Notiziario Accademia Italiana Cucina

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DIPLOMAZIA A TAVOLA
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olto interessante e ricca di spunti originali la tavola rotonda, organizzata dalla Delegazione di
Roma, sul tema “Diplomazia a tavola”. La manifestazione si è svolta nella bella Sala Verdi dell’hotel
“Majestic” in via Veneto, di fronte a un pubblico numeroso e attento di Accademici e di invitati. Il Presidente
dell’Accademia, Giuseppe Dell’Osso, ha introdotto i vari
interventi, tutti di alto livello, coordinati dall’Accademico
Luigi Papo de Montona, sottolineando l’importanza dell’argomento in esame, che investe anche l’interesse accademico poiché la tavola, la buona tavola, è da sempre
un elemento di grande rilievo in diplomazia. Il Presidente Dell’Osso ha poi ricordato i più recenti convegni della Delegazione di Roma dedicati ad altri aspetti della
convivialità, come la cucina dei pellegrini e la cucina
dei papi.
Dopo aver fatto un breve riepilogo dei convegni precedenti, il moderatore Luigi Papo ha rilevato come i diplomatici apprezzino la buona tavola e il buon mangiare e ha ricordato una frase del grande Luigi Carnacina:
“La cucina si fa con quello che si sa e con quello che si
trova”. Quindi, nelle varie parti del mondo dove svolgono le loro missioni i diplomatici debbono fare sempre i conti con questo assioma. Ha quindi dato la parola al primo relatore, il nunzio apostolico monsignor Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arcivescovo di
Tuscania.
Il diplomatico vaticano ha esordito cercando di formulare una definizione della diplomazia, un tempo considerata “arte di trattare gravi negozi”, secondo un antico
dizionario. E ha citato l’arguto aforisma di un ambasciatore inglese del Settecento, che così ebbe a definire il
diplomatico: “Un uomo probo che ha l’incarico di mentire per il bene del proprio paese”. Da allora, ha precisato il nunzio, molta acqua è passata sotto i ponti, e la
missione del diplomatico è profondamente cambiata.
Entrando nel vivo dell’argomento, egli ha poi affermato
che l’arte del convitare e il senso di ospitalità devono
essere nel bagaglio di un buon ambasciatore. E per arte
del convitare, ha precisato, occorre tener presenti alcuni
dati essenziali: la scelta dell’ambiente, la scelta dei commensali e la loro disposizione a tavola, la raffinatezza
nella scelta delle vivande e dei vini. Ma, soprattutto, a
tavola non si deve parlare di lavoro: il lavoro ostacola la
tavola e la tavola ostacola il lavoro. È quindi opportuno
lasciare che i problemi diplomatici vengano affrontati e
magari risolti dopo il convito. Passando poi a parlare
del ruolo del nunzio apostolico, monsignor Cordero
Lanza di Montezemolo ha ricordato che questo diplomatico vaticano, a differenza dei colleghi “laici”, ha sì funzioni diplomatiche ma anche assistenziali e religiose. Ha
poi parlato di alcune sue esperienze personali vissute
nell’arco di ben 42 anni al servizio della diplomazia vaticana. E ha anche raccontato alcuni gustosi aneddoti su
due pontefici: Giovanni XXIII quando era nunzio a Parigi e Giovanni Paolo II quando, in alcuni dei suoi numerosi viaggi, è stato ospite in qualche nunziatura.
Luigi Papo, ringraziando il nunzio per il gustoso “passatempo diplomatico”, ha ricordato che papa Giovanni
XXIII accettò di buon grado e con simpatia il titolo di
“sommelier onorario” conferitogli dai sommelier italiani.
Ha quindi dato la parola al secondo relatore, l’Accademico (Roma-Valle del Tevere) e ambasciatore Onofrio
Solari Bozzi, che è stato anche capomissione a Parigi
dove si è laureato alla Sorbona.
Il diplomatico italiano ha innanzi tutto ricordato come
la sua lunga carriera sia stata punteggiata da innumerevoli pranzi, colazioni e banchetti. E ha ricordato come
una volta a Stoccolma, essendo ambasciatore d’Italia
presso il re di Svezia, si trovò a pranzo con il Delegato
dell’Accademia Giovanni Gozzo e con il filosofo Francesco Alberoni. Inevitabilmente si parlò dell’Accademia, e
Alberoni ne fu tanto entusiasta da scriverne in termini
assai lusinghieri nel suo consueto intervento del lunedì
sul “Corriere della Sera”. Ha poi polemicamente rilevato
come, nell’immaginario collettivo, il diplomatico sia visto come un personaggio che lavora poco, tutto preso
com’è da pranzi, balli, ricevimenti, golf e cavalli. Tutto
falso, ha commentato, però bisogna tener conto dell’importanza della tavola, e questa importanza è particolarmente viva per un diplomatico italiano, perché la cucina
italiana è ammirata e ambita. Per questo, il diplomatico
italiano deve avere in ambasciata un cuoco italiano e
servire alla propria tavola prodotti italiani (ovviamente
nel limite del possibile) ma soprattutto vini italiani dal
principio alla fine del pranzo.
Quindi la tavola di un ambasciatore italiano svolge
anche una funzione promozionale, per far conoscere
cucina, prodotti e vini del nostro Paese mettendone in
evidenza qualità e pregi “All’estero - ha concluso simpaticamente - mi sono sempre avvolto nel tricolore:
macchina italiana, vestiti italiani, ma soprattutto cucina
italiana”.
Il moderatore Luigi Papo ha ricordato come a un ambasciatore francese, al termine di un banchetto diplomatico, venne servito un brandy italiano che egli elogiò co-
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me uno dei migliori cognac francesi: svelato l’arcano, il
diplomatico, molto diplomaticamente, si dichiarò stupito
imputando l’errore a una sua distrazione. Luigi Papo ha
poi ricordato la bella iniziativa, cui l’Accademia partecipò attivamente, della consegna solenne in Quirinale
delle “targhe” ai migliori ristoratori italiani all’estero, iniziativa purtroppo sospesa e che invece dovrebbe essere
ripresa e rivalutata. Ha quindi dato la parola al successivo relatore, il ministro plenipotenziario Franco Mistretta,
direttore dell’Istituto di studi diplomatici presso la Farnesina.
Il relatore ha esordito con una premessa: la tavola diplomatica non è sciocca, frivola, vana, fatua come talvolta si ritiene. E la tavola è un elemento importante nel lavoro del diplomatico, che consiste nella non facile preparazione dei colloqui e degli incontri tra i capi di Stato
o di governo. E, dopo gli incontri, la realizzazione pratica degli accordi che sono stati presi ad alto livello. Il diplomatico italiano rappresenta all’estero la continuità
della politica estera italiana e in questa sua azione sente
la necessità di facilitare e stabilire relazioni, di favorire
incontri, di comprendere la psicologia dell’interlocutore:
e questo, ha sottolineato, avviene spesso, se non sempre, a tavola. Per questo il diplomatico deve mantenere
un’attivissima vita di relazione che non è svago ma è lavoro. E in questo ambito la cucina italiana è un biglietto
da visita davvero eccezionale.
Esistono anche delle difficoltà obiettive, quando siedono alla nostra tavola personaggi che non condividono,
per ragioni spesso religiose, le nostre abitudini alimentari. Ed è un compito in più per il diplomatico. Il relatore
ha concluso affermando che l’Italia deve essere considerata una “superpotenza culturale”, specie per la sua
grande capacità di assorbire a far proprie altre culture,
come ha fatto Roma con la Grecia, come è avvenuto nel
Rinascimento. E la civiltà della tavola è parte integrante
di questo primato culturale.
Ultima relazione, anche se il moderatore Luigi Papo
de Montona l’ha definita “una voce fuori dal coro”, è
stata quella dell’Accademico Maurizio Minotti, della Delegazione di Roma e alto dirigente bancario, che ha affrontato un tema per così dire collaterale: “Il business a
tavola”. La tavola, ha detto, può essere un elemento importante per avviare, trattare e concludere affari, per superare incomprensioni, per smussare gli angoli. Molto
spesso quelle che vengono definite “colazioni di lavoro”
sono molto utili per il successo di un negoziato. In genere questi incontri a tavola avvengono all’ora di pranzo, quasi mai di sera.
Negli Stati Uniti è invalsa però l’abitudine di effettuarli
con la prima colazione del mattino, il breakfast. Ma l’elemento essenziale è la riservatezza per cui molti grandi
ristoranti e grandi alberghi mettono a disposizione salet-
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te private. Oppure gli incontri si svolgono in circoli molto esclusivi. Ci sono anche grandi imprese che si sono
attrezzate con cucine e sale da pranzo nella stessa sede
sociale: in questo modo si risparmia tempo e si è certi
della massima riservatezza. In genere tali incontri “aziendali” si svolgono in un’atmosfera ovattata, davanti a una
tavola raffinata con un menu sobrio accompagnato da
ottimi vini. Durante il pranzo in genere si parla d’altro,
ma verso la fine l’anfitrione entra nel vivo dei problemi
e dei negoziati, magari con un sigaro di grande marca e
un ottimo cognac.
Concludendo i lavori, il Presidente dell’Accademia, Giuseppe Dell’Osso, ha ringraziato i relatori per il brillante
svolgimento di un tema difficile e ha ribadito l’importanza,
per tutti gli Accademici, del convivio come elemento culturale e fattore di civiltà. Ha rilevato che la Delegazione di
Roma, dopo aver affrontato negli anni scorsi tematiche più
connesse alla sacralità del convito, come i convegni dedicati al cibo dei pellegrini e alla cucina dei papi, ha voluto
affrontare un tema “laico”, sia pure con risvolti religiosi,
come si è visto nella relazione del nunzio apostolico. “Per
gli Accademici - ha concluso Dell’Osso - la condivisione
dello stesso cibo acquista un particolare valore, come
mezzo che può rendere più facile il conseguimento dell’amicizia e della pace”. (G.F.)
UN PRANZO DIPLOMATICO
Ristorante “La Terrazza”
dell’hotel “Majestic”, Roma
19 ottobre 2001
in cucina: Francesco Franceschini
Sfogliatine di crostacei e broccoletti
alla passata di gamberi
Sformato di riso, zucca, coniglio e radicchio
di Treviso al tartufo nero
Filetto di vitello lardellato al guanciale romano
con piopparelli e asparagi in salsa
di lenticchie rosse
Semifreddo di cassata all’arancia amara
I vini:
Arneis di Cornarea 2000
Dolcetto d’Alba Montezemolo
dei Vignaioli di Santo Stefano 1999
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