E comE la mEttiamo

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E comE la mEttiamo
siamo pari
E comE la mEttiamo
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gender
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p gap?
Le donne guadagnano meno
degli uomini: lo sappiamo da
almeno 60 anni, però non
succede niente. Ora c’è una
proposta di legge. Ma chi se
ne ricorda?
di Manuela Mimosa Ravasio
La guerra dei salari è la nuova guerra
dei sessi? È dal 1957 che se ne parla e,
secondo le previsioni del World economic
forum, se ne parlerà ancora per una ottantina d’anni. Il divario salariale tra uomini e
donne, noto come gender pay gap, rischia
di essere così la notizia più longeva della
storia dell’informazione. Stesso lavoro,
stessa qualifca e competenze, stessa produttività, ma “lei”, in Europa, guadagna
in media il 17 per cento in meno e lavora
gratis, quindi, per circa 59 giorni l’anno.
Che in Italia, per i ruoli da dirigente signifcano oltre 8.500 euro in meno all’anno
(Osservatorio Job pricing). Dati snocciolati a ogni piè sospinto, salvo poi non riuscire banalmente a sapere quanto guadagna
il collega della scrivania a fanco.
«Le aziende che riescono a ridurre il gap
sotto il 4 per cento sono quelle che commparano i livelli retributivi, che verifcano
quanto un ruolo è pagato sul mercato e
che operano secondo parametri trasparenti e oggettivi», dice Anna Zattoni, direttore
In piazza
Conduttrici
d’autobus
protestano a Londra
nel 1968 per avere
gli stessi diritti degli
uomini: straordinari,
pensione e mutua.
generale di Valore D. L’associazione, che
promuove la leadership femminile, ha appena ultimato uno strumento di riferimento che consenta alle aziende di confrontarsi sulla gestione della diversità di genere.
«Se non misuri, non migliori, ma le donne
devono sapere che mediamente hanno sal i in
lari
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f all 20 per cento».
La trasparenza dei salari è davvero la strada maestra per uno stipendio uguale per
tutti? Di fatto, una proposta di legge che
Getty IMaGes
Quello che le moglII non dI
dIcono
Secondo l’inglese Callcredit information group, le donne tendono a non dire al partner
quanto guadagnano e gli uomini non chiedono. «L’attaccamento al denaro può
alterare gli equilibri di coppia», dice Michela Rosati, psicoterapeuta e autrice de La
gabbia di carta (Intermedia edizioni). «Condiziona sia gli uomini, che vivono ancora
l’equazione “soldi uguale virilità”, sia le donne, specie se hanno visto madri lavoratrici
dipendere in toto dai mariti. Nascondere i guadagni diventa un modo per sentirsi libere
di scegliere, senza sottoporsi all’approvazione del marito per una spesa e, nei casi più
gravi, per salvarsi dalla violenza economica, forma di abuso diffusa e poco citata».
esorti le imprese a condurre analisi comparative sulle buste paga c’è. L’ha depositata Giuseppe Civati e giace, in attesa di
essere discussa, nel cassetto polveroso delle “politiche femminili”. Inutile quindi far
paragoni con il Belgio, che una legge così
ce l’ha dal 2012; con l’Austria, il Portogallo o la Francia, che prevede persino delle
sanzioni per chi ha più di 50 dipendenti
e non rispetta la parità di genere. Inutile
pensare che qualcuno emuli il premier inglese David Cameron, che ha indetto una
consultazione pubblica per far emergere il
gender pay gap nelle 8.000 imprese con
più di 250 lavoratori, prima di varare una
legge ad hoc nel 2016.
L’Italia, diciamolo, è un Paese a sé. Un
Paese che si vanta di avere il gender pay
gap più basso d’Europa (siamo al quarto
posto), salvo poi omettere il fatto che su
questa virtuosa posizione pesano la scarsa
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siamo pari
‘
Io,
o, mia madre
e l’autocoscIenza
Memorie di un’ex adolescente nella tana dei collettivi
occupazione femminile, la sospensione
della carriera per maternità e la presenza
massiccia del settore pubblico. Non ci
sono i soldi per risolverlo, dicono. Quasi che l’equità salariale fosse un lusso che
non ci possiamo permettere.
«Ci sono ancora molte donne che, oberate dai lavori di cura, lasciano il lavoro
e non entrano nelle statistiche», dice la
presidente di Professional women’s association, Roberta Toniolo. «Non è un
caso che il gap maggiore sia nella parte
impiegatizia, dove le donne trovano più
conveniente stare a casa o accettare profli più bassi, piuttosto che una retribuzione iniqua.
iniqua E gli uomini d’azienda, che
in qualche modo avevano giustifcato il
divario salariarle ora, pensando alle loro
fglie, hanno cambiato idea...».
In Francia, la Schneider Electric (150.000
dipendenti) si è posta come obiettivo di eliminare il divario entro il 2017. Nelle sedi
francesi, ogni volta che le risorse umane
scoprono le differenze le colmano usando
un budget dedicato. «Programmi simili li
hanno anche multinazionali come Vodafone o Pfzer», aggiunge Zattoni. Secondo l’Osservatorio di Job pricing, ci sono
posti in cui sono le donne a guadagnare
di più. Tra gli impiegati: le specialiste nei
rapporti con l’estero, nelle vendite e nella
contabilità (anche il 28 per cento in più).
Nei ruoli direttivi: le responsabili dell’amministrazione e le analiste fnanziarie. Per
vincere la guerra dei salari, è bene partire
con la laurea giusta e soprattutto ricordare che siamo valutate per quanto siamo
pagate. E imparare a pretenderlo.
G
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minile di Carla Lonzi. Quattro puntine
e un testo rivoluzionario mettevano in
croce la stucchevole tappezzeria a fori di Laura Ashley. E la mia leggerezza.
Rose interrotte dall’autocoscienza, questo
fu il mio primo impatto con il femminismo.
Un grido di ribellione che mi esplodeva addosso come un ombrello che si apre di scatto. «Leggi, c’è molto da imparare»: il tono
asciutto di mia madre non dava scampo.
Lessi la prima riga: «Le donne non formeranno mai un corpo unico?». D’istinto pensai che non volevo essere affatto un corpo
unico con mia madre.
Rivolevo la mia tappezzeria intatta,
sicché vissi quegli anni zigzagando tra
fascinazione e insofferenza. Funambola
sulla contraddizione: collettivi di autoscoscienza e stivaloni sopra il ginocchio
che inflavo su gambe in fuga verso ben
altre conferme. «Non fare la donna oggetto», mi sibilava mia madre passando
davanti al bagno mentre mi truccavo. Io
non capivo, non mi ero mai sentita così
soggetto, protagonista dei miei 16 anni.
Proprio a lei, calvinista rigorosa, era capitata una pargola con una “malsana”
predisposizione allo sfarfallio seduttivo.
Intanto a casa, ogni mercoledi pomeriggio, si radunavano i collettivi femministi. Mi ipnotizzava quel fervore com-
Mia mamma è
femminista
L’autrice di questo
articolo, Francesca
Tumiati, all’epoca
delle vicende
raccontate nel testo.
In alto: operaie
americane in una
fabbrica di aerei da
guerra nel 1943.
patto, contagioso. Poi, quando iniziava
il dibattito a porte chiuse, venivo travolta
dal sovrapporsi di voci femminili. Roca
da tabagista quella di Anna Del Bo Boffno, snob strascicata quella di Margherita
Boniver, più acuti i toni di Adele Faccio.
A volte entravo e mi accucciavo in un angolo. Qualcuna di loro mi guardava con
complicità, come a dire: «Coraggio ragazza, ci siamo noi». Amavo quel clima
eversivo familiare intriso di calore, collera
e nicotina.
nicotina Mi affascinavano i loro riccioli
furibondi, però mi chiedevo perché far crescere il grigio anzitempo. Perché quelle belle facce così pallide, volutamente struccate?
Trovavo invece terribilmente seducente
quel loro modo di fumare, tre tiri famelici
e via. Ero troppo giovane per comprendere
la frase «Comunichiamo solo con donne»,
che chiudeva il Manifesto della Lonzi. Allora mi sembrava un’assurda ghettizzazione.
Ero convinta che se un uomo si fosse affacciato in quel salotto-polveriera sarebbe
fnito come certe teste d’orso spelacchiate,
nostalgici bersagli nei luna park.
Una sera accadde a mio padre. Incautamente rincasò dalla redazione prima
del previsto. Apparve all’improvviso: un
metro e novantaquattro di “maschio padrone”. Alla vista del plotone di femmine
rivoluzionarie, sollevò entrambe le mani
con enfasi: più che un saluto, appariva
una resa. Non colsi la sottile ironia. Silenzio e fumo in risposta, stavano parlando di
orgasmo clitorideo e vaginale. Lui richiuse piano la porta, come per rimarginare il
quesito erotico. Lo raggiunsi in un balzo.
Da fglia protettiva, pensavo ingenuamente
al suo disagio nel sentirsi uno contro tutte. Ma avevo sottovalutato secoli di sederi
maschili incollati ai posti di comando. Lui,
infatti, con la femma di chi calza l’autorità
come un loden, mi chiese imperturbabile: «Sai se la mamma ha fatto la spesa per
stasera?». Di colpo tutto mi fu chiaro. G
GeTTy IMaGes
Avevo appena compiuto 16
anni quando, al rientro dal
liceo, trovai appeso in camera mia il Manifesto di rivolta fem-
di Francesca Tumiati