Il corpo in relazione

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Il corpo in relazione
Il corpo in relazione
Eppure qualcosa mi dice che non fu un caso che
l'inventore delle coordinate, che sono tra gli strumenti
scientifici più materialisti e raffinati, conferì anche
dignità alla superstizione dualistica affermando la
separazione mente materia. Le due idee sono
intimamente legate. E la loro relazione la si coglie con
nettezza massima quando il dualismo mente/materia
viene visto come uno strumento per eliminare la metà
difficile del problema dall'altra metà, più facilmente
spiegabile. Una volta separati, i fenomeni mentali
potranno essere ignorati. Questa sottrazione,
naturalmente, lasciò alla metà che poteva essere
spiegata un carattere troppo materialistico, mentre l'altra
metà divenne affatto soprannaturale. Ma da entrambe le
parti sono rimasti margini vivi e la scienza materialistica
ha nascosto questa ferita generando il proprio insieme di
superstizioni.
G.Bateson
Anemoni
Il gonfalone degli psicoterapeuti sistemici si è modificato nel corso degli ultimi trent’anni
assumendo forme esteticamente più intonate con l’ambiente circostante, quasi confondendosi nei
confini con altri vessilli di altre Compagnie e Corporazioni, come un anemone, fiore rizomatico
divenuto leggenda nelle Metamorfosi di Ovidio1.
Ormai siamo consapevoli che per solcare mari agitati dobbiamo affinare la nostra sensibilità
estetica, le vibrazioni che ci comunica il corpo in relazione, il nostro sestante più prezioso, che
nessuno ci può indicare come usare, ma che ognuno di noi può conoscere meglio ed utilizzare
durante ogni genere di navigazione.
Immaginiamo di sentire il vento, che fa fischiare le vele,
e ci accarezza il corpo, e ci fa scegliere di lascare le cime, e poggiare, e poi orzare,
andare sopravento, e sentire le vele che pungono e fileggiano…
Se il vento gira a prua, le vele si aprono,
ma poi, se noi tiriamo le cime, si gonfiano,
e la barca si sposta, ma si sposta anche il vento,
come se non vi fosse un confine che separa i corpi in relazione.
E il corpo, l’anima, la psiche, potremmo riconnetterli in modo abduttivo all’anemone, il fiore del
vento, il soffio vitale (anemos). La metafora dell’anemone ci aiuta ad allontanarci da dualismi
mente-corpo, che in quanto tali ci portano a unire separando, imprigionandoci in paradossali
ricorsività.
Ritroviamo la non-dualità nel pensiero greco pre-platonico, nella lirica greca, dove il mito del corpo
è caratterizzato soprattutto dall'assenza della mente.
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La leggenda narrata da Ovidio, dice che Adone, ucciso da un cinghiale, veniva pianto da Venere che l'amava.
Venere versò una sostanza magica sul sangue dell'amato da cui nacque un fiore, l'anemone. Il suo legame coi venti è testimoniato
anche dall'origine del nome ànemos, dal greco vento.
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La poesia greca si dipana attraverso molteplici manifestazioni corporee: turbe della frequenza e del
ritmo cardiaco, turbe del linguaggio, turbe vasomotorie, deficit del visus, acufeni, alterazione
cenestesica, un quadro, insomma, vicino all'attacco di panico.
D'altronde è possibile rilevare che sovente i pazienti utilizzano il linguaggio del corpo per esprimere
un dolore mentale e che la narrazione della mitologia personale spesso si serve di metafore
somatiche. La nostra lingua è ricca di metafore che coinvolgono il cuore come organo per indicare
un investimento emotivo intenso; il dolore toracico può così assumere una dimensione
comunicativa, diventare cioè una modalità narrativa del proprio mondo interno e, da evento
somatico, divenire un mezzo di comunicazione simbolica delle emozioni.
Per gli antichi greci, non c'era un'anima dentro il corpo. Per Omero l'anima è l'occhio che vede,
l'orecchio che sente, il cuore che batte, il corpo vivente insomma, che è diverso dal cadavere perché
è «espressivo» e non «rappresentativo» di un teatro che si svolge alle sue spalle, nell'anima appunto,
o nel suo inconscio, come noi oggi crediamo.
Il linguaggio di Omero è corporeo perché non ha ancora ridotto il corpo a materia inerte a
disposizione dell'anima, a mero segno fisico di trascendenti significati psichici. Per questo Omero
può distinguere il corpo dal cadavere, mentre Platone è costretto a identificarli e a concludere che il
corpo è per noi una tomba, introducendo la parola «anima»(nota Originariamente espressione
dell'essenza di una personalità, intesa come sinonimo di «spirito», o «io», a partire dall'età moderna,
con Cartesio, venne progressivamente identificata soltanto con la «mente» o la coscienza di un
essere umano.Vedi Descartes, Meditazioni metafisiche, a cura di Gianfranco Cantelli, La Nuova
Italia, 1982 pp. 39-42), in greco psyché, capace di costruire un sapere valido per tutti; un'anima che
non designa tanto la nostra coscienza o la nostra psiche, ma la nostra capacità di astrarre dal
sensibile, cosa che i bambini non sono capaci di fare, ma poi col tempo e con lo sviluppo delle
capacità cerebrali imparano.
Pensiamo a quando ci troviamo coinvolti in una comunicazione dove una persona racconta sue
sensazioni:
“il mio corpo è rigido, gelido, e la mia voce congelata, non riesco a sbolccarmi...”
Può essere questa una comunicazione di un bambino?. Difficile dirlo. Ma se proviamo ad
immaginare un bambino che pronuncia una frase di questo tipo, probabilmente penseremmo come
piuttosto improbabile che possa comunicare attorno alle sensazioni del proprio corpo;
semplicemente le agirebbe, come incorpate e non rappresentate in un simbolismo linguistico
connotativo.
Per poterle rappresentare ci vuole una buona “carica” di Io, capace di trasformare le sensazioni del
corpo in percezioni e in emozioni comunicabili (Nell’ambito della psicologia sperimentale, la
sensazione è un cambiamento a livello dell’attività neuronale che deriva dall’interazione diretta dei
nostri organi sensoriali con l’ambiente esterno, mentre la percezione è l’organizzazione di tali dati
sensoriali in un’esperienza complessa a livello cognitivo. Quindi, la sensazione è l’informazione di
base così come si presenta ai nostri sensi, mentre la percezione è il processo successivo che implica
l’interpretazione e l’attribuzione di senso alle sensazioni.)
Potremmo forse considerare, da una prospettiva evoluzionistica, un passaggio nella civiltà degli
umani, dall’età della conoscenza sensibile, corrispondente al pre-platonismo, dove corpo e mente
sono indistinti, all’età della conoscenza epistemica, neo-platonica.
Abbiamo cosi sostituito la possibilità di mantenere un ancoraggio con una conoscenza estetica
“sensibile alla struttura che connette”, come nella metafora del veleggiare, con la metafora della
"seconda navigazione", originaria nel pensiero neo-platonico di Eustazio, che rifacendosi a
Pausania spiega che "si chiama 'seconda navigazione' quella che uno intraprende quando, rimasto
senza venti, naviga con i remi". Quindi, la prima navigazione riguarda i filosofi che hanno
preceduto Platone, i quali guardavano al fisico ed al naturale attraverso i sensi (le vele); la seconda
navigazione, quella platonica, viene fatta coi remi (la ragione).
Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone
Vita e Pensiero, 20.a ed. Milano 1997, pp. 137-58
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Sillogismi in erba
La domanda che ci stiamo ponendo da tempo è: è possibile “flirtare” con entrambe le metafore? O
ancora. In che rapporto stanno le sensazioni con le percezioni? Sono le sensazioni del corpo a
governare i processi mentali? O viceversa?.
Se ci spostiamo verso un paradigma di non-dualità possiamo considerare la mente e il corpo come
esperienze epistemiche che originano da organi sensoriali differenti ma che vivono integrati
all’interno di una mente-corpo inter-relata in modo ricorsivo e circolare. Una mente autopoietica
che si nutre di esperienze epistemiche per abduzione, e che vive all’interno di relazioni complesse,
non confinate in un corpo separato dal contesto.
L'abduzione è la logica della mente auto poietica, sensibile alle relazioni e ai diversi contesti,
capace di creare nuove immagini e nuovi concetti a partire da esperienze vissute.
Come afferma Bateson, "l'abduzione è un modo per proporre somiglianze a partire da altre
somiglianze", e costituisce il metodo migliore per studiare i fenomeni emotivi e relazionali, in
quanto "tutta l'arte, la terapia, la religione, il totemismo, l'umorismo, sono fenomeni abduttivi"
(Mente e natura, p. 192).
Lo stesso Bateson descrive l'accoppiamento senso motorio, mente – corpo - ambiente, una unità
inscindibile, una danza, appunto, di parti interagenti, che caratterizza l'approccio estetico
relazionale, come maniera di abitare ed essere al mondo, attraverso relazioni, pattern,
configurazioni, combinazioni di messaggi e di livelli logici, grovigli di metafore, climi emotivi,
sensibilità.
Osserva Bateson “con buona pace dei logici, tutto il comportamento animale tutta l’anatomia
ripetitiva e tutta l’evoluzione biologica, sono ciascuno al suo interno, tenuti insieme da sillogismi in
erba” (G. Bateson, M. C. Bateson, 1989, pag.49)
Quest'ultimi, ben diversi dai sillogismi della logica tradizionale, cosiddetti in B-a-r-b-a-r-a, in cui i
membri di una classe condividono il medesimo predicato (esempio tipico: gli uomini sono mortali,
Socrate è un uomo, Socrate morirà), sono fondati sulla connessione tra un predicato che connette i
due elementi presenti nelle premesse sillogistiche l'erba e l'uomo, come nell'esempio batesoniano:
“l’erba è mortale, gli uomini sono mortali, gli uomini sono erba.”(Bateson, 1972, pag. 248)
E l'epistemologia batesoniana, si esprime, appunto, attraverso connessioni e differenze “in erba” tra
entità diverse, attraverso il metodo della giustapposizione, che genera altre somiglianze, tali che la
“struttura che connette riguarda vari aspetti e livelli della relazione, altro dalla logica finalistica di
stampo razionalistico […] quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la
primula e tutti e quattro con me ? E me con voi e tutti e sei noi con l’ameba da una parte e lo
schizofrenico dall’altra?” (G. Bateson 1984, pag. 21
Ricordiamo poi che per Bateson tutto ciò che riguarda i processi mentali ha fondamento nella
natura biologica (creatura), e solo attraverso il linguaggio del sogno, dell’arte, del gioco, possiamo
entrane in relazione, e tutti questi linguaggi si articolano attraverso la metafora, sintassi del
processo abduttivo (vedi articolo mio del 2012 ).
Sacra unità
Nell’ambito della clinica sistemica, fino alla fine degli anni 80’ si è sostato soprattutto sulle
relazioni e sulla cibernetica che governa l’organizzazione dei sistemi umani. Successivamente si è
cominciato ad osservare le retroazioni e i feedback emozionali del sistema terapeutico, e ci si è
riavvicinati a Bateson, passando da Siegel, Bion, Satir, Perls, Varela, seguendo le orme tracciate da
Gianfranco Cecchin, avvicinandoci alla psicologia della Mindfulness e alle neuroscienze.
Quindi, muovendoci in questa direzione, possiamo sperimentare un nuovo modo di sostare nella
relazione terapeutica, sapendo che è incarnata in un corpo che non ha confini (simulazione
incarnata), e che comunica per metafore e per abduzione. Il corpo in relazione è l’unità di
apprendimento precursore di ogni atto epistemico, è la sacra unità intesa da Bateson come
individuo-nel-suo-ambiente.
E in quest’ottica l’interazione tra corpi in relazione avviene in modo “non istruttivo”.
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In quanto sistemi viventi autopoietici, dotati di propria struttura e organizzazione, la natura della
nostra relazione è di tipo “perturbativo”; perciò a fronte di una perturbazione inter-sistemica
possiamo parlare di determinismo strutturale, riferito quindi alla struttura del nostro sistema vivente
che auto determina e modifica una nostra forma di organizzazione interna.
Il corpo in quanto in relazione rimanda ad una unità epistemica senza confini spazio-temporali
precisi. Basti pensare alla metafora del cieco con il bastone. Dove finisce il corpo del cieco? Nel
momento in cui il cieco, grazie al bastone, "sente", questo strumento è di fatto diventato un
prolungamento del suo corpo. Il bastone diviene il suo strumento di tatto e di conoscenza. Se poi
pensiamo alla dimensione temporale come luogo della memoria che incorpa le esperienze sensomotorie mentalizzate attraverso le relazioni, potremmo considerare la natura umana ancora più
inter-relata di quanto si possa immaginare.
Sempre riferendoci a Maturana e Varela, il terapeuta e il paziente possono essere considerati parti
del medesimo sistema per "accoppiamento strutturale" e, quindi, qualunque cosa avvenga nell'uno
non può non riverberarsi sull'altro. Tuttavia, osservarsi mentre si è in relazione, ed essere presenti
alle sensazioni esperite non è affatto semplice.
Le “Minimal cues” nei corpi in relazione
Tra i terapeuti sistemici che hanno maggiormente sviluppato approcci sensibili alla relazione
corporea possiamo attingere interessanti suggestioni da Milton Erickson, prima ancora di Lowen,
Perls e Reich (Lowen,1965, 1967, 1975, Perls 1969, Reich 1949).
Erickson ha insegnato la pratica dell’utilizzazione, attraverso cui sviluppare una profonda relazione
empatica con i pazienti, basando il rapporto su un accoglimento sensibile ad ogni minimo segnale
comunicativo presente in terapia. L’utilizzazione intesa non come tecnica, ma come posizione
relazionale attenta al linguaggio non verbale del paziente e ai minimi segnali rilevabili nel corpo,
nel viso, nel respiro, gli arrossamenti della pelle, i movimenti dei bulbi oculari dietro le palpebre
chiuse. Del resto Milton, come afferma Brigitte Stübner “…non aveva “inventato” niente, ma
“ricordato” le esperienze dalla sua infanzia e gioventù...Già prima di essersi ammalato di polio
aveva una percezione diversa dal solito: era daltonico, aritmico, dislessico e “sordo” alla musica.
La sua diversità lo aveva stimolato a fare infiniti esperimenti di osservazione per capire le persone
e il loro modo di vedere e concepire il mondo. - (Brigitte Stübner, Riflessioni Sistemiche - N° 8
luglio 2013 pag 136).
Erickson accompagnava alle minimal cues anche una profonda attenzione al rapport, inteso come
modellamento e allineamento alla fisiologia, al linguaggio e alle qualità vocali dei suoi clienti,
atteggiamento per lui fondamentale per poter assumere una relazione “sincronizzata”.
Attraverso la tecnica del ricalco o rispecchiamento (pacing o mirroring) entrava in rapporto con
l'interlocutore e ciò lo aiutava a "sintonizzarsi" sulla sua frequenza.
Il ricalco consiste nell'allinearsi modificando il modo di atteggiarsi, parlare e agire ricalcando i
modi dell'interlocutore. Significa in altri termini entrare nella sua mappa del mondo e osservare il
suo punto di vista. Questo può realizzarsi solo dopo aver osservato i suoi comportamenti (minimal
cues), aver individuato i predicati sensoriali che utilizza e aver compreso la sua mappa e quindi il
suo modello del mondo. Il ricalco si suddivide a sua volta in: ricalco verbale (verbal mirroring)
ossia l'analisi delle parole più frequentemente utilizzate dall'interlocutore; ricalco extraverbale o non
verbale (physical mirroring), che avviene attraverso la riproduzione della postura, della gestualità,
dei toni e dei volumi utilizzati dall'interlocutore.
Anche Carl Rogers, Fritz Perls, e Virgina Satir. hanno approfondito il tema del rapport, e l’attenta
analisi del linguaggio non verbale. Cosi come Daniel Stern quando parlava del “present moment”
delle piccole esperienze vissute insieme, che sono i momenti centrali di cambiamento in un
rapporto, le esperienze che creano un cambiamento attraverso la creatività condivisa. Sono i
cambiamenti nel campo inter-soggettivo che si basano sulla mutua sensibilità per i minimal cues,
aspetti riferiti al tema dell’empatia e del cambiamento.
Il salto dalla prima alla seconda cibernetica ci suggerisce però di estendere questa rilevazione anche
ad un dimensione riflessiva del sistema terapeutico, in modo complessivo e speculare.
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Del resto lo stesso Erickson afferma che l’induzione ipnotica è enormemente facilitata se anche
l'ipnoterapeuta va in trance. Anche se ciò può sembrare paradossale un buon ipnotista va sempre in
trance con il paziente; non può porsi come una componente distaccata e oggettiva nella relazione
ipnotica. Come afferma G.Ducci "..si è osservato che la profondità dello stato di trance aumenta
quando si verifica il cosiddetto tuning in: l'attività muscolare del soggetto e quella dell'ipnotista si
modificano simultaneamente ed in modo congruente con la suggestione verbale." (Giuseppe Ducci,
"La relazione terapeutica in ipnosi", in AA.VV., La relazione terapeutica, A cura di Camillo
Loriedo, Walter Santilli, p. 112).
E qui ritorniamo al “sè del terapeuta”, non tanto come posizione concettuale, narrativa, ma come
percezione delle proprie sensazioni in terapia, soprattutto corporee. E’ soprattutto attraverso questo
riconoscimento delle proprie sensazioni, i minimi segnali del corpo, che possiamo sintonizzarci con
l’altro e restituire all’altro la sensazione di essere visto, e quindi di esistere, come ci suggerisce
Gianfranco Cecchin. Ma per riuscire a fare questo è necessario sviluppare una consapevolezza
paziente, non avere fretta, osservare e ascoltare, osservarsi e ascoltarsi.
La pazienza è la capacità di vedere, sentire, toccare, assaporare e odorare il più pienamente
possibile gli eventi interiori ed esteriori della nostra vita. È entrare nella nostra vita con occhi,
orecchie e mani aperte in modo da conoscere veramente quello che accade. La pazienza è una
disciplina assai difficile proprio perché è un movimento opposto al nostro impulso irriflessivo a
fuggire o a combattere.
La pazienza comporta lo stare con, il vivere interamente, l’ascoltare attentamente ciò che si presenta
qui e ora, in presenza mentale.
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