione ovvero, che eventuali
incontri occasionali o saltuari - sul piano di una ragionevole probabilità (e non di una mera possibilità) siano sfociati in rapporti intimi. Sez. 1, Sentenza n. 498 del 25/01/1986.
L'azione di disconoscimento della paternità, promossa ai sensi dell'art. 235 primo comma n. 1
cod. civ. in base alla deduzione di difetto di coabitazione fra coniugi nel periodo compreso tra il
trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita, trova ostacolo nella dimostrazione di una
riunione anche soltanto temporanea dei coniugi stessi, pure se da essa emerga non la certezza, ma la
mera possibilità di un avvenuto rapporto intimo. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 232 del 14/01/1982
Ove l’impotenza coeundi non escluda la produzione di sperma deve tenersi conto
della possibilità della fecondazione assistita omologa, ma spetta al convenuto l’onere di
provare che la fecondazione è avvenuta con il seme del marito.
Secondo il n. 3 dell’articolo 235 del codice civile, l’azione di disconoscimento di
paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita quando nel periodo
della presunzione di concepimento la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata
al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso
a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno
incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escluderne
la paternità.
Si riteneva che le prove genetiche ed ematologiche potevano essere ammesse
solamente ove risultasse provato l’adulterio. Tale conclusione, avvalorata dalla lettera
della legge, è stata posta in dubbio di legittimità dalla Corte di Cassazione che con la
sentenza n.10742 del 5 giugno 2004, sollevato la questione con riferimento al primo
comma n. 3 dell’articolo 235, e agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui
subordina le prove genetiche o ematologiche se nel periodo del concepimento la moglie
ha commesso adulterio.
La Corte Costituzionale ha accolto (sent. 266 del 2006) l’eccezione, dichiarando
la incostituzionalità dell’articolo 235 del c.c. nel senso richiesto dalla Cassazione per cui
è possibile dare ingresso alle prove genetiche e a quelle ematologiche, rivolte ad
acclarare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno
incompatibili con quelle del presunto padre, indipendentemente dalla previa
dimostrazione dell'adulterio della moglie. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8356 del
03/04/2007.
Pur essendo incoercibile il giudice di merito può trarre dal comportamento anche
di uno solo dei soggetti che rifiuti di sottoporsi alla prova, quelle deduzioni che
connesse con gli altri elementi acquisiti, gli consentano di pervenire alla soluzione della
controversia (Cass. 97/10377, 99/386).
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La recente legge, recante le norme in materia di procreazione medicalmente
assistita (Legge 19 febbraio 2004 n. 40), ha escluso che possa essere esercitata l’azione
di disconoscimento di paternità, ovvero l’impugnazione del riconoscimento, da parte del
coniuge o del convivente consenziente (in caso di violazione del divieto di fecondazione
eterologa con seme di un donatore). In particolare il donatore di gameti, non acquisisce
alcuna relazione parentale con il nato. I figli nati dalla procreazione assistita hanno lo
stato di figli legittimi o naturali della coppia che ha espresso il consenso a ricorrere a
quelle tecniche. La madre del nato non può dichiarare la volontà di non essere nominata
nell’atto di nascita.
La giurisprudenza di merito e di legittimità, del resto, anche prima dell’entrata in
vigore della legge, ha sempre negato che il marito “che ha validamente concordato o
comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della
moglie con seme di donatore ignoto” avesse azione per il disconoscimento della
paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione (Cass.
99/2315).
In tema di fecondazione assistita eterologa, il marito che ha validamente concordato o comunque
manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore
ignoto non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a
tale inseminazione. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2315 del 16/03/1999
I termini e la legittimazione
Le azioni. di stato si distinguono dalle az. di rettificazione degli atti dello stato
civile (art. 455 c.c. e Titolo XI, d.p.r. 3 nov. 2000, n. 396, Regolamento per la revisione
e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), le quali sono dirette ad
eliminare una difformità tra la situazione di fatto quale è o dovrebbe essere nella realtà
secondo le previsioni di legge, e quale risulta dall’atto dello stato civile, per un vizio nel
procedimento di formazione di esso (C 86/7530, C 90/10519).
Il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile previsto dall'art. 454 cod. civ.,
consistendo nell'eliminazione delle difformità tra la realtà effettiva e quella riprodotta nell'atto, non è
esperibile con riguardo ad un atto di nascita che attribuisca al bambino, nato dopo 300 giorni dalla
data di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, il cognome del marito, nel caso in cui
non sia certa, bensì oggetto di controversia tra i coniugi separati, la sussistenza o meno, all'epoca del
concepimento, dello stato di separazione legale, a seguito di riconciliazione ai sensi dell'art. 157 cod.
civ.. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 951 del 26/01/1993)
Il procedimento di rettificazione delle risultanze dello stato civile, è esperibile per emendare
qualsiasi difformità fra tali risultanze e la situazione effettiva conforme alle previsioni di legge, e,
pertanto, con riguardo all'atto di nascita, che attribuisca al bambino nato dopo trecento giorni dalla
data di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, il cognome del marito anziché della
madre, nonostante l'inoperatività della presunzione di concepimento durante il matrimonio (art. 232
cod. civ.), può essere promosso per ottenere la relativa modifica di detto cognome, salva restando la
facoltà degli interessati di introdurre, pure in pendenza dell'istanza di rettificazione, autonomo
giudizio di accertamento dello "status". Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10519 del 30/10/1990.
Il procedimento di rettificazione degli Atti dello stato civile, può essere promosso per
l'eliminazione di ogni ipotesi di difformità fra la realtà effettiva, alla stregua della normativa vigente, e
quella riprodotta negli atti stessi, indipendentemente dalla ragione di tale difformità e dal soggetto che
l'abbia causata. Pertanto, ove la nascita di un figlio venga dichiarata dalla madre in qualità di
"coniugata", con la conseguente attribuzione del cognome del marito, il suddetto procedimento,
qualora la denunciante sia in effetti "divorziata", e non operi nei confronti del figlio la presunzione di
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concepimento durante il matrimonio secondo le disposizioni dell'art. 232 cod. civ., può essere attivato
non soltanto per la correzione nell'atto di nascita dello "status" della dichiarante, ma anche per
l'emenda dell'errore consistente nella assegnazione al neonato del cognome dell'ex coniuge. Cass. Sez.
1, Sentenza n. 7530 del 16/12/1986.
244 L’azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve
essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio.
Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal
giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato
il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la
residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver
avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha
avuto notizia.
L’azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio,
entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene
successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.
Tali disposizioni, contenute nell’articolo 244 del codice civile, stabiliscono dei
termini di decadenza (non di prescrizione) che devono essere rilevati d’ufficio dal
giudice trattandosi di diritti indisponibili, ai sensi dell’articolo 2696 dello stesso codice.
Questi termini, secondo la giurisprudenza prevalente (Cass. 99/6874, 96/10973),
sono di carattere sostanziale, ma con rilevanza processuale, per cui agli stessi si applica
la sospensione dei termini nel periodo feriale.
Anche al termine di decadenza annuale previsto per la presentazione della domanda di
disconoscimento della paternità naturale si applica la sospensione per il periodo feriale di cui all'art. 1
della legge 742/69, dovendosi ritenere, in conformità con l'insegnamento della Corte costituzionale
(sentenze nn. 40/85, 255/87, 49/90, 380/92, 268/93), che anche ai termini di decadenza di carattere
sostanziale a rilevanza processuale (quale quello previsto dall'art. 244 cod. civ.) sia applicabile la
disciplina della sospensione di cui alla citata legge 742/69 allorché la possibilità di agire in giudizio
costituisca, per il titolare che deve munirsi di una difesa tecnica, l'unico rimedio idoneo a far valere il
suo diritto - non potendosi legittimamente circoscrivere l'applicazione dell'istituto della sospensione dei
termini ai soli casi di giudizio già iniziato -, e senza che, ancora, spieghi influenza la circostanza della
maggiore o minor brevità del termine di decadenza di volta in volta sancito dalla legge per la
proposizione dell'azione. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6874 del 03/07/1999
Il secondo comma della disposizione, è stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell’articolo 235
(adulterio) che il termine decorra dal giorno in cui il marito è venuto a conoscenza di
detto adulterio (C.Cost. 85/134). Successivamente la stessa Corte Costituzionale (sent,
99/170) è intervenuta sul medesimo comma stabilendo che il termine, nel caso di
impotenza a generare, decorra per il padre dal giorno della scoperta della propria
incapacità e, correlativamente, per la madre, dal giorno in cui essa è venuta a
conoscenza della impotenza stessa.
L‘azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal
giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto
i sedici anni, o dal pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore.
Il figlio minore ultrasedicenne può chiedere la nomina del curatore,
personalmente al presidente del tribunale (senza avvocato). Qualora si tratti di figlio di
età inferiore, la nomina può essere richiesta dal P.M.. La disposizione è nata per
scoraggiare condotte elusive della legge sull’adozione (ed ora sul divieto di
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fecondazione eterologa), per evitare che una coppia di coniugi si procuri un figlio
mediante una relazione extraconiugale della moglie e che il marito non eserciti l’azione
di disconoscimento. Il caso più frequente, comunque è quello che il P.M. si muova su
istanza del genitore che è ormai decaduto dalla azione di disconoscimento, per cui la
nomina è subordinata alle informazioni che possano portare alla valutazione
dell’interesse del minore che deve in ogni caso prevalere. Il decreto del presidente è
reclamabile alla C. di Appello.
Gli articoli 245 e 246 del codice civile stabiliscono che i termini per la parte interessata
che si trovi in stato di interdizione, sono sospesi finché dura lo stato di interdizione, ma che
l’azione può essere promossa dal tutore. La sospensione opera anche a favore di coloro a cui si
trasmette l’azione di disconoscimento ex articolo 246. Nel caso di morte del padre o della madre,
avvenuta prima che sia decorso il termine, sono ammessi all’azione i discendenti e gli ascendenti;
il nuovo termine decorre dalla morte o dalla nascita del figlio postumo; nel caso di morte del
figlio, sono ammessi il coniuge o i discendenti, con il termine che decorre dalla morte del figlio o
dalla maggiore età dei discendenti.
247 Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel
giudizio di disconoscimento.
Se una delle parti è minore o interdetta, l’azione è proposta in contraddittorio
con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere
promosso.
Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato, l’azione è
proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice.
Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti l’azione si propone nei
confronti delle persone indicate nell’articolo precedente o, in loro mancanza, nei
confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice.
L’articolo 247 del codice civile stabilisce un litisconsorzio necessario.
La legittimazione dei presunti genitori e del figlio è esclusiva. Non si può
riconoscere alcuna possibilità che il presunto padre naturale introduca una azione di
disconoscimento, né viene accettato un suo intervento nel giudizio, quale persona priva
di interesse, sino al giudicato sulla non paternità.
Il curatore speciale del minore o del maggiore inabilitato (o in caso di mancanza
dei contraddittori) deve essere nominato dal tribunale in composizione collegiale, senza
necessità di autorizzazione a stare in giudizio.
La tempestività dell’azione va giudicata con riferimento alla notificazione della
citazione anche ad uno solo dei litisconsorti, potendo il contraddittorio essere integrato
per ordine del giudice, anche successivamente.
Il sedicente padre biologico, interessato a contestare la paternità legittima di un minore degli
anni sedici, non è legittimato al promovimento dell'azione di disconoscimento della paternità (riservato
dall'art. 244 cod. civ. esclusivamente alla madre, al marito, al figlio ultrasedicenne o, in caso di minore
di età inferiore, al curatore speciale nominato a richiesta del pubblico ministero), ne' ad intervenire nel
relativo procedimento, ne' ad impugnare i provvedimenti in esso adottati (nella specie, impugnazione del
decreto della Corte d'Appello di revoca della nomina del curatore speciale per il promovimento
dell'azione di disconoscimento di paternità in relazione a minore infrasedicenne. Cass. Sez. 1, Sentenza
n. 4035 del 06/04/1995
La sentenza che accoglie l’azione di disconoscimento della paternità avendo
natura di accertamento, travolge con effetti ex tunc ed erga omnes, lo stato di figlio
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legittimo del disconosciuto. La sentenza di disconoscimento dovrà essere annotata a
margine dell’atto di nascita: il figlio perde il cognome del padre ma conserva quello
della madre, come figlio naturale.
La prova della filiazione legittima e la contestazione
Secondo l’articolo 236 del codice civile lo stato di figlio legittimo si prova con
l’atto di nascita, iscritto nei registri dello stato civile che è appunto il titolo dello stato e
la prova legale dello stesso. Anche il possesso di stato, continuato, prova lo stato, ma
solamente se manca l’atto di nascita. Tutte le altre possibili prove vengono in
considerazione solo in mancanza delle due predette prove legali.
La formazione dell’atto di nascita avviene nei termini e secondo le modalità
indicate dall’art. 30, d.p.r. n. 396 del 2000 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell’ordinamento dello stato civile). In particolare. la dichiarazione di
nascita, sulla cui base si formerà l’atto, è resa da uno dei genitori, da un procuratore
speciale, oppure dal medico o dall’ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto,
rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata (art. 30, 1° co.). La
dichiarazione è corredata da una attestazione di avvenuta nascita la quale contiene tutte
le indicazioni essenziali relative alla nascita stessa (generalità della puerpera. comune,
ospedale o casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, giorno ed ora della
nascita, sesso del bambino). Sulla base dell’atte stazione di nascita l’Ufficiale dello
stato civile accerta la verità della nascita (art. 29, 6° co. d.p.r. cit.).
Secondo l’articolo 237 il possesso di stato deve risultare da una serie di fatti che
nel loro complesso valgono a dimostrare la relazione di filiazione e di parentela quali:
l’aver portato il cognome del padre; essere stato trattato dal padre come figlio; che tale
sia stato considerato nei rapporti sociali; che sia stato riconosciuto come figlio legittimo
nella famiglia.
In mancanza dell’atto di nascita la prova del possesso di stato e quindi dello stato
di figlio legittimo, può essere dato con qualsiasi mezzo. Solamente il figlio può chiedere
che il tribunale accerti il proprio stato di figlio legittimo, in mancanza dell’atto di
nascita.
Nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l’atto di nascita
ed il possesso di stato. Parimenti non si può contestare la legittimità di colui che ha un possesso di
stato conforme all’atto di nascita.. La disposizione dell’articolo 238 fa salvi i casi in cui il
matrimonio dei genitori è nullo per incesto o bigamia (articolo 128 c.c.), quando venga
disconosciuta la paternità naturale del marito della madre (articolo 235 c.c.), quando la nascita sia
avvenuta dopo i trecento giorni dal divorzio o dalla separazione legale (articolo 234 c.c.), quando
si contesti la maternità della donna, per sostituzione di neonato o supposizione di parto (articolo
239).
Secondo il disposto dell’articolo 240 del codice civile, nessuno può contestare la
legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e
moglie e sono morte ambedue, per il solo motivo che manchi l’atto di matrimonio,
qualora la stessa legittimità sia provata dal possesso di stato che non sia in opposizione
con l’atto di nascita.
Quando manca l’atto di nascita e il possesso di stato o quando il figlio sia stato
iscritto con falsi nomi, la prova della filiazione può darsi per mezzo di testimoni, purchè
vi sia un principio di prova per iscritto o la concorrenza di presunzioni e indizi
abbastanza gravi.
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Secondo il disposto dell’articolo 248 del codice civile l‘azione per contestare la
legittimità spetta a chi dall’atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi
abbia interesse. L’azione è imprescrittibile, e nel giudizio entrambi i genitori sono
litisconsorti necessari. Se proposta nei confronti di persone premorte o minori o
altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell’articolo 247 del codice civile che
prevedono la nomina di un curatore nominato dal tribunale davanti al quale si procede.
L’azione di contestazione della legittimità è nettamente distinta da quella di
disconoscimento ex articolo 235 del codice civile, che è diretta contro la presunzione di
paternità del marito, per cui decorsi i termini di decadenza tale presunzione non può più
essere messa in contestazione con l’azione di contestazione di legittimità che è prevista
quale azione residuale fondata su elementi diversi.
Tale azioni potrà dirigersi contro la validità del matrimonio quando si
assuma l’insistenza del possesso di stato conforme all’atto di nascita e si dimostri
l’incesto o la bigamia e la mala fede di entrambi i genitori. Può inoltre dirigersi
contro l’atto di nascita negando l’esistenza del parto ovvero la sostituzione.
L’azione è ammissibile nel caso di nascita prima del matrimonio e si sia formato
il titolo di stato di figlio legittimo. Nel caso di nascita dopo trecento giorni dalla
separazione legale, si ritiene che possa essere proposta solamente l’azione di
disconoscimento di paternità.
Si è esclusa l’ammissibilità dell’azione da parte del padre naturale, poiché la
paternità del padre naturale può essere fatta valere solo dai genitori o dal figlio.
La legittimazione per la contestazione spetta ai genitori in primo luogo ed a
chiunque vi abbia interesse. Tra questi possono indicarsi i parenti del figlio e il figlio
stesso, quando non abbia un possesso di stato conforme all’atto di nascita.
In presenza della normativa degli artt. 235 e segg. cod. civ. (che disciplina organicamente la
contestazione di uno degli specifici presupposti della legittimità, quale è la paternità), non è possibile
applicare alla stessa fattispecie anche l'art. 248 cod. civ., il quale riguarda la contestazione di
presupposti necessariamente diversi da quello della paternità. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3529 del
24/03/2000
Il riconoscimento dei figli naturali.
Costituisce affermazione pressoché unanime in dottrina e giurisprudenza quella
per cui la posizione dei figli naturali, a seguito della riforma del ‘75, sia ormai
equiparata a quella dei figli legittimi. Le sole differenze che permangono riguardano i
modi di accertamento della filiazione, che necessita della dichiarazione di
riconoscimento, la inidoneità a dar vita a rapporti di filiazione in linea retta o collaterale
(articolo 258 del c.c.), la disciplina dell’inserimento del figlio naturale nella famiglia
legittima e la facoltà per i legittimi di liquidare in denaro l’eredità dei genitori.
250 Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo
254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona
all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente
quanto separatamente.
Il riconoscimento, previsto dall’articolo 250 del codice civile è atto unilaterale,
ricettizio e discrezionale. E’ atto personale del genitore anche se è ammessa la
rappresentanza di un procuratore speciale che assume la veste di semplice nuncius (art.
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12 e 30 del d.p.r. 396/00). E’ ammesso senza limiti il riconoscimento di figli adulterini
da parte sia del padre che della madre. Nel caso di filiazione adulterina ex matre, si
ammette che la donna coniugata possa denunciare la nascita del figlio come nato da una
sua relazione con persona diversa dal proprio coniuge. In tal caso il figlio, in mancanza
della dichiarazione resa nell’atto di nascita, non acquista lo stato di figlio legittimo.
262 Il figlio naturale assume il cognome del genitore che primo lo ha
riconosciuto ovvero quello del padre, se il riconoscimento è congiunto. In caso di
riconoscimento successivo da parte del padre, il figlio naturale può assumere il
cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Se è
minore decide il giudice (tribunale dei minorenni), su istanza del genitore
interessato.
Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i sedici anni non produce effetto
senza il suo assenso (che ha effetto retroattivo), mentre il riconoscimento del figlio che
non ha compiuto i sedici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che
abbia già effettuato il riconoscimento. In caso di rifiuto, ove il riconoscimento risponda
all'interesse del figlio, l’opposizione può essere superata attraverso una sentenza del
tribunale (dei minorenni), su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento,
sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l'intervento del
pubblico ministero.
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il
sedicesimo anno di età. In questo caso tuttavia il riconoscimento si ritiene efficace sino
a quando non venga impugnato ed annullato a seguito di un giudizio di cognizione. Il
riconoscimento inoltre può essere impugnato per incapacità che deriva da interdizione
giudiziale (non da interdizione legale o inabilitazione) dal rappresentante o dallo stesso
autore, entro l’anno dalla revoca dell’interdizione (articolo 266 c.c.) ovvero per violenza
(articolo 265 c.c.) entro l’anno dalla cessazione della violenza o dal raggiungimento
della maggiore età del minore.
Il riconoscimento dei figli incestuosi (nati tra persone tra le quali esiste un vincolo
di parentela anche naturale, in linea retta o in linea collaterale al secondo grado), non
può avvenire salvo che i genitori ignorassero il vincolo o che sia stato dichiarato nullo il
matrimonio da cui deriva l’affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede,
il riconoscimento del figlio può essere fatto solamente da lui. Il tribunale (dei minori),
comunque, può autorizzare il riconoscimento, avuto riguardo all’interesse de figlio ed
alla necessità di evitare allo stesso qualunque pregiudizio (articolo 251 del c.c.).
L’articolo 252 c.c. regola un istituto di difficile applicazione, e cioè l’inserimento
del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori. In questo caso è previsto
l’intervento del tribunale (dei minorenni), che decide in base all’interesse del minore
decidendo sul suo affidamento, previo consenso del coniuge e degli altri figli e
dell’altro genitore.
Principio di carattere generale è che il riconoscimento non può essere in contrasto
con lo stato di figlio legittimo in cui il “riconosciuto” si trova. Di conseguenza è
inammissibile anche la domanda diretta alla dichiarazione di paternità o maternità
naturale di un figlio che ha lo stato di figlio legittimo o legittimato.
254 Il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell'atto di nascita, oppure con
una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un
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ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la
forma di questo. La disposizione dell’articolo 254 del codice civile, contiene una
elencazione tassativa. Il riconoscimento del figlio nascituro deve essere effettuato da
entrambi i genitori o contestualmente ovvero dal padre dopo il riconoscimento della
gestante, ma con il consenso di questa. L’atto di riconoscimento non può contenere
indicazioni relative all’altro genitore (articolo 258 comma 2 c.c.).
La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice o la dichiarazione
della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa
riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo. Può anche avvenire il riconoscimento
del figlio premorto in favore dei suoi discendenti legittimi o dei suoi figli naturali riconosciuti, che
acquistano il cognome un diritto alimentare e un diritto successorio (articolo 255 c.c.). Il
riconoscimento è irrevocabile (art. 256 c.c.). E’ nulla ogni clausola diretta a limitarne gli effetti
(articolo 258).
Il riconoscimento comporta, secondo l’articolo 261 del codice civile, da parte del
genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che ha nei confronti dei figli
legittimi. La norma ha il sostanziale valore di solenne proclamazione della parità di
trattamento dei figli legittimi e naturali, primo tra tutti quello dell’obbligo al
mantenimento che si ripartisce a carico di entrambi i genitori che abbiano effettuato il
riconoscimento. Da notare che, nonostante che la filiazione naturale non stabilisca
legami di parentela se non con i genitori (articolo 258 c.c.), l’obbligo alimentare, in base
al disposto dell’articolo 148 del codice civile, si estende anche agli altri ascendenti,
legittimi o naturali, quando i genitori stessi non abbiano i mezzi sufficienti.
Secondo quanto dispone l’articolo 263 del codice civile il riconoscimento può
essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento, da colui che
è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse. L’azione è imprescrittibile ed è
ammessa anche dopo l’eventuale legittimazione. Tale norma non è in contrasto con
l’irrevocabilità del riconoscimento, che evidentemente si riferisce ad un riconoscimento
veridico. Il difetto di veridicità va considerato obiettivamente senza che rilevi la buona
fede, l’errore o la mancanza di dolo e prescinde da ogni considerazione dell’interesse
del minore. La nuova legge sulla procreazione assistita, dispone che il ricorso a tecniche
di procreazione di tipo eterologo, in violazione del divieto, comporta la preclusione
all’impugnazione del convivente che abbia prestato il proprio consenso.
La prova della non veridicità può essere data con ogni mezzo. Non è necessario
che venga dimostrata anche l’identità del vero genitore. La prova più rilevante è quella
della compatibilità genetica.
La legittimazione attiva va riconosciuta all’autore del riconoscimento, a chi è
stato riconosciuto, all’altro genitore e anche al vero genitore, quali persone interessate.
La legittimazione passiva spetta, se l’attore è il riconosciuto, all’autore del
riconoscimento (non sarebbe necessaria la partecipazione dell’altro genitore che può
solo intervenire nel giudizio). Se l’azione è promossa dall’autore del riconoscimento, la
legittimazione passiva spetta al riconosciuto, che, se minore, deve essere rappresentato
da un curatore speciale nominato dal tribunale, nel caso di conflitto di interessi con il
genitore.
Il conflitto di interessi nel rapporto processuale tra genitore esercente la potestà e figlio è
ipotizzabile non già in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al
compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto
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incompatibili tra loro, nel senso che l'interesse del rappresentante, rispetto all'atto da compiere, non si
concili con quello del rappresentato; l'esistenza di una siffatta situazione di conflitto, il cui
apprezzamento è rimesso al giudice di merito, non è normativamente presunta nel caso dell'azione di
impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, la quale non rientra tra le
ipotesi, tassativamente indicate dal legislatore, nelle quali il giudizio deve essere proposto, in
rappresentanza del minore, nei confronti di un curatore speciale nominato al riguardo dal giudice; ne
consegue che, in ordine a tale azione, trova applicazione, in mancanza della deduzione di una concreta
situazione di conflitto di interessi, la regola secondo cui il genitore esercente la potestà è legittimato,
nell'interesse del figlio minore, a resistere al giudizio da altri intentato. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5533
del 13/04/2001
Il procedimento è di competenza del tribunale ordinario (articolo 38 disp. Att,
c.c.) che dovrebbe decidere in camera di consiglio, con decreto motivato. Ma nella
maggior parte dei casi si procede con citazione e sentenza.
Un caso particolare è regolato dall’articolo 264, che, nel vietare l’impugnazione
del riconoscimento da parte del minore o dell’interdetto (per il periodo di minore età o
di interdizione) autorizza il giudice (tribunale dei minorenni) a promuovere a mezzo di
un procuratore speciale, nominato ad hoc, l’impugnazione del riconoscimento su istanza
del P.M. o dell’altro genitore o del figlio ultrasedicenne. Tale disposizione consente di
porre un limite agli abusi, in elusione della legge sull’adozione, da parte di un presunto
genitore che riconosca il figlio, senza esserne il padre naturale.
La dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità.
269 La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente
dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere
figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e
il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità
naturale.
Il disposto dell’articolo 269 del codice civile detta le regole per l’azione di
riconoscimento della paternità o della maternità naturale che, diversamente che per il
passato, ora risulta molto più agevole, perchè è ammesso ogni mezzo di prova essendo
fondata sull’elemento biologico costituita dalla fecondazione avvenuta ad opera del
padre oppure dalla identità di colui che si presume essere figlio e di colui che fu
partorito dalla donna che si assume essere la madre.
A parte gli elementi indiziari, costituiti dal ratto, dallo stupro, dalla convivenza
more uxorio, dalle dichiarazioni del padre o della madre, dal possesso dello stato di
figlio naturale (fama e tractatus), decisive sono in questo campo le prove ematologiche
e quelle biologiche, che permettono di escludere la paternità o la maternità ovvero di
attribuirla con un elevatissimo grado di probabilità, che possono essere condotte anche
su reperti derivanti da esumazioni di salme (nei casi in cui gli interessati sono deceduti).
Nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, la mera
comunicazione dell'inizio delle operazioni peritali è già di per sè sufficiente per l'attribuibilità alla
condotta processuale del destinatario della stessa, che non si presenti alla data fissata, del valore di
rifiuto di sottoporsi alla indagine peritale valutabile da parte del giudice ai sensi dell'art. 116 cod. proc.
civ., in quanto è da tale momento che il consulente comincia a prestare la propria attività. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 1733 del 25/01/2008
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L’azione, secondo il disposto dell’articolo 270 del c.c. è imprescrittibile
riguardo al figlio. Se il figlio muore prima di avere esercitato l’azione, ovvero dopo
averla iniziata, la stessa può essere promossa o proseguita dai discendenti legittimi,
naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte nel primo caso ovvero senza limiti nel
secondo caso. L’articolo 273 c.c. riconosce la legittimazione all’azione al genitore che
esercita la potestà genitoriale sul minore, nell’interesse dello stesso (nei confronti del
presunto altro genitore). Nel caso di minore che abbia un tutore, o di maggiore
interdetto, il tutore può esercitare l’azione nell’interesse del tutelato, ma è necessaria
l’autorizzazione del giudice. Per promuovere o per proseguire l’azione, è in ogni caso
richiesto il consenso del minore che abbia compiuto sedici anni.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 10 febbraio 2006, ha
dichiarato l’illegittimità dell’articolo 274 del c.c. che stabiliva dei limiti di
ammissibilità per il promuovimento dell’azione di riconoscimento con riferimento
al concorso di specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata. Il tribunale
avrebbe deciso in camera di consiglio con decreto soggetto a reclamo e poi al
ricorso per Cassazione, con la conseguenza che, dovendo l’azione essere proposta
dopo il passaggio in giudicato della ammissibilità, per giungere alla sentenza
costitutiva, occorreva in qualche caso percorrere sei gradi di giudizio.
L’azione di riconoscimento di cui all’articolo 269, deve essere proposta davanti al
tribunale dei minorenni se riguarda persona minore, davanti al tribunale ordinario, negli
altri casi, secondo quanto disposto dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione. Si
tratta di un procedimento in camera di consiglio, che va quindi introdotto con ricorso.
Le autorizzazioni previste dall’articolo 273 c.c. (per il tutore del minore o per
l’interdetto), devono essere richieste al tribunale competente per il giudizio. Il giudice,
nel conceder l’autorizzazione dovrà valutare la fondatezza dell’azione e l’interesse
morale per il figlio e può anche essere nominato, nel caso di un minore sottoposto a
tutela, un curatore speciale per l’esercizio dell’azione, indipendentemente dalla
iniziativa del tutore. Il consenso del minore che ha compiuto i sedici anni è necessario.
Il procedimento di cui all’articolo 269 ha carattere contenzioso e non di
giurisdizione volontaria, per cui il decreto sarà reclamabile alla corte di appello e la
pronuncia di secondo grado è ricorribile in Cassazione.
Con sentenza 494 del 2002, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il
primo comma dell’articolo 278 del codice civile, che vieta le indagini sulla
paternità e maternità, nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale di
paternità e di maternità naturali, nei casi in cui il riconoscimento dei figli
incestuosi è vietato, a norma dell’articolo 251 del codice civile.
“I figli nati fuori del matrimonio indicati nell'art. 251, primo comma, del codice civile, salvi i
limitati casi ora menzionati, sono perciò privati della possibilità di assumere uno status filiationis. Essi
non mancano totalmente di una tutela, essendo loro riconosciuta l'azione nei confronti dei genitori
naturali per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione o, se maggiorenni in stato di bisogno,
per ottenere gli alimenti (art. 279, primo comma, del codice civile). In conseguenza del divieto di
riconoscimento e di dichiarazione, però, nei loro confronti non può operare l'art. 261 del codice civile,
secondo il quale il riconoscimento e (per effetto del primo comma dell'art. 277) la dichiarazione
comportano da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti
dei figli legittimi, compresa la potestà prevista dall'art. 317-bis; non può operare l'art. 262, secondo il
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quale il figlio naturale riconosciuto o dichiarato assume il cognome del genitore; non possono operare
infine le disposizioni relative alla successione dei figli naturali, che si applicano loro solo quando la
filiazione sia stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata ( art. 573 del codice civile), essendo previsto
invece che ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e alla educazione, a norma del
ricordato art. 279 del codice civile, spetti un assegno vitalizio ( artt. 580 e 594 cod. civ.). - Dalla
disciplina testé indicata deriva, in danno della prole nata da genitori legati dai rapporti familiari indicati
dall'art. 251 del codice civile, una capitis deminutio perpetua e irrimediabile, come conseguenza
oggettiva di comportamenti di terzi soggetti; una discriminazione compendiata, anche nel lessico del
legislatore, nell'espressione «figli incestuosi». La violazione del diritto a uno status filiationis,
riconducibile all'art. 2 della Costituzione, e del principio costituzionale di uguaglianza, come pari
dignità sociale di tutti i cittadini e come divieto di differenziazioni legislative basate su condizioni
personali e sociali, è evidente e non richiede parole di spiegazione. Nessuna discrezionalità delle scelte
legislative, con riferimento al quarto comma dell'art. 30 della Costituzione, che abilita la legge a dettare
norme e limiti per la ricerca della paternità, può essere invocata in contrario: non è il principio di
uguaglianza a dover cedere di fronte alla discrezionalità del legislatore, ma l'opposto.”
Ne consegue che pur rimanendo il divieto di riconoscimento dei figli
incestuosi, la condizione dei figli incestuosi risulta tutelata nel senso che agli stessi
spetta il diritto di agire per il riconoscimento giudiziale della filiazione ex articolo
269 del c.c. conseguendo in tal caso lo stato di figlio naturale.
Secondo il disposto dell’articolo 279 del codice civile, comunque, il figlio
naturale, non riconoscibile e comunque non riconosciuto, può agire per l’ottenimento il
mantenimento, l’istruzione e l’educazione e, se maggiorenne, il diritto agli alimenti,
previa autorizzazione del giudice, anche a seguito di nomina di un curatore speciale, su
richiesta del P.M. o del genitore che esercita la potestà.
La legittimazione dei figli naturali
Gli articoli da 280 a 290 del codice civile, contemplano la possibilità della
legittimazione dei figli naturali nati al di fuori del matrimonio, che vengono ad
assumere lo status di figlio legittimo. L’istituto non è più d’attualità, stante la quasi
completa equiparazione in termini di diritti e di doveri che ormai esiste tra figli naturali
e legittimi a cui si aggiunge, per i figli adulterini, la possibilità di azione per il
riconoscimento della filiazione naturale. La legittimazione del figlio naturale, ha come
effetti, la costituzione di un rapporto di parentela (che per i naturali manca), in termini
di diritti riservati ai legittimari ex articolo 536 del c.c., di possibilità di un inserimento
nella famiglia legittima, senza necessità della autorizzazione del giudice ex art. 252 del
c.c. anche quando il figlio sia stato legittimato da uno soltanto dei genitori, di
acquisizione automatica del cognome del genitore legittimante.
Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti
(articolo 281 c.c.), mentre è ammessa la legittimazione dei figli premorti (articolo 282
c.c.).
La legittimazione avviene nella maggior parte dei casi, per susseguente
matrimonio. Ciò avviene quando i genitori che hanno entrambi riconosciuto il figlio
come naturale, contraggono matrimonio, ovvero quando, in mancanza di un precedente
riconoscimento, lo stesso viene posto in essere nello stesso atto di matrimonio, oppure
quando, dopo il matrimonio, entrambi i genitori effettuano il riconoscimento, anche non
contestuale. Il riconoscimento nell’atto di matrimonio è previsto dall’articolo 64 del
DPR 396 del 2002 ed è previsto anche nel matrimonio concordatario in base all’accordo
di revisione del concordato. Si ammette che abbia efficacia legittimante, in luogo del
riconoscimento, la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. Nel caso di
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divorzio, vertendosi in tema di matrimonio sciolto, ma valido, si ammette la possibilità
di una legittimazione dopo la pronuncia della sentenza di divorzio.
Secondo l’articolo 284 del codice civile, la legittimazione per provvedimento del
giudice può essere concessa soltanto se corrisponde agli interessi del figlio, nel
concorso di alcune tassative condizioni. Secondo la stessa disposizione (ultimo comma),
la legittimazione può essere chiesta anche in presenza di figli legittimi o legittimati.
La domanda di legittimazione deve essere fatta personalmente da entrambi i
genitori, ovvero da uno di essi.
E’ necessario che per il genitore legittimane vi sia una impossibilità o un
gravissimo ostacolo alla legittimazione per susseguente matrimonio, come nel caso di
impedimento non dispensabile ex art. 87 c.c., ovvero uno dei genitori sia morto,
interdetto, scomparso o vincolato da un precedente matrimonio, ovvero non sia noto. Si
ravvisa il gravissimo ostacolo anche quando l’impedimento al matrimonio sia di ordine
religioso o morale, ma la Cassazione ha dato rilievo anche alla sola volontà dei genitori
di non contrarre matrimonio. (91/9446).
E’ necessario che vi sia l’assenso dell’altro coniuge se il richiedente è unito in
matrimonio e non legalmente separato, nonché il consenso del figlio legittimando che
abbia compiuto si sedici anni, ovvero in caso di minore infrasedicenne vi sia il consenso
dell’altro genitore, salvo che il figlio sia già riconosciuto.
La legittimazione, per provvedimento del giudice, del figlio naturale riconosciuto da entrambi i
genitori, secondo le previsioni dell'art. 284 (nuovo testo) cod. civ., deve ritenersi consentita in presenza
della volontà di detti genitori di non unirsi in matrimonio, sempre che risulti corrispondere all'interesse
del figlio medesimo, considerato che tale scelta, dei genitori rispetto ad un rapporto necessariamente
correlato a libere determinazioni, si traduce in impossibilità di contrarre il matrimonio, ai sensi ed agli
effetti del primo comma n. 2 della citata norma, e che la scelta stessa non può di per sè sacrificare il
menzionato interesse, alla cui tutela la legittimazione è in via preminente rivolta. Cass. Sez. 1, Sentenza
n. 9446 del 07/09/1991
Gli articoli 285 e 286, prevedono la legittimazione dopo la morte dei genitori, che
può essere chiesta dal figlio se vi sia un testamento o un atto pubblico in tale senso,
ovvero da uno degli ascendenti legittimi del genitore deceduto, qualora non risulti una
volontà contraria.
Il procedimento, previsto dall’articolo 288 c.c. prevede una competenza del
tribunale della residenza del richiedente, che provvederà in camera di consiglio, con una
sentenza reclamabile alla corte di appello e successivamente ricorribile per Cassazione.
Secondo il disposto dell’articolo 284 u.c., in presenza di figli legittimi, il presidente del
tribunale li deve ascoltare. Il disposto dell’articolo 38 delle disposizioni di attuazione al
c.c., consente di ritenere che sia competente il tribunale ordinario. Gli effetti della
legittimazione per provvedimento del giudice decorrono dalla data del provvedimento
ovvero dalla morte del genitore che l’abbia chiesta.
Dopo la legittimazione è consentita una azione “ordinaria” per la contestazione
dello stato di figlio legittimo (art. 289).
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