Il caso Welby e la Chiesa

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Il caso Welby e la Chiesa
RIFLESSIONI
Il caso Welby e la Chiesa
Osvaldo Baldacci
“Metro - 23/01/2007”
Sono passati alcuni mesi dalla morte di Piergiorgio Welby, evento che tanti dibattiti e attriti ha sollevato
nella comunità civile e politica. Numerosi, e spesso gratuiti, gli attacchi che la Chiesa e i cristiani hanno
subito in quei giorni, anche se l’eco non si è ancora spenta del tutto.
A distanza di qualche mese, tuttavia, mi è sembrato interessante proporre questo breve articolo pubblicato
dal quotidiano “Metro” e che a mio giudizio inquadra in modo sintetico ma preciso la questione sollevata
dalla morte di Welby. “Metro” è uno di quei giornali gratuiti che vengono distribuiti nelle città; mi sono
meravigliato che un quotidiano così “leggero” abbia dato spazio un articolo che spende una parola chiara e
decisa in difesa della Chiesa. (Riccardo Ferrari)
Attorno alle estreme sofferenze di un uomo che non capiva più quale senso dare alla propria
esistenza si è scatenata una “fiera” che non ha fatto onore alla verità.
Passata la tempesta, recentemente il cardinal Martini ha lanciato un nuovo sasso nello stagno,
offrendo degli stimoli ma cercando anche di fare chiarezza su posizioni consolidate nella Chiesa.
Ma non si è fermato il circo dei politici e giornalisti che, per ignoranza o pregiudizio, hanno
rilanciato interpretazioni strumentali. Giocare con le emozioni basandosi su elementi del tutto falsi
non mi sembra un buon servizio all’intelligenza né al Paese.
Piergiorgio Welby, che viveva da tempo attaccato a un respiratore, ha pubblicamente chiesto di
morire. Ora, come ha ricordato Martini, c’è una differenza fondamentale tra rifiuto dell’accanimento
terapeutico ed eutanasia, che è appunto la richiesta di essere ucciso. Il rifiuto dell’accanimento è
invece il diritto dei malati incurabili di dire no a cure sproporzionate ai risultati che si potrebbero
sperare o anche perché troppo gravose per lui e per la famiglia: la Chiesa da tempo si oppone
all’accanimento terapeutico (Catechismo Chiesa Cattolica n. 2278).
Secondo grande tema è quello della sofferenza dei malati, del dolore, che forse è la cosa che
spaventa di più. In molti hanno ripetuto che la Chiesa pretende che si sopporti ad oltranza il
dolore. È una bugia. La Chiesa cattolica è all’avanguardia nella promozione della terapia del
dolore, cioè di quelle cure palliative ancora troppo poco diffuse che leniscono la sofferenza dei
malati terminali.
Queste terapie in casi estremi hanno la prevalenza persino sulla mera sopravvivenza, sono cioè
somministrabili anche qualora ci sia il rischio che possano accorciare la vita (CCC 2279). Ma la
differenza qualitativa la fa la vera eutanasia, cioè la rivendicazione di voler morire. Per la Chiesa
fine dell’accanimento e cure palliative sono un diritto. Quello che non è accettato è chiedere di
essere ucciso (CCC 2277). Elemento discriminante nel caso Welby.
Funerali religiosi: quantomeno incoerente e irrispettoso gridare allo scandalo. Welby, non
credente, ha passato buona parte della sua vita a condurre una battaglia pubblica per la possibilità
di vedersi riconosciuta la scelta di essere ucciso. Perché avrebbe dovuto volere funerali cattolici?
E perché la Chiesa, che promuove una visione opposta, avrebbe dovuto dare un avallo pubblico
alla battaglia da lui combattuta? La Chiesa ha invitato espressamente tutti a pregare per Welby.
Ma la Chiesa è guida e garante per i fedeli. Se uno chiede di essere ucciso contrasta apertamente
e volutamente con l’insegnamento cattolico. In proposito non c’è stato alcun segno di pentimento
pubblico del dottor Welby per le mancanze contro la fede, come richiede il diritto canonico (Codice
Diritto Canonico 1184) che quindi, in tale caso, prevede che le esequie non vengano celebrate.
Cosa logica, che peraltro non determina il destino ultraterreno del defunto, per il quale si spera nel
pentimento privato (e nella misericordia di Dio).
Nel caso dei suicidi si presuppone che non siano in sé: applicarlo a Welby sarebbe stato un trucco
irrispettoso.
FAMIGLIA PARROCCHIALE DI CALINO N. 46 APRILE 2007
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