come i nostri nonni conservavano le uova
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come i nostri nonni conservavano le uova
L’ANGOLO DELLE CURIOSITA’ IN AVICOLTURA COME I NOSTRI NONNI CONSERVAVANO LE UOVA _________________________ Paolo Pignattelli La conservazione delle uova per uso alimentare è stato un grave problema del passato e tale si è mantenuto praticamente fino agli anni ’50. I nostri nonni non avevano la possibilità di consumare uova tutto l’anno come invece avviene oggi, dal momento che l’ovodeposizione era ciclica e legata alle stagioni. Vecchie e nuove statistiche alla mano possiamo verificare come il consumo annuo pro capite di uova sia passato da poco più di 100 a fine 800 inizio 900 (G. Trevisani, 1902) agli attuali 218 (UNA, 2004). Nell’arco di un secolo i consumi di uova sono più che raddoppiati, ma, se i nostri nonni avessero avuto le nostre tecnologie per la conservazione e la trasformazione delle uova probabilmente ne avrebbero consumate di più dal momento che ne inventarono e ne provarono di tutte per poter risolvere il problema, anche perché il prezzo delle uova nei mesi invernali era decisamente molto più alto. Fra i più noti metodi di conservazione vale la pena iniziare con quello messo a punto da Mariot-Didieux nella prima metà dell’800 e riportato da Cassella (1879). In pratica le uova venivano conservate sotto sale, preferibilmente salgemma, in casse di legno rivestite internamente di carta. Ogni cassa, contenente 600 uova, veniva posta in un luogo fresco ed asciutto. Il tempo di conservazione variava dai sette ai nove mesi. I risultati erano molto soddisfacenti stando alle parole dei due inventori: “Il 1° agosto 1849 si aprì dalla parte del fondo una cassa contenente 600 uova raccolte nel settembre, novembre e dicembre 1848, cioè dopo oltre nove mesi di conservazione e furono trovate ben conservate e di buon gusto, quantunque mancasse loro quel profumo, quel gusto speciale dell’uovo fresco; ciò malgrado, le uova così conservate erano adattissime a tutti gli usi domestici. Solo il bianco aveva un sapore leggermente salato ed un’apparenza più liquida di quella che si nota allo stato fresco” L’autore fa quindi riferimento al modesto costo (5 lire) dell’operazione ed alla possibilità di riutilizzare il sale, ma non dice nulla sul numero di uova scartate. Interessante il commento del Cassella, che testualmente dice: “regola principalissima per la conservazione delle uova è di privarle di aria. Tutti i metodi attuati al presente e nel passato si propongono di evitare l’evaporazione dei liquidi che le uova contendono ed il loro rimpiazzo con aria ed inoltre di evitare le variazioni di temperatura capaci di provocare la putrefazione” In questa chiave va letto il metodo di mettere le uova, con la punta in alto (!?), in vasi o tinozze completamente avvolte da cenere di legno o da torba finissima, come pure il metodo di immergere per un minuto le uova, usando panieri in filo di ferro, nell’acqua bollente. “quella parte del bianco – ci ricorda Cassella – che si coagula all’interno previene ogni alterazione successiva dell’uovo”. Infine l’autore descrive il medito, che con qualche modifica è giunto fino ai nostri giorni: “Conservarle in vasi di creta che ne contengano da 50 a 60 versandovi, fino a tanto che tutte le uova ne siano coperte, una soluzione di latte di calce chiara, dopo che sia raffreddata e riposata; questi vasi si conservano in cantina. Hanno nella base inferiore un’apertura chiusa con toppa, dalla quale si lascia scorrere la soverchia quantità di latte di calce man mano che si ritirano delle uova e ciò per evitare la spiacevole impressione, soprattutto quando fa freddo, di bagnare la mano nell’acqua di calce”. Scienza, tecnica e …… cortesia nei confronti della massaia, erano proprio altri tempi! Delarue, citato da Sormanni (1889), apporta una piccola variante al metodo: “ad ogni 100 g di calce spenta aggiungete 10 g di zucchero in polvere”. Ai metodi precedentemente citati da Cassella, Sormanni ne aggiunge un altro “Si spalmano le uova fresche con cera sciolta o con materie grasse o gommarabica o belletto di gesso, indi si ruzzolano sopra uno strato di carbone di legno minutamente polverizzato. Si conservano poi tenendole con la punta in basso” L’autore non riporta mai i tempi di conservazione ne quali risultati si ottenessero dai vari metodi. E’ interessante osservare che agli inizi della seconda metà dell’800, come riporta Marchese (1889), si fossero tentati metodi di conservazione delle uova in atmosfere artificiali di acido carbonico o di gas illuminante allo stato secco. Lo stesso Marchese è sicuramente fra i primi a formulare una classificazione dei diversi metodi di conservazione delle uova: “I sistemi di conservazione delle uova si dividono in due categorie: sistema al bagno (acqua di calce, saccarato di calce, acqua salata), sistema secco (polveri, inverniciamento del guscio, essiccamento del bianco e del tuorlo) e poi ancora occorre distinguerli in metodi domestici ed in metodi industriali.” Per la conservazione domestica e per periodi non troppo lunghi consiglia le polveri (cenere, sabbia fina, gesso, carbone in polvere, segatura, paglia finemente tritata) per periodi più lunghi l’inverniciamento cioè al metodo degli intonaci (soluzione di colofonia, ceralacca, intonaco di paraffina, sostanze grasse, olio di lino, ecc.). “L’intonaco di colofonia (pece greca), di ceralacca e di paraffina va eseguito col pennello, con un chilogrammo di paraffina si possono intonacare circa 3000 uova, la spesa è tenue e le uova si conservano lungamente, anche per qualche anno senza diminuire sensibilmente di peso”. Anche Marchese consiglia di conservare le uova con la punta rivolta verso l’alto e ritiene che la conservazione in acqua di calce o in acqua salata pregiudichi troppo la qualità delle uova. Tutti gli autori dell’800 concordano nell’affermare che: “quelle non fecondate, quelle che diciamo non gallate o chiare, sono più resistenti alle alterazioni delle uova fecondate, epperciò si conservano meglio” BIBLIOGRAFIA 1.- Clementi F., 1938, Corso completo di pollicoltura familiare ed industriale. Ed. Francesco Battiato, Catania 2.- Cortese M., 1945, Pollicoltura familiare ed industriale. 1a ed. Ed. Hoepli, Milano 3.- Cortese M., 1969, Pollicoltura familiare ed industriale. 7a ed. Ed. Hoepli, Milano 4.- Giavarini I., 1967, Trattato di Avicoltura. Ed agricole, Bologna 5.- Leroy E., 1886, La gallina pratica. Ed. Libreria Editrice Brero, Torino. 6.- Magliano A., 1932, L’allevamento dei polli. Ed. G.B. Paravia & C., Torino. 7.- Trevisani G., 1924, Pollicoltura, Ed. Hoepli, Milano Cassella O., 1879, Manuale pratico popolare di pollicoltura. Ed. Giovanni Jovene, Napoli Marchese G., 1889, Pollicoltura pratica. Ed. Tipografia nazionale, Milano. Normanni G., 1889, Guida del Pollicultore. Ed. Alfredo Brignola & C., Milano Trevisani G., 1902, Sull’importanza dell’Avicoltura in Italia come fattore di benessere economico. Atti Società Agraria di Bologna, 12 gennaio. UNA - Unione Nazionale dell’Avicoltura. Statistiche 2004, sito Web: www una.it