Leggi il saggio - Il Porto di Toledo

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Leggi il saggio - Il Porto di Toledo
„Fremde Nähe“, Celan legge Mandel’štam
1. Una lettura geopoetica dell’opera celaniana
Tutti questi luoghi sono introvabili, non esistono; ma io so, adesso
soprattutto, so dove dovrebbero essere, e… trovo qualcosa.
PAUL CELAN1
Figura 1 Cartine (a sinistra in lingua rumena, a destra in lingua tedesca) del territorio della Bucovina, nell’anno 1910. Fonte
http://www.bukovinasociety.org/map1910.html
Inquadrare l’opera celaniana nell’ambito della geopoetica è utile in quanto questa è la
definizione di un progetto al confine tra poesia e scienza, tra geografia concreta e “spazio
dell’anima”.
Il termine geopoetica fu coniato dal poeta e saggista scozzese Kenneth White, in una breve
nota di diario, nell’autunno del 1979, e acquisì una certa ufficialità nel 1989, con la fondazione, per
opera dello stesso White, dell’Institut internationel de Géopoétique2.
Con geopoetica s’introduce un concetto che designa un processo d’attraversamento: il
divenire letteratura della geografia e il divenire geografia della letteratura. Geopoetica è adatto
come concetto per l’analisi e la descrizione delle diverse correlazioni e interferenze tra letteratura e
geografia; non solo perché ‘geopoetica’ già allude alla parola ‘geografia’, ma perché questo
Celan P., Der Meridian, III, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2000, cit., p.202 [edizione accresciuta della precedente in
cinque volumi, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1983]; trad. it. Il meridiano. Discorso in occasione del conferimento del Premio
Georg Büchner, Darmstadt, 22 ottobre 1960, in Celan P., La verità della poesia. «Il meridiano» e altre prose, a cura di Bevilacqua
G., Torino, Einaudi, 1993, pp. 3-22.
2 Nel sito sono consultabili sia la lezione inaugurale tenuta da White, sia altri saggi di geopoetica whitiana. Cfr.
http:/www.geopoetique.net
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concetto provoca, nella prassi letteraria e nella produzione, anche la domanda circa il ruolo delle
“impostazioni”, delle “percezioni” e delle “materialità” geografiche – indipendentemente dal fatto
che siano costruite culturalmente o presenti naturalmente.
Nell’ottica della geoepoetica la lirica, trapuntata di riferimenti topografici, spaziali,
atmosferici, così intimamente legati alle sfere geologiche, ecologiche e biologiche, è parte stessa
della carta geografica. Il concetto di geopoetica vede un’interessante congiuntura nell’ambito delle
letterature della Mittel e Ost Europa. Le motivazioni sono molteplici, ma il nuovo ordine della
geografia politica in Europa dal 1989, dopo la dissoluzione del blocco orientale, gioca un ruolo
fondamentale. In particolare nella lettura geopoetica dei testi di Celan – poeta e traduttore di
famiglia ebraica, nazionalità rumena, poi francese e di eredità culturale e familiare ex-asburgica,
nato nel territorio multilinguistico della Bucovina – abbiamo compreso l’itinerario tragico e
doloroso di un io-lirico che, introiettando un geo-ecosistema nelle liriche dà voce al passato. Una
definizione esauriente del concetto di geopoetica, tuttavia, non esiste3.
È necessario dunque far luce non solo sul quando, ma anche su dove vissero gli autori, in
quale contesto. Importante è il campo di studi che cerca di far luce sul luogo di origine di Celan, il
territorio multilinguistico della Bucovina. Visitare la terra del poeta, collegare la poesia con la
geografia la si può pensare come una variante della critica delle fonti, in quanto i luoghi diventano
utili all’interpretazione. Per Celan tropi e metafore sono parte integrante del tessuto poetico, non
sono immagini dell’assurdo, ma l’oggetto di un’attività, quella letteraria, intesa come processo.
Dunque questo tipo di approccio è perfettamente applicabile alle opere celaniane, nelle quali è
molto frequente la referenza storica, la figura geo-culturale, retorica e poetica4.
Il 1945 in quanto faglia storica si ripercuote su Celan come una faglia esperienziale. Egli
«scrive di una ferita che non si chiude e di una nuova vocazione poetica che su quella ferita mai
chiusa concresce.»5 La vita fa il suo corso e Paul cerca coscientemente di superare il trauma della
faglia, anche se consapevole della tragica storicità della sua scrittura poetica. La faglia storica
rimane dunque impressa come cicatrice personale, testimoniando la ripercussione del piano
Italiano F., Tra miele e pietra. Aspetti di geopoetica in Montale e Celan, Napoli, 2009. Sullo stesso argomento si veda anche:
Marszałek M., Sasse S. (Hg.), Geopoetiken. Geographisce Entwürfe in den mittel-und osteuropäischen Literaturen, Berlin,
Kadmos, 2010.
4 Il mondo di Celan è un Medio Oriente che si estendeva dai territori più tedeschi a ovest, russi a est e turchi a sud; suo
tratto essenziale era la compresenza nella stessa area di più nazionalità, lingue e religioni, che favorivano scambi, contatti
e diversità, ma anche tensioni e conflitti. Così i paesaggi evocati dalla poesia di Celan diventano luoghi storici con
caratteristiche di temporalità differenziata e localizzazione plurima di identità.
5 Miglio C., Vita a fronte. Saggio su Paul Celan, Macerata, Quodlibet Studio, 2005, cit., p. 33; vedi inoltre Wiedemann B., Im
Osten weilt mein Herz, Arcadia, XXXII, I (1997), Celan und/in Europa, pp. 28-37.
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storico su quello privato e poetico. Inoltre per Celan, il 1945 è l’anno della rinascita europea da
contrapporre al 20 gennaio 1942, data della decisione della Soluzione finale della questione ebraica, che
agli occhi di Celan decretò la fine della coscienza europea.
La poesia si muove dentro l’abisso storico, lungo la linea che separa il mondo di ieri dal
mondo di oggi, e le poesie diventano oggetti “liminari”6. Limine diventa concetto basilare della
lingua celaniana, che sta a rappresentare una ferita che poi diventa un confine, ma anche una
traccia da seguire. Tutto sembra cominciare in Bucovina, a Czernowitz, dove il giovane Paul trova
l’uscio della propria casa “violentato”. Celan comincia quindi ad abitare lo spazio contiguo della
soglia7, intermezzo tra ieri e oggi, uno spazio dilatato, precario, ma pur sempre uno spazio, magari
da riempire con nuova vita.
La trasformazione dei luoghi in parole è semplicemente dovuta anche al fatto che, come
scrive Celan nel Meridian, un gran numero di luoghi che possono essere visitati attraverso i poemi
ora non esistono più. Possono essere trovati solo nella lingua. Celan cerca questi luoghi ma
sostiene allo stesso modo inequivocabilmente: „Keiner diese Orte ist zu finden, es gibt sie nicht.”
[«Nessuno di questi luoghi si trova, non esistono.»]8.
In particolare il luogo orientale della poesia di Celan si trova in uno spazio mobile; è segno
del plurimo. Celan non attraversa il confine tra est e ovest, tra passato presente e futuro, ma si
trova esattamente sul margine d’intersezione tra i differenti spazi-tempo. Perciò è necessaria una
forma di ricordo che risale nel tempo fino agli “spazi linguistici”. La poesia è inscritta nel tempo
Cfr. L‘introduzione di Fantappiè I., in (a cura di) Miglio C., Fantappiè I. (a cura di), L’opera e la vita. Paul Celan e gli studi
comparatistici. Atti del convegno Napoli 22-23 gennaio 2007, Napoli, Dipartimento di Studi Comparati – Collana di
Letterature Comparate n.s. 6, Il Torcoliere, 2008, cit., p. 14.
7 La soglia può essere identificata anche con l’uscio di casa (quella stessa casa “violentata” dai nazisti) che per Celan
assume valore del tragico. La “violenza” può essere interpretata anche come mancanza di rispetto delle tradizioni
ebraiche: sugli stipiti delle porte delle casa ebraiche si usa apporre un oggetto rituale chiamato Mezuzah (‫)מזוזות‬,
consistente in una pergamena (claf – scritto con penne non metalliche in caratteri ebraici ornati, da controllare
periodicamente) su cui sono stilati i passi della Torah corrispondenti alle prime due parti dello Shema, preghiera
fondamentale della religione ebraica (Deuteronomio 6:4-9 e 11:13-21) racchiusa in un apposito contenitore. I passi
contengono l’asserzione dell’unicità di Dio e gli obblighi: al rispetto delle mitzvot (precetti fulcro dell’ebraismo);
all’insegnamento dei precetti, specialmente ai figli; all’apposizione della Mezuzah sulla destra rispetto chi entra, a portata
di mano e ai ⅔ della porta stessa, da non apporre sulle porte di transito ma solo in quelle dove di risiede. Chi entrerà
nella casa dovrà toccare la Mezuzah e baciare la stessa mano, in segno di rispetto alla Torah; la Mezuzah ricorda il segno di
sangue del Korban, segno raccomandato da Dio a Mosè durante le Dieci piaghe d’Egitto, per distinguere le case ebree da
quelle egizie, sulle quali si abbatterà l’angelo della morte che ucciderà i primogeniti maschi. Cfr.
www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=148 e anche
https://it.wikipedia.org/wiki/Mezuzah; sullo stesso tema si veda anche: Moscarello M., La complessità liminare. Riflessioni
sulla “soglia” e sulla lettura della poesia russa, in (a cura di) D'Eredità D., Miglio C., Zimarri F., Paul Celan in Italia. Un
percorso tra ricerca, arti e media 2007-2014 Atti del convegno (Roma, 27-28 gennaio 2014), Roma, Sapienza Università Editrice,
2015.
8 Zanetti S., Orte/Worte – Erde/Rede. Celans Geopoetik, in Marszałek M., Sasse S. (Hg.), Geopoetiken. Geographisce Entwürfe in
den mittel-und osteuropäischen Literaturen, Berlin, Kadmos, 2010.
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del luogo in cui la si evoca, s’invera nel momento in cui il poeta la mette su carta e ogni volta che
noi la leggiamo. Le poesie della raccolta Die Niemandsrose, pubblicata nel 1963 si inserisce in quel
complesso processo di accettazione e rielaborazione dell’identità ebraica, come Es ist alles anders [È
tutto diverso] si leggono come spazi temporalizzati dove scavare per ritrovare il luogo; vita, terra
(materna), tombe generano un territorio ne «la poesia che ha tempo e non ha tempo»9. La parola
‘Est’ pronunciata da Celan vive sopra un confine che scorre tra utopia e eterotopia, ma giunge più
spesso ad una frattura insanabile, di impossibilità di chiusura del luogo, che resta aperto, ferito10.
2. Celan, il traduttore
L’affinità di Celan con le traduzioni nasce da un’esperienza di straniero vissuta e
sperimentata intensamente, esperienza spiegabile sia dal punto di vista biografico che letterario. Il
luogo di nascita di Celan, Czernowitz – capoluogo della Bucovina, era uno degli avamposti più
orientali dell’Impero asburgico, città di confine e sede di un’importantissima comunità ebraica era un luogo multiculturale per eccellenza, un luogo della polifonia, del dialogo di diverse lingue e
letterature (in città vivevano diverse nazionalità, le quali rispecchiavano la frammentazione etnica
del’Austria-Ungheria). In quest’ambiente polifonico nasce la figura del Celan traduttore, che non
solo vive la traduzione ma anche la vita, la poesia come un “testo a fronte11” – instaurando
particolari relazioni con tutti gli autori tradotti.
In tutte le sue traduzioni la lingua d’arrivo era – a prescindere dalle traduzioni in rumeno
durante gli anni a Bucarest e qualche traduzione per sua moglie in francese – il tedesco. Lingua
madre e lingua degli aguzzini nazisti. Deve usare quindi una lingua che nel tempo ha subito come
una contaminazione con la violenza e con la propaganda nazista. Alcune espressioni, infatti,
vengono distorte dal loro significato originario, costrette ad assumere un valore di violenza
diversa12. Ma Celan è convinto, come dichiara in Der Meridian, che la poesia abbia una sua propria
lingua e che solo in quella essa possa parlare: «[Das Gedicht] spricht immer nur in seiner eigene,
Celan P., Der Meridian. Vorstufen – Textgenese – Endfassung. Tübinger Ausgabe, a cura di Wertheimer J., Böschenstein B.,
Schmull H., Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1999.
10 Miglio C., L’Est di Paul Celan. Uno spazio-altro pieno di tempi, in Miglio C., Fantappiè I. (a cura di), L’opera e la vita. Paul
Celan e gli studi comparatistici.
11Miglio C., Vita a fronte, p. 116.
12 Klemperer V., LTI La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze,La Giuntina, 1998 (Tit. orig.: LTI Notizbuch
eines Philologes, Leipzig, 1975, 1° ed. 1947); sullo stesso tema si veda anche: Koesters Gensini S. E., Parole sotto la svastica.
L’educazione linguistica e letteraria nel Terzo Reich, Roma, Carocci, 2009.
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allereigensten Sache»13. I testi di Celan sono quindi il disperato tentativo di dire il mondo, di
sondarlo fino al sacrificio dell’ultima parola, fino all’esplosione del significato.
Inoltre la Fremde, terra straniera e insieme dimensione dello straniamento, e la
Fremdsprache, lingua straniera, provocano un avvicinamento a se stessi, alla propria lingua madre,
al tedesco; il rapporto è (quasi) sempre binario: con l’altra lingua e con la propria, con l’altra
cultura e con la propria. Per quanto riguarda Paul Celan possiamo essere certi che la sua lingua
madre era il tedesco, ma non possiamo affermare con altrettanta sicurezza a quale cultura
appartenesse: il suo tedesco è già denazionalizzato, che sta di fronte ad altre lingue – in particolare
al francese e al russo14. Il suo impegno di traduttore, sempre più legato alle ragioni dell’arte, lo
portarono a porre la propria lettura e scrittura come un testo a fronte di autori che lo interessano,
che gli parlano, con cui intraprende un rapporto15. Ogni volta che Celan si pose la domanda su
cosa voglia dire interloquire con qualcuno o qualcosa a fronte, teneva sempre ben presente la
risposta che aveva dato Osip Mandel’štam:
Il piacere della comunicazione è inversamente proporzionale alla nostra conoscenza reale dell’interlocutore […].
Perché questi versi giungano al destinatario, ci vorranno forse le stesse centinaia d’anni che occorrono a una stella per far
giungere la propria luce a un pianeta lontano.16
2.1 Le traduzioni dal russo
Nella liminarità dell’opera celaniana grande importanza riveste la lettura della poesia
russa. Celan aveva un’ottima conoscenza delle lettere russe. Conosceva il russo, amava la Russia,
soprattutto come spazio immaginifico17; Celan aspirava alla conquista di una dimensione che fosse
contemporaneamente geografica, emozionale e nostalgica.
Per la poetica di Celan le definizioni quali alterità ed estraneità, poesia come dialogo, come
incontro, sono formulate e sviluppate ulteriormente in rapporto all’opera e alla vita dell’acmeista
russo Osip Mandel’štam18. Celan discute gli aspetti centrali della poesia e della poetica di
Mandel’štam: la poesia come fenomeno, come visione che comprime la realtà. Accentuato
attraverso il motivo dell’estraneità, Mandel’štam viene rappresentato come una figura insolita,
Celan P., Gesammelte Werke in sieben Bänden, (a cura di) AllemannB., Reichert K., Bücher R., Frankfurt a. M., 2000, cit.,
p.196 [edizione accresciuta dalle precedenti in cinque volumi, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1983].
14 Cfr: Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 91.
15 In un arco di tempo che va dalla giovinezza a qualche giorno prima della morte Celan traduce autori francesi, ebrei
antichi, russi, israeliani, inglesi, americani, portoghesi, italiani, rumeni. Cfr: Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 66.
16 Mandel’štam O., Dell’interlocutore (1913), in Id., Sulla poesia, in Id., in La quarta prosa., Bari, De Donato, 1967, cit., p.57.
17 Riguardo alla ‘Russia’ come spazio dell’immaginario cfr: Jaccottet P., A partir du mot Russie, Paris, Fata Morgana, 2002;
trad. it. Id., (a cura di Anedda A.) La parola Russia, Roma, Donzelli, 2004.
18 Vedi infra § 4, p. 29.
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inconsueta, che riunisce in sé molti aspetti diversi. Celan entra in contatto col poeta russo più
impegnativo del suo tempo quasi per caso, ma la prima lettura dà luogo immediatamente a
un’esperienza che nel giro di pochi anni si concretizzerà in una serie di approcci ed esiti diversi:
dalla traduzione propriamente detta alla ripresa sistematica di elementi di poetica.
La particolarità delle traduzioni da Mandel’štam è che queste sono diventate parte
integrante della poesia di Celan in misura molto maggiore rispetto alle altre traduzioni dal russo;
questo riguarda soprattutto le poesie della raccolta Die Niemandsrose [La rosa di nessuno], volume
pubblicato nel 1963 e dedicato «alla memoria» [zum Andenken] del poeta russo. In molte delle
poesie contenute in questa raccolta troviamo un richiamo alla figura di Osip Mandel’štam.
Celan non si è comportato quasi con nessun altro autore come con il poeta russo Osip19.
Forse per i vari punti in comune: entrambi ebrei deterritorializzati20, entrambi accusati di plagio,
entrambi con una particolare sensibilità verso la poesia; tanto in comune da essere chiamato da
Celan «Bruder Ossip» [«fratello Ossip»] o «jüdischer Bruder» [«fratello ebreo»]. Troviamo moltissima
corrispondenza di Celan, con vari interlocutori, in cui il soggetto principale è il poeta russo,
soprattutto nei primi momenti della scoperta dell’opera di quest’ultimo. La poesia di Celan
affastella temi centrali e motivi della raccolta Die Niemandsrose ed altro con l’aiuto di questo
rapporto con Mandel’štam: rivoluzione, il tempo conservato in pietra, riflessioni sulle metafore,
confronto e nome, poesia come azione e luogo del passaggio, come fusione di memoria e
aspettativa21.
Gli appunti nel plico del Meridian documentano che Celan durante il lavoro per il
discorso per il premio Büchner era occupato con le traduzioni di Mandel’štam.
Il concetto di Meridian emerge in Celan per la prima volta nel discorso per il
conferimento del premio Büchner (1960). Le parole chiave di questa definizione sono: relazione,
incontro, ritorno. Come uno dei concetti fondamentali della sua poetologia che nasce dal confronto
con l’opera di Osip Mandel’štam, questo concetto dimostra l’apertura al mondo di Celan e
l’orientamento dialogico della sua lingua poetica. Dopo le devastanti catastrofi storiche, dopo le
Paul Celan costruì un rapporto profondo con il poeta russo. Il poeta di Czernowitz-Cernăuţi-Černovcy (forma
quest’ultima, a modo suo russificata dell’ucraino Černivici, con cui egli fece appena in tempo a vedere ribattezzare la
propria città natia) lesse Mandel’štam nel volume Sobranie sočinenij [Opere], curato da Gleb Struve e Boris FilippovFilistinskij e pubblicato a New York nel 1955. Il volume riuniva le liriche scritte da Mandel’štam fra il 1908 e i primi anni
Trenta, e una scelta di suoi testi in prosa. Cfr: Faccani R., Le due vite di Osip Mandel’štam in Mandel’štam O., (a cura di)
Faccani R., Cinquanta poesie, Torino, Einaudi, 1998, cit., p. VI
20 Mandel’štam è esule in patria. «Qui conduco una vita molto solitaria e non mi occupo quasi di nient’altro che di poesie
e di musica.» Cfr: Faccani R., Le due vite di Osip Mandel’štam in Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie,
cit., p. VIII.
21 Goßens P., Lehmann J., May M. (Hrsg.), Celan Handbuch. Leben-Werk-Wirkung, Stuttgart, J.B. Metzler, 2008.
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tragiche esperienze di guerra e dopo i traumi personali, Celan cerca per sé – come prima di lui
forse solo Joseph Roth22 – un utopico spazio spirituale-mentale-interiore, che potesse guarire le sue
ferite aperte. Egli lo trovò nell’est slavo, che a quel tempo lo affascinava per molti motivi –
biografici, storici e politici. Egli voleva evadere dal terribile e fatale caos della storia, poiché
quest’ultima era per lui «un fattore che aveva distrutto la sua biografia, che gli aveva tolto la
patria, la famiglia e gli amici, e lo aveva scagliato in un altro mondo a lui sconosciuto.»23 In una
lettera al suo amico Vladimir Markov, Celan racconta: «… das mag vielleicht mehr sein als Scherz:
eine meiner Urgroßmütter kam aus dem Russischen –, wie wäre es denn sonst möglich, daß ich,
mitten in diesem weiß Gott nichtrussischen Paris, die russische Dichtung als mir Nahe und
Nächste erlebe, daß ich… hier diese Begegnung erleben durfte: die Begegnung mit Mandelstamm!
[…] Ja, ich muß von meiner Großmutter denn doch mehr Russisches mitbekommen haben… im
Grunde bin ich wohl ein russischer Dichter…»24. I brani in questione riguardano aspetti centrali
della riflessione poetologica di Celan: la poesia come memoria e aspettativa, la poesia come forma
di manifestazione della lingua. È evidente da questi appunti come Celan si sia sentito un fiduciario
del lavoro di Mandel’štam, visto da lui come uno dei poeti russi più grandi e appena conosciuti, e
come attraverso la traduzione abbia cercato di renderlo noto al mondo25.
L’interesse di Celan per Mandel’štam va oltre la traduzione; è tanto importante la sua
figura quanto la sua poesia. I testi di Mandel’štam risultano per Celan come un libro di testo paneuropeo; essi alleggeriscono la sua localizzazione tra est e ovest, nel passato e nel presente. Va
detto però che le traduzioni di Celan da Mandel’štam sono in qualche modo “reinterpretate”:
alcune figure retoriche non sono proprie della poesia mandel’štamiana, sono invece caratteristiche
delle tarde poesie di Celan. In alcune delle poesie in lingua russa composte da Mandel’štam in cui
vi sono rimandi intertestuali, che influenzarono Celan nella composizione delle proprie liriche (mi
Joseph Roth (Brody, 2 settembre 1894 – Parigi, 27 maggio 1939) è stato uno scrittore e giornalista austriaco. Grande
cantore della finis Austriae, della dissoluzione dell'impero austro-ungarico che aveva riunito popoli di origini disparate,
con lingue, religioni, tradizioni diversissime. Lui stesso era nato alla periferia dell'impero, nei pressi di Leopoli (Lwiw),
in Galizia, nella parte orientale della Polonia; la madre era di famiglia ebrea di origini slave, mentre il padre di origini
ebree chassidico-ortodosse. I suoi romanzi La marcia di Radetzky e La cripta dei cappuccini si possono leggere come
metafora centrale del tramonto dell'impero asburgico e della perdita della patria. Cfr: Magris C., Lontano da dove. Joseph
Roth e la tradizione ebraico-orientale, Torino, Einaudi, 1971 e 1989.
23 Rylcho P., Der slawische Meridian im Werk Paul Celans, in Gaisbauer H., Hain B., Schuster E. (Hg.), Unverloren. Trotz
allem. Paul Celan-Symposion Wien 2000, Wien, Mandelbaum, 2000, cit., pp. 159-160.
24 «…che può essere più come uno scherzo: una delle mie bisnonne veniva da un retroterra russo –, come sarebbe
possibile altrimenti che, al centro di questa Parigi non russa, vivo la poesia russa come vicina e prossima, che io… qui ho
potuto sperimentare questo incontro: l'incontro con Mandel’štam! […] Sì, devo aver ricevuto davvero dalle mie bisnonne
molto di russo… in fondo io sono probabilmente un poeta russo…» (trad. it. mia) Gellhaus A., „Fremde Nähe“. Celan als
Übersetzer, Stuttgart, Deutsche Schillergesellschaft Marbach am Neckar, 1997, cit., p. 333-334.
25 Celan P., Der Meridian. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., p. 167.
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riferisco soprattutto alle poesie della raccolta Tristia del 1922 – titolo ripreso dal poeta Ovidio,
mandato in esilio sul Mar Nero da Augursto – e alla poesia omonima composta da Mandel’štam,
Tristia, tradotta proprio da Celan nel 1959). Però attraverso questo cambiamento nella traduzione,
la poesia mandel’štamiana viene resa più pungente, l’intonazione è arricchita26. Remo Faccani, in
Le due vite di Osip Mandel’štam (la prefazione al volume Cinquanta poesie che raccoglie alcuni
componimenti del poeta russo Osip Mandel’štam, con testo a fronte), afferma che si tratta in
genere di straordinarie Nachdichtungen, di splendide “traduzioni-imitazioni”, e sottolinea il fatto
che Celan osservava come «ciò che era intimamente inscritto» nelle sue poesie, «quella profonda e
dunque tragica concordanza con la propria epoca», avesse tracciato al poeta il suo cammino, gli
«avesse prescritto… la sua sorte» (trad. di G. Bevilacqua). È stupefacente, prodigioso l’intuito con il
quale Celan – partendo dal Mandel’štam giovanile (preacmeista e protoacmeista), che così
fortemente lo attraeva – seppe “vedere” anche il Mandel’štam più tardo che allora gli era del tutto
ignoto, e seppe cogliere, in sostanza, il senso unitario, ”l’invariante” che ne percorre e ne trama
l’opera27.
2.2 Tre letture a confronto
Osip Mandel’štam è per Celan un interlocutore diacronico per eccellenza. Nelle traduzioni
di Celan in tedesco – per meglio dire le riscritture in tedesco – ciò che grava è il tempo, che scorre e
si fa storia, che ingoia la lingua cancellandola, riproponendo fratture e limini28.
Prendiamo ad esempio la poesia di Mandel’štam Tristia (dall’omonima raccolta del 1922)29,
la traduzione di Remo Faccani e la versione di Celan del 1959:
Я изучил науку расставанья
Io so la scienza dei commiati, appresa
Ich lernte Abschied – eine Wissenschaft;
В простоволосых жалобах ночных.
fra lamenti notturni a chiome sciolte.
ich lernte sie nachts, von Schmerz und
Жуют волы, и длится ожиданье –
Stan ruminando i buoi, dura l’attesa:
schlichtem Haar.
Последний час вигилий городских.
ultim’ora di vegli delle scolte
Gebrüll von Ochsen. Warten, lange Haft.
И чту обряд той петушиной ночи,
cittadine. E mi piego al rito della notte
Die Stadt-Vigilie, die die letzte war.
Когда, подняв дорожной скорби груз,
del gallo, quando – in spalla il carico di
Und ich – ich halts wie in der Nacht der
Gellhaus A., Fremde Nähe. Celan als Übersetzer, Stuttgart, Deutsche Schillergesellschaft Marbach am Neckar, 1997, cit.,
pp. 357-358-359.
27 Faccani R., Le due vite di Osip Mandel’štam in Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie, cit., p. XVIII.
28 Cfr. Moscarello M., La complessità liminare, in (a cura di) D'Eredità D., Miglio C., Zimarri F., Paul Celan in Italia, cit., p.
302.
29 La poesia presenta, fin dal titolo, una densa stratificazione – una deriva quasi – di echi, di reminescenze. Nella prima
strofa si sovrappongono il ricordo dell’ultima notte di Ovidio a Roma, in attesa dell’alba che l’avrebbe visto partire verso
la terra dell’esilio, la Scizia; e il ricordo dei giorni che avevano preceduto la partenza di Tibullo per l’Oriente al seguito di
Messalla. Cfr: Note di commento in Osip Mandel’štam (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie, cit., pp. 127-128-129.
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Глядели вдаль заплаканные очи
strazio
Hähne,
И женский плач мешался с пеньем
del viaggio – guardavano lontano umidi
da ich, den Gram geschultert, wandert, lang,
муз.
occhi,
ein Aug ins Ferne sah durch seine Träne
e pianger di donne al canto si univa delle
und Weiberweinen war in Musensang.
Кто может знать при слове
muse.
«расставанье»
Wer, hört dies Wort er: Auseinandergehen,
Какая нам разлука предстоит,
Chi, alla parola «commiato», sa quale
weiß, was die Trennung und das Scheiden
Что нам сулит петушье восклицанье,
distacco giungerà per noi fra poco,
bringt,
Когда огонь в акрополе горит,
che cosa presagisce lo strepito del gallo
was es Verheißt, wenn Flammen auf dir
И на заре какой-то новой жизни,
mentre la fiamma arde sull’acropoli,
stehen,
Когда в сенях лениво вол жует,
e perché all’alba di una vita nuova,
Akropolis, und Hahnenschrei erklingt?
Зачем петух, глашатай новой жизни,
mentre il bue rumina pigro nell’andito,
Was, wenn ein neues Leben, irgendeines, tagt,
На городской стене крылами бьет?
il gallo, araldo della vita nuova,
indes die Ochsen brüllen, träg, im Stall,
sulla cinta muraria le ali sbatte?
was jenes Flügelschlagen dort besagt
И я люблю обыкновенье пряжи:
das Hahnes, der Neues kündet, auf dem Wall?
Снует челнок, веретено жужжит.
E amo il filato, amo la tessitura:
Смотри, навстречу, словно пух
il fuso ronza, va su e giù la spola.
Ich lieb, was stets sich fortspinnt, Fänden –
лебяжий,
Guarda: scalza, leggera come fosse peluria
Das Schiffchen fliegt, die Spindel summt…
Уже босая Делия летит!
Di cigno, Delia già incontro mi vola!
O sieh: ein Flaum, ein wirklicher, von
О, нашей жизни скудная основа,
O gramo ordito del vivere nostro,
Schwänen –
Куда как беден радости язык!
che povera è la lingua della gioia!
Die unbeschuhte Delia – sie kommt!
Все было встарь, все повторится снова,
Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.
O unsres Lebens Grund, der krag-und-
И сладок нам лишь узнаванья миг.
Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.
schmale,
die Bettelworte, die die Freude spricht!
Да будет так: прозрачная фигурка
Ma così sia: giace in un terso piatto
Ach, nur Gewesnes kommt, zum andern Male:
На чистом блюде глиняном лежит,
d’argilla una traslucida figura,
der Nu, da du’s erkennst – dein Glück.
Как беличья распластанная шкурка,
come una pelle stesa di scoiattolo,
Склонясь над воском, девушка глядит.
e a scrutare la cera una ragazza è curva.
So sei denn dies: Die Schale, tönern, rein,
Не нам гадать о греческом Эребе,
Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
und das Gebild aus Wachs, durchsichtig drauf.
Для женщин воск, что для мужчины
la cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per
(Wie Fell vom Feh, gedehnt.) Daneben ein
медь.
l’uomo.
Über das Wachs geneigtes Mädchenaug.
Нам только в битвах выпадает жребий,
Noi sfidiamo la sorte da guerrieri;
Nicht an uns ists, den Erebos zu fragen:
А им дано гадая умереть.
destino è ch’esse traendo auspici muoiano.
dem Mann das Kupfer, Wachs den Fraun.
Uns fällt der Würfel, das wir Schlachten
1918
1918 30
schlagen;
Sie sterben, da sie in die Zukunft schaun.
28.3.1959
30
Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie, cit., pp. 48-49-50-51.
9
In Tristia appare un anello di collegamento della “scelta-Mandelstamm”: la parola Gram
[dolore]; con questo lemma Celan segnala la sua presenza nella poesia.
Celan è presente nella poesia anche da un elemento che troviamo al secondo verso della
prima strofa: „ich lernte sie nachts” [appresa fra i lamenti notturni], ritroviamo una profonda
similitudine con la poesia di Celan più conosciuta: Todesfuge [Fuga di morte]31. Leggiamo infatti nel
secondo verso della prima strofa „[Schwarze Milch] wir trinken sie nachts” [«(Nero latte) lo beviamo
la notte»]32. In questo caso particolare Celan applica il proprio stile di componimento ad una
traduzione da Mandel’štam; il movimento è diverso ma è sempre un’influenza reciproca che porta
avanti un rapporto dialogico tra i due poeti, una relazione di comunicazione oltre lo spazio e il
tempo.
Il dolore di Celan è sottolineato dalla presenza frequente del pronome di prima persona
singolare ‘io’ [ich] – cinque volte nelle prime strofe – confrontandosi con un ‘io’ di Mandel’štam e
con molti riferimenti alla posteriorità delle traduzioni e la conoscenza pregressa del traduttore.
Nelle prime strofe troviamo il poscritto lang, che non è presente nella versione
mandel’štamiana: il tempo di Celan si fa partecipe, il peregrinare viene prolungato da questo
tempo. Altre indicazioni rispetto alla posteriorità e alla conoscenza pregressa sono sempre
contenute nelle prime strofe, come ad esempio „Warten, lange Haft” dove la traduzione fedele da
Mandel’štam dovrebbe essere invece „das Warten dauert an” [«dura l’attesa»] – l’espressione
mantenuta nella traduzione italiana di Faccani – Celan invece la stravolge inserendo il sostantivo
Haft [reclusione] dando un senso oppressivo alla situazione di attesa33; oppure „Stadt-Vigilie, die die
letzte war” invece di „die letzte Stunde der städtischen Vigilie” [«ultim’ora di vegli delle scolte
cittadine.»] – anche questa mantenuta invariata nella traduzione italiana.
Andando avanti, nelle prime due righe della seconda strofa, attraverso l’aggiunta „[Wer]
hört dies Wort er […]” [«Chi, ascolta questa parola , lui»], Celan accentua il significato prioritario
dell’udito su tutti gli altri sensi; ricordiamo che la prima epifania mandel’štamiana si destò per
La poesia (contenuta nella raccolta Mohn und Gedächtnis [Papavero e memoria] 1952) è un potente grido di dolore che
descrive la realtà del campo di concentramento, denuncia la condizione dei prigionieri, e mette a nudo la crudeltà dei
carcerieri nazisti nella sua elementare banalità quotidiana. Di questa poesia è da sottolineare il ruolo svolto dagli avverbi:
essi pongono l’accento sulla monotonia che tristemente accompagnava i lavoratori dei campi di concentramento. Il titolo,
originariamente Tango Morţii [Tango della morte], coniuga la morte con il ritmo musicale proprio della Fuga, che Celan
si propone di riprodurre nell’andamento dei suoi versi; in esso è da vedersi anche un richiamo diretto all’imposizione
umiliante, inflitta dai nazisti agli ebrei prigionieri dei campi, di suonare e cantare durante le marce e le torture.
32 Celan P., Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di Bevilacqua G., Milano, Mondadori, 1998, cit., p. 62 ss.
33 Il sostantivo Haft ricorda inoltre la prigionia cui furono soggetti Celan (nel campo di lavoro di Tăbăreşti) e
Mandel’štam (nel GULag siberiano di Vladivostock)
31
10
Celan proprio attraverso il senso dell’udito e poi della vista, in particolare nella poesia Nachmittag
mit Zirkus und Zitadelle [Pomeriggio con circo e fortezza]: „Da hört ich dich, Endlichkeit, singen|da sah
ich dich, Mandelstamm”34. Notiamo inoltre che la parola russa разлука/ražluka nella versione di
Celan ha due lemmi di significato eguale che sono entrambi racchiusi nella parola russa: Trennung
[divisione] e Scheiden [separazione], a questo porta «il distacco», com’è tradotto nella versione
italiana.
Continuando leggiamo un’altra poesia35 dove Mandel’štam scrive:
Я слово позабыл, что я хотел сказать.
Слепая ласточка в чертог теней вернëтся,
На крыльях срезанных, с прозрачными играть.
В беспамятстве ночная песнь поëтся. […]36
Remo Faccani traduce:
Mi sfugge la parola che avrei voluto dire.
Per giocare con esse, le diafane, alla reggia
delle ombre, su ali mozze, torna la cieca rondine.
E nel deliquio, a notte, echeggia una canzone.
Seguendo la lezione di Faccani, la «rondine», mediatrice tra il regno dei vivi e quello dei
morti, va a recuperare, anche se con difficoltà (a causa delle «ali mozze»), la parola poetica che sta
nell’infero palazzo delle ombre. La parola è silenziosa, letargica. La riporta su tra i vivi solo la
rondine. Solo allora risuona.
Ma Celan riscrive:
Das Wort bleibt ungesagt, ich finds nicht wieder.
Die blinde Schwalbe flog ins Schattenheim,
zum Spiel, das sie dort spielen. (Zersägt war ihr Gefieder.)
Tief in der Ohnmacht, nächtlich, singt ein Reim.37
Nel primo verso dell’originale russo si dice, letteralmente: «ho dimenticato la parola», il
soggetto è quindi presumibilmente il poeta. Celan invece inverte tutto, appunto riscrive: qui è la
parola a fare la funzione di soggetto, è questa a rimanere inespressa, ungesagt. La facoltà di parola
arretra – Mandel’štam scrive entrambe le poesie citate nel 1920, in piena guerra civile – ma intanto
Celan, ampiamente documentatosi sulle circostanze in cui andavano nascendo le poesie
Cfr: Celan P., Poesie, (a cura di) Bevilacqua G., cit., pp. 448-449.
La poesia è indicizzata con il capoverso: « Я слово позабыл, что я хотел сказать.».
36 «Ja slovo pozabyl, čto ja chotel skazat’.|Slepaja lastočka v čertog tenej vernëtsja, |Na kryl’jach srezannych, s
prozračnymi igrat’.|V bespamjatstve nočnaja pesn’ poëtsja.» in Mandel’štam O., Ottanta poesie. Testo russo a fronte,
Torino, Einaudi, 2009, cit., pp. 76-77.
37 Celan P., Gesammelte Werke in sieben Bänden, cit., p. 115.
34
35
11
mandel’štamiane, ritrova nel poeta russo i propri versi. Ricordiamo che la consapevolezza del
limine storico ed esperienziale è peculiarità di molta della lirica russa ascrivibile alla cosiddetta
epoca d’argento, la quale – sia detto in modo esemplificativo – va dalla fine del XIX secolo sino agli
anni Trenta del XX. La maggior parte dei volumi di letteratura russa posseduti da Celan è
riconducibile a tale lirica, sia a quella prodotta in Russia che a quella prodotta all’estero
dall’emigrazione russa.
Vediamo infine, la strofa centrale del componimento Сестры тяжесть и нежность,
одинаковы ваши приметы. [Sëstry – tjažest' i nežnost' – odinakovy vaši primety / Pesantezza e
tenerezza – sorelle, vi distingue un identico tratto]:
У меня остаëтся одна забота на свете:
Золотая забота, как времени бремя избыть. [...]38
Prima della riscrittura di Celan si veda anche la traduzione di Remo Faccani:
Al mondo un pensiero, uno soltanto, mi resta:
il dorato pensiero di come liberarsi dal fardello del tempo.
Ed ora la versione celaniana:
Mir bleibt nur eine Sorge – die einzige und goldne:
das Joch der Zeit – was tu ich, daß ich dies Joch zerschlag?39
La versione di Celan è più violenta dell’originale. Il tempo non è più ‘fardello’
[бремя/bremja] – ma è das Joch, il giogo, ponendosi quindi in una condizione di dipendenza rispetto
al tempo, condizione dalla quale bisogna liberarsi40.
Sembra dunque che, nelle riscritture, Celan si avvii a comprendere in che modo un'idea
che gli è propria, il limine e il suo attraversamento, venga espressa nell'alterità della poesia russa e
nell’alterità di altri frangenti storici. La poesia russa si apre come un orizzonte storico nel quale
Celan trova un controcanto. Ciò che è importante sottolineare è la ricezione, da parte di Celan, di
tutta una pleiade di poeti russi41 che si è svolta sotto il segno di un riconoscimento di soglie
«U menja ostaëtsja odna zabota na svete: |Zolotaja zabota, kak vremeni bremja izbyt’.» L’originale russo e la
traduzione si possono trovare in Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Ottanta poesie, cit., pp. 72-73.
39 Celan P., Gesammelte Werke in sieben Bänden, cit., p. 109.
40 Cfr: Timoschkowa N., Ein Mandeltraum. Übersetzungskritische Untersuchungen zur Rolle Ossip Mandelstamms im
dichterischen Gesamtwerk Paul Celans, Berlin, Frank&Timme, s.a.
41 È senz'altro arbitrario riunirli tutti insieme sotto l’espressione ‘pleiade’. Infatti ogni poeta ha fatto poesia solo dalle
proprie posizioni simboliste, futuriste, post-simboliste e quant’altro. D'altronde però anche Roman Jakobson ha
parlato di quei poeti in uno scritto del 1930 usando il termine ‘generazione’ per mettere in risalto il comune destino che li
ha tenuti uniti: rivoluzioni, guerre civili, persecuzioni partitiche, morti misere. Cfr: Moscarello M., La complessità liminare,
in (a cura di) D'Eredità D., Miglio C., Zimarri F., Paul Celan in Italia, cit., p. 303-304.
38
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temporali e ferite personali, come a cercare possibili risposte e riscontri alla invasività della storia,
al tragico, al momento utopico-rivoluzionario42.
3. Celan e „Mandelstamm”
Come forse per nessun altro dei suoi contemporanei e compagni di sventura poetanti in Russia – […] per i quali
vale e andrebbe approfondito quanto disse Roman Jakobson essere stati «ingoiati» dalla loro stessa generazione […] –
per Osip Mandel’štam […] la poesia è il luogo ove ciò che può essere percepito e raggiunto mediante la lingua si
raccoglie attorno a quel centro da cui esso ricava forma (Gestalt) e verità: attorno a quella individuale esistenza (Dasein)
che pone interrogativi all’ora presente, sia la propria che quella del mondo […]. Che è come dire in quale misura la
poesia di Mandel’štam, la poesia di uno scomparso ora riemerso dal suo abisso, riguardi oggi tutti noi.43
La ponderosa riflessione su Mandel’štam riporta Celan al senso liminare della sua poesia.
Osip Mandel’štam – germanizzato: Ossip Mandelstamm. Basta il suo nome a evocare
nell’opera di Celan un’icona della comunicazione riuscita tra i due poeti oltre lo spazio e il tempo44.
Un confronto con la poesia di Mandel’štam che può essere interpretato anche come rapporto
profondo, umano, estetico ed etico; un incontro, più che un confronto45. Celan amava contaminare
i diversi mondi nella memoria di un nome. Con un gesto uguale e contrario a quello compiuto con
il proprio germanizza il cognome del poeta russo che viene semantizzato, gli viene conferita la
dignità di Nome all’interno dell’opera celaniana: Mandelstamm, Mandel, Stamm, Mandelbaum46. La
ripetizione speculare, inversa, del nome proprio (Ancel-Celan, Mandel-Stamm) generano
significati che danno luogo a una forma di un io che reagisce a un tu.
Ogni volta che Celan parla del poeta russo allude anche a se stesso47, in quanto ciò che li
Cfr. Moscarello M., La complessità liminare, in (a cura di) D'Eredità D., Miglio C., Zimarri F., Paul Celan in Italia.
Celan P., Nota introduttiva a una scelta di poesie di Mandel’štam in traduzione tedesca, in Id., La verità della poesia. «Il
meridiano» e altre prose, (a cura di) Bevilacqua G., Torino, Einaudi, 1993., cit., p. 40 [ed. orig. Mandel’štam O., Gedichte, aus
dem Russischen übertragen von Paul Celan, Frankfurt a. M., 1959].
44 Celan su Mandel’štam in (a cura di) Dutli R., Osip Mandel’štam. Im Luftgrab. Ein lesebuch mit Beiträgen von Paul Celan,
Pier Paolo Pasolini, Philippe Jaccottet, Josif Brodskij, Frankfurt am Main, Insel, 1992, dove è pubblicato per la prima volta Die
Dichtung Ossip Mandelstamms, saggio radiofonico redatto per una trasmissione del Westdeutscher Rundfunk; trad. it. La
poesia di Osip Mandel’štam, in Celan P., La verità della poesia cit., pp. 47-56.
45 Il rapporto di Celan con Mandel’štam è stato ampiamente studiato. A titolo esemplificativo si riportano qui le parole di
Remo Faccani: «La poesia di Mandel’štam ha lasciato numerose vivide tracce nella letteratura moderna. […] Il rapporto
di gran lunga più profondo con Mandel’štam – sintonia che Iosif Brodskij non avrebbe esitato a definire “merismerica” e
che ha dettato a Giuseppe Bevilacqua osservazioni acute e illuminanti – lo rintracciamo in Paul Celan.»
(dall’introduzione di Remo Faccani a Mandel’štam O., Ottanta poesie, cit., p. XV.)
46 Cfr. Miglio C., Vita a fronte, cit., pp. 247-248.
47 La condizione dell’uomo poeta che vive da ex in un mondo post, è una condizione estremamente tesa. Il dissidio si
traduce in un’esistenza compressa tra un passato sfumato e prospettive di vita incerte, tra l’inadeguatezza al mondo post
traumatico e la pressante necessità di mimetizzarsi con esso, di accettarlo. Mandel’štam esprime così il rammarico di
dover continuare a vivere, quasi in senso vegetativo, in un epoca che non gli è congeniale: «Тварь, покуда жизнь
хватает,/Донести хребет должна» (La creatura fino a che c’è vita|deve in giro portare la sua schiena), dalla poesia Век
42
43
13
accomuna è, secondo Paul, una condizione di nomadismo e di congedo continuo nonché lo
sterminio che ha coinvolto anche Mandel’štam. Nel 1954 lo si credeva morto per mano nazista.
Solo nel 1964 emersero le circostanze della sua morte nel GULag siberiano di
Vladivostock, ma – osservava Celan – «ci deve dare da riflettere già il fatto che entrambe le
versioni dei fatti fossero state pensabili e possibili»48.
Nella germanizzazione del nome Mandelstamm (‘ramo, ceppo di mandorlo’, ‘stirpe che
viene dal mandorlo’), Celan risale alla valenza mistico-simbolica della mandorla: amaro e nascosto
il cuore delle cose, albero che per primo fiorisce a primavera, pianta del ritorno della vita, il cui
frutto ricorda la forma degli occhi della stirpe di Davide (mandeläugig), nel cui frutto, la mandorla,
l’iconografia più antica iscrive il corpo e il volto di Gesù. Ma anche: frutto che racchiude nel
proprio nome la memoria dell’orrore. Dalla mandorla amara si estraeva il Zyklon-B, sostanza
tossica con cui i nazisti sopprimevano le loro vittime nelle camere a gas49.
La poetica di Mandel’štam possiede un aspetto epico, che verrà recepito da Celan in
alcune poesie di ampio respiro raccolte in Die Niemandsrose, volume dedicato appunto alla
memoria del poeta russo e fa emergere potentemente la ricerca delle radici della propria lingua e
cultura orientale-slava. Rivelano una comune ispirazione poetica nei motivi affrontati: la distanza,
la dispersione dell’identità di luogo e di lingua, la continuità-contiguità con altri luoghi e lingue.
Oltre alla poesia Es ist alles anders, che verrà affrontata nella sua analisi più avanti, anche
la poesia Eine Gauner- und Ganovenweise gesungen zu Paris Emprès Pontoise von Paul Celan aus
Czernowitz bei Sadagora [Una canzone di ribaldi e ladri cantata a Parigi Emprès Pontoise da Paul
Celan da Czernowitz presso Sadagora ], anche’essa contenuta nella raccolta Die Niemandsrose,
presenta rimandi alla radice del cognome germanizzato di Osip Mandel’štam e ad una favola della
tradizione tedesca raccolta dai fratelli Grimm (senza tralasciare l’andamento rapsodico e uno
svariare tra rievocazioni storiche della persecuzione antisemita e ferite personali50). Eccone un
estratto:
[…] Und wir zogen auch nach Friaul.
Da hätten wir, da hätten wir.
Denn es blühte der Mandelbaum.
Mandelbaum, Bandelmaum.
[Epoca], Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Ottanta poesie, cit., pp. 88-89); o ancora, il capoverso «Я должен жить,
хотя я дважды умер…» [Benchè morto e rimorto, debbo vivere], dall’omonima poesia (Ivi, cit., pp. 138-139).
48 Gellhaus A., Fremde Nähe, cit., p. 345.
49 Miglio C., Vita a fronte, p. 116.
50 Bevilacqua G., Eros – Nostos – Thanatos: la parabola di Paul Celan, in Celan P., Poesie, cit., p. LXXXIII.
14
Mandeltraum, Trandelmaum.
Und auch der Machandelbaum
Chandelbaum.[…]51
La poesia di Celan è, anche in altre strofe, fatta di analogie: accanto alle reminescenze
storiche – dalle ballate di Villon, alle poesie di Heine, alle citazioni bibliche – introduce riferimenti
alla propria biografia, attraverso le citazioni storiche o letterarie. In questa particolare poesia però
l’accento cade su Mandelbaum, che potrebbe far riferimento al nome di Osip Mandel’štam, la più
importante figura storica di tutta la Niemandsrose. Il riferimento però potrebbe anche essere ad un
ricordo d’infanzia, le fiabe dei fratelli Grimm52: Von dem Machandelbaum [Il ginepro] una storia di
violenza e assassinio, ma anche di rinascita e di riconciliazione. Si può anche associare ad un altro
ricordo d’infanzia, il linguaggio ludico che storpia il lemma in Bandelmaum, Mandeltraum,
Trandelmaum. L’ambiguità di questa poesia può essere interpretata come principio creativo, che
non lascia una univoca interpretazione53.
La cifra mandel’štamiana si ritrova anche nella poesia Nachmittag mit Zirkus und Zitadelle
[Pomeriggio con circo e fortezza]; infatti alla fine della prima strofa si legge:
[…] da sah ich dich, Mandelstamm.54
Celan ribadisce così la presenza costante del poeta russo, che è sempre davanti ai suoi occhi
nella composizione delle poesie contenute nella raccolta. Mandel’štam è per Celan il poeta della
memoria, in una accezione etica, politica e poetica. È una memoria che si risveglia nel canto,
ovvero ritorno della vita contro la morte, eredità che Celan attraverso Mandel’štam accoglie dal
movimento acmeista55.
Sempre nella raccolta Die Niemandsrose abbiamo rimandi ad una poesia di Mandel’štam,
composta dal poeta russo nel 1916 leggiamola:
«[…] E andammo anche alla volta del Friuli.|Lì noi avremmo, lì noi avremmo.|Poiché il mandorlo era in
fiore.|Mandelbaum, Bandelbaum.|Mandeltraum, Trandelmaum.|Ed anche il ginepro.|Machandelbaum,
Chandelbaum.» Celan P., Poesie, cit., pp. 386-387-388-389.
52
Ricordiamo che in una intervista radiofonica definì il tedesco “la lingua dei sogni e delle favole”, Cfr: Miglio C., Vita a
fronte, cit., p. 90.
53 Gelber M.H., Horch H.O., Scheichl S.P., (Hg.), Von Franzos zu Canetti: Jüdische Autoren aus Österreich. Neue Studien,
Berlin, De Gruyter, 1996, p. 126.
54 «[…] te io vidi, Mandel’štam.», Celan P., Poesie, cit., pp. 448-449.
55 Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 119-120
51
15
Nella diafana Petropoli morremo,
dove su noi Proserpina ha dominio.
Beviamo aria di morte a ogni respiro,
ed ogni ora è per noi l’ora suprema.
O Atena minacciosa, dea del mare,
togli l’elmo di pietra, il possente elmo.
Nella diafana Petropoli morremo, –
qui non sei tu, è Proserpina a regnare.
Maggio 1916.56
Petropoli: anche In Eins viene citata questa variante grecizzata di Pietroburgo [Peterburg],
città nella quale Mandel’štam trascorse la sua giovinezza: «[…] la mano fraterna, salutante con|la
benda tolta da quegli occhi|grandi come parole – Petropolis […]»57; si noti nell’originale tedesco la
parola composta Bruderhand, quasi un’anticipazione allo scambio che si attua nella traduzione
celebrato come un rito in Es ist alles anders.
Ad ogni modo tutte (In Eins, Hinhausgekrönt, Hütterfenster, Es ist alles anders, In der Luft58)
rivelano lo sguardo elegiaco di chi trovandosi a Parigi si volge all’indietro proiettando nel futuro
(spesso nel firmamento) la memoria e le immagini dei luoghi, delle cose, delle persone perdute,
della lingua perduta.
Abbiamo già detto che Mandel’štam è per Celan il poeta della memoria, ma non si tratta
di memoria o culto antiquario dei classici, ma di luoghi sensibili del passato che si risvegliano nel
presente, sempre pronti, una volta incorporati nella poesia, a rivivere ancora nel futuro. Per
esempio Tristia è la lirica eponima del secondo libro di versi di Mandel’štam che fu tradotta da
Celan nel 1959; e presenta, fin dal titolo, una densa stratificazione – una deriva quasi – di echi, di
reminescenze59. E ancora il poeta russo indica una via che rende possibile un legame tra morte e
vita, una possibilità di ritorno; ancora una volta il corpo, la memoria, il paesaggio trapassano in
scrittura60.
«В Петрополе прозрачном мы умрем,|Где властвует над нами Прозерпина.|Мы в каждом вздохе смертный
воздух пьем,|И каждый час нам смертная година.|Богиня моря, грозная Афина,|Сними могучий каменный
шелом.|В Петрополе прозрачном мы умрём, – |Здесь царствуешь не ты, а Прозерпина. Май 1916», Mandel’štam
O., (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie, cit., pp. 44-45. Si noti anche che un’altra poesia di Mandel’štam, dalla raccolta
Tristia presenta la stessa apertura: «В Петербурге…» [«A Pietroburgo…»] Cfr: Celan P., Die Niemandsrose. Vorstufen –
Textgenese – Endfassung, cit., pp. 106-107.
57 «die Bruderhand, winked mit der|von den wortgroßen Augen|genommenen Binde – Petropolis […]», Celan P., Poesie,
cit., pp. 462-463.
58 In uno, Incoronato fuori, Finestra di capanna, È tutto diverso, Nell’aria in Gesammelte Werke II, cit., pp. 270, 271-272,
278-279, 290-291; trad. it. in Celan, Poesie cit., pp. 426 sgg., 465 sgg., 478 sgg., 490 sgg., 502 sgg.
59 Note di commento in Mandel’štam O., (a cura di) Faccani R., Cinquanta poesie, cit., pp. 127-128-129.
60 Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 46.
56
16
La memoria si risveglia nel canto: significa ritorno della vita contro la morte,
affermazione dell’utopia. È l’eredità che Celan attraverso Mandel’štam accoglie dal movimento
acmeista61. È una lettura possibile degli enigmatici versi di Hinausgekrönt [Incoronato fuori]:
(Und wir sangen die Warschowjanka62.
Mit verschilften Lippen, Petrarca.
In Tundra-Ohren, Petrarca.)
La Warschowjanka, canzone composta nel 1830 durante l’insurrezione di Varsavia (città
natale di Mandel’štam), era l’inno-bandiera di tutte le rivoluzioni operaie europee del XIX e XX
secolo. Il procedimento tipico dell’immaginazione poetica di Celan fa supporre qui anche un
richiamo tra la Warschowjanka e la memoria delle due insurrezioni della capitale polacca contro i
nazisti: nell’aprile-maggio 1943 quella del ghetto, e nell’agosto-ottobre 1944 quella dell’intera città.
Entrambe le rivolte, per il loro esito tragico, furono schernite, ciascuna a suo modo, come atti di
opposizione folli e velleitari. Ma proprio per questo nella visione libertaria di Celan esse potevano
apparire episodi estremi di testimonianza dell’umano a costo della morte. Il testo della
Warschowjanka canta della lotta contro i tiranni, la memoria dei morti, il loro permanere nell’opera
dei vivi, la vendetta contro gli ingiusti, in un liberatorio giorno del giudizio. Inoltre la strofa
chiama in causa due interlocutori: Mandel’štam e Petrarca. Con loro la poesia intona un canto di
resistenza contro la morte, contro gli assassini.
Tra gli abbozzi del frontespizio del volume Die Niemandsrose, dedicato «alla memoria di
Ossip Mandelstamm» vale la pena di citare alcune formulazioni, attraverso cui Celan era passato
prima di giungere alla dedica definitiva data alle stampe:
OSSIP MANDELSTAMM
Al poeta|All’uomo
IN MEMORIAM
AETERNAM63
Si potrebbe anche riflettere sul ruolo simbolico che il poeta russo assume in altri contesti poetici del Novecento come
suggerito da Jaccottet P., A partir du mot Russie; trad. it. Id., (a cura di Anedda A.) La parola Russia.
62 «E cantavamo la Warschowjanka|con le labbra invase da giunchi, Petrarca.|In orecchie di tundra, Petrarca.» La
Warszawianka (nell’ortografia polacca) venne ripresa come inno rivoluzionario alla fine del XIX secolo e reinterpreta in
russo come canto bolscevico. La Varsovienne è anche una danza francese della metà del XIX secolo, con ritmi ternari tra
mazurka e valzer.
63 Celan P., Die Niemandsrose. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., p. 4.
61
17
E ancora, in una citazione in lingua originale tratta da Dante, l’altro poeta italiano tradotto
da Mandel’štam, qui ricordato con un verso sull’etica del fare poesia:
… si che dal fatto il dir non sia diverso
Dante, Inferno, Canto XXXII, 12
In memoria di Osip Mandelstamm 64
Vi sono altri versi dedicati a Mandel’štam contenuti nella raccolta; Celan se ne ricorda solo
un anno dopo la pubblicazione de Die Niemandsrose, e in una lettera alla moglie scrive questi versi:
«Ricciolo ebreo non diventi grigio». È un verso della poesia Mandorla65.
Petrarca, Mandel’štam, la poesia, il messianesimo libertario, sono i segni congiunti nella
costellazione di una umanità libera. Libera anche di fronte all’orrore, libera nella e per la parola
poetica. Ne è emblema l’immagine, autentica, delle ultime ore di Mandel’štam nel GULag di
Vladivostok, tramandata dal racconto di Ilja Erenburg. Il poeta straziato che resiste, recitando a
memoria i versi di Petrarca66.
3.1 Es ist alles anders
ES IST ALLES ANDERS [È TUTTO DIVERSO] è tra gli ultimi testi composti e inseriti da
Paul Celan nella raccolta Die Niemandsrose, datata 5 giugno 1962, ripresa e modificata il 25 aprile
1963 – su questa poesia viene apposta l’ultima correzione all’intero volume, inviato alla casa
editrice i primi di maggio – per la quarta e conclusiva sezione della raccolta Die Niemandsrose. Il
volume è dedicato – come abbiamo visto – al poeta polacco naturalizzato russo Osip Mandel’štam
(germanizzato in Ossip Mandelstamm).
Die Niemandsrose si inserisce nel complesso processo di accettazione e rielaborazione
dell’identità ebraica che da sempre interessa e determina la lirica di Celan. Si presenta come una
successione di salmi, che, oltre a fare riferimento a quelli biblici, si ricollegano alla tradizione dei
Lieder luterani, così forti e pregnanti nella lirica tedesca. Il linguaggio religioso diventa linguaggio
estetico, mentre la parola poetica diventa parola orante sempre orientata al dialogo, verso un Tu67.
Il meridiano de Die Niemandsrose percorre i paesaggi della Bucovina, dell’Ucraina, del Mar Nero,
Celan P., Die Niemandsrose. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., p. 5.
„Judenlocke, wirst nicht grau.“, Celan P., Mandorla, in Id., Die Niemandsrose, in Id. Gesammelte Werke in sieben Bänden, (a
cura di) Allemann B., Reichert K., Bücher R., cit., p. 415
66 Cfr. Werberger A., Paul Celan und Osip Mandel’štam oder „Pavel Tselan“ und „Joseph Mandelstamm“ – Wiederbegegnung in
der Begegnung, “Arcadia“, XXXII, I, 1997, cit., p. 8.
67 Dammiano E., Gelobt seist du, Niemand. La riscrittura biblica nella poesia di Paul Celan
(http://www.lerotte.net/index.php?search=1&id_article=171) in Il Porto di Toledo (http://www.lerotte.net)
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18
della Boemia, della Moravia, della Russia. Celan cita anche paesi e città con determinazioni precise:
Vitesbk, Sadagora, Praga, il Mar Nero. E cerca di ricomporre da Ovest questi luoghi, i morti assenti
e il volto della madre nel loro esodo, in un’operazione che ricorda molto il raccoglimento della
scintille divine della Shekinah68 sparse nella terra nel momento della creazione.
La ricerca topologica perseguita in questa raccolta mostra come l’attenta ricostruzione di
una mappatura geografica avviene a partire dai luoghi dell’infanzia di Celan, l’est ramingo69, i
luoghi dello sterminio, ma anche a partire da quei luoghi che Celan vede come rivoluzionari, come
puntelli di resistenza al potere70.
Celan, salmista moderno, plasma “a sua immagine” la materia biblica, procedendo,
attraverso una serie di versi-citazioni, alla costruzione della sua teodicea, che da utopica diventa
sempre più accusatoria e negativa.
Questa poesia conferisce una torsione particolare all’utopia del ricomporre “in uno”71: il
qui e dell’altrove, l’oggi e la memoria. L’utopia è illuminata dal rapporto con „Ossip
Mandelstamm”, dalla traduzione della lingua russa. La circolazione dei significati e dei significanti
riesce a creare una progressione che si estende per analogia, nelle strofe successive, all’eros e al
possibile rapporto con la terra perduta72.
ES IST ALLES ANDERS, als du es dir denkst, als ich es mir denke,
die Fahne weht noch,
die kleinen Geheimnisse sind noch bei sich,
sie werfen noch Schatten, davon
lebst du, leb ich, leben wir.
Die Silbermünze auf deiner Zunge schmilzt,
sie schmeckt nach Morgen, nach Immer, ein Weg
nach Rußland steigt dir ins Herz,
die karelische Birke
hat
Luria e i suoi discepoli vedono in questa riassunzione delle scintille cadute una specie di redenzione.
Un’interpretazione eretica di questa dottrina portata avanti da Nathàn di Gaza afferma, invece, che il Messia stesso ad
un certo punto deve scendere nel regno del male e dell’impurità per liberare le scintille prigioniere dei gusci (Qelipoth).
Cfr. Scholem G., Le grandi correnti della mistica ebraica, trad. it. Busi G., Genova, Il Melangolo, 1982, cit., pp. 317-318.
69 Sul tema dei luoghi e dei nomi dell’est in Celan cfr. Miglio C., Vita a fronte, cit., pp. 25-58.
70 Rascente M., Metaphora absurda. Linguaggio e realtà in Paul Celan, Milano, Franco Angeli, 2011, cit., p. 62.
71 In Eins [In uno], come recita un altro titolo del progettato ciclo, luoghi e tempi e memorie; cfr. Gesammelte Werke I, cit.,
p. 270; trad. ita. Unificando, in Celan, Poesie cit., p. 463.
72 Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 122.
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gewartet,
der Name Ossip kommt auf dich zu, du erzählst ihm,
was er schon weiß, er nimmt es, er nimmt es dir ab, mit Händen,
du löst ihm den Arm vor der Schulter, den rechten, den linken,
du heftest die deinen an ihre Stelle, mit Händen, mit Fingern, mit Linien,
– was abriß, wächst wieder zusammen –
da hast du sie, da nimm sie dir, da hast du alle beide,
den Namen, den Name, die Hand, die Hand,
da nimm sie dir zum Unterpfand,
er nimmt auch das, und du hast
wieder, was dein ist, was sein war,
Windmühlen
stoßen dir Luft in die Lunge, du ruderst
durch die Kanäle, Lagunen und Grachten,
bei Wortschein,
am Heck kein Warum, am Bug kein Wohin, ein Widderhorn hebt dich
– Tekiah! –
wie ein Posauneneschall über die Nächte hinweg in den Tag, die Auguren
zerfleischen einander, der Mensch
hat seinen Frieden, der Gott
hat den seinen, die Liebe
kehrt in die Betten zurück, das Haar
der Frauen wächst wieder,
die nach innen gestülpte
Knospe an ihrer Brust
tritt wieder zutag, lebens-,
herzlinienhin erwacht sie
dir in der Hand, die den Lendenweg hochklomm, –
wie heißt es, dein Land
hinterm Berg, hinterm Jahr?
Ich weiß, wie es heißt.
Wie das Wintermärchen, so heißt es,
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es heißt wie das Sommermärchen,
das Dreijahreland deiner Mutter, das war es,
das ists,
es wandert überallhin, wie die Sprache,
wirf sie weg, wirf sie weg,
dann hast du sie wieder, wie ihn,
den Kieselstein aus
der Mährischen Senke,
den dein Gedanke nach Prag trug,
aufs Grab, auf die Gräber, ins Leben,
längst
ist er fort, wie die Briefe, wie alle
Laternen, wieder
mußt du ihn suchen, da ist er,
klein ist er, weiß,
um die Ecke, da liegt er,
bei Normandie -Njemen – in Böhmen,
da, da, da,
hinterm Haus, vor dem Haus,
weiß ist er, weiß, er sagt:
Heute – es gilt.
Weiß ist er, weiß, ein Wasserstrahl findet hindurch, ein Herzstrahl,
ein Fluß,
du kennst seinen Namen, die Ufer
hängen voll Tag, wie der Name,
du tastest ihn ab, mit der Hand:
Alba.
[È TUTTO DIVERSO da come pensi tu, da come penso io,|la bandiera sventola ancora,|i piccoli segreti sono
ancora intatti,|gettano ancora ombre, di cui|vivi tu, vivo io, viviamo.||La moneta si disfa sulla tua
lingua,|sa di domani, di sempre, una via|per la Russia ti sale nel cuore|la betulla carelica|è|in attesa,|il
nome Ossip ti viene incontro, gli narri|quello che sa, lo accoglie, lo coglie da te con le mani,|gli stacchi le
braccia dalle spalle, il destro, il sinistro,|attacchi le tue al loro posto, con le mani, le dita, le linee,||– ciò che
era strappato si rinsalda – |eccoli, prendili, li hai tutti e due,|la mano, la mano, il nome, il nome,|prendili in
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pegno come|li prende lui, riavrai|di nuovo ciò che è tuo, ciò che era suo,||mulini||ti gonfiano d’aria i
polmoni, remi|per canali, lagune e fossi|al lume di parola,|la poppa senza perché, la prua senza mete, un
corno d’ariete ti solleva|| – Tekiah! – ||come squillo di tromba al di là delle notti nel giorno, gli àuguri|si
sbranano tra loro, l’uomo|ha la sua pace, Dio|ha la sua, l’amore|ritorna nei letti, i capelli|delle donne
ricrescono,|la gemma accartocciata|nel loro seno torna alla luce, si ridesta|lungo le linee della vita e del
cuore,|nella tua mano che ha risalito i fianchi, – ||come si chiama, la tua terra|dietro il monte, dietro
l’anno?|Io so come si chiama.|Come la fiaba invernale si chiama,|si chiama come la fiaba d’estate,|la terra
materna dei tre anni, era questo,|è questo,| che va errando ovunque, come la lingua,|gettala via, gettala
via,|e l’avrai di nuovo, come|il sassolino della|bassa Morava|portato a Praga dal tuo pensiero,|sulla tomba,
sulle tombe, nella vita,|da tempo|se n’è andato, come le lettere, come|le lanterne, devi|cercarlo di nuovo, è
là|è piccolo, e bianco,|dietro l’angolo, sta là,|in Normandia-Njemen – in Boemia,|là, là, là|dietro la casa,
davanti alla casa,|è bianco, bianco, dice:|Oggi – vale.|È bianco, bianco, un raggio|d’acqua vi si apre la
strada, un raggio del cuore,|un fiume,|tu conosci il suo nome, le rive|cariche di giorno, come il nome,|lo
tasti con la mano:|Alba.73]
Il testo è ripartito in tre grandi sezioni. La prima sezione è spezzata in tre strofe di
lunghezza differente. Siamo di fronte ad una situazione iniziale che parla di fratture, ma anche di
suture. Da quelle suture ci sarà la possibilità di ricreare l’unità, il ricongiungimento, attraverso la
lingua e la traduzione.
L’incipit è un invito a cambiare la prospettiva del nostro sguardo ES IST ALLES ANDERS,
als du es dir denkst, als ich es mir denke [È TUTTO DIVERSO, da come pensi tu, da come penso io] e
in due versi centrali occorre tre volte noch [ancora]: residuo di un permanere, che si proietta verso
ciò che può ri-accadere [wieder]. Questo avverbio e prefisso ricorre nelle strofe successive all’incipit
della prima strofa e ha la funzione di cucire insieme le parti di questa elegia del ritorno. Nella
ripetizione della struttura „du-ich”: „als du es dir denkst, als ich es mir denke" [«come tu pensi, come io
penso»] – nel primo verso della prima strofa, che si ripete in „lebst du, leb ich” [«vivi tu, vivo io»] –
dell’ultimo verso della strofa stessa si aggiunge „leben wir” [«viviamo noi»], quasi in un respiro
liberatorio, che fonde io e tu.
[…] Die Silbermünze auf deiner Zunge schmilzt,
sie schmeckt nach Morgen, nach Immer, ein Weg
nach Rußland steigt dir ins Herz, […]74
Traduzione di Porena I., in Muscetta C. (a cura di), Parnaso Europeo, Roma, Lucarini, 1989, cit., V, pp. 243-247.
«[…] La moneta si disfa sulla tua lingua,|sa di domani, di sempre, una via|per la Russia ti sale nel cuore,
[…]»,Traduzione di Porena I., in Muscetta C. (a cura di), Parnaso Europeo cit., V, pp. 243-247.
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74
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Leggendo l’incipit della seconda strofa incontriamo un du [tu] che mostra l’ingresso di un
wir [noi] parola-segno di comunanza e fusione; avviene l’incontro con l’altro poeta che fa «salire
una via per la Russia» e appare, infine sempre nella stessa strofa, un er [egli], una terza persona
grammaticale che è il nome Osip Mandel’štam (Ossip Mandelstamm), incorporato nel tu-io che
parla75. Il «nome Ossip» trasporta un messaggio in bottiglia che scorre in nel fiume Alba; questo
messaggio in bottiglia ha trovato una «terra del cuore»76 cui approdare, vive nella ripetizione del
poeta che scrive in tedesco. Nella rappresentazione del «nome Ossip» come un messaggio in
bottiglia non si può non pensare al saggio Sulla poesia scritto da Mandel’štam. In particolare al
passaggio intitolato Dell’interlocutore:
« Di solito chi ha qualcosa da dire va verso la gente, cerca ascoltatori: il poeta, al contrario, fugge. L’anomalia è
evidente… sul poeta cada il sospetto della follia.
Con chi parla il poeta?
Ognuno hai propri amici. Perché il poeta non si dovrebbe rivolgere ai suoi, e cioè alle persone a lui vicine per
natura? Il navigatore in difficoltà getta nelle acque dell’oceano una bottiglia sigillata con il proprio nome e il racconto
della propria sventura. Molti anni dopo, vagando per le dune, io ritrovo nella sabbia questa bottiglia, leggo la lettera,
conosco la data dell’evento e le ultime volontà dell’annegato. Ho il diritto di farlo. Non ho aperto una lettera altrui. Il
foglio sigillato era indirizzato a chi avrebbe trovato la bottiglia. L’ho trovata io. Dunque sono io il misterioso
destinatario. La lettera come la poesia non sono indirizzate a nessuno in particolare. Ciò nondimeno entrambe hanno un
destinatario: colui che noterà per caso la bottiglia nella sabbia.» 77
Il messaggio in bottiglia, come abbiamo già visto, vive nella ripetizione del poeta che scrive
in tedesco e che non solo gli racconta «ciò che già sa» (il suo stesso testo, ma ripetuto in altra
lingua), ma scambia con lui le proprie membra, le braccia, le spalle, le mani, le dita, le linee (quelle
della vita che segnano la mano; oppure: linee di rotta tra est e ovest; ancora: linee di scrittura).
Questo scambio di membra ripete fisicamente lo scambio del nome, anch’esso simbolo dello
Questo procedimento si può riscontrare realmente nelle traduzioni di Celan dal poeta russo. La “letteraturatraduzione” celaniana arriva a modificare significativamente il tono dei testi originali di Mandel’štam. Cfr. Lehmann J.,
Intertextualität als Problem der Übersetzung: die Mandelstamm-Übersetzungen Paul Celans, “Poetica“, XIX, 1987, p. 259.
76 Herzland; cfr. il discorso pronunciato nel 1958 da Celan in occasione del conferimento del Bremer Preis dove la poesia è
definita un messaggio in bottiglia [Flaschenpost] lanciato nella speranza che in qualche luogo e in qualche tempo possa
raggiungere terra, forse una “Terra del cuore” [Herzland]. Cfr. Gesammelte Werke III, p. 186; trad. it. Allocuzione al premio
letterario di Brema, in Celan, La verità della poesia cit., p. 35 [nella traduzione di Giuseppe Bevilacqua „Herzland“ è reso con
“spiaggia del cuore”].
77 Pubblicato per la prima volta nella rivista «Apollon», 1913. Ristampato con alcuni tagli, nella raccolta O poezii del ’28.
La versione qui presentata è quella della rivista. Mandel’štam O., Sulla poesia, in Id., in La quarta prosa., cit., p. 51-52.
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scambio della lingua ovvero: la traduzione.
Nelle bozze preparatorie de Die Niemandsrose78 notiamo delle correzioni significative:
[…]der Name Ossip kommt auf dich zu, du erzählst ihm,
was er schon weiß, er nimmt es, er nimmt es dir ab, mit Händen,
du löst ihm den Arm vor der Schulter, den rechten, den linken,
du heftest die deinen an ihre Stelle, mit Händen, und mit Fingern, mit Linien,
(abriß, wächst wieder zusammen)
da hast du sie, da nimm sie dir, da hast du alle beide,
die Hand, die Hand, denNamen\den Namen, den Name, die Hand, die Hand,
da nimm sie dir zum Unterpfand,
er nimmt auch das, und du hast
wieder, was dein ist, was sein war,[…]79
«Sulle mani, sulle quali ha dovuto camminare, la poesia viene a te, ti si consegna nella
mano»80, si legge in un appunto preparatorio al discorso per il conferimento del premio Büchner.
Den Namen, den Namen, Die Hand, die Hand, il nome e la mano ci vengono incontro in una
ripetizione che non va letta come eco, ma piuttosto come un mimare il testo a fronte; Celan e
Mandel’štam arrivano a scambiarsi la braccia, le mani: questi versi sono quindi interpretabili come
figura del tradurre.
Nella poesia la scrittura poetica segue il movimento della barca, seguendo solo la parola,
senza luogo di partenza né destinazione. Il tema della provenienza e della direzione della poesia è
un tema costate in Celan. Pur non avendo un’origine e una meta precisa, la barca (come la poesia)
segue la rotta sulla scia della cifra assente, cercando un paese che sicuramente ricorda la terra
natale di Celan, la Bucovina con le sue storie, l’Heimat dell’infanzia. Ma allo stesso tempo la poesia
insegue l’assenza di questa terra, alla ricerca di ciò che è, ora, di ciò che rimane non perduto
proprio nella poesia:
[…] wie heißt es, dein Land
hinterm Berg, hinterm Jahr?
Ich weiß, wie es heißt.
Celan P., Die Niemandsrose. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., pp. 134-135-136-137.
«[…] il nome Ossip ti viene incontro|, gli narri|quello che sa, lo accoglie, lo coglie da te con le mani,|gli stacchi le
braccia dalle spalle, il destro, il sinistro,|attacchi le tue al loro posto, con le mani, le dita, le linee,|ciò che era strappato si
rinsalda - |eccoli, prendili, li hai tutti e due,|la mano, la mano, il nome, il nome,|prendili in pegno come|li prende lui,
riavrai|di nuovo ciò che è tuo, ciò che era suo […]», Celan P., Poesie, cit., pp. 492-493.
80 „Auf den Händen, auf denen es zu gehen hatte, kommt das Gedicht zu dir, gibt es sich dir in die Hand.“, Celan P., Der
Meridian. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., p. 139.
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Wie das Wintermärchen, so heißt es,
es heißt wie das Sommermärchen,
das Dreijahreland deiner Mutter, das war es,
das ists, […]81
Questa terra che non c’è trasmigra ovunque, attraverso la lingua e come la lingua: es
wandert überallhin, wie die Sprache82. Di nuovo: terra e lingua coincidono. La geografia che ridisegna
la poesia attinge alla memoria immagini di ghiaccio, neve, notte profonda. La morte del passato
porta a vita nuova: l’uomo e Dio riavranno la loro pace e la loro alleanza, l’amore tornerà nei letti,
le chiome delle donne torneranno a crescere. Sarà un nuovo giorno, un risveglio. C’è un’evidente
tensione al futuro, un’attesa di passaggio dalla tomba alla vita83.
Appare il movimento del ritorno, segnalato da wieder che è presente più volte nei versi
della poesia, proprio a indicare il ricrearsi una unità nella differenza; questa formula del ritorno
comparirà in ciascuna delle strofe successive, a segnalare, nella seconda strofa, il ritorno
dell’amore fisico:
[…] die Auguren
zerfleischen einander, der Mensch
hat seinen Frieden, der Gott
hat den seinen, die Liebe
kehrt in die Betten zurück, das Haar
der Frauen wächst wieder,
die nach innen gestülpte
Knospe an ihrer Brust
tritt wieder zutag, lebens-,
herzlinienhin erwacht sie
dir in der Hand, die den Lendenweg hochklomm, - 84
Il ritorno, segnato dalla formula „wächst wieder|tritt wieder zutag” [«ricresce|ritorna alla luce
del giorno»] riguarda l’amore tra Mensch e Gott, tra uomo e dio, ma forse di più tra uomo e donna.
«[…] come si chiama, la tua terra|dietro il monte, dietro l’anno?|Io so come si chiama.|Come la fiaba invernale si
chiama,|si chiama come la fiaba d’estate,|la terra materna dei tre anni, era questo,|è questo,[…]», Celan P., Poesie, cit.,
pp. 492-493.
82 «[…] che va errando ovunque, come la lingua […]», Celan P., Poesie, cit., pp. 492-493.
83 Rascente M., Metaphora absurda. Linguaggio e realtà in Paul Celan, Milano, Franco Angeli, 2011, cit., pp. 61-62-63.
84 «[…] gli àuguri|si sbranano tra loro, l’uomo|ha la sua pace, Dio|ha la sua, l’amore|ritorna nei letti, i capelli|delle
donne ricrescono,|la gemma accartocciata|nel loro seno torna alla luce, si ridesta|lungo le linee della vita e del
cuore,|nella tua mano che ha risalito i fianchi, - […]»,Traduzione di Porena I., in Muscetta C. (a cura di), Parnaso Europeo
cit., V, pp. 243-247.
81
25
Ancora, in analogia con la prima strofa si ripete la figura di una strada che sale: „in der Hand, die
den Lendenweg hochklomm” [«nella mano, che ha risalito la via dei fianchi»]; si richiama il „Weg nach
Rußland” [«la via per la Russia»] che ora, ascesa al cuore del poeta nella prima strofa, è un
Lendenweg, una via percorsa in salita sui fianchi di donna. Inoltre, nell’invenzione linguistica
herzlinienhin [seguendo le linee del cuore], Celan richiama il movimento duplice del corpo e della
scrittura compiuto finora, come fosse tutto scritto nella mano (ricordiamo „mit Händen, mit Fingern,
mit Linien” [«con le mani, le dita, le linee»]).
Nella terza e ultima strofa queste diverse strade – le vie della lingua e della poesia legate a
uno scambio poetico – conducono ad una terra [Land] oltre lo spazio e il tempo, territorio letterario
ma anche affettivo. Infine abbiamo anche il recupero della lingua, della terra, della memoria e dei
morti perduti:
[…]wie heißt es, dein Land
hinterm Berg, hinterm Jahr?
Ich weiß, wie es heißt.
Wie das Wintermärchen, so heißt es,
es heißt wie das Sommermärchen,
das Dreijahreland deiner Mutter, das war es,
das ists,
es wandert überallhin, wie die Sprache,
wirf sie weg, wirf sie weg,
dann hast du sie wieder, wie ihn,
den Kieselstein aus
der Mährischen Senke,
den dein Gedanke nach Prag trug,
aufs Grab, auf die Gräber, ins Leben,
längst
ist er fort, wie die Briefe, wie alle
Laternen, wieder
mußt du ihn suchen, […]85
La terra da ritrovare è un incrocio di tutte le terre, di tutti i luoghi della memoria. Ha
natura errabonda come la lingua, che si sposta, si tra-duce. La terra, la lingua, i morti avvolti in
«[…]come si chiama, la tua terra|dietro il monte, dietro l’anno?|Io so come si chiama.|Come la fiaba invernale si
chiama,|si chiama come la fiaba d’estate,|la terra materna dei tre anni, era questo,|è questo,che va errando ovunque,
come la lingua,|gettala via, gettala via,|e l’avrai di nuovo, come|il sassolino della|bassa Morava|portato a Praga dal tuo
pensiero,|sulla tomba, sulle tombe, nella vita,|da tempo|se n’è andato, come le lettere, come|le lanterne, devi|cercalo di
nuovo,[…]», Traduzione di Porena I., in Muscetta C. (a cura di), Parnaso Europeo cit., V, pp. 243-247.
85
26
quei luoghi (la Moravia dove la madre di Celan per tre anni aveva trovato scampo durante la
prima guerra mondiale, la Praga di Kafka) si annodano in richiami fonetici e ritmici, e ancora Grab
[tomba] può essere letto come anagramma di Prag [Praga], legato a Gräber [tombe] che, allungando
la vocale, si può agganciare a Leben [vita], una possibile resurrezione.
Tra i suoni emerge la stratigrafia dei luoghi evocati: la Boemia, la Moravia, Praga e la
Normandia, la Prussia – dove scorre il Memel [Nemunas86] (pronunciato in russo Njemen) – zona
occupata durante la seconda guerra mondiale dai francesi. La memoria dei luoghi è «associativa»
[assoziatives Gedächtnis]87; il pensiero che ne deriva è «produttivo» [produktives Denken]88, sposta la
memoria in avanti:
klein ist er, weiß,
um die Ecke, da liegt er,
bei Normandie -Njemen – in Böhmen,
da, da, da,
hinterm Haus, vor dem Haus,
weiß ist er, weiß, er sagt:
Heute – es gilt.
Weiß ist er, weiß, ein Wasserstrahl findet hindurch, ein Herzstrahl,
ein Fluß,
du kennst seinen Namen, die Ufer
hängen voll Tag, wie der Name,
du tastest ihn ab, mit der Hand:
Alba.89
Negli ultimi versi dell’ultima strofa, l’accento è posto sul biancore, levar del sole, oriente –
confine tra Europa germanica e orientale. Bianca la neve in cui la madre era scomparsa. Bianco
[weiß] è la parola che diventa un fiume e che solo il poeta può evocarla e sentirla nei meridiani; il
poeta può percepirla, riattivarla, perché tocca, nella mano, i propri luoghi, i nomi che risvegliano la
memoria.
Il Nemunas è un fiume lungo 937 km che attraversa la Bielorussia, la Lituania e la Russia. In termini di lunghezza è il
14° fiume più lungo d'Europa e il quarto fiume più lungo del bacino del mar Baltico. Cfr.
https://it.wikipedia.org/wiki/Nemunas.
87 Celan P., Der Meridian. Vorstufen – Textgenese – Endfassung, cit., p. 188.
88 Ibidem
89 «[…] è là|è piccolo, e bianco,|dietro l’angolo, sta là,|in Normandia-Njemen – in Boemia,|là, là, là|dietro la casa,
davanti alla casa,|è bianco, bianco, dice:|Oggi – vale.|È bianco, bianco, un raggio|d’acqua vi si apre la strada, un raggio
del cuore,|un fiume,|tu conosci il suo nome, le rive|cariche di giorno, come il nome,|lo tasti con la mano:|Alba.»,
Traduzione di Porena I., in Muscetta C. (a cura di), Parnaso Europeo cit., V, pp. 243-247.
86
27
La parte conclusiva della poesia dice Alba [Alba], con un’evidente allusione etimologica al
fiume Elba, in cui Celan trova il simbolo del fiume che segna il confine orientale delle terre di
lingua tedesca, ma il termine fa anche chiaro riferimento all’alba, il nuovo giorno. Forse una
metafora? O nome proprio? Si può forse affermare che in Celan la distinzione non sussiste e che la
poesia cerca un Gegenwort che superi entrambe le prospettive90.
Elba, Alba: si poteva percepire una sua anticipazione nel significato del nuovo giorno in
„Die Silbermünze auf deiner Zunge schmilzt, sie schmeckt nach Morgen, […]” [«La moneta si disfa sulla
tua lingua,|sa di domani»]; «sa di domani» ma anche «di mattino». Nell’Elba/Alba Celan trova la
figura di un fiume/luce che segna, oltre che un confine geografico, un confine ideale tra testo a
fronte della memoria, tra parola russa-orientale del poeta tradotto (Mandel’štam) e parola tedesca
pronunciata, scritta dal traduttore (Celan). Infine nel bianco del fiume avviene il miracolo del
rovesciamento: se la moneta dello scambio91 si scioglie sulla lingua del poeta, permettendo una
migrazione di parole e luoghi, la pietra bianca posta sulla lingua dei morti comincerà a parlare,
azzerando la distanza del passato in un grande presente che lo comprende insieme al futuro92.
La cifra mandel’štamiana è un trato peculiare delle poesie della raccolta Die Niemandsrose. Il
poeta vive la sfera poetica come un testo a fronte, dove l’influenza del poeta russo è palese; si può
dire che Mandel’štam rivive nelle poesie celaniane, torna in vita, è presente in carne ed ossa con «le
mani e con le dita». Es ist alles anders diventa poesia emblema della comunicazione riuscita tra
questi due poeti. Si può comprendere, dunque, che il lavoro traduttorio – e poetico a seguire –
rappresentò per Paul Celan un modo concreto per rapportarsi con l’altra parte delle parole, l’unico
modo dell’uomo di parlare con l’uomo. La poesia si configura come emblema sia dello scambio tra
i due poeti, attuato nell’atto della traduzione, sia come elegia del ritorno, che segue l’assenza di
una terra, la quale va errando ovunque come la lingua. La poesia fa emergere anche la figura del
tu, della luce ritrovati che si legano all’esperienza della traduzione, soprattutto la traduzione della
lingua russa. Ed infine come poesia del recupero della lingua, della terra, della memoria e dei
morti perduti.
Rascente M., Metaphora absurda, cit., p. 63.
Moneta: mezzo di scambio che passa attraverso la morte. La moneta è l’obolo a Caronte che i vivi mettevano sotto la
lingua dei defunti. Ma in questa poesia invece che a Caronte la moneta, il dono viene fatto al morto, perché non vada via
per sempre, e ritorni. Miglio C., Vita a fronte, cit. p. 125.
92 Per l’analisi della poesia si veda: Miglio C., Vita a fronte, cap. IV.
90
91
28
4. Cenni su biografia e opera di Osip Mandel’štam
Osip Mandel’štam, un ebreo di nascita che si fece poi mennonita, nasce a Varsavia e
trascorre l’adolescenza e la giovinezza a Pietroburgo, sua città d’elezione che avrà un ruolo
importante nel suo immaginario poetico. L’iniziazione letteraria del giovane passa attraverso la
“Torre” di Vjaceslav Ivanov. Lì incontrò Nikolaj Gumilëv e Anna Achmatova, a cui rimase legato
tutta la vita. I primi versi di Mandel’štam compaiono su “Apollon” nel 1910. Quando nel 1912
nasce il gruppo acmeista, il poeta aderisce alla nuova corrente, dando un contributo fondamentale
alla formulazione delle sue tesi. Infatti nell’autunno del 1911 come reazione antisimbolista si
costituì un circolo con il nome di «Cech poetov» e cioè Gilda (o Corporazione) dei poeti. Questa
elesse come propri capi S. Gorodeckij e N. Gumilëv e poté contare sull’adesione di svariati nomi
fra i quali Anna Achmatova e il nostro Mandel’štam. Nella primavera del 1912, alcuni membri
della Gilda decisero di fondare un vero e proprio movimento con il nome di Acmeismo, derivante
dal greco άϰμή, cioè “apice”. Mandel’štam scrisse nell’ottica della formazione di questo gruppo
validi saggi poetici come Utro akmeizma [Il mattino dell’acmeismo] pubblicato nel 1919; egli parte
dalla definizione della parola poetica. A suo avviso, lontana dall’essere un segno, essa rappresenta
qualcosa di più complesso: può essere definita, nella sua densità semantica logos. Ma la parola logos
non ha valore come realtà in sé; è invece il “materiale” con cui va costruito l’edificio poetico e la cui
resistenza l’architetto poeta è chiamato a vincere: «Costruire significa lottare contro il vuoto», e
costruire si può soltanto «nelle tre dimensioni» (E. Etkind). Dietro questo assimilare la creazione
poetica alla lotta contro il caos, troviamo in Mandel’štam rimandi anche a Bach e a Kant, ma il suo
referente principale è il Medio Evo, la cattedrale gotica, con una linea di pensiero che troverà la sua
espressione esemplare in Razgovor o Dante [Conversazione su Dante], scritta nel 1933 ma
pubblicata nel 196793. Invece la brochure del 1922, La natura della parola, per le sue stesse
dimensioni, si presenta come un testo più complesso e ambizioso del primo, ma nella sostanza ne
sviluppa le intuizioni fondamentali. Di diverso, rispetto allo scritto del 1913, vi è una più marcata
influenza bergsoniana, che porta l’autore a respingere la subordinazione dei realia poetici alla
successione temporale e a collocarli invece in una dimensione puramente spaziale. Come lo induce
anche a considerare la parola un sistema che a sua volta garantisce l’unità di una letteratura. A lui
«La poesia non è la parte migliore, una parte scelta della natura, né tanto meno un suo riflesso […], ma si colloca con
sorprendente autonomia in un campo d’azione nuovo, fuori dallo spazio, poiché non racconta la natura, ma la
rappresenta con l’aiuto di quei mezzi detti comunemente immagini.» Mandel’štam O., Faccani R. (a cura di)
Conversazione su Dante, Genova, Il nuovo melangolo, 1994; testo originale Mandel’štam O., Razgovor o Dante, in Ob
iskusstve, Moskva, 1995.
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va anche attribuita la responsabilità dell’affermazione secondo la quale, come erede della
letteratura greca, la lingua russa sia intrisa di ellenismo.
La Gilda dei poeti finì per sciogliersi intorno al 1915, per risuscitare brevemente nel 1917
e quindi riorganizzarsi dopo la Rivoluzione, nel 1921 (la cosiddetta “terza Gilda”). Ma la morte di
Gumilëv determinò presto la disgregazione definitiva del gruppo.
Nella storia della poesia russa moderna l’acmeismo occupa un posto di primo piano e
non soltanto perché alla sua ombra poetarono personalità di grandissimo rilievo. Purtroppo, però,
al tempo questo movimento fu a lungo misconosciuto. Vi contribuì anche la storiografia letteraria
del regime sovietico che, per farsi perdonare gli assassinii di Gumilëv e Mandel’štam (e le
persecuzioni cui fu sottoposta la Achmatova), per decenni si impegnò a sminuire o deformare
caratteristiche e significato del movimento94.
Tornando a Mandel’štam, i suoi scritti letterari sono inscindibili dal resto della sua opera
e compongono un’affascinante meditazione sull’essenza e gli scopi della poesia, sui suoi rapporti
con il tempo, la cultura, la natura. I suoi due smilzi volumetti, Kamen’ [La pietra, 1913]95 e Tristia
(1922)96, contengono insieme meno di un centinaio di poesie brevi. Mandel’štam fu un uomo
saturo di cultura: aveva una profonda conoscenza della poesia russa, francese e latina e la maggior
parte della sua produzione poetica verte su argomenti letterari ed artistici. Dickens, Ossian, Bach,
Notre-Dame (vista dal poeta come creazione che uguaglia l’infinità complessità e la misteriosa
armonia del corpo umano: i “muscoli” della volta a croce a i “fianchi mostruosi” del monumento
sono per lui sprone a proseguire quest’opera e insieme testimonianza della natura terrena del
sublime), Santa Sofia, la descrizione omerica delle Parche, la Phedre di Racine, un funerale luterano:
sono questi alcuni suoi soggetti caratteristici. E tutto ciò non è introdotto meramente a scopi
decorativi, alla maniera di Brjusov, né trattato come simbolo di un qualche ens realius, come
avrebbe fatto Ivanov, ma inquadrato puntualmente nella corrente della storia e descritto come
fenomeno singolo, con autentica penetrazione storica e critica. Lo stile di Mandel’štam raggiunge
talvolta una splendida sonorità “latina”, che non ha rivali in nessun poeta russo dopo Lomonosov.
Ma ciò che più conta nella sua poesia (per quanto interessanti siano le sue opinioni storiche) è la
forma e la maniera di accentuarla e di attirare su di essa l’attenzione. Egli raggiunge questo scopo
Colucci M. Rizzi D. La reazione al simbolismo e l’acmeismo in Colucci M., Picchio R., (a cura di), Storia della civiltà letteraria
russa, vol. III, Torino, UTET, 1997.
95 Presente ancora la matrice simbolista, è però considerata, grazie alla sua persistenza nel tempo e nello spazio, emblema
della sintesi storica, dell’universalismo culturale a cui l’acmeismo aspirava e di cui Mandel’štam è l’interprete più
efficace. Cfr. Colucci M., Picchio R.., (a cura di), Storia della civiltà letteraria russa, vol. III.
96 Tradotta da Celan nel 1959, cfr. Miglio C., Vita a fronte, cit., p. 46
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mediante varie associazioni verbali contraddittorie: troviamo in lui magnifici arcaismi inusitati
accanto a termini della vita quotidiana rimasti fino ad allora esclusi dalla poesia. Soprattutto la sua
sintassi è un miscuglio curioso, in cui periodi di alta retorica si scontrano con frasi puramente
colloquiali. La costruzione dei suoi poemi è tale da accentuare la difficoltà, la scabrosità della
forma: essa si presenta come una linea spezzata che cambia direzione in ogni strofa. I suoi lampi di
maestosa eloquenza rifulgono ancor di più immersi in questo contesto bizzarro. La sua eloquenza
è splendida, ma dipende tutta dalla dizione e dal ritmo, ed è impossibile a rendersi in una
traduzione. Anche come pensatore Mandel’štam è una figura di grande interesse; i suoi saggi in
prosa contengono forse le cose più significative, spregiudicate e indipendenti che siano state dette
sulla moderna cultura russa e sull’arte poetica97. Lingua poetica e senso della storia formano in
Mandel’štam un nucleo concettuale unico, attorno al quale concrescono le poetiche specifiche di
ciascuna raccolta di versi. La parola di Mandel’štam può essere definita “azione che di continuo si
crea e si arricchisce.” Egli propugna dunque una parola poetica capace contemporaneamente di
afferire a vari livelli di senso, una parola dinamica, dalle potenzialità creative acuite, che nasce,
attutite le valenze automatiche e più frequenti della lingua, da una sorta di scissione semantica:
oltre al significato usuale, ne compare un altro, connesso al contesto in questione, a sua volta
correlato ad altri contesti, all’interno e all’esterno dell’opera del poeta.
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Mandel’štam rimase in URSS, ma in disparte dalla letteratura sovietica. Il francobollo egiziano, un volume notevole di
prose di fantasia e di ricordi, uscì nel 1928. Nel 1930 venne arrestato e deportato. Morì, sembra, nel ’45, a cinquantatre
anni. (cfr. Mirskij D. P., Storia della letteratura russa, Garzanti, 1998 pp. 436-437.)
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Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di Bevilacqua G., Milano, Mondadori, 1998.
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