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n° 376 - luglio 2016
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Monumenti dell’effimero
consegnati alla storia
Trasformati e riadattati dopo le Esposizioni
alcuni di essi sono divenuti icone delle città
per cui erano stati edificati
Parigi, la Tour Eiffel in un’immagine del 1889
L’esposizione Universale di Londra (1851): Interno del Crystal Palace in una stampa dell’epoca
“The Great Exhibition of the Works of
Industry of all Nations” nel 1851 a Londra aprì la strada alle Grandi Esposizioni, vere e proprie vetrine mondiali
del saper fare artigianale, scientifico
e industriale. Il principe Alberto, marito della regina Vittoria, ed Henry
Cole, noto designer e imprenditore
inglese, furono i promotori della prima
Esposizione Universale in quanto appartenenti - l’uno come presidente e
l’altro come membro - alla Royal Society of Arts, che già si era impegnata
nel promuovere in Inghilterra tre esposizioni industriali nazionali; convinti
che il Regno Unito avesse tanto da
mostrare e da insegnare al mondo, ritennero che il modo migliore per farlo
fosse organizzare un grande evento
universale con un fine economico e
ideologico al contempo, il confronto
tra le risorse economiche di tutto il
mondo e l’affermazione della supe-
riorità della tecnologia inglese rispetto
a quella del resto dei paesi che vi avrebbero partecipato. All’iniziativa aderirono venticinque paesi, ben tre del
territorio italiano: il Granducato di
Toscana, il Regno di Sardegna e lo
Stato Pontificio. Le luminose pareti
del Crystal Palace, progettato e costruito per l’occasione in Hyde Park
da Joseph Paxton, accolsero ben sei
milioni di visitatori e fu la stessa rapidità con cui venne costruito quest’innovativo edificio a destare molta ammirazione; l’uso di materiali quali vetro e ferro, solitamente destinati alla
realizzazione di serre, fu l’esaltazione delle moderne tecnologie che si
affacciavano su scala mondiale. Il progetto di Paxton inoltre, pur essendo
un inno all’industria, era in completa
armonia con il verde circostante, tanto
da inglobare e salvaguardare alcuni
giganteschi olmi che si trovavano pro-
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Milano: Acquario Civico (1906)
prio nel luogo prescelto per l’Esposizione. Purtroppo del Crystal Palace
non resta ormai traccia: smontato e
poi ricostruito a Penge Common,
venne distrutto in un rogo il 30 novembre 1936.
La consuetudine di lasciare edifici pensati per durare per il solo periodo delle
Esposizioni Universali iniziò dunque
sin dalla prima di queste manifestazioni, e da allora furono varie le strutture che, invece di essere smantellate a fine evento, vennero riutilizzate
e riconvertite, divenendo talvolta veri
e propri simboli nazionali: il caso più
noto è quello della Tour Eiffel, costruita in occasione dell’Expo parigina del 1889; il monumento venne
innalzato in poco più di due anni dall’ingegner Eiffel, e, grazie alla sua altezza di 324 metri, perfetta per ospitare le antenne di trasmissione della
radiotelegrafia, un nuovo mezzo di
comunicazione che si stava affermando
all’epoca, è giunto fino a noi. Sebbene
osteggiata dagli intellettuali come
Maupassant che la paragonò a “un comignolo di fabbrica”, la torre fu molto
apprezzata dai visitatori dell’Esposizione e alcuni decenni più tardi anche Hitler ne ammirò il panorama
dall’alto dei 1665 gradini, saliti uno
a uno dopo che i francesi avevano finto
un guasto agli ascensori!
Dell’Expo ungherese del 1896 restano
alcuni complessi architettonici di
“Piazza degli Eroi” a Budapest; nata
per celebrare i mille anni dalla fondazione dello stato ungherese, l’esposi-
Roma, EUR: Palazzo della Civiltà Italiana (1942)
zione dette un nuovo impulso allo sviluppo urbano, in particolare con la
costruzione della metropolitana di
Budapest, seconda al mondo dopo
quella di Londra. Lo stesso castello di
Vajdahunyad, oggi sede del più grande
museo agricolo d’Europa, fu in origine una delle strutture temporanee
dell’Esposizione, nata per mostrare
vari stili architettonici attraverso pannelli di legno e tradotta poi in muratura tra il 1904 e il 1908.
In Italia le Esposizioni Universali hanno
lasciato il segno in più luoghi e momenti. A Milano, oltre ai recentissimi
Albero della Vita e Palazzo Italia, realizzati per l’Expo 2015, è ancora attivo l’Acquario Civico di Parco Sempione, significativo esempio di architettura liberty, unico padiglione superstite dell’Expo di Milano del 1906.
Un caso particolare tutto italiano è
quello del quartiere EUR a Roma,
memoria di un’esposizione mai realizzata, quella del 1942, rimasta in
gran parte nella fase progettuale a causa
dello scoppio della seconda Guerra
Mondiale. Sempre in Italia, nel 1992
si tenne l’Esposizione Internazionale
Specializzata a Genova, a cinquecento
anni di distanza dalla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, in onore del quale tutte le manifestazioni correlate a quella Expo
furono appellate Colombiadi; per l’occasione intervenne l’architetto Renzo
Piano, che progettò il nuovo assetto
del Porto Antico e realizzò l’Acquario, in seguito rimodernato e ampliato
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grazie al successo ricevuto.
Nel 1992 non solo Genova festeggiò la scoperta dell’America, ma anche Siviglia fu teatro di grandi celebrazioni secondo i canoni dell’Expo
e per l’occasione venne creato il progetto per l’Isla de la Cartuja, in cui influenze arabe e tradizioni cristiane si
fusero in un insieme di stili e di storie; l’architetto Santiago Calatrava
progettò il Ponte dell’Alamillo per scavalcare il fiume Guadalquivir e raggiungere l’Isla, su cui la struttura originale dell’antico monastero di Cartuja fece da telaio per la costruzione
del Padiglione Reale, che una volta
chiusa l’esposizione divenne il Centro
Andaluso di Arte Contemporanea.
Il viaggio prosegue dalla Spagna al
Belgio dove l’Atomium nel parco Heysel di Bruxelles è ancora nel luogo sul
quale venne edificato per l’Expo del
1958 dall’architetto André Waterkeyn, che ne previde una vita di sei
mesi; l’edificio andò ben oltre le aspettative con le sue nove sfere che rappresentano gli atomi di un cristallo di
ferro, collegate tramite scale e provviste di pareti finestrate da cui ammirare il panorama circostante.
Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, ancor prima della Tour Eiffel, sopravvissero il Palazzo delle Arti e delle
Industrie della Smithsonian Institution
a Washington, la Memorial Hall, progettata per la Centennial Exhibition of
Arts, Manufactures and Products of the
Soil and Mine tenutasi a Philadelphia
nel 1876, in occasione delle celebrazioni per i cento anni dell’Indipendenza degli Stati Uniti; il padiglione
oggi è sede del Please Touch Museum,
un museo interattivo pensato per stimolare l’innata curiosità dei bambini
attraverso il tatto.
Ancora negli U.S.A. resta lo Space Needle dell’esposizione del 1962, da allora simbolo indiscusso di Seattle. Il
monumento non fu progettato solo
per dare un forte impatto visivo, ma
anche per segnare un passo avanti nella
scienza e nelle tecnologie costruttive;
infatti fu realizzato in modo tale da
poter resistere a raffiche di vento fino
a 320 chilometri orari e a terremoti
fino a magnitudo 9, nonostante i suoi
184 metri di altezza e le sue 9.550 tonnellate di peso.
Porto Antico - Genova, Colombiadi (1992)
Atomium - Bruxelles (1958)
Non solo l’Europa e gli Stati Uniti
hanno conservato alcuni dei padiglioni delle Grandi Esposizioni: in
Australia è ancora fruibile il Royal Exhibition Building di Melbourne, costruito per la Melbourne International
Exhibition del 1880, mentre a Montreal è rimasto l’Habitat 67, ideato
dall’architetto Moshe Safdie per l’Expo
del ’67: il progetto del complesso riuniva le funzioni residenziali e commerciali, creando una sorta di “isola
urbana” autonoma, con l’uso di un
modulo di costruzione adattabile ad
aree altamente popolate, e con costi
di edificazione contenuti; una volta
terminata l’esposizione fu convertito
in un vero e proprio centro abitato ed
è tuttora densamente popolato.
Le Grandi Esposizioni mettono in
scena il mondo dell’immaginario, sono
da sempre un importantissimo luogo
di scambio e di incontro culturale, un
modo per ogni paese che vi partecipa
di autorappresentarsi e raccontare la
propria storia attraverso il progredire
scientifico e tecnologico; offrono un
palcoscenico globale in cui arte e scienza
dialogano e talvolta vengono a fondersi l’una con l’altra e pur essendo
luogo dell’effimero pensato per non
durare non sono fini a se stesse, ma
anzi rappresentano l’occasione per
aprirsi al confronto, all’imitazione,
alla creatività, allo sviluppo e alla ricerca e spesso lasciano un segno tangibile del loro passaggio, un segno che
non può passare inosservato.
elena aiazzi
Space Needle - Seattle (1962)