J di - Saverio Vertone

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J di - Saverio Vertone
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LUIGI MEHEGHELLO
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3Sua Eminenza la Politica
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LE ROY LADURIE, MARIOTTI
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l «Taccuini» di Campana
Italia: un identikit
Gli studi di ferrarotti
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Schnitzkr: ùta, sogni
\ la maledizione ài poeta \C e commedie da Vienna
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DOMENICA 15 LUCLIO 1990
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0. DEL BUONO, A. BEVILACQUA
Mostre: il segno del Toro
Tutto Goya a Madrid
di
JIMENEZ MARTOS, SALA
Gli ori del Reno - Una sola Germania Ovest e Est ritornano insieme. Obbediscono al richiamo di un'anima comune o alla legge della moneta più forte del mondo?
NOSTRA SIGNORA DEI MARCHI
«Noi siamo i migliori »
Così parlò Beckenbauer
Uniti a Berlino
Senza più dover ricordare
di
SAVERIO VERTONE
La Deutsche Bundesbank dell'Ovest e i
disciplinati cittadini
dell'Est hanno fulmineamente riunificato il marco. È stata un'operazione di
«geometrica potenza»
(questa sì), che ha lasciato
tutti con un palmo di naso.
Adesso la miglior cultura
tedesca simula sinceramente apprensione per
dissimulare gioia (una
gioia profonda e legittima), mentre il mondo intona i soliti salmi per nascondere i suoi indefinibili timori. La Germania è divisa dalla speranza; il mondo
unificato dall'inquietudine.
Gùnter Grass, Jùrgen Habermas e Hans Mommsen,
da sinistra, chiedono ai tedeschi di ricordare le loro
colpe. Ernst Nolte e Klaus
Hildebrand, da destra, li
scongiurano di far «passare il passato». Da Est Gorbaciov ricorda sommessamente a Kohl d'esser disposto a scordare quasi
tutto (a certe condizioni).
E da Òvest l'Europa cerca
di tenersi stretta la Germania per evitare che la Germania prima o poi si tenga
stretta l'Europa.
Intanto Urss, Usa e
Giappone chiedono di entrare nella Cee e il resto
del mondo s'affloscia sul
vecchio continente risucchiato dai propri debiti o
dai propri interessi. Mentre l'Europa torna ad essere il centro del pianeta,
che male c'è se la Germania torna ad essere il centro dell'Europa? A dispetto della Historikerstreit, il
passato non solo passa ma
torna: più precisamente,
torna a passeggiare sulle
vecchie strade. E la lavatrice della memoria, tanto invocata dai revisionisti tedeschi per sbloccare l'ingorgo dei ricordi, ci restituisce senza colpo ferire
l'immagine di un ordine
europeo sfiorato ma non
raggiunto dagli stati maggiori prussiani con due disastrose guerre mondiali.
Beninteso, non è lo stesso
ordine, ma il suo fantasma
benigno. Il predominio
economico tedesco non è
dettato dai carri armati ma
di
dalla superiorità industriale; e l'apertura delle grandi
pianure orientali (sogno
secolare) non è, non sarà,
l'effrazione dei templari
teutonici, l'impeto di Hindenburg ai laghi Masuri o
l'assedio hitleriano a Leningrado, ma una grande
carovana di ambulanze finanziarie e di ospedali da
campo tecnologici.
Appare in tutto il suo
strano splendore l'inutilità
della guerra. Perché farla
se non è necessario vincerla per vincere? Certo, il
predominio economico
non è la stessa cosa del dominio militare. Ma a cosa
doveva servire il dominio
dei cannoni se non ad assicurare il predominio delle
industrie?
L'esperienza recente dimostra che si arriva meglio
al fine scavalcando il mezzo* Si può colpire il bersaglio anche senza usare il
fucile. Il trionfo della Germania è tanto più schiacciante in quanto la potenza
della sua economia non ha
dovuto ricorrere questa
ALFREDO VENTURI
N. °'siamo i migliori,
dice Franz Beckenbauer. L'uomo che ha pilotato
la squadra tedesca
sul vertice del calcio mondiale intende forse riferirsi ai suoi
22 giocatori, e ai collaboratori tecnici che hanno reso
possibile il trionfo di
Roma?
Certamente: ma questo
non esclude che traspaia
da quella espressione, nascosto sotto una forma ambiguamente ineccepibile,
un senso molto più generale che Beckenbauer ne sia
consapevole o no, nell'euforia del successo italiano
egli rilancia un tema che
ha avuto un ruolo non certo secondario nella storia
d'Europa, il tema del primato tedesco.
Non è un caso che la
questione emerga da una
circostanza sportiva. Nei
decenni seguiti alla catastrofe del '45, i tedeschi
hanno imparato a diffidare
di ogni forma di esaltazione del successo. Hanno ricostruito un Paese a pezzi,
lo hanno rianimato con il
Fratelli tedeschi. Separati alla nascita
di
La sera del 17 dicembre 1989 persi ogni
fiducia nel mio telecomando. Ero sintonizzato, come al
solito, sul canale
occidentale Ard per
il telegiornale; finito il notiziario, alle 20.15, implacabile, sullo schermo apparve Alois Moig. Vestito
in look alpino, circondato
da un gruppo di Jodler bavaresi, quel quintale d'uomo prometteva novanta
minuti di musica popolare.
Terrorizzato, cercai subito il pulsante giusto per
evadere nel secondo canale Tv della Repubblica Democratica Tedesca, dove
già, per tante sere, avevo
trovato scampo da Alois
Moig, rifugiandomi in film
italiani e francesi anni Ses-
santa, polizieschi o storie
di mafia perlopiù. Ma
quella sera non credetti ai
miei occhi: invece dei soliti
Gian Maria Volonté o
Claudia Cardinale, sullo
schermo dell'Est si affacciò
un presentatore altrettanto
imponente, identico ad
Alois Moig in tutti i dettagli, dalle stringhe delle
scarpe fino alla giacchetta
di loden.
E anche lì, musica popolare a tutto volume. «Gaskombinat Schwarze Punmpe» era l'annuncio, e il
palcoscenico rintronava a
passo di marcia. Mi stropicciai gli occhi. Quel panzone era lo stesso Moig,
oppure un suo fratello gemello cresciuto nella regione dei Monti Metalliferi e
da lì, per effetto della ca-
duta del Muro, sospinto
sotto le luci della ribalta?
Guardai con grande attenzione. E feci una sconvolgente scoperta: quella serata musicale, trasmessa in
diretta dalla città di Cottbus nella Rdt, era la prima trasmissione televisiva
tedesca veramente unificata.
La musica, dice l'adagio
popolare, non conosce
frontiere. E quel programma lo confermava piena-
PETER SCHNEIDER
mente. Gruppi bavaresi di
Schuhplatter folleggiavano
accompagnati dalle melodie di orchestre sassoni, ai
cantanti di Jodl della Svizzera tedesca facevano eco
gruppi dei Monti Metalliferi, artisti della Bassa Baviera danzavano insieme
con formazioni folkloristiche della Turingia mentre i
suonatori di cetra delle
Alpi gareggiavano con i
violinisti ambulanti del
Meclemburgo. Insomma,
l'eredità di quasi mezzo secolo di separazione veniva
cancellata nel giro di pochi
minuti grazie a quel carosello infernale di cappelli
con la piuma, calzoni di
pelle, trecce bionde e corsetti alla tirolese.
Non so se quell'incontro
musicale fra le due Germanie sia stato trasmesso,
via satellite, negli Stati
Uniti. Certo, dico, se lo
.avessero visto a Minneapolis, nel Minnesota, la cosa
Gli Stati Uniti di Germania
di HEINER MULLER
avrebbe potuto anche rivestire un serio interesse
scientifico. In quella città,
infatti, da oltre dieci anni il
professor Thomas J. Bouchart conduce un imponente programma di studio
sui gemelli.
Il celebre professore si è
impegnato nel compito di
svelare, con precisione
scientifica, uno dei grandi
misteri dell'umanità: scoprire cioè se il comportamento umano sia determinato in maggior misura da
influssi ambientali o da
predisposizioni ereditarie.
Gli studi del professor
Bouchart hanno dimostrato che i gemelli monozigoti, divisi nella primissima
infanzia e cresciuti in ambienti completamente diversi, presentano caratteri
simili fino a sfiorare l'incredibile.
Il caso esemplare è quello dei «Jim twins». Questi
celebri gemelli, separati all'età di quattro settimane,
crebbero in città diverse
dello Stato dell'Ohio.
Quando, trentanove anni
dopo, il professor Bouchart li fece incontrare nel
suo istituto, i due fratelli
constatarono corrispondenze strabilianti. Tutti e
due si erano separati dalla
prima moglie, che in entrambi i casi si chiamava
Linda. Successivamente,
avevano sposato una Betty.
I figli si chiamavano James
Allan e James Alan. Ciascuno dei due aveva un
miracolo economico, poi si
sono arrampicati sulla vetta dell'economia mondiale.
La loro industria ha progressivamente invaso i
mercati superando di slancio, nell'87, Giappone e
Stati Uniti e collocando la
Repubblica Federale al
primo posto fra i Paesi
esportatori. La loro moneta, nipote di quella che era
stata polverizzata dall'inflazione esponenziale del
'23, è diventata la seconda
valuta nelle riserve mondiali.
Eppure l'interpretazione
che la Germania ha offerto
di sé in questi anni è sempre stata improntata al
basso profilo. A chi chiedeva di manovrare la politica economica e finanziaria per soccorrere il dollaro in crisi, assumendo il
ruolo di locomotiva della
congiuntura internazionale, Bonn e Francoforte
hanno sempre risposto
schermendosi: noi non abbiamo dimensioni continentali, non possiamo trainare nessuno. Il primo posto fra le potenze esportatrici? Effetto di circostanze
valutarie, il marco alle stelle che gonfia il valore dei
prodotti tedeschi. Eppoi
un sorriso, uno stringersi
nelle spalle, all'obiezione
che proprio qui stà il risultato sensazionale: nell'avere mantenuto quelle posizioni nonostante gli alti costi interni.
Altra espressione ricorrente, del resto sul punto
di essere superata dai fatti:
noi siamo un Paese diviso e
sotto tutela. Anche se di
fatto, nelle sedi diplomatiche, la forza del Paese si fa
concretamente sentire, la
minimizzazione del ruolo è
sempre stata fra gli esercizi
prediletti dai dirigenti federali. Si pensi, per comparazione, agli schiamazzi
romani attorno al controverso sorpasso della Gran
Bretagna da parte dell'Italia nella classifica degli indicatori economici. Questo
pudore germanico, storicamente inedito, non è soltanto una tecnica di rela-,
zioni esterne, esso corri-
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