Milan - Commentaire Inf. V, 121

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Milan - Commentaire Inf. V, 121
S. Milan
ETUDES ITALIENNES
Introduzione alla Divina Commedia LLIT321
Exemple de commentaire de texte en italien pour l’oral
Inf. V, 121 – 142
L’incontro di Dante con Paolo e Francesca, nel quinto canto dell’Inferno, è uno degli episodi
più noti della Divina Commedia, ed è anche il primo dialogo del narratore con delle anime dannate
nella voragine infernale.
Arrivato nel secondo cerchio, e dopo aver superato l’ostacolo di Minosse, che vedendolo gli
grida di rinunciare al suo viaggio e alla sua guida Virgilio, Dante scopre la parte alta dell’inferno e la
sua perpetua bufera, terribile per la sua oscurità e per le grida di dolore degli spiriti che vi sono
condannati a volare sballottati per l’eternità, a mo’ di nubi di storni e file di gru.
Si tratta delle anime lussuriose, portate dal vento violento che “di qua, di là, di giù, di sù li
mena”, senza possibilità di sosta alcuna. Virgilio indica a Dante, impaurito e curioso, alcune delle
anime così castigate, in un perfetto contrapasso della loro passione erotica mondana : ma il giovane
poeta nota una coppia di spiriti, “colombe [...]che insieme vanno/e paion sì al vento esser leggieri”.
Dante li chiama cortesemente e, approfittando di un attimo di requie, uno di loro risponde e racconta
la sua storia più cortesemente ancora : è Francesca da Rimini, uccisa da suo marito Gian Ciotto
Malatesta perché adultera amante di Paolo, suo cognato, che ora la accompagna nel cielo tempestoso
infernale.
Il passo che ci accingiamo ad analizzare più in dettaglio è l’ultima parte del dialogo tra
Francesca e Dante, dal verso 121 alla fine del canto : si tratta della risposta alla domanda del
viaggiatore riguardo all’origine del loro amore che, dopo una premessa di due terzine allo stesso
tempo retorica e commovente (dal verso 121 al 126) occupa la parte più importante del passo ; e
infine della reazione di Dante (versi 139 – 142), uno svenimento brutale e sorprendente che permette
di interpretare l’intero incontro come una tappa dell’iniziazione e purificazione del protagonista
narratore della Commedia.
Ma dimmi : al tempo de’ dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri ?
L’interesse di Dante per il modo in cui Paolo e Francesca hanno preso coscenza e si sono
dichiarati il loro amore sorprende Francesca (“Ma s’a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai
cotanto affetto,/dirò, come colui che piange e e dice”), ma sarà la fine del canto a fornire la
spiegazione di questo interesse.
Intanto Francesca, prima di rispondere, oltre a esprimere la sua sorpresa esprime
prevalentemente il suo immenso dolore : la rima “dolore”/“dottore”, che coinvolge perifrasticamenrte
il duce Virgilio, l’antitesi tra il “tempo felice” del ricordo e la “miseria” attuale ed eterna, e
l’espressione ribatida della sofferenza dal paragone struggente del verso 126 (“dirò come colui che
piange e dice”) ricordano al lettore la condizione di quest’anima peccatrice, ma preparano anche al
racconto che seguirà, nel quale Francesca ribadirà invece il suo amore condiviso eternamente per
Paolo, che risponderà silenziosamente piangendo anch’egli, in un commovente parallelo (“Mentre che
uno spirto questo disse/l’altro piangea”).
La parte centrale del passo, dicevamo, è il racconto di come Francesca e Paolo si sono amati la
prima volta. La narrazione di Francesca può essere articolata in tre momenti, che per il loro ritmo
sempre più rapido scandiscono l’ineluttabile precipitare dei due amanti nella loro tragica passione :
l’antefatto, con la lettura del libro arturiano (versi 127 – 132), il doppio bacio, finzionale e reale (133
– 136), e le sue conseguenze fatali (versi 137 e 138).
Le prime due terzine, quelle della “lettura”, sono tutte statiche, con un moto unico degli occhi
sul libro, ed un cambiamento di colore degli amanti impalliditi di fronte a questo loro specchio
letterario. Del resto la presenza della letteratura aveva già segnato il canto (Didone, Elena, Achille,
Paride e sopratutto Tristano, cavaliere del ciclo arturiano come Lancillotto, sono tutti personaggi tanto
storici quanto, se non solo, letterari), e più particolarmente le parole di Francesca, intrise di stilemi e
lessemi cortesi e stinovistici : si pensi al suo modo di esprimersi, così elaborato e prezioso fin dalle
prime parole, e più ancora ai versi famosi sull’amore, che propongono in modo per così dire dottrinale
definizioni tratte direttamente dalle poesie di Guido Guinizzelli o dai trattati di Andrea Cappellano
(“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”, “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”).
I quattro versi centrali sono quelli del “punto” in cui due giovani diventano “amanti” : la
congiunzione “quando” è quella della temporalità fatale, nel suo proporre un’identità speculare tra
letteratura e realtà : nel parallelo lessicale doppiato da un chiasmo sintattico, la bocca di Ginevra e
Lancillotto si confondono con Paolo e la bocca di Francesca. Certo la precisione anatomica,
metonimica forse, ed il participio finale (“tutto tremante”) caricano questi versi di una sensualità che
si potrebbe definire sublime e colpevole, di cui l’ambiguità è tutta raccolta negli ultimi due versi della
storia di Francesca :
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse :
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Sono i versi dell’identificazione decisiva tra vita e letteratura, un’identificazione tra l’autore, lo
strumento (il “media”, diremmo oggi) e la finzione letteraria di un mediatore fedele e fatale, in quanto
permette l’amore ed insieme la morte, come confermato dall’ellittico verso finale.
Resta ora da tornare sulla conclusione di quest’incontro, la reazione così violenta di Dante al
racconto di Francesca narrante e Paolo piangente (“questi, che mai da me non sia diviso” aveva detto
lei di lui, confermando superbamente l’unità amorosa rivendicata dai due nell’eternità
dell’espiazione). Lo svenimento quasi mortale di Dante, sigillato nell’ultimo verso del canto con
politteti e alliterazioni anch’essi proverbiali ormai (“E caddi, come corpo morto cade”), è il sintomo
della sua “pietade”, un termine già incontrato più volte nell’episodio (versi 72, 93, 117) : ma
l’ambiguità sta ora non solo nel senso di questa difficile parola, tra compassione e turbamento, ma
anche nel suo oggetto, ed investe tutto il quinto canto, dall’interpretazione così difficile. La
contraddizione tra il giudizio di Dante personaggio e la giustizia divina culmina sicuramente in questo
svenimento finale, ci si chiede come questa possa essere sufficiente per spiegare una reazione così
viva. Oppure in Paolo e Francesca sventurati, offesi da un tragico destino e dalla fatalità di un amore
invincibile, è in causa anche altro, come la responsabilità personale e l'illusione della vita come
imitazione della finzione di cui Dante stesso, come Guinizzelli e Arnaut Daniel (che ritroveremo
lussuriosi nel Purgatorio) sono stati responsabili in prima persona, in quanto anch’essi scrittori
“Galeotti” ?
Forse allora la pietà finale di Dante è quella per un errore denunciato sin dalla Vita Nova (cf.
“Donne che avete intelletto d'amore”), quello dell’amore cortese, veicolo insufficiente di
un’elevazione spirituale che può divenire causa di dannazione per un bovarismo antelitteram che
immerge l’intero passo in una dimensione metaletteraria e autobiografica sconvolgente, realmente
vertiginosa. L’intero passo sarebbe da leggere, come lo suggerisce Barberì Squarotti1, come una
denuncia dell'ambiguità dell’amore stilnovistico e cortese, e del pericolo a volerlo vivere nella realtà :
pericolo al quale Dante stesso ha contribuito con i suoi versi giovanili, e al quale avrebbe ceduto se
non avesse incontrato Beatrice “dalla virtù sola/per cui l’umana spezie eccede ogne contento/di quel
ciel c’ha minor li cerchi suoi”, che lo ha salvato col suo intervento miracoloso, risvegliando in lui
Virgilio padre, duca e maestro di poesia e ragione.
Il superamento estetico dello stilnovismo da parte di Dante con la Vita Nova e la Commedia,
illustrato da questo incontro infernale, è allora sopratutto un’elevazione morale : lo svenimento finale
non è di simpatia per gli amanti cortesi e sensuali, ma di cognizione del dolore e della colpa. Si tratta,
in definitiva, di una tappa ulteriore del distacco e della liberazione dal male che Dante compie nel suo
viaggio ultraterreno verso l’indicibile visione di Dio.
1
BARBERI SQUAROTTI G., “Francesca o la vittima della letteratura” in L'ombra di Argo, Torino, Genesi, 1992.