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Churburg — Vernissage a Castel Coira 2014 — Leo Andergassen (Direttore del Museo Storico-culturale di Castel Tirolo) UOMO, MONTAGNA, MITO [7:45] Caro Wilhelm, cara Claudia, caro Conte Johannes Trapp, cari visitatori di Castel Coira, Gentili Signore e Signori, Inaugurare una mostra che espone opere di Wilhelm Senoner è certo cosa facile: si tratta infatti di un’arte dalla vocazione visiva, che si rivela figurativa e orientata alla comunicazione. Wilhelm non ci presenta enigmi, arcani e segreti; ci propone invece la sua sua immagine umana e, in questa, sempre un pezzetto di sé. Certo, giungere al cuore di queste immagini significa avere dietro di sé (e dentro di sé) alcuni anni di esperienza umana, di modo che questi possano sedimentarsi nelle figure, nell’arte, nella scultura. Un’arte che non è orientata alla comunicazione, in definitiva cessa di esser tale: la parola “arte” (Kunst) deriva, come osservano alcuni, da “können”, da una certa quale dimenstichezza, ma anche da “künden”, annunciare… nel senso che bisogna pur avere qualcosa da comunicare. E ora che le opere di Wilhelm Senoner sono presentate qui a Castel Coira, esse vengono a inserirsi – indirettamente, ma pure direttamente – in un contesto che è già prefigurato. Questa fortezza rappresenta da secoli, con il suo chiostro, un luogo di meditazione che si può attraversare e lungo il quale si può deambulare e soffermarsi nelle figure che ci vengono presentate, sia pure di un mondo alla rovescia. E si finisce per imparare qualcosa di se stessi. Ed ecco uno dei punti centrali: “Difficile est se nosse, sed beatum” (è difficile conoscere se stessi, ma rende felici)! Ed è quanto ci accade quando incrociamo e osserviamo le figure di Wilhelm Senoner, che certo sono fatte in modo da doverle incontrare ad altezza d’occhi, di modo da imbatterci nell’umano e da assorbire sempre in sé un frammento della realtà che ci si para davanti: osservare le sculture di Wilhelm, porsi al loro cospetto, significa in un certo senso trovarsi di fronte a un pezzo di se stessi. Sono infatti figure mai statiche, anche se fatte di materiale solido; sono figure in movimento, vi si può girare intorno, e anzi proprio facendo questo, esse diventano eminentemente vive. Senoner è uno che quasi evita la tradizionale struttura tridimensionale: le sue figure scaturiscono dal piano; a seconda di come le si osserva, rivelano spigoli, angoli, espongono ampie superfici. Ma una superficie esposta è appunto esposta all’incontro: sono figure piatte, che rifuggono la realtà; si noti soprattutto la loro testa, che suggerisce il senso della velocità, e in cui forse la fronte sfuggente va a fondersi con il processo figurativo stesso: ed ecco una figura che si flette all’indietro, un’altra che tiene in grembo una sorta di guanto rosso. In questa mostra incontriamo soprattutto figure femminili: si tratta in un certo senso di un confronto che lo scultore ha approfondito negli ultimi anni, peraltro accompagnato alla scelta di un grande formato, una sfida di cui si può seguire la genesi e lo sviluppo negli anni. Ed ecco figure di donne, oppure donna e uomo: le due cose vanno di pari passo in una sorta di repertorio creativo di Wilhelm Senoner. Egli non prende posizione definitiva per uno dei due sessi: per lui in un certo senso l’unità del mondo e 1 del creato è motivo di quiete interiore e probabilmente – lo dico forse in termini non appropriati – è espressione della sua coscienza e della sua chiara visione del mondo. Credo che solo chi è in pace con se stesso e si conosce – difficile est se nosse, sed beatum – insomma solo chi rintraccia la felicità dentro di sé, è anche in grado di comunicare questa felicità all’esterno. I titoli sono alle volte strani: si vede ad esempio un gruppo scultoreo, in cui sotto c’è un uomo e sopra una donna. Se si guardano le fotografie – e fino a poco tempo fa ho avuto occasione di guardare solo quelle – si ha l’impressione di avere a che fare con una gravità: una gravità che non schiaccia. La donna sta sopra, e il titolo è: La dipartita (Im Aufbruch); ma non c’è ancora nessuna separazione, in quanto l’unità dei due è ancora presente e totale. Non si percepisce nulla nel senso della pesantezza; si ha come l’impressione che sia tolta quella legge galileiana della gravità che è implicita alla materia. Si tratta di un’idea che ha trovato una via d’accesso alla materia: e per Wilhelm la materia prima è semplicemente il legno; viene dalla Val Gardena, ed è proverbiale che “in Tirolo tutte le teste sono di legno”. In Val Gardena sono particolarmente abili a lavorare questo materiale: è un’attitudine che possiedono non da decenni, ma da secoli. E in questo lavoro Wilhelm s’inserisce in una lunga tradizione di esperienza con il legno. Ma compie un ulteriore passo avanti: non fa statue per soli scopi devozionali o commerciali, o magari per gli specialisti del settore, bensì crea figure che prendono commiato da questa materialità: molte di esse sono state colate in bronzo. Tre anni fa c’è stata una grande esposizione sull’Alpe Rasciesa a oltre 1200 metri di altitudine: le figure sono state posizionate nella pura natura selvaggia; uomo e natura formano insieme un’unità. Sono state inserite nel profilo del crinale, dove si ha l’impressione di essere giunti alla fine del mondo; ed ecco che arrivano le statue di Senoner a gettare una sorta di ponte verso un avvenire di cui non ci siamo forse ancora avveduti: la statua come un ponte gettato fra il mondo della natura e il regno delle idee. Non già lavori imbrigliati nella materia, ma opere che vogliono evocare un dialogo spirituale. Osservare una di queste statue significa comunicare con lei. E se la sua superficie non è tirata a liscio, come è consuetudine nei manufatti della Val Gardena che s’incontrano nella produzione di massa, a ciò è sottesa una riflessione: quella di rendere ruvida la superficie per togliere all’immagine del legno quella certa delicatezza del materiale, e sovrimporvi una certa durezza. In tal modo le figure assumono il sembiante di qualcosa di eterno: non sono più vulnerabili come è il legno, ma ci danno l’impressione di voler reggere per tutto il tempo prossimo, reggendo assieme a sé, per un certo tratto, anche noi stessi. Sono idee molto importanti: la materia è in sé e per sé il luogo in cui è imprigionato il pensiero, ma non è un carcere in senso stretto: piuttosto un ricettacolo, una porta stretta attraverso cui il pensiero guadagna la propria effettiva libertà. C’è qui in mostra una statua di donna, di dimensioni superiori al naturale, che regge in mano un volatile. Il titolo è In cammino (Im Gehen). Caratteristico delle opere (e dei gruppi scultorei) di Wilhelm è sempre un tratto di esistenzialità, una nota esistenziale; ne va di qualcosa di fondamentale: In cammino. Di continuo, ogni giorno, noi non facciamo che andare e venire. Senza tale andatura saremmo come rattrappiti, e anche il nostro pensiero prenderebbe probabilmente tutt’altra direzione. Chi è in movimento, perlustra e percepisce. Essendo in cammino, si afferra il mondo. Nelle scuole filosofiche dell’antichità ci sono stati indirizzi di pensiero che hanno concepito la filosofia come un cammino, e hanno fatto filosofia deambulando. Chi si limita a starsene seduto o in piedi, non fa esperienza del mondo: è al viandante che si rivela l’universo (per usare una categoria in grande stile); e questa immagine di donna “in cammino”, regge in mano un volatile; e poco fa Wilhelm (o forse è stata Claudia) mi ha rivelato che esso sta per essere liberato: ecco, si tratta di figure in movimento con un intento di liberazione. Non è 2 possibile trattenere in eterno: non si può farlo coi pensieri, con gli sguardi, con le persone: non siamo fatti per l’eterno. Ma l’arte è tale che essa, almeno, ci accompagna sino all’indomani. L’arte non è mai superflua; essa, vorrei dire, non è mai solo un valore in mezzo ad altri valori che hanno prezzo: l’arte è, anche e proprio in economia, quella categoria che introduce nuove idee, nuove visioni e una vita nuova nei gangli essenziali del procedere umano. Senza arte saremmo poveri; se non fossimo in questo luogo che ci accoglie, saremmo probabilmente in un posto insignificante, ma proprio questa località è una presenza forte, una fortezza, un corpo architettonico: tutte cose costruite dall’uomo, ovviamente; e senza quest’arte – che si fa archiettura, scultura, pittura, musica e letteratura – saremmo poveri e non avremmo nulla cui metter mano. Io non so se l’evoluzione dell’uomo abbia visto prima l’agire manuale e poi l’arte: solo chi è in grado di esprimersi è anche capace di economia, dal momento che economia significa dare e ricevere, e ciò presuppone che si sappia che cosa si possiede e che cosa si vuole dall’altro. E l’arte è in sé ciò che si alimenta, vorrei dire, dell’economicità culturale dell’uomo: infatti l’osservazione, di per sé, non costa nulla se non il prezzo del pensiero; ed è il pensiero a mettere poi in moto tutto quanto. L’arte dunque come terreno di cui si alimenta l’economia. Trovo che questa sia un’affermazione importante: senza l’arte non è possibile che vi sia economia. E anche l’economia può evolvere in direzione dell’arte e può essere essa stessa arte quando è fatta con equità, quando a nessuno viene sottratta la tovaglia da sotto il piatto, e anzi rimane il ricordo di un’attenzione ricevuta, restano memorie con cui si può convivere e alle quali si può guardare in faccia. La solidità dell’economia si fonda in ultima istanza nella solidità delle relazioni umane, nella saldezza di quegli istanti (Augenblicke) in cui gli uomini riescono a guardarsi negli occhi (in die Augen blicken). Wilhelm Senoner ha esposto il suo universo figurativo a Castel Coira. È un luogo molto suggestivo. Ed è un appuntamento che in un certo senso si ripete, anche se non è, e non vuole essere, una ripetizione. Con ciò egli ci offre uno sguardo sulla sua personalità di artista: un artista mette sempre in gioco i propri pensieri, e li comunica. Se l’arte risulta piacevole, se voi vi calate interamente in questo dialogo, seguendo questa traccia linguistica sulla quale Wilhelm ci invita, avete già vinto. Accade come nelle relazioni interpersonali: quando si parla gli uni con gli altri, si ha anche l’opportunità di guadagnare qualcosa l’uno dell’altro, e di uscirne con un guadagno netto. “Difficile est se nosse, sed beatum” – così dice il filosofo antico nell’iscrizione posta qui sopra. La felicità non sta fuori di noi, bensì in noi stessi, e l’arte di Wilhelm Senoner sta lì a mostrarcelo: la bellezza, l’equilibrio e insomma il fatto di reggere lo sguardo dell’opera d’arte, questo istante, questo Augenblick, è insito nei lavori di Wilhelm Senoner. È necessario, io credo, un duro lavoro per riuscire a dare un’impronta nuova a se stessi, e credo che la grande arte, in campo figurativo, consista nel riferirsi a sé e, nel far ciò, vedere coinvolti anche gli altri. E sarei molto felice se oggi, nel passare accanto a queste opere e intorno ad esse, nell’incontro con l’arte, ma anche con Wilhelm e Claudia, potrete esperire qualcosa anche di voi stessi – del beatum in voi stessi! Molte grazie. [21:35] [traduzione di Nicola Curcio] 3