il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Luglio 2007 - N° 37
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
585 – La Chiesa e l’errore di "scendere in campo"
586 – I funerali di Bovio pensando a Welby
587 – Welby, la Chiesa e i funerali mancati
588 – Il suicidio di Nuvoli e le anime candide
ARTICOLI E INTERVISTE
589 – Seneca e l'eutanasia - di Franco Marcoaldi
590 – Tra il dire delle encicliche e il fare dei papi - di José Maria Castillo
591 – La Chiesa, un’organizzazione di potere - di Eugenio Scalfari
592 – La desistenza terapeutica – di Guido Bertolini
IL CASO RICCIO E IL CASO NUVOLI
593 – L’ordinanza del GIP di Roma che rinvia a giudizio Mario Riccio
594 – Welby: GUP assolve Mario Riccio, fatto non costituisce reato
595 – Quel semplice articolo della nostra costituzione - di Adriano Sofri
596 – Nuvoli: eutanasia, solo silenzio dal Parlamento - di Francesco Pullia
597 – Morto in Sardegna Giovanni Nuvoli
598 – Il caso Nuvoli a “Primo Piano” – Rai tre
NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE
599 – LiberaUscita alla presentazione di “Il dolore e la politica”
600 – Il dolore e la brutta politica – di Furio Colombo
601 – Lui non la cura, lei muore di cancro – Non colpevole, dopo 15 anni
602 – LiberaUscita al Mittelfest di Cividale del Friuli
603 – L’eutanasia a teatro: il tema più rimosso, quello della morte
604 – Dalla sezione di Modena – informativa a soci e simpatizzanti
605 – LiberaUscita alla festa dell’Unità di Legri
606 – Genova: primo via al testamento biologico
PER SORRIDERE...
607 – Le vignette di Romeu Oz – Eutanasia, please...
LiberaUscita
Associazione per il testamento biologico e l’eutanasia
Sede: via Genova 24, 00184 Roma
Telefono e fax: 0647823807
Sito web: www.liberauscita.it - email: [email protected]
585 - LA CHIESA E L’ERRORE DI "SCENDERE IN CAMPO" – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di martedì 10 luglio 2007
Egregio dottor Augias, non voglio rifare l'elenco degli errori della Chiesa cattolica nei secoli
anche se, in qualche caso, hanno concorso in misura rilevante a determinare vere e proprie
tragedie per l'umanità.
Ciò di cui non riesco a capacitarmi, invece, è il comportamento tenuto da qualche anno a
questa parte dal Vaticano che, tramite il proprio «organismo politico» (Le ‘Conferenze
episcopali’ nei vari paesi), sta dettando al clero comportamenti
che, dal mio punto di
vista, sono simili a quelli del fondamentalismo islamico. Anzi la situazione mi pare addirittura
peggiore perché la Chiesa cattolica si è schierata, ha fatto una vera e propria «scelta di
campo», nel senso che si è sempre allineata, in modo inequivocabile, alle posizioni della
destra.
Il non plus ultra di questo atteggiamento credo lo si stia raggiungendo in Spagna, patria
dell'Opus Dei. In quel paese la Chiesa cattolica assume addirittura atteggiamenti di sfida,
ripetuti e clamorosi, nei confronti dell'autorità liberamente e legalmente costituita, ovvero il
governo del premier Zapatero.
L'ultima, in ordine di tempo, riguarda la costruzione di un «santuario» a ricordo delle vittime
del clero durante la guerra civile, definite «martiri», dimenticando i massacri di combattenti e
civili inerti compiuti dai franchisti e tentando per l'ennesima volta di invertire il ruolo fra
vittime e carnefici.
Mi sembra la strada del peggiore oscurantismo!
Silvano Fassetta - [email protected]
Risponde Augias
Avvilisce pensare che il messaggio del Vangelo debba essere filtrato attraverso
l'appartenenza politica. Una chiesa di destra (ma lo stesso sarebbe per una chiesa di
sinistra) è un ossimoro, una contraddizione che nega l'essenza stessa del messaggio
lanciato da Gesù. La chiesa diventa di destra quando ragiona secondo convenienza politica.
E ragiona secondo convenienza politica, o mondana, ogni volta che diventa essa stessa
organismo politico, alla ricerca di finalità essenzialmente politiche: potere, denaro.
Ha scritto tempo fa su questo giornale Gustavo Zagrebelsky (presidente emerito della Corte
Costituzionale): «All'inizio del terzo Millennio, papa Giovanni Paolo Il ha ritenuto necessario
chiedere perdono a Dio per un'impressionante sequela di misfatti della Chiesa cattolica, tutti
dovuti a commistioni di fede e potenza mondana. È stata un'ammissione di colpa rivolta al
passato ma nulla impedisce di ipotizzare che altre ammissioni domani dovranno ripetersi
con riguardo al nostro presente, quando sarà anch'esso passato».
Infatti sarà così ogni volta che un papa avrà il coraggio di ammettere quali delitti la Chiesa
abbia commesso quando si è lasciata prendere dal mondo, cedendo alla legge inesorabile
di tutte le istituzioni 'secolarizzate' che si insudiciano con la corruzione dei loro membri.
L'arcivescovo di Valencia Augustin Garcia Gasco ha proposto un ‘santuario’ per le vittime
dei 'rossi' dimenticando che ci sono altre vittime di parte opposta che meriterebbero uguale
pietà.
Nella stessa Valencia la repressione franchista fece in quegli anni tragici 26 mila vittime. E'
chiaro l'intento politico dell'iniziativa, il richiamo a un passato che la Spagna si è lasciata alle
spalle e che solo in nome di una deprecabile vendetta può essere non dico rimpianto ma
anche solo evocato.
586 - I FUNERALI DI BOVIO PENSANDO A WELBY – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 14 luglio 2007
Caro Augias, per l'avvocato Bovio, morto suicida, un funerale religioso in una grande chiesa,
con ben tre prelati ad ufficiare la messa. E per Welby? Non sarà che la chiesa è più
tollerante con le persone importanti con amicizie importanti? E' solo un'impressione?
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Paolo Fioravanti - [email protected]
Gentile dottor Augias, non ho mai scritto ad un quotidiano, ma ora sono spinta a farlo per un
fatto che mi indigna veramente. Chiedo di venir aiutata a capire un fatto che mi pare
paradossale; ho visto al telegiornale i funerali, in chiesa con rito cattolico, dell'avvocato
Bovio.
Mesi fa quel povero Welby non ha potuto avere una funzione religiosa come richiedeva la
moglie. Il primo è morto suicida, il secondo sappiamo benissimo cosa ha dovuto affrontare
per porre fine ad una vita non vita, suicida anche lui perciò!
La chiesa ancora una volta sta dalla parte di chi può? Se è così, è una cosa vergognosa e
sono perciò molto, ma molto soddisfatta di essermi allontanata da tempo da tutta questa
ipocrisia religiosa.
Con questo però, non voglio dire che non rispetto umanamente la decisione di
quell'avvocato, come per tutti coloro che hanno il coraggio di fare un atto così forte e
doloroso.
Lorena Drosera Venezia - [email protected]
Risponde Augias
L’avvocato Corso Bovio, suicida con un colpo di rivoltella, è stato salutato come meritava un
principe del foro. Piergiorgio Welby, morto per interposta generosa assistenza perché
impossibilitato a sopprimersi da sé, è stato celebrato da migliaia di persone, però in piazza,
davanti alle porte sbarrate della sua chiesa.
Ha commentato Mina Welby, la vedova: «lo non capisco una chiesa che manda quattro
cardinali a benedire la salma del generale Pinochet, un assassino, e nega il funerale a mio
marito perché non voleva più soffrire».
Invece si capisce la logica che ispira due comportamenti così diversi. La chiesa è anche un
organismo politico, cioè di potere.
Dunque risente l'attrazione dei suoi simili, vale a dire altri uomini di potere. Pinochet ha fatto
uccidere e torturare, ha spiantato la democrazia dal suo paese, sicuramente non meritava
l'omaggio di chi si dichiara addirittura l'unico legittimo rappresentante di Gesù sulla Terra,
pretesa che in termini di puro vangelo suona quasi blasfema.
Uno dei preti che hanno celebrato le esequie dell'avvocato Bovio ha detto che la chiesa
ormai non fa più differenza tra i figli di Dio e che dunque si possono celebrare i funerali
anche per coloro che si suicidano. Torna la domanda: perché allora Bovio sì e Welby no?
La risposta non sta nella natura del gesto ma nelle ragioni politiche che hanno vietato di
celebrare in chiesa per Piergiorgio Welby. Il cardinale Ruini temeva che aprire
materialmente la porta della parrocchia a chi aveva chiesto per mesi di far cessare le sue
sofferenze, potesse essere interpretato come un'apertura anche metaforica; uno spiraglio
verso la cessazione volontaria dell'esistenza.
Un conto è chi si uccide nel segreto della sua stanza; un altro è chi trasforma il suo gesto in
una rivendicazione pubblica e civile. Ci sarebbe voluto un atto misericordioso da parte del
cardinale. La politica però conosce l'utile, non la misericordia.
587 - WELBY, LA CHIESA E I FUNERALI MANCATI - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 25 luglio 2007
Dottor Augias, il suo giornale è tornato ripetutamente sulla differenza tra i funerali
dell'avvocato Bovio e quelli di Welby che aveva deciso di fare una scelta fuori dall'etica
cattolica. Intorno a lui si era organizzato un movimento che mira a legittimare quella scelta.
Non crede che fosse contraddittorio far finta di niente e concludere la vicenda con un
funerale in chiesa? Il giudizio sulle persone spetta solo a Dio.
Il legame fra scelte personali pubbliche e segni liturgici spetta alla chiesa. L'invito a pregare
perché Dio lo accolga ma senza confusioni liturgiche mi sembra una soluzione rispettosa
della persona.
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D'altronde la celebrazione dei funerali in chiesa avrebbe dato adito a chi usa l'interesse
politico come unico criterio ad affermare che la chiesa è sempre pronta a passare sui suoi
principi pur di dimostrare che alla fine anche il ribelle si rivolge a lei. Oggi si concedono con
larghezza i funerali religiosi ai suicidi. La sensibilità moderna tende a valutare il suicidio
come un gesto che nasce dalla disperazione e dall'irrazionalità. In questo troviamo la
differenza fra il caso Bovio e la vicenda di Welby. In passato si era severi soprattutto per
motivi pedagogici ed efficaci tanto che Durkheim notava come nei paesi cattolici il tasso di
suicidi fosse più basso che nei paesi protestanti. Oggi si privilegia l'aspetto di irrazionalità
ma per tutti.
Io potrei citare il caso di persone vissute ai margini della società ai funerali dei quali erano
presenti vescovi e sacerdoti che già in vita li avevano incontrati.
don Giuseppe Scaplno - [email protected]
Risponde Augias
Per ammettere in chiesa la salma di un suicida la chiesa presume che si sia trattato di un
gesto repentino di irresponsabilità, una momentanea follia.
Sembra uno di quei brillanti dibattiti in cui si ipotizzava quale sesso dovessero avere gli
angeli. Si discuteva a lungo, dottamente, di cose che nessuno aveva mai visto né sapeva.
La crudeltà verso Welby ebbe motivazioni politiche, negarlo significa voler chiudere ad ogni
costo gli occhi. Dopo la sentenza che ha assolto il medico Mario Riccio, come richiesto
anche dall'accusa, un cardinale di curia ha ripetuto che la vita va vissuta fino alla sua
conclusione naturale e che solo Dio può spegnerla. Chiederei: quale naturalità? Quale Dio?
La naturalità medievale quando si moriva per una semplice infezione intestinale? La
naturalità di anni molto recenti in cui non erano ancora stati scoperti gli antibiotici? La
naturalità di tecniche chirurgiche rudimentali in vigore fino alla metà deI XX secolo? Può Dio
cambiare idea a seconda dei progressi tecnico-scientifici degli uomini, spostare il confine
della vita perché è arrivata la penicillina? L'etica non dovrebbe prescindere dagli accidenti
della storia? Quanto migliore il dominio della legge, norme approvate al solo fine di alleviare
per quanto possibile la sofferenza, evitando inutili terapie, col fine di mantenere quel minimo
di integrità psico-fisica, di dignità, che consente di definire umana la breve esistenza che
conduciamo.
Quanta maggiore generosa preveggenza nella freddezza di un articolo della Costituzione
che consente di interrompere cure capaci solo di far proseguire a un povero organismo
tormentato le sue più umili funzioni.
588 - IL SUICIDIO DI NUVOLI E LE ANIME CANDIDE – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 28 luglio 2007
Caro Augias, mi chiedo cosa debba provare un credente provvisto di coscienza, di fronte al
fatto che un'ideologia astratta obblighi un malato impossibilitato a respirare da solo, a
suicidarsi negandosi cibo e acqua. Non ho molte preoccupazioni sulla coscienza dei
cattolici, chi ha la possibilità di essere perdonato recitando qualche preghiera deve sentirsi
certo più leggero di me che su questo orrore mi interrogo da giorni. Da cittadino italiano mi
pesa molto di più che lo Stato, che dovrebbe tutelarci da abusi contro il nostro libero arbitrio,
abbia impedito ad un anestesista di dar libero corso alla sovrana volontà di un cittadino su
se stesso. Provo malinconia e dolore.
Stefano Ferrari - [email protected]
Risponde Augias
Molte lettere sulla nuova atrocità commessa nel nome di una religione che sa ancora essere
spietata, come spesso in passato. Ho appreso dalla voce dei protagonisti {'Primo Piano' Rai3), quale morte ha avuto Giovanni Nuvoli. Credo utile che queste circostanze si fermino
nella nostra coscienza.
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Il 13 luglio scorso, un medico anestesista, il dottor Ciacca, si è recato in casa di Nuvoli per
staccarlo dalle macchine, come il povero malato aveva più volte implorato. L'accesso
all'appartamento è stato impedito dai carabinieri comandati a quel compito penoso da un
magistrato. Per protesta Nuvoli, uomo di strenuo coraggio nonostante la malattia, ha smesso
di mangiare e di bere. Tre giorni dopo è stato colto da crampi che causavano un dolore
insopportabile per cui è stato costretto ad assumere di nuovo del cibo. Sei giorni è andato
avanti in queste condizioni, tra sofferenze indicibili, mentre le anime candide esaltavano la
bellezza della vita che va mantenuta fino a quando al Signore piace. Sinceramente e con
molta umiltà mi chiedo alle volte quale immagine di Dio debbano avere certi cattolici per dirsi
certi che un’entità onnipotente sia contenta di infliggere simili torture.
Il 23 luglio finalmente, dopo tante inutili sofferenze, il forte cuore di Giovanni Nuvoli ha
cessato di battere. Sua moglie Maddalena ha commentato con parole di immensa dignità:
"Una fine atroce, brutta, crudele, che mi fa vergognare di appartenere al genere umano. Il
nostro Stato non sa neppure leggere la Costituzione che si è data".
Ilaria Caputi mi ha scritto una lettera sconvolta dalla quale traggo queste parole: «Guardo le
foto di Welby, di Nuvoli e immagino mille altri volti di esseri torturati verso i quali una chiesa
che si dice madre si comporta da matrigna. Ci sarà il Giudizio, e se il criterio sarà la carità,
dovranno arrossire coloro che dall'alto della loro salute osano decretare il prolungamento del
dolore di esseri inermi».
In quello stesso programma il deputato Rocco Buttiglione ha difeso le ragioni della chiesa
sottilmente distinguendo tra la volontà di Welby e quella di Nuvoli. Sembrava di essere
tornati alle belle discussioni della Controriforma quando si disquisiva sulla natura del
peccato e quindi sulla natura della pena da infliggere.
C'è voluto un altro parlamentare, Ignazio Marino (anch'egli cattolico, va detto), per ricordare
l'assurda crudeltà di impiegare i carabinieri per impedire il naturale rapporto fra medico e
paziente.
Così stanno le cose in Italia, nel XXI secolo.
Povero Nuvoli, requiescat.
Commento. Bravo Corrado! E grazie per aver utilizzato per la tua risposta alcuni brani del
resoconto di LiberaUscita sulla trasmissione “Primo Piano” del 25 luglio u.s. (gps)
589 - SENECA E L'EUTANASIA - DI FRANCO MARCOALDI
da: la Repubblica di sabato 14 luglio 2007
L’intento del libro di cui vorrei parlare oggi è chiaro sin dal titolo: In difesa dell'eutanasia
(edizioni Il Melangolo). A curarlo è stato Carlo Angelino, docente di Estetica all'Università di
Genova, che fa precedere una breve antologia tematica con pagine tratte dagli stoici,
Seneca, Hume e Nietzsche, da un suo scritto polemico in cui ricorda come da qualche
tempo in qua la parola eutanasia sia diventata un tabù: «quasi che colui che osa
pronunciarla commetta un peccato mortale, un crimine e sia destinato, in ogni caso, alle
fiamme dell'inferno».
La smemoratezza, evidentemente, regna sovrana; visto che, al contrario, quella parola in
origine indica una «morte felice, serena, dolce e, in ogni caso, nobile e razionale». Figlia
della cultura greca, l'eutanasia non ha «quindi nulla a che fare con il nichilismo europeo; è
piuttosto espressione della libertà umana: l’arte del morire bene che gli antichi insegnavano
e che, purtroppo, ha fatto la sua scomparsa con l'avvento del cristianesimo».
Seguono i grandi nomi del pensiero a cui il curatore affida la sua tesi. Tra i quali brilla
Seneca che, nelle pagine Sulla morte volontaria tratte dalle Lettere a Lucilio, scrive tra
I'altro: «Non è un bene il vivere, ma il vivere bene». Alcuni filosofi, prosegue Seneca,
negano il diritto di far violenza su stessi e ritengono che bisogna assecondare il volere della
natura. «Dire ciò significa non accorgersi che si chiude la via della libertà. La legge eterna
non ha fatto di meglio di questo: ci ha dato un solo modo per entrare nella vita, ma molte
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possibilità di uscirne. Dovrei aspettare la crudeltà di una malattia o di un uomo, quando
posso andarmene sfuggendo ai tormenti e alle avversità? Questo è l'unico motivo per cui
non possiamo lagnarci della vita: essa non trattiene nessuno».
590 - TRA IL DIRE DELLE ENCICLICHE E IL FARE DEI PAPI - DI JOSÉ M. CASTILLO
da: Adista del 17.7.2007
Nel 1967, quando Paolo VI pubblicò l’enciclica Populorum progressio, la Chiesa viveva un
momento decisivo. Da poco più di un anno si era concluso il Vaticano II. Uno dei problemi
più gravi che in quel momento affrontava la Chiesa era vedere se il papato avrebbe preso
sul serio il Concilio o se, piuttosto, si sarebbe preoccupato di mantenere ad ogni costo il suo
potere e il controllo della Curia sul Collegio dei vescovi e, mediante loro, il dominio sulla
Chiesa intera. Senza entrare qui nelle questioni tecniche legate a questo tema e nella sua
storia tormentata, una cosa è risultata chiara negli ultimi quarant’anni: il papato è stato più
forte del Concilio. E anche più forte del Collegio episcopale e della Chiesa intera. Ha
trionfato il papato. E, con esso, la Curia vaticana, i suoi monsignori e i suoi teologi. Ma è
stato questo il meglio per la Chiesa e per il mondo? Questo è uno dei problemi più seri che
dobbiamo affrontare a 40 anni dalla pubblicazione della Populorum progressio. Perché?
Per rispondere a questa domanda, la chiave si trova nel termine progressio, “sviluppo”. La
Chiesa deve centrarsi sul progresso di se stessa o su quello dei popoli? Il compito centrale
della Chiesa, cioè, è quello di difendere le proprie verità, il proprio potere, il proprio influsso
sulla società, i propri diritti e le proprie prescrizioni? O, al contrario, il compito centrale della
Chiesa è promuovere lo sviluppo dei popoli, alleviare la sofferenza degli ultimi di questo
mondo, mettersi dalla parte di quelli che sono considerati i “nessuno” della terra? La risposta
di Paolo VI a questa domanda risulta chiara nel titolo dell’enciclica: quello che ci deve
preoccupare e interessare è lo sviluppo dei popoli prima che quello della Chiesa. Questa
risposta del papa nel 1967 si fece più evidente nel ’68, quando Paolo VI presiedette
l’apertura della Conferenza dell’episcopato latinoamericano a Medellín (Colombia).
Avvenimento che viene considerato il punto di partenza della Teologia della Liberazione. In
quel momento, per come si vedevano le cose allora, sembrava che la Chiesa avesse optato
non per l’esaltazione del papato ma per lo sviluppo dei popoli. E in modo molto speciale per
la liberazione dei poveri e degli oppressi.
Tuttavia, quanto ho appena detto esprime una visione parziale e, pertanto, incompleta di
quello che realmente succedeva nella Chiesa. Perché, come ben sappiamo, papa Montini
era, secondo l’espressione che viene attribuita a Giovanni XXIII, “il nostro Amleto di Milano”.
Un uomo che, come il principe danese di Shakespeare, “aveva la tendenza più a dubitare e
a vacillare che a decidere” (H. Küng). Un modo d’essere che lo portò ad anteporre il
progresso dei popoli agli interessi della Chiesa, ma, allo stesso tempo, a proibire che nel
Concilio si ponesse il problema del celibato dei preti e, dopo la sua presenza a Medellín a
sostegno della liberazione dei poveri, a pubblicare la Humanae vitae, accentuando così la
crisi di credibilità che, da allora, soffre il magistero della Chiesa. Il fatto è che Paolo VI fu un
papa indeciso, che non fu capace di riformare la Curia, come aveva chiesto il Concilio. Un
papa che pensò molto e decise poco. E che, quando prese decisioni importanti, fu
precisamente a favore delle tesi che, nel Vaticano II, aveva difeso la teologia integrista della
Curia con i suoi scribi.
In ciò penso si trovi una delle chiavi che ci mostrano, a 40 anni dalla Populorum progressio,
il perché la Chiesa, nel 2007, abbia parlato molto della liberazione dei poveri ma abbia
promosso e potenziato in realtà il potere del papa e della Curia. I documenti sociali di Paolo
VI e Giovanni Paolo II sono stati abbondanti. Ma quello che davvero cambia la Chiesa non è
quello che il papa dice nelle encicliche, ma quello che il papa fa nel governo della Chiesa. E
sappiamo bene che quello che il papato ha fatto, in questi 40 anni, è stato soprattutto
potenziare l’immagine pubblica del papa, il suo prestigio nel mondo, il suo potere e la sua
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influenza di fronte ai magnati della politica e dell’economia. Questa scalata al potere da
parte del papa inizia già con Paolo VI, ma raggiunge la vetta più alta con Giovanni Paolo II.
Ero a Roma il giorno in cui seppellirono Giovanni XXIII, in un funerale semplice, di
pomeriggio, con piazza San Pietro piena di gente semplice, di gente del popolo, che
piangeva (sic) la morte di quell’uomo semplice ed umile. La splendente mattina in cui hanno
seppellito Giovanni Paolo II, piazza San Pietro era occupata da più di duecento capi di
Stato, i grandi della politica e del mercato, ben protetti dalla polizia e dall’esercito.
L’impressionante funerale di Giovanni Paolo, uno spettacolo incredibilmente abbagliante, ha
seppellito non solo papa Wojtyla ma anche la Chiesa voluta da papa Giovanni.
Negli ultimi 40 anni, la distanza tra i più ricchi e i più poveri del mondo è diventata un abisso
che opprime tutti. I maggiori responsabili di questa situazione apocalittica non sono stati
quelli che erano in piazza San Pietro al funerale di Giovanni XXIII, ma i magnati che
occupavano il centro della piazza la mattina in cui è stato seppellito Giovanni Paolo II. Un
papa che, lasciando questo mondo, ha mostrato molto chiaramente che le encicliche sociali
servono a poco, se chi le scrive mantiene le migliori relazioni possibili con i maggiori
responsabili del fatto che in questo mondo vi sia tanta fame, tanta umiliazione e tanto dolore.
Oggi sappiamo molto bene che Giovanni Paolo II prese molto seriamente la lotta contro il
comunismo e che, a questo scopo, potenziò il sindacato Solidarnosc in Polonia. Per
rafforzare Solidarnosc, Giovanni Paolo II aveva bisogno di molto denaro. E lo ottenne
mediante accordi segreti con l’amministrazione Reagan, come hanno dimostrato Carl
Bernstein e Marco Politi, nel loro noto libro His Holiness (“Sua Santità”) (1996).
Giovanni Paolo II fu sensibile alla minaccia reale del comunismo. Non fu ugualmente
sensibile alla minaccia del capitalismo. Giovanni Paolo II trionfò il giorno in cui cadde il muro
di Berlino. Ma quel papa non si rese conto che, da quel giorno, il capitalismo diventava
padrone e signore esclusivo del mondo. E le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti. Il
prestigioso (e moderato) economista Jeffrey Sachs, nel suo studio The End of Poverty (“La
fine della povertà”) (2005), ha detto: “Attualmente, più di otto milioni di persone muoiono tutti
gli anni in tutto il mondo perché sono troppo povere per sopravvivere”. Se questo si poteva
dire già negli anni Novanta e, naturalmente, si può dire in questi primi anni del XXI secolo,
ciò significa che, se nei Paesi comunisti (secondo il noto e ben documentato Libro nero del
comunismo) sono state assassinate circa 90 milioni di persone in più di mezzo secolo, nel
mondo capitalista si sono uccisi più di 130 milioni di esseri umani in poco più di 15 anni. Il
capitalismo si spinge nel crudele ufficio di uccidere più in là del comunismo o del nazismo,
per citare due esempi drammatici e recenti.
È evidente che la crudeltà del sistema capitalista, così come esso funziona, è ai poveri della
terra che fa più male. Ma non solo ad essi. Fa male anche alla Chiesa e al papato. Perché
lesiona gravemente la credibilità del magistero ecclesiastico. Chi può credere a quello che
dicono le encicliche sociali della Chiesa, se i papi vengono ricevuti con tutti gli onori dai
massimi responsabili del dolore a cui gli stessi papi dicono di voler porre rimedio in tali
encicliche? Si è detto, con ogni verità, che “una convinzione si definisce dal fatto che
orientiamo il nostro comportamento in base ad essa”. O, detto in modo più semplice, “una
convinzione è una regola di comportamento” (J. Habermas). Se è così, si può pensare che i
papi siano seriamente convinti di quello che dicono nelle loro encicliche sociali? Come
possono essere convinti che il dolore dei poveri sia la cosa più urgente a cui porre rimedio,
se poi ricevono solennemente, e così “legittimano”, i maggiori responsabili del dolore dei
poveri? Queste domande ci pongono di fronte a una questione molto grave. Perché non
dobbiamo mai dimenticare che la fede religiosa non è un mero sapere, ma anche (e
soprattutto) una convinzione. Ma si può pensare che credano nel Vangelo quanti si
comportano come i grandi e i notabili di questo mondo, come si vede che fanno i papi,
parecchi cardinali e molti vescovi?
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Il 6 agosto 1984, l’attuale papa, allora card. J. Ratzinger, rese pubblica l’Istruzione su alcuni
aspetti della Teologia della Liberazione. Il verdetto dell’Istruzione era di condanna. Di questo
si è già scritto molto e non lo ripeterò qui. Quello che credo vada sottolineato è che, nel caso
di questa Istruzione, non è avvenuto ciò che suole avvenire con le encicliche sociali. Le
encicliche restano mera dottrina. L’Istruzione, oltre che dottrina, fu espressione di una
convinzione. E questa volta, senza dubbio, convinzione che, essendo autentica, sfociò in
“comportamento”. Il comportamento che ha avuto il Vaticano con le Comunità di Base, con i
teologi della Liberazione, dalla condanna di Leonardo Boff al documento contro la teologia di
Jon Sobrino, e soprattutto nella “politica” delle nomine dei vescovi seguita negli ultimi 25
anni. Il papa e la Curia hanno la salda e decisa “convinzione” che alla Chiesa interessano
più i vescovi sottomessi a Roma che i vescovi fedeli al Vangelo. Interessano più i vescovi
che non causano problemi con i governi che i vescovi che lottano per difendere i poveri. E,
più di ogni altra cosa, quello che veramente interessa in Vaticano è che i vescovi, i preti, i
religiosi e le religiose, i fedeli tutti, vivano la mistica della sottomissione a quanto dice il papa
e a quanto decide il papa. E, oltre a ciò, al Vaticano interessa avere fedeli che amino il papa.
Perché non dimentichiamo che, come ha detto Pierre Legendre, “l’opera maestra del potere
consiste nel farsi amare”. Perché così, e solo così, si perpetua la sottomissione.
Il papato lo ha ottenuto. Il suo trionfo, in questo senso, è innegabile. Ma è stato ed è il
meglio per la Chiesa? Il noto scrittore John Cornwell, riferendosi a Giovanni Paolo II, ha
detto che “quando il papato cresce in importanza a scapito del popolo di Dio, la Chiesa
decade in influenza morale e spirituale, a danno di tutti noi”. Si può pensare
ragionevolmente che Cornwell abbia centrato il punto.
José María Castillo, teologo spagnolo, si è dimesso dai Gesuiti ed è autore di:
- Simboli di libertà – analisi teologica dei sacramenti
- La Chiesa e i profeti
- I poveri e la teologia – vita, libertà, utopia nella teologia del terzo millennio.
591 - LA CHIESA, UN’ORGANIZZAZIONE DI POTERE - DI EUGENIO SCALFARI
Riportiamo qui sotto un "post scriptum” a firma di Eugenio Scalfari apparso in calce al
suo editoriale su “la Repubblica” di domenica 22.7.2007
Alcuni lettori si chiedono e ci chiedono perché mai la Chiesa abbia celebrato con tutti
gli onori previsti dalla liturgia i funerali dell’avvocato Corso Bovio, eminente figura del
Foro milanese, morto suicida, ed abbia invece negato quei funerali all’ammalato
Welby che fu aiutato da un amico generoso a interrompere cure inutili che
perpetuavano senza scopo alcuno una vita di intolleranti sofferenze.
Una spiegazione pare che ci sia da parte della Chiesa. Dal diniego opposto contro
tutti i suicidi, essa è passata col tempo ad una visione più duttile (più ipocrita)
secondo la quale il suicidio deriva da un "raptus", una perdita improvvisa di
coscienza. Su questa base il suicida viene "perdonato" e ammesso ai funerali
religiosi che mandano in pace l’anima sua e sono di conforto per i suoi parenti. Nel
caso Welby invece l’ipotesi del "raptus" non poteva essere adottata poiché si trattava
di un militante che voleva contrastare l’accanimento terapeutico. Di qui il divieto di
celebrare il funerale religioso nonostante fosse stato richiesto insistentemente da lui
e dai suoi familiari.
Che possiamo rispondere ai nostri lettori? Che la Chiesa è, oltre che un’organizzazione
religiosa, anche se non soprattutto un’organizzazione di potere. É anzi un potere a tutti gli
effetti e si muove come tale su un’infinità di questioni che hanno poco o nulla a che vedere
con la religione dell’amore e della carità predicata dai Vangeli. Come tutte le organizzazioni
di potere, anche la Chiesa usa largamente lo strumento dell’ipocrisia. Questo è tutto.
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592 – LA DESISTENZA TERAPEUTICA – DI GUIDO BERTOLINI
da: La Repubblica di mercoledì 25 luglio 2007
Il Gruppo per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva riunisce più di 320 terapie
intensive. Nel 2005 ben 84 rianimazioni hanno raccolto le informazioni più delicate sulle
decisioni assunte per i pazienti alla fine della vita. L’ambito più interessato dal testamento
biologico sarà proprio il nostro.
In terapia intensiva entrano due tipi di pazienti: coloro che hanno perso una o più funzioni
vitali e morirebbero nel giro di poche ore, e coloro che, a rischio di gravi complicanze,
devono essere controllati da personale pronto a intervenire.
I primi, i pazienti critici, corrispondono a circa il 70% dei ricoveri. L’intensivista sostiene le
funzioni vitali, soprattutto respiratoria e cardiocircolatoria, per guadagnare tempo. Quando la
malattia di base non sia più curabile, la sostituzione delle funzioni vitali si fa
progressivamente inefficace, e i trattamenti intensivi hanno l’unico effetto di prolungare
l’agonia. Diviene allora doveroso desistere dalle cure massimali e operare contro il dolore (e
per il sostegno ai parenti). Insistere con cure di accertata futilità è contrario alla dignità della
persona, e ai principi di beneficenza e di non-maleficenza, come sanciscono Convenzione di
Oviedo e Codice di Deontologia, Comitato di Bioetica e Catechismo cattolico e Confessioni
cristiane.
E´ assurdo porre sullo stesso piano l’eutanasia e la desistenza da cure inappropriate per
eccesso. Oltretutto la desistenza terapeutica è pratica comune: così quando l’oncologo
interrompe la terapia anti-tumorale, passando alla palliativa, nei pazienti che non rispondono
più alle cure.
Ecco i nostri rilievi.
I disegni di legge non menzionano la desistenza terapeutica come atto dovuto, quando le
procedure si rivelano sproporzionate e senza speranza. L’esplicita menzione impedirebbe di
confondere i trattamenti da attuare doverosamente in assenza di testamento biologico dal
mero accanimento terapeutico. La ricerca mostra che il 62% dei decessi in terapia intensiva
sono preceduti da forme di desistenza terapeutica. Ogni anno vengono ricoverati in questi
reparti circa 150.000 pazienti, e circa 30.000 decedono: parliamo di una realtà
estremamente rilevante.
I disegni di legge identificano o il giudice o il familiare come fiduciario nominato d’ufficio, se
non abbia provveduto il paziente. Entrambe le soluzioni sono problematiche per la terapia
intensiva, dove prevalgono condizioni acute e impreviste (si pensi al trauma o all’emorragia
cerebrale). In simili circostanze, il coinvolgimento del giudice ha tempi incompatibili: il 50%
delle decisioni di desistenza terapeutica viene preso entro 4 giorni dall’ingresso e spesso un
ritardo significa solo prolungare l’agonia. Quanto ai familiari, di fronte a un evento come il
ritrovarsi improvvisamente il figlio o la madre in fin di vita, possono comprensibilmente
perdere lucidità. Obbligare un familiare alla responsabilità di decisioni tali da suscitare
angosciosi sensi di colpa, va contro la giusta tutela della famiglia a cui si mira. Dalla nostra
ricerca, solo nel 44% dei casi la famiglia viene pienamente coinvolta nelle decisioni. Questo
non significa che negli altri casi il paziente venga abbandonato. Il supporto terapeutico pieno
viene assicurato più spesso nelle due situazioni opposte, in cui i familiari sono
particolarmente vicini e coinvolti e quello in cui sono assenti o per nulla coinvolti. Il medico, e
più ancora l’équipe dei medici e degli infermieri (la legge potrebbe prevedere, laddove
possibile, decisioni prese collegialmente) possono fungere da veri garanti per il paziente.
Questo principio è il fondamento stesso della professione medica.
Ancora: alcuni disegni di legge prevedono un collegio (un neurologo, uno psichiatra e uno
specialista nella malattia del paziente) che decida se un paziente è in grado di intendere e
volere. Questo è possibile per un paziente cosciente che chiede l’interruzione di trattamenti,
non per le condizioni acute gestite in rianimazione. E´ irrealistico che il rianimatore chiami,
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alle 3 di notte, il neurologo, lo psichiatra e un altro specialista per giudicare se un paziente in
coma profondo per un trauma cranico sia in grado di intendere e volere!
Sulla gestione delle controversie i disegni di legge affidano la soluzione al giudice o al
comitato etico. Valgono le considerazioni sui tempi di decisione: e il comitato etico, nella
maggior parte degli ospedali, si riunisce una volta ogni uno o due mesi, quando non manchi
il numero legale. Una legge chiara e necessaria deve badare a non introdurre incognite in
un così vasto e delicato contesto di vita.
(L’autore è membro del gruppo per la valutazione degli interventi in terapia intensiva, con cui
ha pubblicato il libro "Scelte di vita. L’esperienza di cura nei reparti di terapia intensiva")
593 - L’ORDINANZA DEL GIP DI ROMA CHE RINVIA A GIUDIZIO MARIO RICCIO
Si riporta integralmente l’ordinanza del dr. Renato La Viola, Giudice per le Indagini
Preliminari del Tribunale di Roma, con cui ha imposto alla Procura della Repubblica di
rinviare a giudizio il dr. Mario Riccio con l’imputazione di omicidio dl consenziente.
Il Giudice, a scioglimento della riserva, esaminata la richiesta di archiviazione formulata dal
PM in data 5/3/2007; sentite le parti intervenute all’udienza camerale del 28/5/2007;
osserva
Risulta dagli atti che Piergiorgio Welby, portatore da moltissimi anni di distrofia muscolo
scapolo omerale progressiva, è deceduto in data 20/12/2006, presso la propria abitazione, a
seguito del distacco dal ventilatore polmonare, avvenuto sotto sedazione.
La procedura seguita è riportata nel diario clinico redatto dal medico anestesista Riccio
Mario e sottoscritto, quali “testimoni”, dalla moglie e dalla sorella di Welby, Wilhemine Schett
e Carla Welby , dall’On. Marco Pannella e dall’On. Marco Cappato; in sintesi, dopo aver
acquisito il consenso di Welby ad interrompere la terapia ventilatoria, il medico anestesista
iniziava la sedazione, mediante la somministrazione per via venosa di Ipnovel e Propofol, e
contestualmente provvedeva al distacco dal ventilatore polmonare; l’operazione, iniziata alle
ore 22.00, aveva termine alle ore 23.40, con il decesso del paziente.
Dalla disposta consulenza tecnica risulta che la morte à stata causata da una gravissima ed
irreversibile insufficienza respiratoria e che alle sostanze somministrato per la sedazione,
rinvenute a seguito delle indagini di laboratorio chimico tossicologiche, “in concentrazioni da
considerarsi al di sotto del range terapeutico” (il Propofol , mentre per l’Ipnovel le indagini
hanno dato esito negativo), non é possibile attribuire un ruolo causale o concausale di
rilevanza penale nel determinismo della morte; in altri termini, la morte di Welby è attribuibile
unicamente alla “sua impossibilità di ventilare meccanicamente in maniera spontanea a
causa della gravissima distrofia muscolare di cui lo stesso era affetto”.
Piergiorgio Welby era una persona costretta alla completa immobilità, senza possibilità di
guarigione ma non in fase terminale ed anzi con una non brave aspettativa di vita; da ultimo
riusciva a comunicare con estrema difficoltà, a risposte chiuse, ma era consapevole e in
grado di sostenere con forza le proprie ragioni; in un suo appello al Presidente della
Repubblica, ampiamente riportato dai media, aveva chiesto che gli venisse riconosciuto il
diritto di interrompere la terapia che lo teneva in vita.
Sostiene il PM nella richiesta di archiviazione che nel nostro ordinamento giuridico è
riconosciuto al paziente il diritto di autodeterminazione e cioè il diritto di scegliere
autonomamente se effettuare o meno un determinato trattamento sanitario (artt. 13 e 32
Cost); che tale diritto è affermato in convenzioni internazionali, recepite nel nostro
ordinamento (cosiddetta convenzione di Oviedo) ed è ribadito dal Codice di deontologia
medica; che nessun addebito è ascrivibile al medico che, in caso di impossibilità fisica del
paziente, abbia agito per dare effettività al diritto del paziente che già aveva espresso la
volontà di interrompere la ventilazione meccanica; che il comportamento del medico non è,
parimenti, penalmente censurabile per non aver, dopo il distacco, reimpiantato la
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ventilazione, in quanto non sussiste a carico del medico un obbligo di mantenere in vita il
paziente, quando - ovviamente - le cure sono palesemente inutili.
La posizione espressa dal PM nella richiesta di archiviazione riprende, anche se in termini
più problematici, quella espressa dallo stesso Ufficio, nel procedimento instaurato innanzi al
Tribunale civile di Roma, con ricorso proposto ex art. 700 cpc da Piergiorgio Welby nei con
fronti della ANTEA Associazione Onlus e del dott. Giuseppe Casale.
Nell’atto di intervento proposto nel citato procedimento, il Pm afferma con decisione
l’esistenza di un diritto del paziente ad autodeterminarsi liberamente nella scelta del
trattamento sanitario e che l’interpretazione di un tale diritto deve avvenire secondo il
principio di massima effettività (salvo poi rimettere al medico, dopo il distacco del ventilatore
polmonare, la valutazione circa “la necessità di salvare il paziente dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona”, da effettuarsi tenendo presente che il trattamento non deve porsi
“in contrasto con la regola de divieto di accanimento terapeutico”).
Ancora più netta è la posizione espressa dal PM nell’atto di reclamo avverso l’ordinanza del
Giudice che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso; in tale atto, si afferma che se un
diritto è riconosciuto deve essere tutelato dall’ordinamento giuridico e che, nel caso d
specie, era possibile procedere a cure palliative di tipo sedativo prima di interrompere il
respiratore artificiale.
Nell’attuale procedimento, invece, il PM affronta il problema principale che si pone in tale
vicenda, e cioè se il diritto di autodeterminazione, costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.)
incontra un limite nei casi di tutela e di salvaguardia della via umana, nel nostro ordinamento
riconosciuto come un diritto inviolabile della persona (art 2 Cost.); la soluzione cui perviene il
PM, considerate le circostanze del caso specifico (volontà espressa dal paziente di
interrompere la ventilazione meccanica artificiale, impossibilità di guarigione o di
miglioramento delle condizioni di salute e quindi inutilità delle cure), è quella posta a
fondamento della richiesta di archiviazione.
Infine, appare opportuno esporre, in sintesi, il ragionamento seguito dal giudice civile nella
ordinanza, emessa il 15/12/2006, di inammissibilità del ricorso presentato da Piergiorgio
Welby afferma il giudice civile che nel nostro ordinamento giuridico esiste “il principio
dell’autodeterminazione della persona in ordine ai trattamenti sanitari nella sua massima
espansione... fino a comprende il diritto... di rifiutare la terapia e di decidere
consapevolmente di interrompere la terapia, in tutte le fasi della vita, anche in quella
terminale, in cui deve ritenersi riconosciuta all’individuo la libertà di scelta del come e del
quando concludere il ciclo vitale, quando ormai lo spegnimento della vita è ineluttabile, la
malattia incurabile e per mettere fine alle proprie sofferenze”; dopo aver considerato che “il
divieto di accanimento terapeutico è un principio solitamente basato sui principi costituzionali
di tutela della dignità della persona”, il Giudice afferma che “sul piano dell’attuazione
pratica”, e nel caso specifico, il diritto del ricorrente di richiedere la interruzione della
respirazione assistita, con distacco del respiratore artificiale e previa somministrazione della
sedazione terminale... non è completamente tutelato dall’ordinamento giuridica, in quanto, in
assenza di una disciplina normativa, non è possibile stabilire se una determinata attività
medica rientri o meno nel divieto di accanimento terapeutico.
Ciò considerato, non si può non rilevare, preliminarmente, che alcuni elementi
contribuiscono a rendere la decisione ancora più difficile e sofferta: 1) il medico anestesista
procede a distacco del ventilatore artificiale il 20/12/2006 , e cioè subito dopo che il ricorso
era stato dichiarato inammissibile, con ordinanza del 15/12/ 2006; 2) il medico anestesista
non è il medico che aveva avuto in cura o seguito nella lunga malattia il Welby ovvero il
medico di una struttura sanitaria o ospedaliera ove il Welby era stato ricoverato, bensì un
medico in contatto con un’associazione vicina ad esponenti di un partito politici, dichiaratosi
disponibile ad attuare la volontà espressa da Welby di interrompere la terapia di respirazione
artificiale.
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In altri termini, suscitano forti perplessità, almeno in questo giudice, le modalità seguite per
dare attuazione ad un diritto costituzionalmente garantito e pacificamente riconosciuto;
intrapresa inizialmente la via giudiziaria, in concreto senza un positivo riscontro, si decide di
agire autonomamente in via di fatto, verosimilmente confidando nella posizione espressa
dall’Ufficio della Procura, titolare dell’azione penale; inoltre, il timore evocato dal giudice
civile sulla possibilità che l’attuazione di un diritto in assenza di una disciplina normativa, sia
rimessa “alla totale discrezionalità di qualsiasi medico al quale la richiesta venga fatta” si è
rivelato fondato; anche l’evidente connotazione politica data al caso Welby e la forte
esposizione mediatica hanno, in qualche modo, determinato una sovrapposizione di piani
che invece dovevano rimanere distinti.
La dolorosa vicenda personale d Welby impone un’attenta riflessione su questioni che, da
tempo e a livello internazionale, lacerano le coscienze e suscitano forti emotività; sono tante
le incertezze perché sono tante le domande alle quali non sempre è agevole dare una
risposta. Limitata la riflessione ai profilo giudiziario della vicenda, una prima questione che si
pone è data dalla qualificazione del fatto, e cioè stabilire in quale categoria concettuale il
fatto deve essere compreso.
Nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 21/12/2006, e quindi immediatamente dopo
l’intervento, il medico anestesista, nell’indicare le ragioni della propria condotta
professionale, tiene a precisare che nel “caso Welby” non sono attinenti le problematiche
che concernono l’eutanasia, l’accanimento terapeutico, la sospensione del trattamento o le
direttive anticipate, trattandosi, invece, dell’attuazione di un diritto costituzionalmente
riconosciuto, quale il diritto del paziente di rifiutare le cure. Ciò è vero, almeno in parte,
anche se l’interpretazione data dal medico anestesista non sposta, nella sostanza, i termini
della questione.
Deve, difatti, escludersi che l’intervento praticato dal Riccio rientri tra i casi di eutanasia
attiva, che, invece, si configura quando l’acceleramento della morte è determinato da un
comportamento attivo del medico (in tal senso, l’esito della disposta consulenza tecnica)
parimenti improprio è il riferimento all’accanimento terapeutico, in quanto, nel caso di specie,
non era praticata alcuna terapia, in senso stretto, mentre la predisposizione e il
funzionamento di un sostegno vitale, quale il ventilatore artificiale, non possono certo essere
intesi come una forma di accanimento, come evidenziato anche dal dott. Casale, nel
passaggio riportato nell’ordinanza emessa dal giudice civile (“non c’è accanimento
terapeutico perché il respiratore non è “futile”. Se io stacco il respiratore il paziente muore”);
evidentemente, non è un caso di direttive anticipate (o testamento biologico), avendo il
paziente espresso la propria volontà di interrompere la ventilazione artificiale, anche al
momento dell’intervento, come affermato dai “testimoni” presenti (sul punto, la questione
affrontata in sede civile circa il comportamento del medico dopo il distacco dal ventilatore
artificiale, ad avviso di questo giudice, può essere superata, in quanto se si riconosce al
paziente il diritto di rifiutare le cure, appare evidente che l’attuazione di tale diritto debba
avvenire in assenza di inutili sofferenze, a tutela della dignità umana).
Deve, però, rilevarsi che fra le forme di “aiuto a morire” rientrano anche i casi di eutanasia
passiva, consistente nella mera omissione o interruzione del trattamento terapeutico
necessario; se, poi, si procede con l’interruzione di un trattamento di sostegno vitale, si
configura un caso di omissione mediante azione.
Nel caso di specie è, appunto, quello che si verificato, avendo il medico anestesista
proceduto, previa sedazione, al distacco del ventilatore artificiale, con conseguente morte
del paziente; il fatto che il paziente abbia espresso la volontà di rifiutare le cure, serve a
qualificare e a specificare ulteriormente tale categoria concettuale, senza porsi in contrasto
con la stessa; in altri termini, acquisito il consenso del paziente, si configura un caso di
eutanasia passiva consensuale (in assenza del consenso del paziente, invece, le diverse
forme di “aiuto a morire” integrano l’ipotesi di omicidio comune); il criterio di distinzione tra
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eutanasia passiva e rinuncia al trattamento medico, determinato in base alle finalità ed utilità
della terapia (adottato in un atto legislativo dello Stato della California) nel caso di specie
porterebbe alla medesima valutazione, in quanto attraverso la terapia di ventilazione
assistita era possibile riconoscere al paziente un’aspettativa di vita di non breve durata
(diverso è il problema della qualità della vita, connotato da fattori soggettivi, non definibili se
non genericamente e quindi necessariamente esposti ad un insidioso relativismo giuridico).
Sul piano concreto, le modalità adottate per dare attuazione al diritto di interrompere la
terapia di ventilazione artificiale, come già evidenziato, sono discutibili anche sotto il profilo
etico, specie se raffrontate con la disciplina vigente in altri Paesi di profonda cultura
giuridica, ove il rispetto dei diritti individuali è ampiamente riconosciuto e garantito, ivi
compreso il diritto di rifiuto delle cure (è sufficiente rilevare che la legislazione più “aperta” a
tali forme di intervento, in Olanda, prevede che a verificare la sussistenza dei numerosi
requisiti sul consenso e sulle ragioni del consenso prestato dal paziente sia una
commissione esterna composta da un giurista, da un medico e da un esperto di etica)
Nel caso di specie, invece, le modalità sono state stabilite direttamente dai diretti interessati,
e nonostante una decisione sfavorevole del giudice; più semplicemente, si è ritenuto che,
acquisito il consenso del paziente, “qualsiasi” medico fosse legittimato ad intervenire nel
senso richiesto, al di fuori di qualsiasi verifica esterna (ma allora non si comprende la
ragione della precedente richiesta, in via giudiziaria, se si poteva intervenire direttamente
anche senza la decisione del giudice).
Appare evidente che, in tal modo, un problema angoscioso, che lacera le coscienze in tutti i
Paesi ad avanzata civiltà giuridica, è stato non risolto ma semplicemente negato.
E’ riconosciuto nel nostro ordinamento costituzionale il diritto alla salute e di
autodeterminazione; come recita l’art. 32 Cost. “nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”; è sicuramente un
principio di civiltà giuridica, introdotto nella Carta Costituzionale per affermare solennemente
il principio di libertà di cura (era ancora recente il ricordo della sconvolgente esperienza
vissuta nel passato regime nazista, ove venivano imposti trattamenti sanitari per finalità di
eugenetica, di studio o di esperimento).
Deve, inoltre, essere riconosciuto obiettivamente che tale principio ha assunto una più forte
valenza, negli anni, con il progresso scientifico e con lo sviluppo delle tecnologie in campo
medico; se nel passato il ciclo vitale seguiva il suo corso naturale, attualmente è possibile
procrastinare, anche a tempo indefinito, la morte attraverso apparati di sostegno. Ed allora,
si pone il problema di un riequilibrio nel rapporto tra medico e paziente, nel senso di
riconoscere al paziente, nella gestione di tale rapporto, una più ampia possibilità di scelta e
di decisione.
L’affermazione di un diritto costituzionalmente riconosciuto comporta che allo stesso debba
essere data attuazione, anche in assenza di una specifica disciplina normativa, con il solo
limite del rispetto degli altri diritti costituzionalmente garantiti.
Tra essi, e tra i diritti inviolabili della persona deve essere, ovviamente, compreso il diritto
alla vita; anzi, tale diritto, pur in assenza di una specifica previsione nella Carta
Costituzionale, costituisce il presupposto di tutti gli altri diritti (“Ciò che è davvero
fondamentale, per ciò stesso non può mai essere posto ma deve sempre essere
presupposto”, per usare le parole di un autorevole giurista); non esiste un rapporto di
gerarchia o di incompatibilità tra principi costituzionali, trattandosi, invece, di armonizzare un
sistema alla base del quale si pone la dignità umana; l’assenza di una disciplina non
normativa non comporta, ad avviso di questo giudice, l’impossibilità di dare attuazione al
diritto del paziente di rifiuto delle cure, quando da tale rifiuto ne derivi la morte; comporta
invece che sia rimessa al Giudice l’interpretazione o meglio l’individuazione della regola di
interpretazione da adottare nel caso specifico.
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Ed allora, ritiene questo giudice che il diritto alla vita, nella sua sacralità, inviolabilità e
indisponibilità, costituisca un limite per tutti gli altri diritti che, come quello affermato dall’art.
32 Cost., siano posti a tutela della dignità umana.
In ambito penale, espressioni di tale principio si rinvengono nei reati di omicidio del
consenziente e di istigazione o aiuto al suicidio; è vero che non è possibile impedire al
titolare di tale diritto scelte o comportamenti che mettano a sicuro rischio la propria
incolumità personale (si pensi a casi di rifiuto delle cure per motivi religiosi o per ragioni
altruistiche o a gesti di disperazione); diverso, però, è il caso in cui in tali decisioni
s’inserisca, con un ruolo attivo o con un’azione, un altro soggetto, tanto più se medico.
Significativa è la previsione del reato di istigazione o aiuto al suicidio di cui all’art 580 cp;
mentre non è prevista alcuna sanzione per l’autore del gesto (ovviamente in caso di tentato
suicidio), è penalmente rilevante la condotta di chi istiga o aiuta l’autore a compiere l’atto. La
ragione appare evidente, e cioè si intende sanzionare la condotta di chi interviene
attivamente nella sfera decisionale di soggetti che si trovano in una situazione di forte
sofferenza psicologica. Il presupposto giuridico di tali figure criminose è, appunto,
l’inviolabilità e l’indisponibilità del diritto alla vita.
In ambito civile, altra espressione è data, espressamente, dall’art 5 c.c, il quale afferma che
“gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente della integrità fisica...”; anche tale enunciato può considerarsi un principio di
civiltà giuridica, posto a tutela per impedire che per le più varie ragioni siano commessi atti di
menomazione della propria integrità personale (si pensi, ai casi di trapianti di organi
effettuati per motivi di lucro, ovvero ai casi di trattamenti “chimici” per gli autori di delitti
sessuali, entrambi vietati dal nostro ordinamento giuridico).
Alla base di tale divieto si pone l’esigenza di tutela della dignità umana.
Il caso in esame, evidentemente, presenta delle caratteristiche peculiari, in quanto molto
avvertita, anche da questo giudice, è l’esigenza di rispettare la volontà del paziente, nella
fase finale della propria vita; in merito, non si può che ribadire la necessità di una disciplina
normativa che preveda delle regole alle quali attenersi in simili casi, fissando, in particolare,
il momento in cui la condotta del medico rientri nel divieto di accanimento terapeutico; in
assenza di tale disciplina normativa, però, al principio di cui all’art. 32 Cost. o alle altre
norme internazionali o di grado secondario, non può essere riconosciuta un estensione tale
da superare il limite insuperabile del diritto alla vita.
Ciò considerato, rimane da esaminare la posizione dell’attuale indagato, il quale, come
medico anestesista, è intervenuto a distaccare il ventilatore artificiale, previa sedazione de
paziente.
Riferisce il Riccio, in una conferenza stampa , di essersi reso “disponibile” in quanto non vi
era alcun ostacolo ad attuare “il desiderio” di Piergiorgio Welby, trattandosi di un diritto
“assolutamente riconosciuto e ampiamente praticato in Italia”. Il convincimento espresso dal
medico anestesista riflette quello dell’Ufficio della Procura, come si desume anche
dall’iniziale formazione di un fascicolo per fatti che non costituiscono reato.
Ritiene, al contrario, questo giudice che, per le considerazioni sopra esposte, il diritto di
rifiuto delle cure trovi un limite insuperabile nel diritto alla vita, quale diritto inviolabile della
persona; interrompere una terapia di sostegno vitale, come nel caso di distacco del
respiratore artificiale, acquisito il consenso del paziente, integra l’elemento materiale del
reato ipotizzato.
In merito, poi, alla sussistenza dell’elemento psicologico, si osserva che alcuni elementi
potrebbero essere interpretati come idonei ad integrare cause di giustificazione o di
esclusione della colpevolezza dell’indagato: l’assenza di una disciplina normativa, il
carattere fortemente controverso della questione non solo sotto il profilo giuridico, ma anche
sotto il profilo religioso, filosofico e medico, l’archiviazione disposta in sede disciplinare dal
Consiglio dell’Ordine dei medici di Cremona, la stessa posizione assunta dall’Ufficio della
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Procura sono tutti elementi che potrebbero essere valutati in senso favorevole alla posizione
dell’indagato.
Tuttavia, ad avviso di questo giudice, nel caso di specie, sussistono elementi di segno
opposto e di maggiore spessore, che portano ad una diversa soluzione, considerata anche
la finalità di tale fase del procedimento, rivolta a stabilire se esistono elementi idonei a
sostenere l’accusa in giudizio e non se l’attuale indagato sia o meno colpevole.
In primo luogo, appare fortemente censurabile il fatto che l’intervento sia stato praticato
immediatamente dopo che l’autorità giudiziaria si era espressa sulla specifica questione; il
medico anestesista doveva tenere conto della decisione del giudice civile e non far prevalere
sulla stessa il proprio convincimento; peraltro, la circostanza che sia stato proprio il Riccio ad
assumere l’iniziativa per l’approfondimento “tecnico” del caso, per poi dichiararsi disponibile
all’intervento, contestualmente al procedimento civile, rende dubbia la sua posizione e
necessaria una più compiuta verifica in giudizio.
Inoltre, ai fini del riconoscimento di una forma di responsabilità, è rilevante la circostanza
che a dare attuazione al diritto di Welby di rifiuto delle cure sia stato non il suo medico
curante o il medico che lo aveva seguito nella lunga malattia, ma un medico qualsiasi che
aveva conosciuto il paziente solo due giorni prima di procedere al distacco del ventilatore
artificiale. Anche tra gli studiosi che sostengono tali forme di “aiuto a morire”, ove siano
presenti determinate condizioni (malattia in fase terminale, inutilità delle cure, forti
sofferenze, volontà del paziente), si segnala la necessità che l’assistenza sia prestata non
da un medico qualsiasi ma da un “medico che conosce profondamente il malato... che ha
ricevuto la sua fiducia e gli ha dato la sua empatia, in quel rapporto di alleanza terapeutica
che è il punto più alto del rapporto fra medico e paziente” (in tal senso, un’autorevole
personalità in campo medico-scientifico).
Nel caso di specie, il rapporto tra medico e malato si è espresso in modo del tutto
superficiale, principalmente attraverso la lettura delle cartelle cliniche e alcuni contatti con il
medico pneumologo curante, al di fuori di quel rapporto di alleanza terapeutica sopra
descritto.
Non può sfuggire, anche al di là del caso specifico, il rischio che deriva dal consentire simili
pratiche di intervento; in assenza di regole e di controlli, la disciplina di tale delicata materia
verrebbe rimessa alla totale discrezionalità del medico, ai suoi convincimenti personali e alle
sue concezioni etiche, religiose e mediche (la definizione di concetti quali “inutilità,
sproporzione, inadeguatezza delle cure” o “qualità della vita” potrebbe, ad esempio, essere
condizionata fortemente da una visione economicistica della medicina, più attenta ai costi
che alle condizioni del malato, specie se appartenente a categorie sociali deboli).
In tal modo, verrebbe messo in pericolo il principio di tutela della dignità umana, se la
volontà del paziente, espressa sempre in una situazione di estrema difficoltà e fragilità
psicologica, venisse considerata, al di fuori di ogni controllo, non per rispettare
esclusivamente la sua scelta ma per altre, e non tutte nobili, ragioni.
Ad avviso d questo giudice, è possibile tutelare il diritto del paziente a morire con dignità
solo se tale principio è correlato strettamente al diritto alla vita, in esso dovendosi
riconoscere la sua ragione più autentica (e così, nei casi di sofferenza umana, di marginalità
sociale, di disagio psichico e in tutti gli altri casi in cui rimane la sola forma di tutela della
persona). Interpretazioni diverse e soluzioni diverse porterebbero su “un piano inclinato”, in
una direzione opposta a quella tracciata dall’ordinamento costituzionale.
PQM
Visto l’art. 409, 5° Cpp, dispone che il PM, entro dieci giorni, formuli l’imputazione nei
confronti di Riccio Mario, in ordine al reato di cui all’art. 579 c.p.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Il Giudice per le Indagini Preliminari
Dott. Renato A. T. Laviola
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594 - WELBY: GUP ASSOLVE MARIO RICCIO, FATTO NON COSTITUISCE REATO
da: Apcom di lunedì 23 luglio 2007
Roma - Il gup di Roma, Zaira Secchi, ha prosciolto dalle accuse Mario Riccio, il medico che
la notte tra il 20 ed il 21 dicembre scorso aiutò Piergiorgio Welby a morire.
"Il fatto non costituisce reato", è il motivo della sentenza emessa sulla base della "causa di
giustificazione" che Riccio ha "adempiuto ad un suo dovere" assolvendo alle richieste del
malato Welby. "E' una sentenza importante, quella emessa oggi, perché riconosce il diritto
del malato, così come previsto dagli articoli 13 e 32 secondo comma della Costituzione, di
rifiutare le terapie o la prosecuzione di terapie non più volute anche quando questa
interruzione possa determinare la morte", ha sottolineato l'avvocato difensore del medico
Mario Riccio, Giuseppe Rossodivita. Il suo assistito doveva rispondere dell'accusa di
omicidio del consenziente.
La Procura aveva chiesto già due volte l'archiviazione, ma il gup Renato Laviola l’aveva
rigettata. "Oggi un giudice diverso ha valutato meglio".
"La sentenza sarà un precedente? Assolutamente sì - sostiene il legale -. E' di portata
storica. Finalmente è stato riconosciuto che il titolare del diritto è il paziente. Il medico che
interviene adempie un suo dovere. Il giudizio di oggi lo ribadisce in modo chiaro".
Il giudice Secchi è stata investita del procedimento dopo che un altro gup, Renato Laviola,
aveva disposto l'8 giugno scorso l'imputazione coatta per l'anestesista Mario Riccio, che
aiutò la 'dolce morte' di Welby. La Procura capitolina, rappresentata oggi in aula dal pm
Francesca Loy, era tenuta a chiederne il rinvio a giudizio dal punto di vista formale, anche se
sostanzialmente, in sede di conclusioni, ha rinnovato la richiesta di non luogo a procedere.
595 - QUEL SEMPLICE ARTICOLO DELLA NOSTRA COSTITUZIONE - DI A. SOFRI
da: la Repubblica di martedì 24 luglio 2007
Attenzione, perché le notizie sono tante. La prima: nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. E´ di ieri, viene dalla
giudice romana Zaira Secchi, è una bellissima notizia, e tuttavia ammetterete che sarebbe
stato mostruoso il contrario: che qualcuno potesse essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario, contro la sua volontà.
Per la seconda notizia bastano le virgolette: «Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario... ». E´ del 1947, viene dal testo della Costituzione italiana,
articolo 32. C´è qualcosa di sorprendente, dite? C´è qualcosa di sorprendente nella
estenuante agonia di una persona che vuole far discutere dell´eutanasia, e per sé chiede
solo lucidamente che si smettano cure inutili e tormentose, com´è suo diritto, e finalmente,
con i suoi compagni di fede politica radicale professata per anni, trova un medico disposto
ad assisterlo: e quel suo elementare diritto, che gli siano sospese cure non più sopportate e
risparmiata la mortificazione estrema del dolore e dell´asfissia, viene negato, chiamato
abusivamente eutanasia – o, più alla svelta, omicidio. E la Chiesa romana, che scambia
proprio lei un medico buon samaritano per un criminale, chiude la porta a una persona che
ha tanto sofferto, e mai fatto male al suo prossimo. E la magistratura dell´accusa
(dell´accusa) non trova luogo a procedere per un atto che risponde alla legge e alla
deontologia medica, e la stessa cosa dice l´associazione dei medici, e che non c´è stata
eutanasia né omicidio, e dunque si è strepitato e infierito a vanvera. E un giudice
dell´indagine preliminare riapre quella ferita e chiede contro l´evidenza della legge e il
sentimento di pietà dei concittadini l´«imputazione coatta» (d´ora in poi bisogna allegare
anche questa formula all´antologia dei gerghi che escono dai loro loculi per afferrarvi il
collo). E una giudice dell´udienza preliminare decreta che ciò che è avvenuto ha rispettato
per intero la nostra legge, le convenzioni internazionali che l´Italia riconosce (e a che punto è
la ratifica di Oviedo?) e il dovere del medico. Così torniamo alla notizia di ieri, e a quella –
tale e quale – del 1947.
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C´è un bambino, in un romanzo di Safran Foer, che riordina la storia come quei blocchetti di
immagini che vanno sfogliati rapidamente per ottenere l´effetto del movimento, ma
all´indietro: il corpo che cade da una Torre dell´11 settembre risale invece dal basso all´alto,
fino a rientrare nell´edificio e riscattare l´orrore e il lutto, e Dresda e Hiroshima e tutto, fino a
Eva che rimette la mela sull´albero, l´albero rientra nella terra e diventa un seme, e Dio
unisce la terra e l´acqua, il cielo e l´acqua, l´acqua e l´acqua, la sera e la mattina, qualcosa e
niente, e dice: Sia la luce. E il buio fu. «E saremmo stati salvi».
Anche i fotogrammi della nostra piccola sequenza andrebbero sfogliati daccapo, e si
sarebbe salutato Pier Giorgio Welby con l´affetto e la riconoscenza che desiderava e
meritava, e le porte della chiesa si sarebbero aperte, e niente accanimento retorico e gip e
gup e ultime notizie di cui rallegrarsi e rattristarsi di doversi rallegrare. Una golosità si è
impadronita di persone sinceramente persuase di difendere la verità e la vita, e di averne
l´appalto esclusivo: sicché si acconciano a sostenere il testamento biologico per bandire
anche la sola discussione sull´eutanasia, e poi sbarrano la strada al testamento biologico –
cioè la scelta di sottrarsi all´accanimento terapeutico quando si fosse irreparabilmente privi
di coscienza – in nome della superfluità di una legge, e poi obiettano alla stessa
Costituzione in nome dell´esigenza di una norma interpretativa o applicativa, e ripiegano
sulle cure palliative dopo averne sospettato un´ingratitudine verso il dono della sofferenza:
spostando ogni volta più in là la propria trincea. Che bocca grande che avete! Capace di
fare un solo boccone dello stesso catechismo cattolico.
Rileggiamo quell´articolo 32, fra virgolette o no: vi sembra che abbia bisogno di un codicillo
interpretativo, di un regolamento di applicazione? In questa zelante ingordigia, nel processo
– a carico di Welby, stavo per dire, e così era – si è insinuato che la sua volontà non fosse
stata abbastanza chiaramente espressa. In un uomo che da anni sul suo blog e nei suoi libri
sosteneva valorosamente le sue ragioni: è tutto uno scherzo. Se si fosse accolta
l´insinuazione, la signora Mina Welby, e il dottor Riccio, e l´accolita dei radicali, sarebbero
stati imputabili coatti di omicidio volontario aggravato, non di assistenza al suicidio del
consenziente. E gli altri, la gran maggioranza degli italiani, di fiancheggiamento. Cardinal
Martini compreso: vi ricordate le sue piane parole su Welby, «che con lucidità ha chiesto la
sospensione delle terapie... ». (Quanto alle cure palliative, Ignazio Marino spiega che nel
Nord del Paese esistono circa 100 «hospice», alcuni davvero straordinariamente
organizzati, e nel Sud non arrivano a 10).
Mentre la sentenza di cui è amaro doversi rallegrare veniva emessa, agonizzava ad Alghero
un altro uomo che aveva espresso la sua lucida speranza, come quella di Welby. I notai si
erano avventurati a dichiarare non autenticabile la volontà pronunciata, da uno che può
appena muovere le pupille, col sintetizzatore vocale. Un magistrato aveva decretato che ha
pieno valore legale. Altri magistrati avevano mandato nella sua casa, al suo capezzale, le
forze dell´ordine a sorvegliare i gesti del suo medico.
Abbiamo davanti una lunga strada, e drammatica, e spesso grottesca, prima di arrivare al
1947.
596 - NUVOLI: EUTANASIA, SOLO SILENZIO DAL PARLAMENTO - DI F. PULLIA
da: L’Opinione di giovedì 19 luglio 2007
Possibile che un uomo, ridotto a larva dopo sei anni di sclerosi laterale amiotrofica, debba
subire il trattamento terapeutico come una pena indicibile?
Se lo chiede l'anestesista Tommaso Ciacca, umbro, che, nel tentativo di esaudire le
accorate suppliche di Giovanni Nuvoli, si è recato da Perugia ad Alghero per trovarsi, con
sua sorpresa, scortato dai carabinieri, mandati là per impedire l'interruzione, dopo
sedazione, del ventilatore meccanico che tiene ancora in vita il malato.
E se lo è chiesto probabilmente anche il procuratore di Sassari che da un lato ha quasi
lamentato l'assenza, nel nostro ordinamento, di un'apposita disposizione che consenta la
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nomina di "un commissario ad atta incaricato di sedare il paziente e interrompere la
ventilazione" e dall'altro ha riconosciuto la sussistenza del diritto di rifiutare le cure mediche
secondo l'articolo 5 della convenzione di Oviedo del 1977 (ratificata in Italia nel 2001 e,
purtroppo, non applicata per mancanza di legge delega attuativa) e il comma 2 dell'articolo
32 della nostra Costituzione ("Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana").
Com'è usanza radicale, il dottor Ciacca si è premurato di informare preventivamente
carabinieri e Procura della Repubblica dell'azione che avrebbe commesso. E la Procura, da
parte sua, ha disposto "il non luogo a procedere" nei suoi confronti, trattandosi di "condotta
in astratto costituente delitto".
Quando si sposò con Maddalena Soro, vedova e con due figli, Giovanni Nuvoli era un uomo
alto un metro e ottantaquattro e pesava ottantacinque chili. Dopo avere lavorato per diverso
tempo alla mensa ospedaliera, aveva deciso di intraprendere l'attività di rappresentante di
commercio. Sportivo, pieno di vitalità, praticava l'arbitraggio, trovando pure il tempo di
dedicarsi al teatro dialettale.
Colpito improvvisamente da sclerosi laterale amiotrofica, nel 2001 è già sulla sedia a rotelle,
incapace ad alimentarsi da solo, e nel 2003 viene ricoverato al reparto rianimazione
dell'ospedale di Oristano. Nonostante il proprio reiterato rifiuto, è costretto ad accettare la
tracheotomia.
La malattia, intanto, implacabile, fa il suo corso. La devastazione non gli concede tregua. Le
strutture sanitarie sono inadeguate, i primari algidi, insensibili, gli infermieri impreparati, la
pensione di appena quattrocento euro mensili.
Accanto a lui c'è solo la moglie Maddalena. Il resto è silenzio, tanto più penoso quanto più
assediante.
Grazie all'eurodeputato radicale Marco Cappato e all'Associazione Luca Coscioni, gli viene
assegnato un computer per comunicare con gli occhi. Dopo pressioni e insistenze, passa
dalla degenza ospedaliera a quella domiciliare. Quando torna a casa pesa appena
ventisette chili. Alle finestre dell'abitazione, come ha annotato Tommaso Ciacca, giungono
intensi aromi insulari. Attorno si stendono orti in cui gli ulivi si mischiano a piante selvatiche.
Ma tutto a Giovanni è ignoto tranne il rumore, sempre uguale, del respiratore artificiale.
Ridotto allo stremo, invoca in tutti i modi che gli vengano almeno evitati gli spasmi della fine,
un sicuro straziante soffocamento.
Avrebbe potuto lasciare la sua richiesta confinata nel privato, confidando magari nella
discrezionalità di qualche medico disposto ad agire clandestinamente, come
vergognosamente accade nel nostro Paese.
E, invece, no. Nuvoli ha voluto lanciare un segnale politico, allo stesso modo di Piero Welby,
dando prova di quella che uno sbalordito capitano dei carabinieri ha chiamato "lucidità
sconvolgente".
Con straordinaria determinazione, si è fatto parola e strumento di lotta nonviolenta. E
adesso c'è il rischio che all'improvviso possa ricorrere al gesto estremo di uno sciopero ad
oltranza della fame e della sete. Tommaso Ciacca ha, intanto, scritto al dottor Amedeo
Bianco, presidente della Federazione nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e degli
odontoiatri, nonché ai presidenti degli Ordini provinciali, chiedendo la convocazione di
assemblee straordinarie urgenti.
«Analizzando la situazione clinica ed umana di Giovanni Nuvoli, sostiene Ciacca, nessun
medico può rimanere indifferente a tre chiari e inequivocabili elementi: 1) il rifiuto di una
terapia da parte del paziente, il suo diritto cioè a non essere obbligato ad un qualsiasi tipo di
trattamento sanitario, 2) l'assoluta consapevolezza con la quale il paziente esprime questa
volontà, 3) le "indicibili sofferenze" che tale terapia procura ogni giorno».
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E continua: «Questi elementi mi spingono come medico ad appellarmi a voi perché possiate
contribuire ad interrompere immediatamente quella che nei fatti è una "tortura psicofisica:
una violenza costante contro un uomo gravemente ammalato. In questo caso, oltre
all'articolo 32, comma 2 della Costituzione e all'articolo 5 della Convenzione di Oviedo, è
possibile richiamarsi all'articolo 52 del Codice deontologico sulla "tortura e i trattamenti
disumani". MI appello a voi perché mettiate in atto ogni strumento per dare nei tempi più
brevi (mi riferisco a minuti, ore e giorni) un aiuto concreto a Giovanni Nuvoli».
Si attende una risposta anche e soprattutto dal Parlamento.
Commento. Sappiamo perchè il Parlamento non risponde e magari spera che Giovanni
Nuvoli tolga l’incomodo: perchè è ormai succube dei diktat della Chiesa. Da quando una
sciagurata legge elettorale ha reso ingovernabile il Senato e la maggioranza della Camera
dipende da appena 24.000 voti, il peso e il ricatto politico di uno stato estero, il Vaticano, che
può contare su 25.860 sezioni (pardon: parrocchie) finanziate con i soldi degli italiani è
diventato incommensurabile. E il Vaticano, come già avvenuto con Welby, è sordo ai lamenti
degli uomini che soffrono sotto tortura, nè concede loro l’ingresso in chiesa dopo la loro
morte.
Se esiste un Dio, abbia pietà di coloro che pietà non hanno. (gps)
597 - MORTO IN SARDEGNA GIOVANNI NUVOLI
da: www.repubblica.it di lunedì 23 luglio 2007
SASSARI - E' morto Giovanni Nuvoli: l'uomo di 53 anni, ex rappresentante di commercio,
residente ad Alghero, che negli ultimi mesi - sulla scia della vicenda di Piergiorgio Welby aveva chiesto, invano, che fosse staccata la spina del respiratore che lo teneva in vita. Era
infatti ammalato da sei anni, colpito da una grave forma di sclerosi laterale amiotrofica
(proprio come Welby). "La sua è stata un'agonia orribile, dopo giorni e giorni di sofferenze ha riferito l'esponente radicale Marco Cappato, che si batte per il testamento biologico e la
libertà di scelta - lui aveva smesso di assumere acqua e cibo". Insomma, uno sciopero della
fame e della sete, deciso dopo che gli era stata negata l'autorizzazione a liberarsi del
macchinario.
La moglie di Nuvoli, Maddalena Soro, ha negato che si sia trattato di eutanasia, precisando
che al momento del decesso il respiratore "era ancora attaccato". La donna ha aggiunto che
al marito sono stati solo somministrati alcuni sedativi. In ogni caso nell'abitazione dei
coniugi, ad Alghero, si è recato il pm Paolo Piras, per accertare le cause della morte.
La scorsa settimana il leader radicale Marco Pannella, avendo saputo che Nuvoli aveva
ricominciato con lo sciopero, l'aveva invitato a sospenderlo, impegnandosi dai microfoni di
Radio Radicale ad andarlo a trovare ad Alghero per sostenere la sua battaglia. A Cagliari
era stata promossa anche una raccolta di firme a sostegno della richiesta dell'uomo di
essere lasciato morire, sull'esempio di quanto avvenuto per Welby. Qualche settimana fa, un
medico che stava per eseguire le volontà del paziente, era stato bloccato dall'intervento dei
carabinieri e della procura di Sassari.
Utilizzando il sintetizzatore, unico strumento che gli permetteva di parlare, Nuvoli nell'aprile
scorso, dal letto della sua abitazione, aveva dichiarato ai giornalisti: "Non ho mai cambiato
idea e voglio morire senza soffrire, addormentato. Abbiamo già trovato il medico".
Un messaggio che era stato lanciato dalla sua casa alla periferia di Alghero, dove era
tornato dopo 14 mesi trascorsi nel reparto di rianimazione dell'ospedale civile Santissima
Annunziata di Sassari. Una testimonianza commovente, la sua: alto un metro e 85, pesava
solo venti chili. Ma anche lucida: Nuvoli aveva dichiarato la sua volontà con grande
convinzione. Chiedendo la fine di "quell'involucro - aveva dichiarato - che non riconosco più
come mio corpo".
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598 - IL CASO NUVOLI A “PRIMO PIANO” – RAI TRE
Mercoledì 25 luglio, alle ore 23:30, la trasmissione “Primo piano” di RAI 3 è stata dedicata al
caso Nuvoli.
La moglie di Nuvoli, Maddalena, in collegamento radio ha rievocato gli ultimi giorni di
Giovanni. Il 13 luglio, il medico anestesista Ciacca si era recato a casa di Nuvoli per
staccarlo dalle macchine, come da sua reiterata richiesta. Non è potuto entrare perchè è
stato bloccato dai carabinieri, su mandato del magistrato. Per protesta, Nuvoli aveva deciso
di rifiutare cibo ed acqua. Il 16 luglio è stato colto da forti crampi, in seguito ai quali ha
ripreso ad alimentarsi. il 23 luglio, dopo ulteriori, inutili sofferenze, il suo cuore ha cessato di
battere. Particolarmente commovente e tragico il commento finale di Maddalena: “una fine
atroce, brutta, crudele, che mi fa vergognare di appartenere al genere umano. Il nostro Stato
non sa neppure leggere la Costituzione che si è data”.
Rocco Buttiglione, dopo aver ribadito l’abusato slogan “nessun uomo può uccidere un altro
uomo”, ha spiegato che la Chiesa ha fatto bene a rifiutare il funerale a Welby perchè lui
aveva dichiarato di volere l’eutanasia, mentre Nuvoli voleva far cessare l’accanimento
terapeutico nei suoi confronti. Subito dopo, però, ha aggiunto che sarebbe contrario al
testamento biologico se dovesse valere anche per i trattamenti di “sostegno vitale”. A suo
giudizio, le macchine artificiali svolgono una funzione naturale, come l’allattamento dei
neonati.
Ignazio Marino ha giudicato “assurdo” l’utilizzo delle forze dell’ordine per impedire il naturale
e corretto rapporto fra medico e paziente: in tal modo si rompe la cosidetta “alleanza
terapeutica” da tutti auspicata e si nega il diritto alla “autodeterminazione” sancito dalla
Costituzione. E’ falso parlare di eutanasia per il caso Welby, in quanto non c’è stata alcuna
iniezione letale, come invece avviene per i condannati a morte, aggiungendo però (bontà
sua, forse si è ricordato delle nostre contestazioni..) che non sono praticate per
compassione ma anzi contro la volontà dei condannati. I trattamenti terapeutici e di
“sostegno vitale” praticati senza speranza di miglioramento e contro la volontà degli
interessati rientrano invece nei casi di accanimento terapeutico, vietati dalla legge. Circa il
testamento biologico, Marino ha annunciato che riterrebbe una sconfitta se la legge venisse
approvata dopo uno scontro parlamentare: per evitarlo, la relatrice del provvedimento, sen.
Fasoli, sta predisponendo un testo che dovrebbe trovare l’accordo in Commissione.
E’ andato quindi in onda un filmato nel quale Giovanni Nuvoli approva, tramite il
sintetizzatore vocale, il documento letto dal suo medico Ciacca col quale chiede di essere
staccato dalle macchine.
Un breve servizio ha ricapitolato le proposte di legge all’esame della Commissione Senato
sul testamento biologico.
Infine sono stati ricordati quattro casi analoghi a quelli di Welby e Nuvoli, fra i quali quello di
Eluana Englaro. (gps)
599 – LIBERAUSCITA ALLA PRESENTAZIONE DI “IL DOLORE E LA POLITICA”
Come preannunciato, ieri sera a Roma, Piazza dell'Orologio, è stato presentato il libro "Il
dolore e la politica", di Luigi Manconi a Andrea Boraschi. Erano presenti, oltre gli autori, il
dr. Mario Riccio e Maria Antonietta Coscioni. Non sono potuti intervenire Ignazio Marino e
Furio Colombo, impegnati in votazioni al Senato per la riforma dell'ordinamento giudiziario.
Furio Colombo, peraltro, ha pubblicato sull'Unità di ieri un articolo sullo stesso tema dal titolo
"Il dolore e la brutta politica", che riportiamo in allegato.Il dibattito è stato moderato dal
giornalista Giuliano Giubilei. Questa la sintesi dell'incontro.
Il dr. Mario Riccio, il quale è in attesa della sentenza del GUP di Roma circa il
proseguimento o meno del suo processo dopo la richiesta di incriminazione da parte del Gip
e di archiviazione da parte del PM, ha affermato decisamente che il medico NON PUO'
insistere in un trattamento terapeutico rifiutato dal paziente, sia esso iniziato o meno. In
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proposito ha ricordato la condanna inflitta al dr. Massimo per aver impiantato l'ano artificiale
- soluzione peraltro corretta dal punto di vista medico - ad un paziente che non l'aveva
autorizzato. Il chirurgo deve intervenire con coscienza e professionalità, ma la SUA MANO
E' GOVERNATA DAL PAZIENTE. Per questo è necessario che lo informi e conosca le sue
volontà, anche attraverso il testamento biologico o attraverso il fiduciario se il paziente non è
più in condizione di intendere e di volere. Il dr. Riccio infine ha ricordato che talune gravi
malattie, purtroppo non più rare, portano INESORABILMENTE all'intubazione per essere
mantenuti in vita, per cui sarebbe opportuno che i malati esprimessero le loro volontà finchè
sono coscienti.
Il sottosegretario Luigi Manconi, dopo aver ricordato che Papa Pio XII aveva ritenuto
giusto la sedazione del dolore anche se dovesse abbreviare la vita, ha affermato che ci
troviamo di fronte ad un grave regressione culturale della Chiesa cattolica, che ha intimorito
la politica. La sinistra non ha maturato una morale laica, che pure esiste. Il principio di
autodeterminazione sembra passato in secondo piano. Il testamento di vita è
profondamente morale. I vari Luca Coscioni e Piergiorgio Welby, che non hanno esitato ad
esporre la propria vita per modificare a vantaggio di tutti alcune leggi immorali, sono veri e
propri eroi contemporanei. Il testamento di vita è un passo avanti verso l'alleanza
terapeutica fra medico e paziente, in quanto realizza una reciproca consapevolezza ed
una maggiore uguaglianza fra medico e paziente. Inoltre il testamento biologico e le
cure palliative contribuiscono a diminuire, e non aumentare, le richieste di eutanasia.
Andrea Boraschi ha sottolineato che nel caso di Welby non si può parlare né di eutanasia
né di testamento biologico, bensì del diritto elementare - garantito dalla Costituzione - di
rifiutare cure non volute, anche se precedentemente accettate. La posizione della Chiesa è
fondata sul rifiuto, per altri versi condivisibile, delle aberrazioni della modernità in contrasto
con la natura: appunto per questo non si comprende come possa essere contraria alla
sospensione di trattamenti artificiali rifiutati dagli interessati, che sono in contrasto con la fine
"naturale" della vita. Le paure, i tentennamenti, i passi indietro della politica su tutte le
questioni definite "eticamente sensibili" sono veramente sconsolanti. Dalla ricerca citata nel
libro, è risultato che il 50% dei medici ha ricevuto dai propri pazienti richieste di informazioni
sul testamento di vita, a dimostrazione che il tema è sentito e che occorre una maggiore
informazione.
Maria Antonietta Coscioni ha ricordato che in occasione della vicenda di Welby, la famiglia
aveva ricevuto molte attestazioni verbali di sostegno, ma in pratica l'unico medico
dichiaratosi disponibile ad attuare la volontà di Piergiorgio è stato Mario Riccio. Le cure
palliative sono necessarie, ma in taluni casi non sono sufficienti, come ad esempio nei
trattamenti artificiali. C'è una grande carenza di informazione sul tema del testamento
biologico.
Non è seguito dibattito, peraltro non previsto in programma.
L'occasione è stata comunque utile, oltre che per acquistare il libro firmato dagli autori, per
fare la personale conoscenza del dr. Riccio, il quale si è dichiarato lieto di scrivere, subito
dopo la decisione del GUP di Roma, la prefazione al libro "Je ne suis pas un assassin",
scritto dal medico di Vincent Humbert, Frèdèric Chaussoy, tradotto da Christiane Krzyzyk e
edito da LiberaUscita insieme a inEdition.
(gps)
600 - IL DOLORE E LA BRUTTA POLITICA – DI FURIO COLOMBO
da: l’Unità di giovedì 7 luglio 2007
Una frase ha segnato la presenza di Bill Clinton in politica quando, durante le elezioni
primarie del Partito democratico, era l’ultima ruota del carro, il candidato sconosciuto. Si era
rivolto a lui, durante un dibattito, un signore di mezza età che gli aveva detto: «Ho
cinquant’anni, sono ammalato. Troppo ammalato per restare in casa, ma non abbastanza
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per il ricovero d’urgenza in ospedale, troppo solo per provvedere a me stesso ma non
abbastanza povero da meritare assistenza. Non chiedo niente ma volevo dirglielo».
La risposta di Clinton, mai più dimenticata dagli americani, era stata: «I feel your pain».
Ovvero «il suo dolore lo sento come se fosse il mio». È soltanto una frase di consolazione.
Ma a volte la politica è anche consolazione, quando si propone lo scopo di interrompere
isolamento e solitudine.
Saranno cambiati i tempi, oppure la situazione è sempre stata diversa in Italia. Il fatto è che
in questi giorni puoi ascoltare la voce di parlamentari cattolici (cattolici osservanti, cattolici in
latino, cattolici del centro sinistra) che entrano nell’Aula del dibattito e annunciano a voce
deliberatamente alta: «Il testamento biologico porta sfiga».
L’affermazione è crudele, se vogliamo dirla tutta è il contrario della buona politica, che è fatta
anche di solidarietà e connessione («nessuno è solo») e dovrebbe tendere a creare legami,
non spinte brutali per scansare l’ostacolo.
Ormai, dopo tante discussioni «cattive» (nel senso di gelide, indifferenti, ostili, di irrisione
verso coloro che lo sostengono) tutti sanno che cos’è il testamento biologico.
È il diritto consacrato dall’Articolo 32 della Costituzione Italiana, secondo comma, che dice
«Nessuno può essere obbligato a subire un trattamento medico che non desidera». È il
diritto per il quale, in Italia, si sono battuti per primi i Radicali di Marco Pannella e Marco
Cappato e l’Associazione Luca Coscioni.
Quel diritto si è evoluto secondo il modello di quanto accaduto prima negli Stati Uniti e poi, a
uno a uno, in tutti i Paesi dell’Unione europea (e anche in molti altri Paesi) che consente di
annunciare, in anticipo, con documento scritto e affidato a persona di famiglia o di fiducia, la
propria decisione di non voler essere tenuto artificialmente in vita oltre la soglia della vita
cerebrale.
È accaduto in tutto il mondo civile. Ma non (non ancora) in Italia, dove l’opposizione di alcuni
credenti (non importa se di destra o di sinistra) fa barriera e quando occorre - come abbiamo
visto - oppone sarcasmo.
Per questo Andrea Boraschi e Luigi Manconi hanno scritto un libro che è un manuale del
momento che stiamo attraversando in Italia. È un brutto momento, in cui il corpo di
Piergiorgio Welby, già martoriato dalla malattia, viene lasciato, dopo morto, fuori dalla
chiesa, con un atto di crudeltà inedita. È il momento in cui il medico Riccio, che, seguendo
scrupolosamente il dettato della Costituzione e del suo dovere professionale e morale, ha
posto fine al dolore inaudito di Welby morente e per questo ora viene rinviato a giudizio.
Il libro di Boraschi e Manconi ha il titolo drammatico Il dolore e la politica (editore “A buon
diritto”) e ha raccolto quattro testi essenziali di Enzo Campelli, Ignazio Marino, Stefano
Rodotà, Enza Lucia Vaccaro.
C’è in questa serie di scritti un senso di emergenza, quasi un muovere concitato all’interno di
un territorio di libertà e di diritti civili che si restringe, e in cui alcuni politici ci dimostrano di
voler ignorare, anzi di respingere, principi fondamentali non solo della nostra Costituzione
ma anche di ogni ordinamento giuridico delle democrazie contemporanee.
Infatti il testamento biologico ha avversari molto potenti: il Vaticano attraverso l’esercizio del
potere politico e dell’ossequio mediatico; e la Chiesa cattolica con il pesante strumento della
dottrina.
Ma sono avversari tanto potenti (ed efficaci e abili e ricchi di risorse e di strumenti per la
persuasione comune) quanto elusivi. Infatti, perché dicono no al testamento biologico che
non è eutanasia, non viola e non intacca alcun principio morale o religioso, rappresenta un
diritto che, infatti, nessuno contesta se il cittadino è cosciente, e può personalmente
comunicare la propria decisione di rifiutare le cure?
Ciò che caratterizza il testamento biologico (come per il resto ogni altro testamento) è
l’anticipazione. Si tratta, di decidere prima (in questo caso: rifiutando di essere tenuti in vita),
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per una circostanza o un tempo in cui il cittadino potrebbe non essere più in condizione di
decidere.
Che cosa c’è di immorale o di offensivo per la religione cattolica in questa comunicazione
preliminare di volontà?
Se si segue il percorso della esperienza medica, ma anche del cauto, scrupoloso,
attentissimo lavoro legislativo, è importante leggere, in questo libro, il testo di Ignazio
Marino. Sanno tutti che Marino è un medico di fama internazionale ed è il presidente della
Commissione Sanità del Senato.
Da ciò che scrive apprendiamo con quanta competenza e con quanto senso di rispetto e di
responsabilità il senatore Marino propone, affronta e avvia a soluzione giuridica di alto livello
civile e morale, la questione del diritto legittimo di decidere in anticipo sulle proprie cure.
Ciò che la maggior parte dei cittadini non sa è lo stato d’assedio in cui lavora il medico
presidente della Commissione Sanità del Senato italiano e autore della legge, un assedio
che tiene inchiodata la commissione ad una impossibilità di decidere. Lo stato d’assedio è
guidato da senatori che sono vere e proprie guardie vaticane. Non dichiarano aperti motivi
per obbedire alla gerarchia religiosa, ma frappongono ostacoli di ogni genere, ora di
procedura, ora di sostanza, ora di puro espediente (come l’introduzione di una norma che
consente “obiezione di coscienza” ai medici, cioè il potere arbitrario di negare il diritto già
espresso dal paziente a decidere sulle sue cure) pur di fermare una legge di ovvia moralità e
di evidente accettabilità giuridica. Gli “obbedienti” - detti “neocon” dal linguaggio americano
che definisce i fondamentalisti cristiani - non potrebbero condurre l’assedio da soli. Si
avvalgono perciò di un tessuto di alleanze con senatori “laici” che partecipano all’assedio in
base alla parola d’ordine “dobbiamo fare le leggi insieme”. In questo caso “fare” vuol dire
tragicamente “non fare” .
È come abbandonare un’altra volta il corpo di Piergiorgio Welby fuori dalla Chiesa, che per
lui è sbarrata. È come esporre tanti altri medici che non faranno “obiezione di coscienza” al
rischio di essere rinviati a giudizio come il medico Riccio che - nella piena responsabilità
della sua professione e missione medica - ha posto fine alla sofferenza inaudita di Welby.
Legalmente? Nei limiti e secondo le norme della Costituzione? Questo è il tema del
contributo giuridico di Stefano Rodotà, forse il più bello e il più limpido tra i tanti interventi
che abbiamo letto sull’argomento. Rodotà dimostra che, con il comportamento del medico
Riccio e con la proposta di legge sul testamento biologico di Ignazio Marino, siamo con
certezza e senza equivoci dentro il territorio della legalità e sotto la protezione delle garanzie
costituzionali. Ma Rodotà si spinge più avanti. Disegna un mondo civile e legale e benevolo
nel quale nessuna prescrizione autocratica può negare, cancellare o impedire il diritto dei
cittadini.
Per questo il libro Il dolore e la politica è un manifesto di civiltà in un momento non luminoso
della vita democratica italiana.
601 - LUI NON LA CURA, LEI MUORE DI CANCRO– NON COLPEVOLE, DOPO 15 ANNI
da: la Repubblica – cronaca di Milano – di sabato 28 luglio 2007
Lui è un camionista milanese, 51 anni, iniziali N.L.N. Lei, la sua compagna, di origine slava,
è morta nel 2002, di tumore, senza assistenza, senza cure, senza un aiuto. Lasciata morire.
Ma erano "solo" conviventi e per la giustizia lui, il camionista, non è colpevole di alcunchè. In
base al codice, almeno. La coscienza, poi, quella è un'altra cosa.
Lo ha deciso oggi la I sezione della Corte d'Assise che ha assolto N.L.N dall'accusa di
abbandono di persona incapace perchè "il rapporto di convivenza, in quanto rapporto di fatto
non disciplinato dalla legge, è privo di rilevanza penale". La coppia viveva insieme da
quindici anni pur senza essere - come dice la sentenza - disciplinati dalla legge. Non erano
sposati, insomma. Due estranei sotto lo stesso tetto per cui però non scatta alcun tipo di
obbligo, nè civile nè penale.
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Tutto bene finché la donna si ammala: tumore, obbligo di cure, necessità di assistenza,
un'agonia lunga. E in solitudine visto che lui, dicono le accuse, non si è preoccupato di
assisterla e di farla curare. Abbandono di persona incapace fino a causarne la morte.
Secondo l'accusa, non le avrebbe somministrato le cure necessarie, tanto che la donna
muore il 19 maggio 2002 dopo una lunga e devastante malattia che l'aveva ridotta a pesare
30 chili.
Con queste accuse, mosse dai parenti di lei, il camionista è finito sotto processo. Consulenti
e periti confermano lo stato di totale abbandono in cui era stata lasciata la donna. Ma la
Corte d'Assise lo ha assolto. Scrivendo una sentenza destinata a far discutere.
Per il presidente Luigi Domenico Cerqua non può estendersi al rapporto di convivenza
quanto previsto dall'articolo 143, comma 2, del codice civile "che limita ai soli coniugi
l'obbligo all'assistenza morale e materiale". Questo, infatti, comporterebbe una
"inammissibile interpretazione analogica in mala partem". Per il giudice "sarebbe infatti
contra legem, in un sistema retto dal principio di legalità, rendere applicabile la norma
penale anche alle violazioni di obblighi morali o di solidarietà, e quindi anche nei confronti
delle famiglie di fatto, ovvero di coloro che convivono more uxorio". "La cura, al pari della
custodia - argomenta il presidente della Corte - deve fondarsi su uno specifico obbligo
giuridico che trova la propria fonte nella legge o nel contratto, che peraltro fonda pur sempre
nella legge la propria forza vincolante". E' obbligata alla cura, per esempio, la badante o
l'infermiera che, in forza di un contratto, deve svolgere un determinato compito. Ma non due
conviventi fantasma in quanto non riconosciuti da alcun tipo di contratto o articolo.
Si tratta di un primo grado e quindi di una decisione provvisoria in attesa di arrivare in
Cassazione. Ma è una scelta che ha comunque un peso nel dibattito che riprenderà in
autunno sui Dico e sulla sua ultima versione nota, i Cus - contratti di unione solidale - che
portano la firma del senatore Giovanni Salvi, presidente della Commissione giustizia. La
sentenza di Milano, infatti, è una negazione netta e chiara dei diritti delle coppie di fatto. In
questo caso in "positivo" per l'imputato. In negativo da tutti gli altri punti di vita. E, anche, la
dimostrazione che quando si parla di diritti per le coppie di fatto non ci si riferisce solo alle
coppie gay ma anche, soprattutto, a quelle eterosessuali.
Tra gli obiettivi dei contratti di natura privatistica che riconoscono i diritti alle coppie di fatto
c'è proprio il riconoscimento dell'assistenza sanitaria in caso di malattia di uno o dell'altro
convivente. Oltre al diritto a subentrare nel contratto di affitto piuttosto che a ricevere la
pensione di reversibilità.
Al di là delle intenzioni dei giudici milanesi, la sentenza di assoluzione del camionista
stupisce e chocca. E dimostra, in tutta evidenza, la necessità di un regolamento che
riconosca diritti e doveri dei conviventi. Che sono anche etero e non solo omosessuali.
Nota. Ai politici (tutti): chiamateli come volete, PACS, DICO, CUS, ma fate qualcosa! (gps)
Commento. Mi lascia molto perplessa il verdetto che non ha condannato l’uomo (possiamo
veramente chiamarlo “uomo”?) che ha abbandonato la sua compagna. Visto l’articolo 727
del codice penale qui sotto riportato, non so se rallegrarmi o piangere… A che razza
apparteneva questa povera donna per meritarsi una tale fine e così poca considerazione in
seguito?
"Art. 727. - (Abbandono di animali). - Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano
acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da
1.000 a 10.000 euro Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni
incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze". (Christiane)
Commento. Io continuo a non capire.... Ma a nessuno passa per la testa che, se due
persone di sesso diverso, decidono di convivere senza contrarre matrimonio civile, è proprio
perché non vogliono essere legate da nient'altro se non dal proprio affetto e dal proprio
senso di responsabilità, senza nessun vincolo esterno che li obblighi a impegni e doveri, ai
quali probabilmente non vogliono sottoporsi, o per lo meno intendono sottoporsi solo e
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unicamente se vogliono. Per esempio, appunto, potrebbe rientrare in questo tipo di
convivenza il desiderio di sottrarsi a situazioni di forte angoscia e sacrificio quali la malattia
lunga e impegnativa del partner. Ed altro ancora. Perché mai lo Stato dovrebbe intromettersi
in questo rapporto del tutto privato? Diversa è la situazione degli omosessuali, che non
possono contrarre il matrimonio civile. Per loro il problema esiste, eccome! Quindi diciamoci
le cose come stanno, è agli omosessuali che dobbiamo pensare. E' giusto che subiscano
una tale discriminazione sulla base delle loro scelte sessuali? Ritengo di no. Fra l'altro
penso che, se qualcuno non vuole prendesi cura del coniuge malato, sia molto difficile
obbligarlo per legge, forse per la parte economica sì, ma per il resto...Mi piacerebbe sapere
se ci sono sentenze in questo senso. (Maria)
Commento. Cara Maria, a mio avviso, chiunque voglia essere libero da obblighi personali,
sia verso esseri umani che verso animali, scelga di vivere solo. Fra l'altro, sia Dico che CUS
non IMPONGONO nulla ai conviventi, a meno che non abbiano scelto liberamente di
convivere. E "convivere" significa "vivere insieme", cioè amarsi, aiutarsi e sopportarsi l'un
l'altro. (gps)
602 - LIBERAUSCITA AL MITTELFEST DI CIVIDALE DEL FRIULI
Grazie all’interessamento diretto di Vanni De Lucia, autore, regista e protagonista dello
spettacolo “Not To Be. I diritti di Antigone e di Welby”, LiberaUscita ha potuto essere
presente come Associazione al Mittelfest 2007. Le modalità di partecipazione alla
manifestazione sono state curate dalla Vicepresidente e responsabile per il Veneto Maria di
Chio e dal sottoscritto Giorgio Tanas, responsabile per il Trentino Alto Adige.
Il Mittelfest, giunto alla 16° edizione, è un importante evento culturale (si definisce Festival di
prosa, musica, danza, poesia, arti visive e marionette della Mitteleuropa, Direttore artistico è
Moni Ovada) che si tiene a Cividale nel Friuli, a pochi chilometri da Udine. Ogni edizione
della manifestazione è incentrata su di un tema conduttore. Il tema dell'edizione 2007 del
Festival è, significativamente, quello dei Diritti Umani. Tra questi, senza dubbio rientra a
pieno titolo la libertà di ogni persona di dare disposizioni circa le modalità di conclusione
della propria vita, specie se queste dovessero essere prive degli indispensabili requisiti di
dignità.
Venerdì 20 luglio, alle ore 19.00, nella suggestiva ambientazione della Chiesa di Santa
Maria dei Battuti di Cividale, al momento dell'ingresso del pubblico per assistere allo
spettacolo, il sottoscritto ha distribuito l’ultimo, completo pieghevole con il modello di
testamento biologico e le notizie su LiberaUscita, accompagnato da alcune, forzatamente
brevi, parole di presentazione dell'Associazione..
Pressoché tutti gli spettatori hanno accettato con interesse il materiale informativo: ciò
dimostra che esiste una diffusa consapevolezza ed interessamento alla tematica della fine
della vita.
L’articolo allegato, uscito sul Messaggero Veneto di sabato 21 luglio, rende bene il
contenuto e la portata dell'evento di cui è stato protagonista Vanni De Lucia. Si potrebbe
solo aggiungere che la Chiesa di Santa Maria dei Battuti era gremita di pubblico, tanto che
molti, per entrare, hanno dovuto attendere che risultassero non occupati posti in
precedenza prenotati. Pubblico variegato, riguardo all’età, con la presenza di molti giovani e
anche consapevole della problematica di fondo dello spettacolo: il che fa ben sperare nella
crescita generale di sensibilizzazione al tema del testamento biologico e della
depenalizzazione dell'eutanasia.
Vanni De Lucia ha ricordato in apertura come lo spettacolo, poche volte rappresentato, si
presenti come continuo aggiornamento di un lavoro presentato la prima volta in occasione di
un convegno sull’eutanasia che si è svolto nel 2005 presso il Centro Ernesto Balducci di
Zugliano. Le novità introdotte, rispetto al testo originariamente proposto, sono collegate alla
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attualità stringente della tematica, considerato che risultano quotidiane le notizie che
riguardano casi di rilievo nazionale e locale in tema di buona morte e testamento biologico.
Oltre che per la bravura di Vanni De Lucia a tenere la scena ed a coinvolgere il pubblico, il
fascino dello spettacolo consiste soprattutto nell’accostamento fra serietà e leggerezza
nell'affrontare l'argomento. Sinteticamente ma precisamente, la locandina dello spettacolo
sul sito internet del Mittelfest, testualmente recita: “Not to be è un viaggio attorno al tema
delicato della morte e dell’eutanasia. Un monologo coraggioso e agrodolce che, senza
essere irriverente, tocca aspetti paradossali e grotteschi, con leggerezza, ironia, e senza
banalizzazioni di comodo”.
Per quanto interessa le finalità della nostra Associazione, lo spettacolo di Vanni De Lucia ha
la grande capacità di far pensare ai temi che ci stanno a cuore, pur divertendo gli spettatori:
è questo un buon modo entrare in confidenza, per quanto possibile, con il tema del
momento terminale della nostra esistenza, sgretolando le paure consce o inconsce che di
solito l’argomento suscita, nella società odierna molto più che nel passato.
(Giorgio Tanas)
603 – L’EUTANASIA A TEATRO: IL TEMA PIÙ RIMOSSO, QUELLO DELLA MORTE
Una coinvolgente interpretazione di Vanni De Lucia, da Antigone a Welby
da: Messaggero Veneto – giornale del Friuli di sabato 11 luglio 2007
Sarà pure un clown, ma la sua veemenza nel parlare dei problemi della buona morte fa
capire che questo argomento infiamma l'anima di Vanni De Lucia che al Mittelfest ieri sera,
nell'intima cornice della Chiesa di Santa Maria dei Battuti ha presentato “Not To Be - I diritti
di Antigone di Welby”. Ovvero di come la morte sia un evento, obiettivo, risultato, sempre più
rimosso dalla vita dei contemporanei.
De Lucia si appassiona mentre ricorda la sua consueta serie di improbabili eventi per
narrare come la morte sia diventata uno dei tabù più irrisolti e caparbi della nostra società.
Dalla modella newyorkese che si adira come non mai perché, dopo aver pubblicizzato al
gran mondo dell'alta moda il suo esclusivo party, si ritrova il portone addobbato a lutto
perché uno dei condomini è passato a miglior vita. Alle aziende di Onoranze funebri che
rimuovono sempre più il lutto dal punto di vista cromatico: «Oggi i cani funebri non sono più
neri. Sono privilegiati i toni pastello, i metallizzati». Soluzioni che denotano una sempre più
cruenta voglia di occultare la morte agli occhi dei vivi.
Tornano allora alla mente le parole ascoltate durante gli incontri di Cividale capitale dei
diritti, quando è stata denunciata la terribile persistenza dell'eterno presente. Rifuggiamo
dalla storicizzazione, preferiamo incarnare degli eterni adolescenti che, pur rugosi e sempre
più moderatamente motili, non riescono a togliersi le scarpe da ginnastica dai piedi.
Il tutto per rifuggire l'attimo supremo, unico che consegna alla storia il giudizio su la vita di un
uomo. La società ultraliberista nella quale, per De Lucia, siamo immersi ci costringe a vivere
in un progetto che è altro da noi. La spersonalizzazione dell'individuo passa
obbligatoriamente attraverso la sottrazione dell'unica cosa che gli appartiene, la vita, e
dell'unica cosa che a quest'ultima dà senso: la sua morte.
Questo testo di Vanni De Lucia era già stato presentato in forma di studio ben prima del
caso Welby e oggi, alla luce di quanto è successo, se forse non riesce a indicare una strada
da seguire per una riflessione laica sul tema della buona morte, ha almeno un grande
merito. Quello di far sorridere su una delle cose più serie di ognuno di noi: il nostro destino.
(a.m.)
604 - DALLA SEZIONE DI MODENA – INFORMATIVA A SOCI E SIMPATIZZANTI
lunedì 23 luglio 2007
Carissima/o amica/o,
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è di oggi la notizia del proscioglimento del dr. Riccio. Con la sua sentenza il GUP di Roma
dr.ssa Zaira Secchi ha decretato il “non luogo a procedere” per il dr. Mario Riccio che, come
sapete, nel dicembre scorso, accolse la richiesta d’aiuto di Piergiorgio Welby e lo liberò dalla
ventilazione artificiale dopo averlo sedato. Non potevo non cominciare questa lettera con
questa notizia che è per noi un evento di grande rilevanza.
Avremmo voluto organizzare un incontro prima delle ferie estive ma per diversi motivi non è
stato possibile. Molti di voi hanno ricevuto via Internet le nostre notizie, però, poiché alcuni
non sono raggiungibili via computer, abbiamo pensato fosse opportuno spedire questa
lettera per informare degli ultimi eventi e dei prossimi già in programma.
- il 16 dicembre, la nostra sezione ha organizzato, insieme alla locale cellula “Luca
Coscioni”, una veglia per sostenere le ragioni di Piergiorgio Welby in Piazza Grande a
Modena. E’ stato un momento importante, un’occasione preziosa per testimoniare la nostra
totale adesione alla battaglia del dr. Welby e di quelli che lo hanno sostenuto ed aiutato a
vincerla.
- il 25 Gennaio, ospiti della nostra cara socia dr.ssa Elena Finelli, abbiamo tenuto una
riunione organizzativa. In quell’occasione abbiamo potuto fare la conoscenza di due nuovi
soci: il dr. Giancarlo Marchi di Zocca, della cui adesione siamo onorati e felici e il prof. Rino
Tripodi di Bologna, direttore della rivista telematica “Lucidamente”. In tale riunione si è tra
l’altro provveduto a preparare l’iniziativa del 28 Marzo di cui più oltre.
- il 24 Marzo siamo stati presenti in centro storico con un nostro tavolo per fare conoscere
l’Associazione e per informare dell’iniziativa del successivo 28.
- il 28 Marzo, presso l’ass.ne culturale “L’incontro” di Modena, all’interno di una serie di
conferenze sull tema: “Parliamo di salute e di diritti”, la nostra sezione è stata protagonista di
un riuscito Incontro sul tema: “ Problematiche di fine vita - scienza e diritti”. Dopo una
relazione introduttiva è stato proiettato il video prodotto dall’ass.ne Exit-Suisse sul suicidio
assistito. Al termine è seguito un partecipato dibattito. Una cinquantina gli intervenuti di cui 6
iscritti a LiberaUscita .
- il 5 Luglio, insieme a Enrico Bertrand, mio figlio e nostro iscritto, ho avuto il grande piacere
di partecipare a Bruxelles, presso il Parlamento Europeo, ad una conferenza europea sul
tema: “Medically assisted dying and eutahanasia: a matter of human rights”, organizzata
dalla “Alliance of Liberals and Democrats for Europe”, dai UK Liberal Democrats e dal
Radical Party con l’adesione della World Federation of Right to Die Societies di cui
LiberaUscita è membro ufficiale. Prima di tutto vi devo dire che ho avuto l’enorme piacere
di vedere vivo e vegeto Ludwig Minelli, il fondatore di Dignitas, di cui avevo erroneamente
annunciato il decesso alla fine dello scorso anno per effetto di una errata comunicazione
giuntami da un mio corrispondente svizzero. I lavori della conferenza sono stati intensi e
finalizzati a creare una rete di parlamentari europei impegnati a portare avanti in Europa il
diritto ad una morte medicalmente assistita cioè all’eutanasia, intesa come una nuova
frontiera dei diritti umani.
Una prima sessione ha fatto il punto sulle leggi e le politiche in Europa e nel mondo
attraverso relazioni di italiani, olandesi, belgi e svizzeri.
Una seconda sessione dedicata alle testimonianze ha visto la presenza e l’intervento per la
Francia di Marie Humbert, madre di Vincent Humbert, il giovane francese che il dr.
Chaussoy aiutò ad uscire da una situazione di permanente tortura, e della dr.ssa Laurence
Tramois, assolta, dopo aver aiutato a morire una paziente ormai allo stato terminale e molto
sofferente; per l’Italia, di Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby; per l’Inghilterra, di Sir
Lord Joffe.
La terza ed ultima sessione ha visto l’intervento di numerosi parlamentari europei e dei
rappresentanti europei delle varie associazioni impegnate sul campo onde arrivare alla
costituzione di un European network per il diritto alla buona-morte.
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- Entro settembre contiamo senz’altro di vederci per un incontro. Questa volta, abbiamo
pensato bene di organizzarlo alle ore 21 per consentire di parteciparvi anche a coloro che
sono impegnati sul lavoro. Invieremo comunicazione per tempo. In quell’occasione dovremo
discutere, tra l’altro, delle due iniziative già incardinate:
- tavolo del 13 Ottobre;
- presentazione a Modena del libro del Dr. Chaussoy “Non sono un assassino”.
Chaussoy era il medico curante del giovane Vincent Humbert e, come il dr. Mario Riccio con
Piergiorgio Welby, l'aveva aiutato a sottrarsi alla tortura delle macchine. Sulla tragica
vicenda il dr. Chaussoy ha scritto un libro, che in Francia ha venduto più di 100.000 copie.
La traduttrice Christiane Krzyzyk, divenuta nostra cara amica, si è rivolta a LiberaUscita
per trovare un aiuto onde pubblicare la sua traduzione dopo aver invano bussato alla porta
di molti editori. L’associazione ha acquisito i diritti per la pubblicazione del libro in Italia e,
grazie al prof. Rino Tripodi, l’editrice InEdition pubblicherà l’opera entro il mese di ottobre.
Come sezione di Modena abbiamo contribuito al buon esito dell’iniziativa.
Ci dispiace che quest’anno, dopo tre anni consecutivi, non saremo presenti con un nostro
tavolo al Festival provinciale dell’Unità. La decisione è stata presa un po’ sull’onda della
stanchezza ma anche per la scarsa militanza.
Non ho parlato del percorso legislativo della “famosa” legge sul testamento biologico, ne
parleremo senz’altro nella nostra prossima riunione sperando vivamente che la sentenza del
GUP di Roma, di cui all’incipit di questa lettera, possa spingere con forza nella direzione
giusta.
Scusandomi per la lungaggine e per il passaggio frequente dall’io al noi, vi saluto tutti
caramente sperando di vedervi a settembre.
Maria Laura Cattinari
605 - LIBERAUSCITA ALLA FESTA DELL’UNITÀ DI LEGRI
In collaborazione con la Festa de l’Unità di Legri (Firenze), la ns. responsabile per la
Toscana, Meri Negrelli, ha promosso giovedi 26 luglio 2007, alle ore 21,15, un dibattito sul
tema: “Testamento biologico: perché?”.
Ne hanno discusso: il prof.. Giancarlo Fornari, presidente di LiberaUscita, docente di teoria e
tecnica della comunicazione Università di Macerata, e il dott. Riccardo Viligiardi, medico
chirurgo.
Dopo l'introduzione di Meri Negrelli, Giancarlo Fornari ha esposto la posizione di
LiberaUscita sul testamento biologico, rallegrandosi prima di tutto del fatto che i magistrati
romani abbiano dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del dr. Riccio, il medico che
coraggiosamente ha "staccato la spina" che teneva legato Piergiorgio Welby ad una
esistenza da lui da tempo rifiutata.
La soluzione di questi casi, ha detto Fornari, è prevista espressamente dall' art.32 della
Costituzione, in base al quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la
sua volontà; si tratta solo di stabilire se questo articolo deve essere applicato dai nostri
Tribunali o se dobbiamo far finta che non ci sia, come vorrebbero i politici più sensibili ai
richiami del Vaticano che fedeli alla Costituzione.
Richiamando anche quanto emerso nel corso delle audizioni al Senato a proposito delle
cosiddette azioni di sostegno vitale, Fornari ha ribadito che queste costituiscono vere e
proprie terapie e non delle misure di pura sopravvivenza, e ciascuno ha quindi diritto di
rifiutarle, sia direttamente che attraverso il testamento biologico.
Sarebbe perciò una grave forzatura se la legge, per puro servilismo verso le autorità
religiose, volesse vietare di inserire il rifiuto di questi interventi nel testamento biologico. Nel
ringraziare gli organizzatori della Festa dell'Unità per aver ospitato il dibattito, Fornari ha
concluso auspicando che il futuro Partito democratico sia più sensibile alle istanze laiche
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della grande tradizione popolare e di sinistra piuttosto che alle suggestioni confessionale di
personaggi come la Binetti e Rutelli.
Dal canto suo, il dr. Viligiardi ha espresso le posizioni dei medici che sentono il bisogno di
una legge che disciplini in modo trasparente questi problemi, lamentando che spesso si
ricorre all'ipocrisia per negare una realtà che sta sotto gli occhi di tutti, e cioè che oggi la
spina viene staccata quotidianamente negli ospedali, quando ci si rende conto che tutte le
cure sono ormai inutili: solo che ciò viene fatto "all'italiana", in modo surrettizio. Mentre
d'altra parte le limitazioni che vengono imposte in modo sempre più stretto, per motivi di
risparmio economico, alla tutela della salute, determinano (anche qui in modo surrettizio)
ciniche scelte di fine vita ai danni di molti anziani malati. E' necessario, ha detto, riaffermare
con forza sia il diritto alla autodeterminazione sia il diritto di mettere fine in modo dignitoso
ad una esistenza non più libera; senza dover essere dipendente, in queste scelte
fondamentali, da altre volontà, dello Stato o della Chiesa.
Dopo aver ribadito che la futura legge dovrà necessariamente comprendere la possibilità di
vietare il ricorso alle cosiddette misure di sostegno vitale, che sono sicuramente atti medici,
Viligiardi ha espresso il suo stupore per il fatto che le gerarchie religiose si arroghino il diritto
di essere loro a stabilire quali atti debbano essere considerati "atti medici" e quali no (noi, ha
detto, non pretendiamo certo di insegnare a loro come vanno interpretati i loro dogmi).
Sarebbe grave - ha concluso - se la legge dovesse piegarsi a queste indicazioni. Meglio
allora nessuna legge che una cattiva legge.
606 - GENOVA: PRIMO VIA AL TESTAMENTO BIOLOGICO
La nostra responsabile per la Toscana, Meri Negrelli ci ha inviato la seguente notizia, tratta
da Liberetà, di Luglio/Agosto 2007
Il San Martino di Genova è il primo ospedale italiano ad avere riconosciuto validità legale a
un testamento biologico firmato da un suo paziente che ha deciso di rifiutare la respirazione
e l'alimentazione forzata nel caso in cui non fosse in grado di esprimere questa volontà. Il
testamento è stato riconosciuto dal comitato bioetico della struttura ospedaliera e dalla
direzione sanitaria.
Bruno La Piccirella, psicologo sulla soglia della pensione, ha reso pubblico il suo testamento
in un dibattito organizzato presso la biblioteca Berio di Genova. «Non voglio diventare un
cadavere vivente – ha detto – così ho preso le mie precauzioni». E ha spiegato: «Dopo una
visita medica ho scoperto di avere un fattore di rischio. Sembrava che fosse necessario
intervenire subito chirurgicamente, invece questo non è avvenuto. Ma il fattore di rischio è lì,
se mi dovessi aggravare finirei in sala operatoria». L'intervento che lo potrebbe riguardare
coinvolgerebbe l'ossigenazione cerebrale. La Piccirella su questo ha le idee chiare: «Non
voglio diventare un vegetale. Se dovesse andare male, per me niente macchine per la
respirazione artificiale e nessuna alimentazione forzata».
Lo psicologo ha chiesto una prima volta di poter esprimere la sua volontà al comitato
bioetico del San Martino ma gli è stato risposto che come "privato cittadino" non poteva
avere un parere; per ottenerlo doveva essere formalmente un paziente. Così si è rivolto a un
primario dell'ospedale che ha posto il quesito. È stato un percorso burocratico non facile, ma
La Piccirella ce l'ha fatta.
Il comitato ha redatto un "consenso informato" che in realtà è un dissenso: «È stata inserita
una clausola nella normale dichiarazione di consenso che specifica quello che io non voglio
mi sia fatto, quello per cui non do la mia autorizzazione. In sintesi, se non ci sono possibilità
di cura voglio che mi lascino morire in modo naturale».
Commento. Non tragga in inganno il titolo dell’articolo: il “via” al testamento biologico può
essere dato soltanto dal Parlamento. Ma l’iniziativa del dr. La Piccirella potrebbe rivelarsi
utile in molti casi. Premesso che prima di ogni intervento nelle strutture sanitarie, pubbliche e
private, viene richiesto al paziente di firmare il “consenso informato”, il dr. La Piccirella ha
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pensato bene di inserire ufficialmente nella sua dichiarazione di “consenso” anche un
“dissenso” nei confronti di determinati trattamenti. Ovviamente, per essere valida tale
dichiarazione deve essere sottoscritta dal paziente mentre è ricoverato, e quindi capace di
intendere e di volere. Il testamento biologico, invece, può essere sottoscritto “prima” del
ricovero per essere poi fatto valere quando occorre. (gps)
607 – LE VIGNETTE DI ROMEU OZ – EUTANASIA, PLEASE...
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