Vita di una cristiana: la corsa lieve della fedeltà
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Vita di una cristiana: la corsa lieve della fedeltà
Vita di una cristiana: la corsa lieve della fedeltà Chiara d’Assisi e il suo cammino spirituale Vorrei narrare, per quanto è possibile, qualcosa della vita interiore della madre santa Chiara, qualcosa del suo percorso spirituale. Forse è un tentativo azzardato, dato i pochi elementi che abbiamo. Questo tentativo di delineare uno sviluppo di pensiero e di esperienza spirituale nella vita di Chiara vuole dare espressione al desiderio di una clarissa di oggi di ritrovare in lei non solo una madre venerata, ma anche una sorella in cammino. La prima volta che nella storia possiamo sentire la viva voce di Chiara siamo già nel 123435, quando scrive la prima delle lettere che possediamo. Non è datata, ma il suo contenuto ci fa capire che fu scritta dopo la pentecoste del 1234, giorno in cui Agnese di Praga entrava solennemente nel monastero da lei fondato a Praga. Chiara ha avuto notizia di tutto questo, può anche darsi che Agnese stessa avesse già cercato dei contatti con san Damiano. Chiara, piena di gioia per il passo compiuto da Agnese, che l’aveva da lungo tempo desiderato, le scrive 1. La lettera prima si apre solennemente con la presentazione delle due corrispondenti. Alla venerabile e santissima vergine signora Agnese, figlia dell’eccellentissimo e illustrissimo re di Boemia, Chiara, indegna serva di Gesù Cristo e ancella inutile delle signore rinchiuse del monastero di San Damiano di Assisi, sua suddita in tutto e ancella, si raccomanda in ogni modo con riverenza speciale e augura di ottenere la gloria della felicità eterna. In apertura troviamo Agnese, nella sua dignità socialmente elevatissima (è signora, figlia di re) ed evangelicamente significativa (è vergine santissima e venerabile). E di fronte a lei Chiara, che si presenta in modo quasi antitetico con titoli umilissimi ed esclusivamente di carattere evangelico: indegna serva di Gesù Cristo, ancella inutile, suddita. A pensarci bene non era affatto scontato che Chiara rinunciasse così totalmente a presentare un minimo delle proprie credenziali sociali, in una società in cui erano tanto importanti; in fondo anche lei non proveniva dai servi della gleba, ma da una famiglia aristocratica, aristocrazia di provincia, ma pur tuttavia caratterizzata da un certa distinzione. Tali titoli sono pura vanità, lo sappiamo, ma in genere siamo tentati di dare loro un certo peso. Qui le uniche credenziali presentate sono quelle, davvero consistenti e non vane, del servizio a Dio e alle sorelle. Già questo fatto ci dice molto su quanto il vangelo avesse messo radici nell’animo di Chiara, che all’epoca doveva avere circa 40 anni. Veniamo al motivo della lettera. Chiara dichiara tutta la gioia che ha in cuore per la buona fama di cui la principessa lontana gode presso il popolo cristiano e spiega: Il motivo è questo: mentre avreste potuto più di chiunque altro godere dei fasti, degli onori e del prestigio del mondo, potendo con gloria meravigliosa andare legittimamente in sposa all’illustre imperatore, come sarebbe stato conveniente alla vostra e sua eccelsa condizione, rigettando tutto ciò, avete scelto piuttosto, con tutto l’animo e l’affetto del cuore, la santissima povertà e la penuria corporale, prendendo uno sposo di stirpe più nobile, il Signore Gesù Cristo, che custodirà la vostra verginità sempre immacolata e intatta . 1 Lo studio delle forme retoriche (Chiara d’Assisi, Lettere ad Agnese - La visione dello specchio, a cura di Giovanni Pozzi, Beatrice Rima, Piccola Biblioteca Adelphi, 1999) ) ci orienta in questa direzione: Chiara non scrive ad Agnese per aver la gioia di corrispondere con una sorella lontana, narrandole le proprie esperienze interiori (sebbene trapelino anche queste), Chiara le scrive per rispondere a gravi ed urgenti problemi. Le due donne condussero un lunga lotta per salvare la specificità della loro esperienza francescana, una lotta di esito incerto fino alla fine. Esse si scrivono (purtroppo non abbiamo alcuna lettera di Agnese a Chiara) per poter mantenere una linea comune ed ottenere dal pontefice che avalli quanto sta loro a cuore. Solo la quarta lettera si toglie da questo discorso. 1 Chiara insiste sul grande salto compiuto da Agnese la quale ha rinunciato ai fasti e agli onori del mondo per scegliere la povertà e la penuria, ha rinunciato alle nozze con l’imperatore per abbracciare la verginità consacrata al Signore Gesù Cristo. Nel momento stesso che canta le gesta di Agnese, così emblematiche per la sua eccelsa condizione sociale d’origine, Chiara tratteggia anche la propria storia. Il salto compiuto da Agnese l’ha compiuto anche lei. Nella sua piccola città di provincia avrebbe potuto godere dei fasti e del prestigio del mondo, quantomeno del mondo che la circondava, e invece aveva scelto di vivere povera e sappiamo che per anni fu povertà vera e dura la sua, penuria corporale. Anche lei avrebbe potuto avere uno sposo di nobile condizione che le avrebbe assicurato una posizione onorata e prestigiosa, ma aveva tagliato i ponti con quel mondo, affidando la sua vita ad uno sposo di stirpe ancor più nobile. È abbastanza vero che gli inizi di una storia racchiudono il suo senso, perciò possiamo pensare che qui, facendo echeggiare nell’avventura della sorella lontana la propria avventura, Chiara ci dica quale senso essa abbia per lei e quale senso voglia proporre ad Agnese. Si sente ancora vibrare nelle sue parole di rallegramento, l’emozione di quella sua decisione giovanile così coraggiosa, addirittura un po’ avventata2. Quando Chiara lasciò di nascosto la sua casa e distribuì la sua dote ai poveri, il suo era un vero buttarsi via, socialmente parlando, un gesto molto arrischiato, un vero passaggio da un condizione sociale alta ad un genere di condizione vile, come la chiama la vita del Celano. Certo un gesto che fece scalpore, suscitando la vergogna e l’ira dei parenti e i gossip del paese. La sua fuga da casa rimane ancora oggi nella memoria dei fedeli, più che non la sua cosiddetta scacciata dei Saraceni. Dal testamento e dalla regola apprendiamo che furono Francesco, il suo esempio e la sua intuizione, a metterle in cuore il desiderio di seguire Gesù in povertà, mentre nelle lettere questo non viene evidenziato e Francesco è nominato una sola volta. Nel testamento l’atmosfera spirituale è molto diversa e la motivazione che Chiara dà dell’inizio del proprio cammino è quello del poenitatiam facere, come Francesco. Il testamento però è scritto verso la fine della vita e nel ricordo gli avvenimenti si sono essenzializzati. Inoltre Chiara lo scrive pensando che forse sarà la sua ultima chance per sottolineare quello che davvero le sta a cuore ed è messo in discussione. Il tema della verginità e dello sposalizio con Cristo non sono mai stati messi in discussione e dunque non ne parla. Nelle lettere invece, dove appare tutta la ricchezza del vissuto spirituale di Chiara, al centro c’è lo sposo Gesù Cristo. Chiara inizia proprio da innamorata. Povertà e sposo si fondono nel suo immaginario, perché la povertà è stata scelta in modo privilegiato da lui. O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale disse e tutto fu creato, si degnò più di ogni altro di abbracciare! Innamorarsi del Signore Gesù e cercare e amare la povertà è per Chiara tutt’uno. Questa prima lettera programmatica canta in tutti i modi il “salto” che egli ha fatto: tanto grande e tale Signore quando venne nel grembo verginale volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero per arricchire noi. A questa luce legge la vita di Agnese e la sua: avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, ... abbondantissima è la vostra ricompensa nei cieli con ciò a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’altissimo Padre e della gloriosa Vergine. Lui da ricco si è fatto povero, è sceso verso gli uomini che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva mancanza di nutrimento celeste. Lei e Agnese, fatte le debite proporzioni, da ricche si sono fatte povere per amore suo, per averlo come sposo. La povertà di lui suggerisce e ispira di vivere in povertà. Il crocifisso povero, amato con ardente desiderio, spinge a vivere povere. Stando alle lettere o anche a tutti gli scritti di Chiara, la povertà è sempre vista in riferimento a Cristo, non ha risonanze ascetiche. 2 Le sorelle tedesche hanno pubblicato un libro su Chiara e le clarisse e l’hanno intitolato Gewagtes Leben, vita azzardata, arrischiata: mi è sembrato un titolo molto felice. 2 Tuttavia in tutto questo discorso di Chiara manca completamente il confronto concreto con i poveri, che è invece presente nei racconti della sua giovinezza contenuti nella biografia scritta dal Celano e nelle testimonianze al processo. In tali narrazioni apprendiamo che la giovane Chiara vedeva i poveri e, avendone compassione, si privava talvolta del cibo per mandarlo a loro. Inoltre diverse testimoni notano che vendette la sua eredità per darla alli poveri (fra queste anche la sorella Beatrice, aggiungendo che vendette anche una parte della sua), rifiutando anche l’offerta generosa dei suoi parenti. Al di fuori di queste testimonianze di gioventù non emerge mai in Chiara un rimando ai poveri in senso sociologico. Naturalmente non vuol dire che questo non abbia continuato ad esserci nel corso della sua vita a san Damiano, solo che non è testimoniato. In base ai dati che abbiamo possiamo ipotizzare un certo mutamento di prospettiva nell’atteggiamento di Chiara: dai poveri alla povertà. O, più precisamente: dai poveri a Cristo povero. E Cristo povero rimarrà sempre al centro della sua esperienza spirituale. La centralità della relazione con Cristo povero fa quindi sì che i temi della povertà e della sponsalità siano strettamente congiunti. Ma non dimentichiamo che Chiara sta scrivendo per trasmettere alla principessa simpatizzante quello che propone di vivere, le sta spiegando il carisma, diremmo noi oggi. Vuole farle sapere con chiarezza quello che lei e le sorelle hanno scelto di vivere e dargliene le motivazioni spirituali. Il fuoco in Agnese è già acceso, si tratta di confermarlo e di orientarlo. Tutto questo in un clima di gioia genuina per la scelta di Agnese e di entusiasmo nella sequela del Signore Gesù Cristo. In tale contesto, pur seguendo tutti i canoni di un’epistola per persone importanti, pur citando con grande abbondanza frasi altrui, non solo bibbia e liturgia, Chiara lascia trapelare il suo vissuto. La sua passione per il Signore. La povertà da lei cantata ci appare quasi come fosse la sua dote nuziale. Al posto di quelle ricchezze che lei e Agnese hanno abbandonato e che sarebbero state la loro dote sposando un uomo, sia pure illustre, le due donne portano in dote la povertà e la decantano in tante diverse modulazioni. Beata, santa, pia, è già stata scelta da lui, quindi è la dote ideale per essere a lui unite. Avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, … a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’altissimo Padre e della gloriosa Vergine. Ricche di tale dote Chiara e Agnese hanno fiducia che non soccomberanno in nulla all’avversario nella lotta e potranno entrare per la via stretta e la porta angusta nel regno dei cieli Ora si presentano sulla scena come quelle che hanno fatto un affare (linguaggio affaristico che Chiara non avrebbe usato), l’affare della loro vita. Grande davvero e lodevole scambio: lasciare i beni temporali per quelli eterni: uno scambio accorto e ingegnoso. Siamo nel 1234. Chiara esprime tutto il suo entusiasmo e il genuino amore sponsale per Cristo perché è piena di speranza. Spera che potrà vivere quello che ha intuito di dover vivere, spera che questo possa prendere anche una forma istituzionale, spera che questo sarà possibile anche per Agnese. Eppure di delusioni ne ha già sperimentate parecchie. Lei e le sue sorelle hanno già dovuto lottare per salvaguardare in qualche modo la loro intuizione di vita, quello stretto mistico legame fra amore per il Signore Gesù Cristo e amore per la povertà. Quando Chiara scrive questa lettera ha già vissuto incontri e scontri con colui che tanta importanza ha avuto anche nella storia dei frati, il card. Ugolino, poi Gregorio IX. Sappiamo che era in relazioni molto amichevoli con Chiara e le sorelle: c’è una lettera del 1220 in cui egli scrive a Chiara ricordando con dolcezza e nostalgia una pasqua vissuta a san Damiano e da questa traspaiono stima, affetto, affinità spirituale con le sorelle. Egli continuò a dimostrare stima e affetto, ma quanto all’affinità spirituale si riscontrarono presto delle discrepanze. Chiara ebbe da lui alcune grandi e importanti delusioni. Data la bella relazione con la fraternità aveva certamente pensato di poter contare su di lui per una adeguata approvazione giuridica dell’esperienza di san Damiano. Di fatto le indicazioni che Ugolino aveva originariamente avuto dal papa Onorio III imponevano di rispettare il desiderio di povertà che emergeva da molti gruppi di donne religiose. Nel corso del 3 tempo però la sua esperienza lo portò in un’altra direzione. Nella mente di Ugolino, ormai Gregorio IX, san Damiano andava configurandosi come un esempio d’eccellenza da proporre alle donne che cercavano di vivere una vita religiosa al di fuori dei monasteri tradizionali. Ma l’eccellenza che aveva in mente lui riguardava l’austerità, soprattutto digiuno e silenzio, la verginità e la clausura, non la povertà. Chiara si trovò quindi per anni in una scomoda situazione: rimanere in comunione e amicizia con Ugolino-Gregorio IX, ma tenere le proprie inderogabili posizioni. Lo scontro decisivo si ebbe nel 1228 quando egli fece visita a san Damiano e tentò per un ultima volta di proporre quello che a lui sembrava importante. Il signor papa Gregorio di felice memoria, uomo tanto degno del suo ministero quanto venerabile per meriti, amava grandemente con paterno affetto questa santa. Ma quando egli volle convincerla ad acconsentire ad avere, a causa dell’incertezza dei tempi e i pericoli del mondo, dei possedimenti, che lui stesso le offriva generosamente, quella con animo fermissimo si rifiutò e in nessun modo accettò. Al che il pontefice rispose: «Se e` per il voto che temi, noi ti sciogliamo dal voto»; e quella disse: «Santo padre, per nulla mai desidero essere sciolta dalla sequela di Cristo». Un evento come questo non può essere passato come acqua fresca nella vita di Chiara: il dolore di non sentirsi compresa da una persona con cui esisteva una relazione affettiva, il fatto che questa persona fosse il papa e dunque un’autorità da non poter ignorare, il fatto che quanto Gregorio proponeva non fosse per nulla irragionevole. Tutto questo ha senza dubbio messo Chiara in una situazione di crisi. Crisi nel senso che si trovò a dover giudicare e decidere sul crinale di molti elementi anche emotivamente significativi. La decisione netta che prese fu decisiva per la sorte di san Damiano e Gregorio IX concesse il Privilegio della povertà, ma fu decisiva, io credo, anche per lei. La sua presa di posizione così chiara la allontanava spiritualmente e affettivamente da una persona che per tanto tempo era stata importante per lei, per le sorelle e per i frati, la metteva in una posizione tutto sommato solitaria, perché credo che se avesse in quel momento deciso diversamente le sorelle l’avrebbero seguita. Dal testamento sappiamo che anche all’interno della sororità di san Damiano si era sperimentata la debolezza su questo punto, la tentazione di recedere da una radicalità che talvolta deve essere sembrata cocciutaggine. La decisione era pesata sostanzialmente su Chiara, che al momento dell’ incontro/scontro con Gregorio era giovane, aveva poco più di trent’anni e aveva davvero giocato il tutto e per tutto: Gregorio avrebbe anche potuto irritarsi, imporsi in nome dell’obbedienza, svergognarla come arrogante. Non lo fece e questo dimostra anche il suo valore e la stima profonda che aveva per Chiara. Il momento vissuto rese peraltro Chiara più consapevole di sé e più ferma in quello che emergeva come il fulcro del “carisma” ricevuto da Francesco. Da questo momento Chiara sente il peso e la responsabilità di portare l’eredità di Francesco, ma sente anche la gioia di farlo e la fiducia nell’ascolto della chiesa istituzionale. Questa fiducia è quella che risplende nella prima lettera ad Agnese, nella quale il libero effondersi del suo canto alla povertà vuole sostenere e convincere Agnese, non il papa. Vuole motivare la sorella lontana: ho ritenuto di supplicare l’eccellenza e santità vostra, per quanto posso, con umili preghiere nelle viscere di Cristo, perché vogliate rafforzarvi nel suo santo servizio. In effetti dalla documentazione non risulta che all’inizio Agnese avesse chiaro questo elemento della povertà, tant’è che il suo monastero era dotato di possedimenti. Con certezza sappiamo che ancora nel maggio del 1235 il monastero di Praga chiedeva e otteneva dal papa l’ospedale san Francesco con tutti i suoi proventi. I contatti con Chiara tuttavia la spinsero ad abbracciare con decisione il Cristo povero e a fare passi importanti per modellare la vita sua e della sua comunità su quella di san Damiano. La storia qui è tracciata dalle lettere del papa ad Agnese, che abbiamo con datazione precisa. Non abbiamo invece la datazione precisa della seconda lettera di Chiara, che si inserisce nel carteggio Agnese/Gregorio, ma non possiamo sapere con certezza in quale momento si collochi. Sicuramente quando ancora la lotta era aperta e c’erano ancora le carte in tavola. Nella lettera si percepisce un tensione accentuata. Pur esprimendosi sempre in tono elevato e spirituale, si sente che in Chiara c’è una urgenza, una preoccupazione che ai tempi della prima 4 lettera non emergeva. L’ipotesi più affermata data questa lettera fra il 1235 e il 1237 quando è vivo il problema dell’ospedale le cui rendite sono assegnate al monastero di Praga. Agnese vuole liberarsene, ma ci sono delle complicazioni e Chiara interviene con tutto il peso della sua autorevolezza. Dal voi siamo passate al più familiare tu e i saluti iniziali sono stati ridotti al minimo per entrare subito nel vivo della questione: Alla figlia del Re dei re, ancella del Signore dei signori degnissima sposa di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima, signora Agnese, Chiara, ancella inutile e indegna delle signore povere, invia il suo saluto e l’augurio di vivere sempre in somma povertà. Questo è il punto: vivere in somma povertà. Chiara ha tanto sperato che la principessa boema potesse vivere appieno quello che anche lei ha sempre sognato di poter vivere, e quindi rinnova la sua pressione insistendo sulle motivazioni spirituali: … una sola è la cosa necessaria, di questa sola ti scongiuro per amore di colui a cui ti sei offerta come vittima santa e gradita: memore del tuo proposito, come una seconda Rachele sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo, ma con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi, così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine, a nessuno credendo, a nessuno acconsentendo che volesse richiamarti indietro da questo proposito, che ti ponesse un ostacolo sulla via, per impedirti di rendere all’Altissimo i tuoi voti in quella perfezione alla quale ti chiamò lo Spirito del Signore. In questo non acconsentire a nessuno che volesse richiamarti indietro dal tuo proposito è evidente l’eco della propria lotta, del proprio non aver acconsentito ed è difficile non pensare che questo nessuno sia proprio Gregorio IX. L’impressione che si parli di lui è confermata poco più avanti, quando, dopo aver raccomandato di seguire i consigli di frate Elia, ministro generale, Chiara aggiunge: E se qualcun altro ti dicesse o altro ti suggerisse che sia di impedimento alla tua perfezione, che sembri contrario alla vocazione divina, pur dovendolo rispettare, non seguire il suo consiglio. Piuttosto pesante questa espressione. Potremmo pensare che anche umanamente i rapporti fra Chiara e Gregorio IX si siano proprio deteriorati, anche perché in un lettera di quel periodo di Gregorio IX ad Agnese troviamo l’esortazione a non ascoltare qualunque cosa venga suggerita da qualcuno, forse zelante, ma non fornito di scienza, e questo qualcuno potrebbe essere Chiara stessa (o in alternativa frate Elia). Preferiamo però pensare che semplicemente Chiara si senta di fare presso Agnese quella parte che fece Francesco nei confronti suoi e delle sue sorelle, quando disse: e prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. Chiara vede che molte cose non stanno andando come lei e Francesco avevano sognato. Francesco è morto, le pressioni per un livellamento della forma di vita da lui proposta sugli standard che ha in mente Gregorio, sono forti. Nel momento stesso in cui Chiara cerca di fare valere la propria autorevolezza di custode del carisma, sembra che una certa angoscia faccia presa su di lei. Sente crescere nella chiesa e nell’ordine la resistenza all’ideale originario, sente un po’ anche l’emarginazione e nello stesso tempo percepisce il tentativo di Gregorio IX di usare la sua fama e autorevolezza per portare avanti i propri piani di normalizzazione del mondo religioso femminile. Alla fine della seconda lettera parlando ad Agnese dice anche a se stessa: Abbraccia, vergine povera, Cristo povero. Vedi che egli si è fatto per te spregevole e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo. Guarda, o regina nobilissima, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo. Questo passo è ben lontano dal canto gioioso della prima lettera. Vi compaiono dei temi nuovi: Cristo è sì il povero, ma la sua povertà ora non ha nulla di bello e di nobile, come poteva 5 apparire nel travolgente entusiasmo della prima lettera. Il Signore è contemplato nel punto più basso del suo abbassamento: fatto spregevole, vile, disprezzato, percosso, morente. Qualcosa di quello che qui è descritto, Chiara e le sorelle lo avevano assaggiato, come racconta Chiara nel suo testamento. Rievocando gli inizi del cammino ricorda che Francesco stesso aveva constatato che, pur essendo deboli e fragili nel corpo, non ricusavamo nessuna indigenza, povertà , fatica, tribolazione, o ignominia e disprezzo del mondo. Quelle condizioni che lei ora contempla nella vita del Signore Gesù Cristo. Certo, questo modo di considerare la redenzione era proprio di una spiritualità che stava nascendo allora e dalla quale Chiara è sicuramente influenzata. Ma perché tirare fuori proprio qui tali considerazioni, perché insistere qui sul fatto che Cristo s’era fatto spregevole e vile, se non perché sente che in qualche modo questa passione la sta vivendo anche lei? Perché si aggrappa alla contemplazione di un Cristo la cui povertà appare ormai derelizione e avvilimento? Nel momento in cui sembra offuscarsi la speranza di trasformare in realtà l’intuizione evangelica degli inizi, non resta che unirsi a Gesù nella sua umiliazione massima: Se con lui patirai, con lui regnerai, soffrendo con lui, con lui godrai, morendo con lui sulla croce della tribolazione, possederai con lui le eteree dimore negli splendori dei santi scrive ancora ad Agnese. La differenza fra le tribolazioni e ignominie vissute all’inizio e quelle vissute ora, sta nel fatto che allora c’era Francesco, che allora erano giovani e piene di fiducia, che allora avevano tutto il futuro davanti. Ora però da quegli inizi sono passati più di vent’anni. Chiara e le sorelle sono rimaste fedeli al loro ideale, la fama della loro santità si è sparsa, ma questo non è bastato. Intorno a loro il cerchio si chiude. Forse a lei, Chiara, e alle sorelle al momento presenti in san Damiano sarà concesso di vivere come hanno desiderato e promesso, ma nulla garantisce che sarà concesso a quelle che verranno dopo di loro. E quale spazio sarà concesso ad altre comunità che vorranno vivere il vangelo sull’esempio e le parole di Francesco? Per Chiara, la prima, l’apripista di questo sogno, la guida incontrastata, l’orizzonte si oscura, il dubbio di aver indotto le sorelle in un’avventura senza esito la prende e cerca conforto nella passione del Signore e nella speranza escatologica. Non rinuncia comunque a lottare e questa lettera ne è la dimostrazione. Tutto è però ancora in gioco. Nella lettera Chiara premeva perché Agnese comprendesse appieno il valore della santa, beata povertà e ottenesse dal papa di poterla vivere anche nella sua comunità. Sembra di poter dire che Agnese sia entrata solo gradualmente in questo desiderio di povertà assoluta. Possediamo infatti due lettere di Gregorio IX ad Agnese, una del 1234 e una del 1235, con le quali egli conferma loro che potranno godere i beni e le rendite dell’ospedale san Francesco annesso al monastero. Nella lettera del 1235 è detto chiaramente che viene rilasciata dietro loro richiesta. Nell’aprile del 1238 lo stesso papa accede ad una ben diversa richiesta di Agnese e concede che lei e le sorelle possano rinunciare a tale ospedale con tutti suoi diritti, rendite ecc. e concede loro il privilegio della povertà sul modello di quello concesso a san Damiano. Chiara può dunque tirare un sospiro di sollievo: qualcosa si muove, la sorella lontana ha compreso fino in fondo cosa significhi abbracciare il crocifisso povero e il papa ha concesso che anche a Praga potessero vivere povere. Se è vero che il discorso povertà è la punta di diamante della specificità che Chiara e le sorelle vogliono vivere, non è però la sola. Hanno ricevuto da Francesco altre indicazioni, insegnamenti di vita, un modo di vivere il vangelo che non corrisponde a quello delle regole che vengono loro proposte e imposte. Nel 1238 infatti ad orientamento della loro vita il papa ha dato loro una formula vitae da lui composta e ad essa si devono attenere, fatta salva la povertà assoluta per custodire la quale hanno ottenuto il privilegio. Tale regola non risponde al loro spirito, non risponde a quanto ha loro trasmesso Francesco. L’idea di Gregorio IX gira soprattutto intorno a quattro valori fondamentali (per lui): 6 la verginità e le nozze con Cristo. Questo è condiviso e apprezzato anche dalle sorelle. La clausura, mai espressamente motivata, ma assoluta, secondo uno spirito che Chiara e le sorelle non sembrano pienamente condividere. Il silenzio e il digiuno, anche questi valori condivisi dalle sorelle, ma secondo una gerarchia e una modalità molto lontane da quella di Gregorio. L’attenzione di Chiara è per la relazione con il Signore Gesù e per la relazione fra le sorelle. Clausura, digiuno e silenzio sono strettamente subordinati a promuovere tale cuore pulsante, non hanno una consistenza propria. Cosa che invece sembra segnare fortemente la proposta del papa. In questo stesso anno 1238 Chiara scrive ad Agnese la sua terza lettera e il motivo questa volta lo sappiamo con precisione: deve rispondere ad un quesito di Agnese sul digiuno e difatti si occupa di questo nella seconda parte della lettera. Nella prima parte però si effonde in considerazioni spirituali che non sembrano motivate dalla lotta che stanno conducendo, non sembrano motivate da stimoli esterni. La lettera è bellissima, con accenti mistici davvero suggestivi e apre uno squarcio interessante sull’interiorità di Chiara. Diamo subito un’occhiata alla seconda parte, scritta per rispondere ad Agnese che chiede le indicazioni di Francesco riguardo al digiuno. La cosa le interessa perché il papa sta cercando di imporre alle sorelle di Praga, con la sua regola, un tipo di digiuno che lei percepisce estraneo alle aspirazioni sue e allo spirito con cui è vissuto dalle sorelle di san Damiano, su suggerimento di Francesco. Chiara le dà le indicazioni, caratterizzate da grande austerità, ma non rigide come quelle che il papa voleva imporre ad Agnese. Il papa accolse ancora una volta le richieste di Agnese, ma fu l’ultima volta. Perché alla richiesta seguente, quando Agnese gli scrive per potersi adeguare alle usanze di san Damiano, lui finalmente si scoccia e le dice: adesso basta, fai come ti dico io, che ti do cibo solido, non latte per neonati, come è quello che ti propone qualcuno senza criterio (Chiara?). Io capisco poco delle questioni sul digiuno e quindi non mi addentro in questo punto per non dire sciocchezze. Vorrei solo notare che a suo riguardo Chiara ha fatto un cammino laborioso. Alcune sorelle testimoniano al processo che il suo digiuno era esagerato, dissennato, tanto che le sorelle ne erano spaventate ed erano dovuti intervenire Francesco e il vescovo di Assisi per moderarlo un po’. Quindi almeno all’inizio Chiara manifestava una attitudine al digiuno inaccettabile, un suo uso non equilibrato. L’esperienza, la relazione sempre più vera con il Signore, l’intervento di Francesco, forse anche la malattia sopravvenuta, le hanno probabilmente insegnato la moderazione, un uso del digiuno più ragionevole. Scrive quindi (siamo nel 1238): Siccome però la nostra carne non è carne di bronzo, né la nostra forza è la forza della pietra 9 anzi siamo fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, ti prego vivamente nel Signore, carissima, di ritrarti con saggia discrezione da quell’esagerato e impossibile rigore di astinenza, che ho saputo tu hai intrapreso, affinché vivendo con la tua vita dia lode al Signore. L’esito che ci interessa è questo: vivendo con la tua vita dia lode al Signore. Le sorelle loderanno Dio con la propria vita. Oggi è questo quello che desideriamo, che sentiamo nostro: lodare il Signore con la nostra piccola vita. Oggi, che siamo così consapevoli di essere fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, nonché psicologica e spirituale, questa è un parola che ci tocca profondamente. Molto più delle indicazioni sul digiuno. Curiosamente nella regola Chiara tornerà ad un maggior rigore riguardo al digiuno, scostandosi così dalle indicazioni di Francesco: ripensamento personale o adattamento forzato per ottenere l’approvazione di altri punti che le stavano più a cuore? Consideriamo ora il resto della lettera terza. Chiara parla con grande trasporto di Cristo, la cui bellezza ammirano il sole e la luna, la cui bontà ricolma, il cui ricordo brilla dolce nella memoria. Sembra appagata nel suo desiderio di essere sposa amata, sposa che con trasporto a sua volta ama: ama con tutta te stessa colui che tutto si è donato per amore tuo. Tutto questo l’abbiamo già incontrato nella lettera prima 7 A questa dimensione sponsale se ne aggiunge qui un’altra: quella materna. Chiara pensa intensamente a Maria che porta in grembo Gesù. Stringiti alla sua dolcissima Madre, che generò un figlio tale che i cieli non potevano contenere eppure lei lo raccolse nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo portò nel suo grembo di ragazza. Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme, specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute. Questi passi della lettera ci inducono a ipotizzare che sia stata scritta in tempo di Avvento, il tempo nel quale contempliamo Maria in attesa del grande evento. Chiara aveva ben poche altre fonti di riflessione al di fuori della liturgia e questa risuonava con grande potenza nella vita sua e delle sorelle e plasmava ogni loro pensiero. Identificarsi in qualche modo con Maria in attesa, aiutava queste donne a rielaborare la propria dimensione materna. Ma non si tratta semplicemente di un dato psicologico, peraltro molto importante. In realtà tale identificazione le abilitava a cogliere con declinazione femminile, il mistero della presenza di Dio nei credenti, il mistero dell’inabitazione, tanto importante, mi sembra, anche in Francesco. Ad un certo punto si apre in Chiara uno squarcio bellissimo di contemplazione: Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Rispetto all’effervescenza della prima lettera intravediamo un’interiorizzazione, la relazione con Dio ha ormai imbevuto la vita di Chiara, fino a coinvolgere tutte le fibre del suo cuore. In poche righe abbiamo 4 volte il verbo contenere, usato per indicare la relazione di Chiara, o del fedele, con Dio. Contenere, essere dimora, raccogliere o portare in sé: è un susseguirsi di locuzioni simili. L’impressione è che tale contenere veicoli soprattutto uno sguardo sull’essere umano, le provochi un sussulto di ammirazione per la grandezza che all’uomo è dischiusa, se vuole, se è fedele. Lei, che insieme alle sorelle sta sperimentando quanto gli uomini possano essere di corte vedute, lei che forse sta sperimentando anche in se stessa la fatica e il lato oscuro, si ferma a guardare l’uomo dal punto di vista di Dio. Guardandolo da qui non può che rallegrarsi ed esultare: l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo è la più degna tra le creature. La percezione positiva che Chiara ha dell’uomo è testimoniata ampiamente nella regola e in modo davvero simpatico anche nel processo di canonizzazione da Sora ANGELUCCIA: Anche disse che, quando essa santissima madre mandava le Sore servitrici de fora del monasterio, le ammoniva che, quando vedessero li arbori belli, fioriti e fronduti laudassero Iddio; e similmente quando vedessero li omini e le altre creature, sempre de tutte e in tutte (le) cose laudassero Iddio. Di nuovo si parla di lodare, ed è una lode molto gratuita, decentrata, non per la propria vita, non concentrata su quello che il Signore fa in lei, ma attenta, conquistata, da quello che il Signore fa fuori di lei, indipendentemente da qualsiasi ricaduta sulla sua vita. Gli uomini, tutte le creature esistono e tanto basta per lodare il Creatore. Anticipando la fine della vita di Chiara, ricordiamo qui le sue parole degli ultimi giorni, quando il suo sguardo ritorna su di sé per un ultimo congedo da questa vita: Benedetto sii tu, Signore, che mi hai creato! La sua vita è davvero divenuta lode, estasi dell’esistere, gioia della creazione redenta. Nell’insieme luminoso di questa lettera troviamo però anche qualcosa che non quadra del tutto, troviamo dei discreti, fugaci accenni all’ombra che talvolta può abitare la nostra vita. 8 Scrivendo ad Agnese le parla di astuzie dello scaltro nemico, la superbia che è rovina dell’umana natura e la vanità che infatua i cuori degli uomini. Dice ancora: Chi non avrebbe in orrore le insidie del nemico dell’uomo, che attraverso il fasto di beni momentanei e glorie fallaci tenta di ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo? Improvvisamente appaiono delle difficoltà, degli ostacoli a vivere la santa povertà che non sono esterni, non sono dovuti all’opposizione degli uomini, ma sono supposti presenti in Agnese e anche in Chiara. Ne parla infatti con la partecipazione di chi sa di cosa si tratta. Chiara oppone alle insidie una reazione di allarme totale, parla di orrore, e questo svela che la tentazione è reale, ha una certa forza. E lei ricorre a considerazioni di sapore sapienziale, per non cadere nella trappola: In ciò a volte si ingannano re e regine di questo mondo: anche se la loro superbia s’innalzasse fino al cielo e il loro capo toccasse le nubi, alla fine sono ridotti come sterco. Per ben tre volte dunque all’interno di questa lettera si accenna al fatto che nella corsa entusiastica dietro al Signore Gesù Cristo può esserci qualche momento di impasse, qualche momento in cui si è tentati di fermarsi, in cui riappare come attraente tutto ciò che si è abbandonato. Improvvisamente ci affascina il fasto di beni momentanei e glorie fallaci. Sappiamo che si tratta di vanità, quella vanità che infatua il cuore, come dice Chiara, ma ci sono momenti in cui tale vanità può annullare ai nostri occhi ciò che è più grande del cielo, può attirarci davvero. Apprendiamo che anche Chiara, l’incorruttibile, ha percepito talvolta questa tentazione, è stata sensibile a questo abbaglio. Il fatto che solo in questa lettera accenni al pericolo di essere ingannati dal nemico o semplicemente di naufragare nel nulla della vanità, ci induce a pensare che proprio nel periodo in cui scriveva la lettera questa tentazione fosse presente nel suo stato d’animo. Tracce di fatica interiore nelle prime due lettere non c’erano assolutamente, così come non ci saranno nella quarta lettera. La terza lettera diventa in tal modo una testimonianza preziosa del cammino umano di Chiara. In ogni altro scritto suo, in ogni altra testimonianza su di lei, appare inossidabile, indomabile. Quasi sovrumana. Poter intravedere qualcosa che la rende un po’ più vicina a noi, ci fa bene, ci fa sentire accompagnati da una sorella che conosce la fragilità senza in essa soccombere. Chiara fa leva più volte sulla rilevanza decisiva del santo proposito fatto, sul perseverare in ciò che si è promesso a Dio. Ritroviamo questo dato in tutto il suo percorso, dalla prima lettera al testamento. Cinque volte nel testamento Chiara raccomanda fedeltà a ciò che promettemmo al Signore e al beato Francesco. ovunque saranno dopo la mia morte, siano nondimeno tenute ad osservare la predetta forma di povertà, che promettemmo al Signore e al beatissimo padre nostro Francesco. La benedizione, sempre unita al testamento nella tradizione testuale, culmina così: Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre sorelle, e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore. Il tema della promessa è in varie modulazione costantemente, quasi ossessivamente ripetuto. Cosa significa? In primo luogo che la fatica di essere fedeli alla povertà promessa (perché questo era il punto) era tanta e anche a san Damiano si erano talvolta aperte delle crepe. Siamo ancora nel testamento: considerando con le altre mie sorelle, la nostra altissima professione e il comandamento di un padre tanto grande, ed anche la fragilità delle altre, che temevamo in noi stesse dopo la morte del santo padre nostro Francesco … più e più volte volontariamente ci obbligammo alla signora nostra, la santissima povertà. 9 Per Chiara il rimedio a tale fragilità è ribadire il proposito, la promessa, l’obbligo liberamente assunto. Il suo ragionamento è evangelico: alla base del suo promettere ci stanno le promesse di Dio, alle quali semplicemente si risponde. Il regno di Dio è promesso solo ai poveri, ergo Chiara promette di vivere povera. Dio si è dato tutto, ergo Chiara dà tutta se stessa, per sempre. Promettere è dare anche il proprio futuro, è rendere completo il dono di sé. Chiara vuole dare la sua vita oggi, domani e per sempre e quindi promette. Sente di poterlo fare, ne percepisce il valore e l’importanza. E ne sente anche l’obbligatorietà, ma questa non la spaventa affatto, anzi le dà una carica di entusiasmo. memore del tuo proposito, … sempre vedendo il tuo principio, ciò …. con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi, così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza …., a nessuno acconsentendo che volesse richiamarti indietro da questo proposito, che ti ponesse un ostacolo sulla via, per impedirti di rendere all’Altissimo i tuoi voti in quella perfezione alla quale ti chiamò lo Spirito del Signore. A noi invece, promesse e obblighi creano disagio, pesantezza, non entusiasmo, anche se ne riconosciamo la necessità. Riconosciamo che essere abilitati a promettere ci rende affidabili. La promessa, insieme al perdono,3 è una delle due grandezze che reggono il mondo, che rendono possibile navigare nell’imprevedibilità del reale. Noi percepiamo fortemente la nostra fluidità, il fatto di non sapere oggi cosa sarò domani. E percepiamo drammaticamente che l’agire di ognuno di noi ha conseguenze imprevedibili nella vita degli altri. Il domani è inafferrabile, io sono inaffidabile. Come è possibile promettere? La facoltà di promettere, dice Nietzsche, è una forma di memoria, è “la memoria del volere”4. Un volere ribadito di ciò che si è già voluto. Ora, la memoria ha grande importanza nella bibbia, come anche la facoltà di promettere, che permette le alleanze. La rivelazione inizia con l’alleanza che Dio fa con Abramo. Alleanza certo fondata sull’affidabile promessa di Dio. Abramo, Chiara, possono impegnarsi nell’alleanza contando sulla promessa di lui. Questo affidare la nostra promessa alla promessa di Dio è possibile anche per noi, è un dato indubitabile della S. Scrittura. Però oserei dire che per noi è più difficile. Chiara, credo l’uomo medievale in generale, ha una fiducia di fondo nell’ordine delle cose, nell’affidabilità del mondo, che gira tutto intorno all’uomo. Il mondo va verso la trasformazione finale, ma non va a caso, tutto è percepito saldamente in mano a Dio. La situazione psicologica era ben diversa dalla nostra, che sappiamo di fluttuare in un universo senza centro e dalla storia difficilmente tracciabile. Inoltre nella mentalità feudale e cavalleresca, che sicuramente ha influito su Chiara, la promessa, il vincolarsi a vita, erano valori importantissimi. La cosa interessante per noi, che scrutiamo il percorso interiore di Chiara, è che proprio questa facoltà di promettere, questa memoria del volere, rende possibile l’introduzione di elementi nuovi nella sua storia, rende possibile l’integrazione di circostanze, atti, idee diversi, senza mandare in tilt il progetto di fondo. Negli anni della vita a san Damiano Chiara si troverà a dover accettare, una dopo l’altra, due diverse regole, proposte da due papi; a dover ascoltare pressioni, a gestire accadimenti drammatici (vedi l’assalto dei Saraceni), ad accogliere altre sorelle, a fare esperimenti di vita fraterna. Ha avuto momenti di fatica interiore, come abbiamo visto. Ma il suo fermo proposito è rimasto appunto fermo. Ha scelto di vivere il vangelo in povertà, in obbedienza a Francesco e non è mai venuta meno. Però ciò che presenta alla fine della vita è diverso, è più elaborato, è più geniale, di quello che conosceva e proponeva all’inizio del cammino. La regola, nella quale si coagula tutto quello cui lei ha tenuto, unisce radicalità evangelica ed equilibrio evangelico. La fermezza nel proposito fatto ha reso possibile una evoluzione positiva, un approfondimento dei valori cui aveva aderito fin dall’inizio. La sua fedeltà a quanto promesso è divenuta una vita e una proposta di vita veramente innovativa (e purtroppo ben presto affondata. Di 3 4 Traggo queste riflessioni da Hanna Arendt, Vita aktiva. La condizione umana, 1958, Chicago. 1964/2009 Milano, 180. Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, saggio 2, par 1. 10 fatto la nostra generazione di clarisse è la prima che può confrontarsi davvero con qualche chance di successo con la regola di santa Chiara). Abbiamo a questo punto, dopo la lettera terza, circa 15 anni di silenzio, black out sul percorso interiore di Chiara e poco trapela anche del cammino della fraternità. La lettera seguente e ultima è infatti del 1253, anno della morte di Chiara. Motivo del lungo silenzio: Questo è il fatto: hanno impedito la nostra corrispondenza la mancanza di messaggeri e i ben noti pericoli delle strade. Cosa ha vissuto Chiara negli anni dal 1238 al 1253? Una data importante l’abbiamo: nel 1247 fu imposto a lei e alle sorelle di adottare la regola di Innocenzo IV. Rispetto a quella di Ugolino-Gregorio ha il vantaggio di salvaguardare il rapporto con il primo Ordine e di sollevare le sorelle dal riferimento alla regola benedettina. In tal modo abbandonano istituzionalmente la tradizione monastica e si immettono nell’ambito penitenziale dal quale sono nate. Riguardo alla povertà però tale regola non soddisfa assolutamente le sorelle, perché permette il possesso di proprietà consistenti. Mitiga un po’ il digiuno ma inasprisce il discorso clausura. La situazione in cui Chiara si trova è molto complessa, perché il papa da tempo cerca di fare di san Damiano il riferimento di tutto il movimento religioso femminile del tempo. Non sappiamo nulla di una reazione ufficiale di Chiara a questo nuovo tentativo di normalizzazione dei monasteri (tentativo che fallì, la regola di Innocenzo non ebbe effettiva accoglienza). Però in questo periodo mise mano lei stessa alla stesura di una regola, nella quale vi è traccia di tutte le regole che hanno attraversato il cammino di san Damiano: tale fatto fa pensare che a questo punto, sconsolata, sospinta dal fermo proposito di osservare quanto aveva promesso al Signore e a Francesco, abbia detto: ora faccio io. Invece che lasciarsi schiacciare dal peso delle circostanze, dalle ripetute frustrazioni ai suoi ideali, invece che affossarsi nella parte di chi subisce ingiustizia e oppressione, Chiara mette in atto una reazione creativa. Prende l’iniziativa, si fa trovare sempre un passo più avanti rispetto ad una chiesa che, quantomeno, aveva scarso interesse per le sue istanze. La sua è veramente una fedeltà al futuro, non un noioso ripetere il passato. La regola, o meglio, la forma di vita, è veramente qualcosa di nuovo. Se i primi anni per la piccola sororità bastavano i due biglietti di Francesco, quelli che sono inseriti capitolo VI, ora occorre altro. Senza rimpiangere quei tempi, ecco che lei si rimbocca le maniche ed elabora il progetto del futuro. Fu sicuramente una decisione coraggiosa, rivelatrice di un’alta coscienza di sé e della propria autorevolezza, coscienza di sé raggiunta passando per un lungo e non facile crogiuolo di sperimentazione comunitaria. Altro momento che non può esser passato nella vita di Chiara senza lasciare un segno, è l’incursione dei Saraceni nel 1240. Quasi tutte le sorelle che testimoniano al processo ne parlano. Dev’essere stato un momento di terrore indimenticabile. E dev’esser stato più che un momento, perché sora Filippa ci racconta che si era in guerra e che le sorelle temevano un’aggressione al monastero da parte dei nemici che attaccavano Assisi, già prima che questo accadesse effettivamente. Una situazione prolungata di paura, quindi, più che un momento. Una paura fondata, non immaginaria. Filippa riporta le parole di Chiara in tale frangente: Sorelle e figliole mie, non vogliate temere, pero` che, se Iddio sara` con noi, li inimici non ce potranno offendere. Confidateve nel Signore nostro Iesu Cristo, pero` che esso ce liberara` . Et io voglio essere vostra recolta che non ne faranno alcun male: e se essi verranno, ponete me innanti a loro. L’atteggiamento di Chiara ricorda quello dei profeti: non magica previsione di come andranno le cose, ma appello a confidare nel Signore. E ricorda l’atteggiamento di Gesù, che si consegna per tutti noi. In verità, se le sorelle avevano una reale possibilità di mettersi in salvo, o più al sicuro, all’interno delle mura, questo non suona molto bene, suona un po’ come tentare il Signore. Supponiamo però che questo non fosse fattibile al momento. Allora il porsi di Chiara è quello di un vero leader che gioca il tutto e per tutto per amore delle sorelle. Lei non ama distinguersi dalle altre, nella regola non fa che ammonire l’abbadessa a seguire in tutto la vita 11 comune, ama essere una sorella e basta. Ma quando è necessario sa assumere il ruolo indispensabile della guida: abbiamo visto quando ha risposto a Gregorio IX che le offriva possedimenti, lo vediamo in questa situazione. La paura non la paralizza, ma la spinge a mettersi davanti alle sorelle, ad emergere dal gruppo nel quale di solito sta immersa, per dare a tutte una possibilità di salvezza. Non è comune la consapevolezza che la paura non è un criterio di discernimento, spesso a noi capita proprio di fare discernimento a partire dalla paura. Chiara non ha garanzie che tutto andrà bene, sa solo che porsi davanti al nemico così, inerme ma fiduciosa, è la cosa migliore da fare. Lo sa in forza della sua relazione con Dio, della sua fede, non per una sua superiorità personale o per competenze psicologiche. Non temere è la parola del Signore a lei. Non temete è la parola di lei alle sorelle. Un parola che viene dall’alto e lei come parola venuta dall’alto la trasmette, non assicurazione di incolumità, ma affidamento a Dio, nella cui volontà è la nostra pace. Il testamento e la regola suggeriscono l’idea che negli ultimi anni Chiara abbia dovuto sbilanciarsi sul versante dell’emersione, rispetto all’insieme delle sorelle. In molti passaggi si pone come riferimento autorevole. Addirittura dice: E come io fui sempre diligente e sollecita nell'osservare, e nel fare osservare dalle altre la santa povertà, che promettemmo al Signore e al beato Francesco nostro padre, così quelle che mi succederanno nell’ufficio, siano tenute fino alla fine ad osservare e a far osservare dalle altre con l’aiuto di Dio la santa povertà. Sembra un po’ echeggiare san Paolo: fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo. O addirittura Gesù: amatevi come io vi ho amato. Dimostra un’altissima coscienza di sé e della propria vocazione ad essere specchio ed esempio per le sorelle. Questa dinamica immersione-emersione rispetto all’insieme delle sorelle esprime molto bene il percorso di Chiara con la sua sororità e credo sia la dinamica che ha dato a san Damiano quel suo volto tanto particolare ed evangelico. Chiara è fra le sorelle, ma è anche prima delle sorelle, alle origini. Chiara è fra le sorelle, ma è anche di fronte alle sorelle: fate come io vi dico. Chiara è fra le sorelle, ma è anche davanti alle sorelle, vede più lontano di loro, si occupa del loro futuro, si pone come loro scudo. Questa dinamica immersione-emersione rispetto all’insieme delle sorelle è splendidamente riconciliata nell’ultima lettera di Chiara. Questa lettera risale a pochi mesi prima della morte di Chiara e la situazione esterna non si è ancora del tutto risolta secondo le speranze di Chiara. La sua regola ha avuto solo l’approvazione del cardinale protettore, che ha trascurato di chiedere quella del papa, desiderata da Chiara. L’esito della lunga lotta è ancora aperto. Chiara desidera tantissimo ottenere l’approvazione definitiva, tanto che quando l’otterrà, due giorni prima di morire, bacerà piena di gioia la bolla pontificia. Sorprendentemente la lettera che scrive non lascia trasparire nulla della situazione ancora irrisolta. I sentimenti che trasmette sono: appagamento, tensione escatologica, felicità sovrabbondante. Il suo amore sponsale per Cristo è sempre più vivo, tanto che tende a travolgere Agnese, le sorelle, noi che leggiamo. Chiara contempla i misteri del Signore Gesù, si sofferma sul Cristo in croce e lo sente ammonire: O voi tutti che passate per via, fermatevi e guardate se c’è un dolore simile al mio dolore. Subito trascina le sorelle e noi in una risposta corale ed attiva: rispondiamo con una sola voce, con un solo spirito, a lui che grida e si lamenta: Sempre l’avrò nella memoria e si struggerà in me l’anima mia. Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguenti o sposo celeste! Attirami e correremo. Io e noi. Il Signore mi attira, noi tutti corriamo. Poi ancora l’immagine della corsa: 12 Correrò e non verrò meno, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la destra felicemente mi abbracci e tu mi baci col felicissimo bacio della tua bocca. Sono tutte risonanze del Cantico dei Cantici, è la corsa della sposa che desidera incontrare lo sposo. Ed ecco che quando Chiara giunge al culmine di questo incontro, nella cella del vino non entra lasciando fuori gli altri. Il ricordo di Agnese entra con lei e le fa dire: Stando in questa contemplazione, ricordati della tua madre poverella, sapendo che io ho inciso inseparabilmente il tuo felice ricordo sulle tavole del mio cuore, perché ti considero la più cara fra tutte. Chiara, che ha sempre vissuto nel movimento immersione-emersione fra le sorelle, lo sperimenta anche qui: davanti allo sposo parla in prima persona attirami, correrò, mi abbracci, mi baci, ma con sé trascina le sorelle amate e insieme a loro risponde all’appello dello sposo. Non sa immaginare una felicità del tipo “da sola con il Solo”, la sua immagine del paradiso trasmette la felicità di un popolo, non di un’anima eletta: Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro connubio, per aderire col più profondo del cuore a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, … la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme . Agli ultimi passi del suo cammino terreno in Chiara giunge a compimento, si ricapitola, si riconcilia, ogni contrapposizione. Anche in questa chiesa che l’ha fatta soffrire, che a fatica ha compreso e accettato il suo desiderio di vivere il vangelo in povertà, lei respira alla grande. Sa che non tutti corrono come lei, ma non rompe la sua solidarietà; sa che non tutte le sorelle la seguono con la stessa corsa lieve, ma lei non le abbandona: Attirami, noi correremo. Chiara è sempre una con sororibus, anche quando deve prendere un poco di distanza dalle altre, per difenderle, per rispondere al papa (ricordiamo la scena con Gregorio IX), per rispondere a Dio. Seguire Gesù è stata sempre la gioia del suo cuore, nulla le è stato gravoso in questa corsa (le dice lei negli ultimi giorni di vita), anzi, correre dietro a Gesù insieme alle sorelle è stato così bello, che quello che ora si augura è un seguirlo per sempre, insieme a tutti i compagni di cordata: e l’augurio di cantare il cantico nuovo con gli altri santissimi vergini davanti al trono di Dio e dell’Agnello e di seguire l’Agnello dovunque vada. Il paradiso sarà una costante, bellissima sequela, tutti insieme. Cantando. 13