Expo, Aulenti attacca il sindaco "La Moratti ha paura delle

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Expo, Aulenti attacca il sindaco "La Moratti ha paura delle

Expo, Aulenti attacca il sindaco
"La Moratti ha paura delle critiche"
L'architetto interviene nel dibattito sull'Expo: "L'entusiasmo viene dalle
idee. Ma finora sono mancate"
di Maurizio Bono
«Ah, ma allora lei vuole farmi trattar male dal sindaco! Ha sentito cosa ha detto la Moratti a
Gregotti e Fuksas, che hanno voluto contribuire al dibattito sull’Expo? Praticamente che la
loro è tutta invidia, pensi un po’, “perché sono rimasti fuori dalla commissione degli
architetti”. Un po’ volgare, no?». E Gae Aulenti ci aggiunge a commento la sua risata roca,
prima di tirare dritto: «Per carità, quelli del comitato degli esperti sono tutti gente
stimabilissima, vediamo se finalmente grazie a loro si capirà che cosa vogliamo fare
davvero, per questa benedetta Esposizione, perché finora si è sentito solo di improbabili
navigli fino a Rho-Pero e altre amenità. Ma mi lasci aggiungere, dall’alto di una certa
esperienza e proprio di nessuna invidia che è un po’ provinciale rivolgersi a professionisti
serissimi che perlopiù non vivono a Milano e non la conoscono bene».
Lo trova così insolito?
«È la prima volta che capita, credo: a Saragozza, dove ho partecipato ai progetti pur non
vincendo, erano tutti spagnoli. A Siviglia, a cui ho partecipato al padiglione italiano, pure. E
a Torino, per le Olimpiadi dove ho fatto il Palavela, erano ovviamente torinesi. Dà un po’
l’impressione che qui si siano chiamati consulenti da fuori temendo critiche troppo
pertinenti. Vorrà dire che il bravo Stefano Boeri dovrà imporsi, quando è il caso, visto che
è l’unico che conosce la situazione da vicino...».
Imporsi per far cosa?
«Seriamente, non lo so, perché finora, io e tutti i cittadini, non sappiamo altro che il tema
dell’Expo, non con quali idee si intende svilupparlo. Per esempio sappiamo che al centro
ci sarà il tema dell’agricoltura sostenibile, e ci domandiamo se non bisognerebbe
salvaguardare le fasce agricole intorno a Milano, anziché comprometterle».
Si aspetta che la vera faccia dell’Expo venga fuori dalla commissione di architetti,
insomma?
«Lo spero, sennò restiamo in alto mare. Diciamo che mi aspetto un programma, non inutili
concorsi aperti ma numeri precisi e costi calcolati. Dopo toccherà ai progettisti».
Come vede l’ipotesi di accettare solo progetti che siano riusabili?
«Benissimo. Il dopoevento è un problema ricorrente, in qualunque modo vada la
manifestazione. A Siviglia il Padiglione Italia he è stato poi convertito in uffici, ma con
qualche complicazione e aggiustamento, perché è stato chiesto tardi. Invece già nel
concorso per il Palavela era previsto il suo riuso postolimpico, e non ci sono stati problemi.
Ma se si preferisce si può anche fare come i giapponesi a Siviglia col padiglione di Tadao
Ando: tutto di legno, alla fine se lo sono smontato e portato via per usarlo a casa».
E sui costi, che opinione ha? Meglio preparare con più umiltà un Expo di crisi, o
sperare che nel 2015 sarà passata?
«Magari esistesse l’alternativa! Perché vede, il problema non sarà nel 2015, ma proprio tra
il 2009 e il 2010, quando si prevede che la crisi sia al massimo: è in quei mesi che
bisognerà varare i progetti, finanziando quello che si può. E sa, di solito, quando non ci
sono più abbastanza soldi, il primo che si licenzia è l’a rchitetto...».
Pessimista?
«Ma no, guardi, gli Expo in una certa misura sono sempre così, un terno al lotto. Posso
consigliarle un bel libro? Dovrebbero leggerlo tutti quelli che si appassionano al nostro
2015. Se lo scriva, si intitola “La città bianca e il diavolo”, lo ha scritto Erik Larson, è uscito
tre anni fa e racconta come hanno organizzato l’Expo di Chicago nel 1893. Sembra oggi:
beghe, polemiche, ritardi, soldi che mancano, anche allora c’era la recessione e a un certo
punto ci si mette anche un tifone... e pensi che gli americani avevano l’ambizione di
battere l’Expo precedente, nientemeno che quello di Parigi, che ha lasciato al mondo la
Tour Eiffel».
Come va a finire?
«Bene: con quell’Expo l’architetto Daniel H. Burnham tra l’altro stabilisce il modello per tutti
i futuri civic center d’America. Ma il romanzo è irresistibile anche perché si intreccia con un
giallo, c’è un assassino seriale che costruisce un albergo dove ammazza le giovani donne
che vanno a viverci per lavorare all’impresa dell’E xpo».
E cosa dovrebbe insegnarci?
«Che certe cose sono sempre complicate, e che per farle andare bene ci vuole molto
entusiasmo. Ma soprattutto che l’entusiasmo nasce dalle idee. Se mancano le idee,
manca tutto. E mi sembra che a Milano siamo in ritardo proprio su quelle».