Se il nostro destino deve condurci alla morte

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Se il nostro destino deve condurci alla morte
I COLLOQUI FIORENTINI – NIHIL ALIENUM
XII EDIZIONE
28 FEBBRAIO – 2 MARZO 2013
GIOVANNI VERGA: “IL SEMPLICE FATTO UMANO FARA’ PENSARE SEMPRE”
TERZO CLASSIFICATO
SEZIONE TESINA BIENNIO
SE IL NOSTRO DESTINO DEVE CONDURCI ALLA MORTE, MEGLIO ANDARSENE PICCOLI
Studenti: Vincenzo Mottola; Giovanna Di Bartolomeo della classe 2 H del Liceo “Pellecchia” di
Cassino. Docente Referente: prof.ssa Anna Maria Pescosolido
Motivazione: Forse ciò che fa più pensare è ciò che abbiamo già perso? E' questa la provocante
ipotesi con la quale gli autori si sono messi a ripercorrere i momenti di distacco, le nostalgie, gli
struggimenti per degli affetti lontani o perduti nei gesti e nelle scelte dei personaggi verghiani, capaci
di illuminare anche le segrete nostalgie che anche i nostri gesti oggi esprimono senza parole.
Giovanni Verga “Sentii un gran freddo ed il lume si spense”
Il Verismo è esposizione di una verità oggettiva e impersonale?
I semplici fatti umani sono raccontati così come sono accaduti, lontani da uno scopo di critica o di
condanna da parte dell'autore? Giovanni Verga, con la frase "Il semplice fatto umano farà pensare
sempre" ha lasciato il suo testamento? Chi sono i protagonisti delle sue opere?
Sono i cosiddetti "vinti e oppressi", la cui vita ruoterà intorno alla "lotta per la sopravvivenza" e agli
aspetti più crudi e duri.
Verga attribuisce spazio ai valori dell'uomo vedendoli come degli ideali non presenti nella realtà
effettiva.
All'interno di ogni singolo scritto vi sono elementi che tuttora caratterizzano la vita quotidiana dell'
uomo, come la volontà di libertà da ogni tipo di oppressione, la delusione scaturita dal non vedere i
nostri sacrifici ripagati, il mettere spesso e volentieri il lavoro o la condizione economica sopra ogni
sentimento profondo e, soprattutto, la scomparsa e gli aspetti che ne scaturiscono.
La scomparsa è quel semplice fatto umano che farà pensare sempre? Per noi "scomparsa"
rappresenta il vuoto lasciato nell’animo, il fatto di non rivedere quelle persone o cose che fanno
parte della propria vita, restano avvolte nel mistero e lasciano dubbi sulle cause, sulle motivazioni o
forse anche su come potevano svolgersi i fatti diversamente. Forse quella carezza, che riceviamo da
qualcuno inaspettatamente, ci provocherà un effetto che lievemente svanirà. I ricordi che riteniamo
essere significativi ed incancellabili - al punto da scandirli sulle note della nostra provvisoria canzone
preferita - sono destinati a perire, per poi ripresentarsi quando meno ce lo aspettiamo in un vasto
cielo di pensieri.
Dalle azioni più banali possiamo notare che tutto ciò che ci circonda prima o poi scomparirà. Durante
il viaggio della vita, il tempo non sarà sempre fedele e favorevole. Vivremo esperienze che ci
segneranno, come la scomparsa precoce e improvvisa di alcuni cari che componevano quel mosaico o
puzzle, gelosamente custodito, chiamato "cuore". Nutriamo una strana e desolata sensazione, come
se la perdita di queste tessere o pezzi ce lo deformasse a tal punto da non riconoscerci più in esso.
Quando regna la mancanza, inizi a percepire quella sofferenza che ti pone la vita solo come un
sentiero da percorrere a vuoto, senza avere una meta precisa, avezzandoti ad ogni cosa bella o brutta
che sia e cominciamo a smettere di trovare un motivo per cui il giorno solevamo alzarci con un
"buongiorno". La vita inizia a tingersi di quelle sfumature opache e grigie, del tutto contrastanti con il
colore della felicità.
Quello scrigno, di cui solo noi abbiamo la chiave, potrà rappresentare la nostra forza nel presente e
nel futuro, ma potrà anche rivelarsi come la nostra fonte di rassegnazione. Ogni giorno, che vivremo
dopo la scomparsa di una persona, ci sembrerà inverno. La freddezza avvertita in un ambiente
qualsiasi ci farà provare quella strana sensazione nostalgica e malinconica, la quale avvolgerà i nostri
cuori accordando la rievocazione delle nostre memorie.
Proprio come disse Verga nella novella "X", dopo aver visto la tomba della sua amata sconosciuta:
"[...] ... e lì, coi ginocchi nella polvere, mi parve di guardare in un immenso buio, tutto riempito dalla
figura della mia incognita, dal suo sorriso, dal suono della sua voce, delle parole che mi ha dette, dai
luoghi dove l'avevo vista. Sentii un gran freddo. [...]"
Con l'ultima frase della precedente citazione, l'autore ha voluto "esplicitare" la sua percezione di un
freddo causato dalla scomparsa della donna dei suoi desideri. In quel frangente aveva capito che ella
stava ricoprendo un ruolo importante nel suo cuore, ma egli non ha saputo apprezzarla al momento
giusto e come meritava. Si rese conto di avere sotto i suoi piedi, la terra che ormai ricopre la tomba di
una persona che voleva amarlo. Il rimpianto e la tristezza si fonderanno per creare un clima gelido nel
suo animo.
La scomparsa può essere talvolta interpretata anche come via di salvezza da una vita ricca di
sofferenze e di solitudine. Come nel caso della novella "Nedda". La protagonista, Nedda, giovane
bracciante, nel corso della storia diventerà orfana di madre e sarà infangata dai pregiudizi dei suoi
compaesani con "una morale ingiusta e sterile", a causa della sua povertà. Successivamente avrà una
storia d'amore con Janu, da cui ne rimarrà vedova e avrà una bambina che le morirà tra le braccia a
causa del rigore invernale.
Un esempio di come le cose possono cambiare da un giorno all'altro, lasciando tracce indelebili negli
stati d'animo altrui, può essere fornito dal seguente passo tratto dalla novella "Nedda" : "[...] Ella
l'ascoltava coi suoi grand'occhi spalancati, pallida come lui e tenendolo per mano. Il domani egli
morì.[...]"
L'azione del tenersi per mano, si svolge durante l'ultimo giorno di vita di Janu, per poi lasciare,
involontariamente, la protagonista sola sulla Terra. Da questo passo abbiamo capito che ogni giorno
è unico e lo viviamo una sola volta nella nostra vita. Dopo averlo vissuto ne conserviamo il ricordo,
ma non potremo riviverlo esattamente uguale nel futuro. Per Nedda la felicità trovata con Janu
svanirà insieme a lui, ma il suo ricordo lascerà tracce indelebili di sè nell'animo della protagonista.
"[...] Nedda la scosse, se la strinse al seno con impeto selvaggio, tentò di scaldarla coll'alito e coi baci,
e quando s' accorse che era proprio morta, la depose sul letto dove aveva dormito sua madre, e le
s'inginocchiò davanti, cogli occhi asciutti e spalancati fuori di misura. - Oh! benedette voi che siete
morte! - esclamò. - Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla
soffrire come me! - [...]". Nonostante le vicissitudini subite, la protagonista, con animo e coraggio,
non smette di essere devota alla Madonna.
Molte persone, quando perdono un loro caro, cessano di porre fede in una figura religiosa e iniziano
a porsi domande sui “perché” della vita, oppure possono reagire diversamente: rassegnandosi
accettando la scomparsa come un fenomeno che pone fine a tutti gli aspetti negativi della vita, come
nel caso di "Nedda". Ma ben altre sono le domande che ci poniamo di fronte a un suicidio soprattutto
di un bambino.
Può un uomo considerare la morte come liberazione dalle proprie sofferenze? Può davvero il suicidio
risolvere i problemi della vita? Come può un vivente privarsi della vita per redimere se stesso dal Male?
Questi interrogativi nascono spontanei dopo la lettura di Rosso Malpelo di Giovanni Verga. Difatti la
questione è estremamente attuale, anzi è caratteristica del nostro tempo, ed è motivo di attente
riflessioni. Crediamo, infatti, che sia proprio di ogni essere umano porsi delle domande di fronte ad un
simile gesto. Siamo esseri dotati sia di intelletto che di sentimenti per mezzo dei quali proviamo tristezza e
un accorato coinvolgimento nella vicenda, stati d’animo che lasciano spazio, in seguito, ad una riflessione
più attenta a numerosi “perché”. È sconvolgente pensare che un essere umano possa decidere di togliersi
la vita e forse questo porta a chiedersi se in un momento di estrema debolezza ne sarebbe capace
chiunque … Se le domande sorgono spontanee, non altrettanto rapidamente si presentano le risposte
che, malgrado, si tenti di scovarle investigando nei meandri più profondi dell’animo umano, permangono
oscure. Il mistero che avvolge un gesto così irrazionale e distante dalla stessa natura umana rimane
nascosto e scompare insieme a quella povera vita. Malgrado ciò, è possibile individuare tipologie di
soggetti che si rendono protagonisti di tali gesti molto frequentemente: uomini sopraffatti dalle
problematiche di tipo essenzialmente pratico, e ne sono esempio, oggi più che mai, tutti quegli individui
che a causa della crisi economica, la quale ha impedito loro di procurarsi ciò che occorre per il
sostentamento di sé e della propria famiglia, decidono di suicidarsi; o anche uomini che non riescono a
godere della vita nella sua pienezza, insoddisfatti della propria esistenza che decidono di lasciare questo
mondo per sempre. Rosso Malpelo, in questo senso, accomuna entrambe le categorie poiché senza
dubbio la situazione opprimente del lavoro nella cava, ha avuto un ruolo importante in questa vicenda.
Inoltre con la morte del padre il ragazzo vive da alienato il mondo esterno, la sua esistenza diviene vuota,
priva di qualsiasi obiettivo. Benché, comunque, non si tratti di un vero e proprio suicidio, i gesti di Malpelo
non si discostano molto da esso poiché il ragazzo è consapevole di andare incontro alla morte. Ed allora
come può un vivente privarsi della vita per redimere se stesso dal Male? Tale paradosso non è
certamente esclusivo del pensiero verghiano, anzi, tale realtà è tangibile sino ai nostri giorni, non pochi,
infatti, sono coloro che per liberarsi da varie forme di sofferenze, si tolgono la vita. Innanzitutto il tragico
risvolto della vicenda conferma il pensiero anti-cristiano di Verga, che riduce l'esistenza a un oggetto di
cui potersi disfare a proprio piacimento, cosa molto distante dal Cristianesimo che invece ritiene la vita
un bene inviolabile. Ciò preclude, inoltre, al nostro protagonista la possibilità di una vita ultraterrena.
Indubbiamente Malpelo, dopo la morte del padre e di Ranocchio non riesce più a trovare un senso alla
sua esistenza, non prova più desiderio per nulla. Il ragazzo non soffre più perché non si lascia coinvolgere
in nulla, non si sente più deluso perché non spera in niente. Nonostante ciò Malpelo non vuole
veramente morire; desidera solo porre fine a un dolore insopportabile, egli ormai ha perso la speranza
che qualcosa possa cambiare e vede nella morte la soluzione a tutti i suoi problemi. Pertanto Malpelo,
considerando insipida e priva di alcun valore la sua esistenza, visto che nessuno ha interesse nei suoi
confronti, decide di porre fine alle sue sofferenze, credendo, a torto, che la morte l'avrebbe realmente
liberato e affidandosi a qualcosa della quale non si può avere esperienza. Essere tanto attaccati alla vita
terrena, da precludersi l'idea della morte è follia; al contrario disprezzare la vita terrena in nome di una
forma della quale non si può fare esperienza e che non si può "vivere" è segno d'immaturità. Malpelo,
infatti, è solo un bambino che magari vuole raggiungere il padre su una nuvoletta lassù per poi tornare
sulla terra con lui. Verga, nella sua poetica, attribuisce alla società rurale la capacità di accettare la morte,
perché considerata equivalente se non migliore all'esistenza terrena. D'altro canto la morte di per sé
non ha alcun valore, se non quello che siamo noi ad attribuirle in rapporto all'esistenza terrena. Da
qui l'esaltazione degli umili che, essendo ancora relegati a una condizione puerile e d'immaturità, e
vivendo in pessime condizioni di vita, sono pronti ad accettare il proprio destino, elevandosi se pur con
tali caratteristiche a uno stato d'innata saggezza. Le classi agiate, temendo la morte, per loro
inconcepibile, si precludono la possibilità di godere della propria esistenza, sono folli, incapaci di
accettare quello che è il normale ciclo della vita, rendendosi così non altro che Vinti.
Rosso Malpelo, datata 1878, è certamente la prima opera del periodo verista, nella quale Verga prende
decisamente le distanze da quegli influssi romantici e della Scapigliatura che avevano caratterizzato la sua
poetica degli inizi rendendola stucchevole e poco coinvolgente. La nuova poetica benché, sia frutto del
Naturalismo francese, ne prende le distanze perché, come visto, si carica di significati, diventando
strumento di denuncia e di riflessione. Le differenze con la poetica romantica si avvertono già dalle prime
battute che introducono la novella -Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli
rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo- A narrare, infatti, non è l'autore con il suo punto di vista
ma si può parlare, a ragione, di narratore corale. Non si può, infatti, associare tale introduzione alla voce
di un narratore colto, bensì a quella della voce popolare che si basa su assurdi pregiudizi: "Come può
essere un ragazzo cattivo, soltanto perché ha avuto la sfortuna di nascere con i capelli rossi?" Ed è con
questo punto di vista che si svilupperà la vicenda, dando voce sia ai vinti sia ai vincitori. Ed è questo
che sancisce il trionfo dell'opera di Verga il quale riesce a "eclissarsi" , a scomparire, lasciando che il
"fatto umano si presenti da sé". L'autore lascia, infatti, al lettore il compito di determinare la
connotazione psicologica dei personaggi, basandosi sul loro modo di fare, al netto di una critica analisi
poiché, come già detto, la storia è narrata dallo stesso punto di vista dei personaggi, con i loro limiti e la
loro superstizione -Al mezzogiorno, mentre tutti gli operai della cava mangiavano in crocchio la loro
minestra, e facevano un po' di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per
rosicchiarsi quel po' di pane bigio, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua e gli tiravan
dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c'ingrassava, fra i calci [...] senza
osar di lagnarsi". In queste affermazioni che rispecchiano pienamente le caratteristiche prima
evidenziate, Rosso Malpelo appare come un ragazzo inasprito e indurito dal duro lavoro della cava. Egli,
vittima della violenza e dei soprusi degli adulti, reagisce con rassegnazione isolandosi da ciò che lo
circonda. È da notare che nello scritto, nonostante la tragicità degli eventi, mai lo scrittore invoca la
pietà del lettore, né in maniera diretta né in quella indiretta. Il rapido susseguirsi delle vicende chiede al
lettore di riflettere sul risvolto della medaglia del progresso, sull'inefficace processo di unificazione che
spinge verso il baratro quella società rurale, fatta di contadini, allevatori, garzoni di miniera,
caratteristica del meridione italiano. Ciò che spinge Verga a rivoluzionare così profondamente quella che
è la prosa del tempo, ma anche degli illustri predecessori italiani è la sua personale esperienza e il
suo conformarsi alle idee positivistiche. Al contempo Verga sviluppa una sua forma di pessimismo la cui
idea-cardine è la presenza incontrastabile del Male nel mondo: la vita, infatti, è una dura lotta per
la sopravvivenza e, quindi, per la sopraffazione, che schiaccia inesorabilmente il più debole e celebra il
trionfo del più forte. Dio e la Provvidenza sono assenti dai suoi scritti poiché ineluttabile è il destino degli
uomini: chiunque provi a mutare bruscamente la propria condizione è un vinto, cui si contrappongono
tutti coloro che accettano con disinvoltura la propria condizione rendendosi icone di saggezza. Come
Malpelo, anche altri personaggi sono avviati a un nero destino di morte. La cava di rena e i suoi minatori
diventano metafora sociale di quel ceto contadino-rurale, ormai sopraffatto dalla borghesia e dalle
mancate riforme statali, cui è stata sottratta la libertà. Per questo Malpelo odia la luna, poiché con i suoi
raggi, mostra una natura diversa e meravigliosa dalla quale egli è perennemente escluso. Ma è con la
morte del padre che matura in Malpelo una frenesia autodistruttiva che lo porterà inesorabilmente
verso la morte. Ma perché la figura del padre è così importante per Malpelo? Indubbiamente con la
scomparsa del padre Malpelo perde ciò che di più caro potesse avere: il padre è l'unica persona che
provi dell'affetto vero per il ragazzo, che lo ami davvero. È l'unico che considera il ragazzo non secondo
l'etica dello sfruttamento, per la quale una persona vale non per quello che è ma per quanto produce, ma
secondo quel sentimento puro e sincero che unisce un genitore a un figlio. La premura del padre è
chiara infatti -II padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: "Tirati in là!" oppure " Sta
attento! Bada se cascano dall'alto dei sassolini o della rena grossa e scappa!" Ma ci si rende conto della
vera natura delle cose e della loro bellezza soltanto quando ormai si sono perse per sempre. Così Malpelo
avverte in modo determinante e inaccettabile la mancanza del padre benché non sappia cosa sia l'amore.
Il rapporto con il padre, infatti, è segnato dal duro lavoro in miniera e l'unico modo che il padre ha a
disposizione per mostrargli quanto gli voglia bene è dimostrare al ragazzo tutta la sua premura. Il padre,
infatti, è colui che fornisce a Malpelo gli “strumenti” per sopravvivere al duro lavoro della miniera,
“strumenti” che permettono al ragazzo di formare una propria personalità, “strumenti” che lo rendono
“individuo” in una società che schiaccia inesorabilmente colui che non ha la capacità di affermare se
stesso in quel così particolare contesto sociale. D’altronde da sempre il rapporto con la figura paterna si
articola in maniera diversa da quella della figura materna, poiché se la madre è quella figura che dona un
amore incondizionato ed è onnipresente, il padre agisce in maniera coercitiva affinché il bambino possa
crescere in maniera corretta. Ed è proprio la figura maschile che è estremamente determinante nella
formazione di una personalità forte e in grado di affrontare il mondo. Nel caso di Malpelo il rapporto
diviene più intenso e si carica di una significato più profondo perché si svolge in un ambiente ostile,
sfavorevole sia al padre sia al ragazzo. L’amore del padre verso il figlio riesce ad andare oltre ogni
difficoltà e permette al genitore di rimanere sempre vicino al ragazzo e trasmettendogli un mestiere
insegna a Malpelo come sopravvivere. Rosso Malpelo, ne idealizza, quindi, la figura e si identifica
completamente in essa, in quanto riconosce in lui le qualità e le capacità necessarie a sopravvivere in un
mondo così ostile. Il padre si pone, così, come bisogno primario di Malpelo: il punto di partenza da cui
attingere l’arte del vivere e il punto d’arrivo in quanto obiettivo della vuota esistenza di Malpelo è
diventare del tutto simile al padre. L’importanza e l’affetto del padre sono enfatizzati dall’ineccepibile
condotta della madre e della sorella che non provano altro che vergogna per quel ragazzo e le loro
“dimostrazioni d’affetto” consistono in molestie verso l’incolpevole vittima. Di fronte a un tale vuoto
affettivo non può che uscire ancora maggiormente valorizzata la figura paterna che impedisce a Malpelo
di percorrere una via che l’avrebbe condotto ad una fine ancora più rapida. Insomma il padre diventa
anche madre, meritandosi e legittimando l’affetto del figlio. Ad oggi, casi simili non sono pochi. Non di
rado, infatti, nella composizione del nucleo familiare, è possibile osservare come un genitore
(particolarmente la madre) svolga il ruolo di onnipresente balia, incaricato di accudire, educare ed
adempiere sia ad ogni bisogno dei figli sia a quelli pratici legati all’organizzazione casalinga. Ciò perché
l’altro genitore è obbligato a stare lontano dalla famiglia a causa delle necessità lavorative, in quanto
molto probabilmente unica fonte di reddito. Malgrado questo, l’emancipazione femminile sta portando
ad un’inversione di tendenza, in quanto sono presenti diversi casi in cui è proprio la madre a costituire
l’unica fonte di reddito, destinando così il marito alla cura dei figli e della casa. Particolare rilievo hanno
anche le famiglie in cui entrambi i genitori vivono in una situazione di precarietà lavorativa, che ha portato
a un’equa divisione delle attenzioni nei confronti della prole. Osservando attentamente, quindi, la
famiglia di Malpelo si presenta come rivoluzionaria e innovativa, poiché abbandonato il modello
patriarcale si viene a formare piuttosto una moderna famiglia mononucleare in cui la casa è condivisa dai
genitori e dai figli. La condotta della madre, comunque, fa sì che si instauri tra il ragazzo e il padre, un
legame speciale, un filo diretto che è però destinato a spezzarsi prematuramente. Malpelo non si
rassegna alla sciagura poiché vorrebbe avere ancora il genitore accanto a sé e conserva così ciò che resta
del papà, cioè gli scarponi – Le scarpe, poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state
le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per
terra, l’una accanto all’altra, e stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle
ore intere, rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio- Quelle scarpe sono tutto per Malpelo ciò
che resta del suo ideale di vita, del suo obiettivo da conseguire, sono e rappresentano il vuoto che avverte
nel suo animo. Gli scarponi, che avrebbero dovuto accompagnare il padre nel duro lavoro della miniera,
diventano per il ragazzo come il segno di una rivelazione divina, perché il padre è luce che rischiara le
tenebre delle triste esistenza di Malpelo tanto che il ragazzo ne accoglie la figura come quella di una
benevola divinità. Il faro che illuminava la via di Malpelo si è spento per sempre, ne sono rimasti soli gli
scarponi. La morte così diventa scoperta, rende tangibile al ragazzo ciò che ha perso per sempre, scopre
dunque l' affetto, ma anche la solitudine più nera e profonda, scopre il dolore e la disperazione. La morte
del padre libera Malpelo della sua stessa vita: il ragazzo non sente più alcun legame tra sé e ciò che lo
circonda, non percepisce più quale sia lo scopo della sua vita, del perché di tante sofferenze. La morte è
liberazione. La morte del padre che diventa prima la morte di Ranocchio e poi quella di Malpelo, libera
il loro corpo e il loro animo da quelle immani sofferenze di una vita senza amore, di una vita il cui unico
valore è il denaro. Verga, quindi, concepisce per il protagonista la tanta agognata liberazione da tutte le
sofferenze cui è sottoposto nella morte -Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto
l'oro del mondo per la sua pelle, se pur la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire
si risovvenne del minatore [...] Del resto a chi sarebbe giovato? Prese gli arnesi [...] e se ne andò". Al
ragazzo, infatti, non importa più nulla della sua vita, nella quale non può aspettarsi altro che una serie
immane di sciagure e strazi. Attende, quindi, a braccia aperte, anzi corre incontro alla morte affinché
possa liberarlo da tutto ciò che lo affligge e possa portarlo, lì, insieme al padre, unico dal quale avesse
ricevuto affetto. Tale visione della morte non è rara nella poetica di Verga; questo ad accentuare la
distanza tra i vinti, che non temono l'incombenza della morte, e i vincitori che invece cercano in tutti i
modi rifugio al nero destino che li aspetta.
La storia di Malpelo non è certo una di quelle che lascia indifferenti. Non si può che provare compassione
di fronte a questo ragazzo avviato sin da subito a un nero destino di morte, alla sua disperazione in
occasione della morte del padre. La rabbia di fronte alla rassegnazione del giovane che decide di tagliare il
filo che lo tiene unito alla vita. L’ira è per una svolta inaccettabile, per come tutti abbiano lasciato che
Malpelo si autodistruggesse, per una visione tutt'altro che condivisibile della vita, un finale che lascia con
l'amaro in bocca. Rimane inaccettabile la scelta di Malpelo di andarsene al galoppo all'altro mondo, poiché
la morte non può diventare soluzione universale ai propri affanni, perché la vita è un valore indiscutibile da
difendere al di là di ogni sciagura.
Volendo approfondire il concetto di scomparsa, abbiamo letto i passi salienti del romanzo "MastroDon Gesualdo". Il protagonista, Gesualdo Motta, nobile arricchito ossessionato dai suoi beni,
costretto dalla sua indole materialista, abbandona la donna che lo amava con i suoi due figli, per
sposare Bianca Trao, di origine nobile, ma economicamente povera.
Il matrimonio si dimostrerà essere un "cattivo affare", poiché Bianca non lo ricambierà, il suo fisico
debole le darà una sola figlia e nessun aristocratico lo riterrà degno della propria amicizia.
L'unica figlia sarà Isabella, illegittima perché è nata dalla precedente relazione della madre, ma
ugualmente accettata da Gesualdo. Ella subirà lo stesso destino materno: sposerà controvoglia un
uomo che non ama e solo per ragioni economiche. Non legherà mai con il padre, poiché si
vergognava di lui e delle sue origini, anche quand'egli stava sul letto di morte.
Gesualdo credeva che, avendo a cuore tutti i suoi beni materiali, avrebbe potuto fare a meno di
condurre una vita incentrata anche sui valori sentimentali. Sentendosi padrone di tutto e di tutti,
credeva che il bene si può comprare oggettivamente. Nulla di più sbagliato, infatti con questa "logica
di vita" si guadagnerà l'odio delle persone per cui provava quel minimo affetto.
Soltanto sul letto di morte si renderà conto dei suoi errori: di aver anteposto e privilegiato nella sua
vita la "roba" e di aver considerato determinate persone più care di altre solo per il loro ceto sociale.
Nei suoi ultimi giorni di vita, Gesualdo vivrà nel palazzo di Isabella e del marito "assegnatole" dal
padre, ossia il Duca di Leyra. Proprio in questo momento in cui poteva instaurare un dialogo con la
figlia, capirà anche di aver perso il frutto dei suoi grandi sacrifici, che poi verrà "mangiato"
insensatamente dal genero.
In "Mastro-Don Gesualdo", la scomparsa viene vista come via di uscita da una vita dove si è
destinatari dell'odio delle persone e dove si è schiavi dell' incessante ossessione di aumentare il
proprio benessere materiale, cose effimere e della quale ci si rende conto solo alla fine.
Studiando queste opere, abbiamo avuto modo di scoprire alcuni volti della scomparsa. Essa fornisce
sofferenze che poi aiutano a maturare, a comprendere il vero significato dell'espressione "Vivere ogni
giorno della propria vita come se fosse l'ultimo". Insegna a dare importanza ad ogni singolo momento
vissuto con determinate persone, a non attribuire loro uno scarso valore. Ognuno di noi, quando si
trova di fronte alla scomparsa di qualcuno, ha una reazione propria e differente. La vera sfida
dell'uomo comincia quando si cerca di accettarla anche nei suoi lati negativi. Non possiamo né
evitarla e né gestirla, perché è la componente essenziale dell'antitesi della vita.
Quindi ecco un pensiero: " Per non avere rimpianti, bisogna ascoltare il proprio cuore, lasciare che
parli al nostro posto. Bisogna imparare ad amare le persone, anche se avranno tutti i difetti del
mondo, ma proprio nella loro imperfezione vive la perfezione. Sono questi quei dettagli di una
persona che un domani ci mancheranno. Inoltre bisogna vedere la scomparsa come una fonte dalla
quale lentamente traiamo forza. La vita andrà avanti e anche se non è giusta, la dobbiamo accettare
per quello che è, senza dimenticare il passato e il ricordo dei nostri cari. Le gioie e i dolori fanno e
continueranno a fare parte della vita dell'uomo, contribuendo a renderci quello che siamo. L'essere
umano è l'unico vivente che è cosciente della logica della vita e vivere sarà quell'emozione continua
che si rinnova e che farà pensare sempre."