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VENERDÌ 29 GENNAIO 2010 Culture 19 ZELDA RUBINSTEIN. L’attrice Usa popolare tra i fan dell’horror per il ruolo di Tangina Barrons nella saga “Poltergeist” è morta a 76 anni. OBITUARY POESIA. TRADOTTO IL POEMA DELLO SCRITTORE IN ONORE DEL MITICO ALFRED Siamo inglesi, non barbari Parola di re Chesterton Howard Zinn La storia dal basso di un pacifista ribelle DI EPICA.La sua ballata, nello stile dei cavalieri medievali, è una strenua difesa della cristianità. L’Inghilterra? «Un’isola continentale», un cavallo bianco da proteggere contro «il Nulla». A Ethandune si combattè per «ciò che fu fondato da Cesare e rifondato da Agostino». DI BENEDETTA NERI Apologeta, strenuo polemista dal temperamento sanguigno, saggista serio e scanzonato dall’indomabile gusto per il paradosso, Chesterton innegabilmente fu tutto questo, ma fu anche un grande poeta. È una faccenda di visione e di meraviglia espressa mirabilmente in questa che può ritenersi una piccola summa del suo credo poetico: «Quando la lavagna blu del cielo è cancellata completamente fino all’ultima stella e compaiono nuovi segni potenti da leggere, allora, gli occhi si spalancano per incredibile meraviglia, come quando un grande uomo vede chiaramente qualcosa che è più grande di lui». I versi sono tratti da La ballata del cavallo bianco, il poema epico in otto canti, dedicato al mitico Alfred re cristiano del Wessex dal 871 al 899, pubblicato da Chesterton nel 1911 e apparso finalmente in traduzione italiana grazie all’editore Raffaelli. Non un caso di archeologia letteraria o di riesumazione dotta, quanto una scommessa editoriale che ha il pregio di restituirci un frammento assai poco noto dell’avventura poetica dell’Uomo Vivo e che, a quasi cent’anni dall’edizione originale, mostra di aver individuato alcuni snodi fondamentali e attualissimi della modernità. La trama ruota attorno ad un fatto storico, la battaglia di Ethandune che fu combattuta nel 878 e vide Alfred sconfiggere, contro ogni previsione, gli invasori, i “barbari” Danesi, che stavano dilagando sul suolo inglese. Ma a sostenere il poema non è un intento storiografico: «Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare, dall’oscurità del IX secolo agli albori del XX. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto di aver verificato che la leggenda del re del Wessex è tuttora viva nel paese». L’ignoranza storiografica diventa per Chesterton l’affermazione del valore culturale, fondativo e pedagogico della tradizione, in quanto custode della memoria viva di un popolo, quello inglese - ed europeo insieme - che, uscito dalla dominazione romana, è stato condotto dal cristianesimo alla civiltà e all’unità. La ballata del cavallo bianco è la storia dell’incontro tra il fatto cristiano e l’Inghilterra da cui è nata la nazione inglese. E per raccontarlo l’autore ha scelto il genere più semplice e più popolare della storia della letteratura, il poema epico, quello dei cavalieri medievali e della difesa della cristianità. In tal senso, la leggenda di re Alfred, storia viva nella coscienza del popolo, incarna l’autenticità storica della nazione, le cui radici cristiane Chesterton dimostra essere più concrete di quanto si pensi. Sullo sfondo delle vicissitudini umane, rappresentate dalla battaglia, persiste una presenza misteriosa, la sagoma del Cavallo Bianco delle colline del Berkshire che accompagna l’Inghilterra sin dalle origini, quale evidenza candida del mondo come creato. Al pari di Artù e Orlando, Alfred combatte per la difesa della civiltà cristiana contro l’annichilimento portato dai barbari e qui l’autore adombra profeticamente la modernità, mettendola in guardia dall’invasione dei nuovi “barbari”, i barbari del pensiero che «arriveranno con car- MEDIA: ROMANI E MENTANA IN THE SKY Il confronto fra leader come momento fondamentale della vita democratica delle società moderne. È questo lo spunto da cui Sky Tg24 e l’Università Cattolica di Milano sono partiti per organizzare un convegno dal titolo “Faccia a faccia, democrazia, par condicio” che avrà luogo oggi nell’Aula Magna dell’ateneo milanese. All’iniziativa partecipano Maurizio Belpietro (Libero), Simon Bucks (Sky News), Manuel Campo Vidal (Academia Tv), Francesco Casetti (Università Cattolica), Antonio Di Bella (Rai3), Fausto Colombo (Università Cattolica), Aldo Grasso (Università Cattolica), Gianpietro Mazzoleni, (Università Statale di Milano), Enrico Mentana, Gianni Riotta (Sole 24 Ore) e Marcello Sorgi (La Stampa). Ai lavori partecipa anche Paolo Romani, viceministro dello Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni. Il dibattito, introdotto da Ruggero Eugeni, direttore di Almed-Università Cattolica sarà moderato dal direttore di Sky Tg24, Emilio Carelli, e da Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo televisivo dell’Università Cattolica. Nel corso del convegno verrà presentato il numero della rivista “Comunicazioni Sociali” on line dedicato a “Il candidato”, editore Vita e Pensiero, 2010. L’evento sarà in streaming sul sito www.sky.it MARIO RICCIARDI Non capita spesso che un libro di storia sia ta e penna e avranno l’aspetto serio e pulito dei chierici, da questo segno li riconoscerete, da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota, da questa rovina silenziosa, dalla vita considerata una pozza di fango, dal desidero che si spegne». I temi centrali della Ballata - l’accento sul valore fondante della tradizione, l’identità cristiana dell’Europa e il pericolo incombente della barbarie - ritornano vigorosi, anche se tra le righe, nelle coraggiose parole che Chesterton pronunciò a Firenze nel maggio 1935 durante una lezione/conferenza in occasione delle “Settimane Internazionali di Cultura”. Con un lucido e paradossale stile argomentativo, La letteratura inglese e la tradizione latina - un piccolo gioiello in formato più che tascabile edito sempre da Raffaelli - si conferma un omaggio doveroso alla civiltà mediterranea e alla cultura greca e latina che hanno permeato profondamente la Britannia sin dal principio, passando dai cantastorie al droghiere o al fattorino. Così «la tradizione classica è penetrata in ogni poro della vita comune, nelle frasi di conversazione, nella struttura stessa della società», nelle immagini e nelle forme linguistiche, fino alla bestemmia. L’Inghilterra è un’isola non isolata, un’isola continentale, sviluppo dell’antica civiltà come gli altri stati europei. E gli inglesi non sono barbari, ma buoni europei. Essi scrissero, parlarono e quasi pensarono in latino e in greco, senza conoscerli, e vissero nella cultura del continente. Perché secondo Chesterton la cultura non è questione pedantesca e pomposa che riguarda i dotti ma cosa popolare, comune, persino volgare. Tanto è vero che l’apparente etichetta classicista della conferenza è subito smentita dall’autore, il quale, con un understatement ironico, ammette che, se avesse dato alle stampe queste parole, avrebbe preferito un titolo giornalisticamente più efficace, «Gli inglesi sono dei barbari?», volendo con ciò sottolineare che la divisione tra l’Inghilterra e l’Europa è stata enormemente esagerata. Solo così, riconoscendo l’evidenza del pregnante retaggio europeo, il popolo inglese saprà scongiurare la minaccia di una nuova invasione barbarica rappresentata, non solo dal nuovo paganesimo nordico e dal mito ariano della razza che dalla Germania rischiava di “infettare” l’Inghilterra, ma soprattutto dai nuovi barbari, i promotori di una contro-cultura, che ha perso coscienza di sé rinnegando la tradizione, ossia le origini della civiltà europea. Gli inglesi, conclude Chesterton, hanno «cavalcato con l’italiano Tancredi e col franco Goffredo» per difendere, come il leggendario re Alfred, «ciò che fu fondato da Cesare e rifondato da Agostino». menzionato nei dialoghi di un film di successo. Eppure una volta è successo. In Good Will Hunting il personaggio interpretato da Matt Damon dice al suo interlocutore, lo psicologo interpretato da Robin Williams: «Se vuoi leggere un vero libro di storia, leggi “A People’s History of the United States” di Howard Zinn. Ti darà un calcio in culo». Da bambino Damon è stato vicino di casa di Zinn, e quindi non è sorprendente che sia rimasto affascinato dalla straordinaria personalità di questo storico e attivista politico, una delle figure più note della cultura radicale negli Stati Uniti. Zinn era nato a Brooklyn da una famiglia di ebrei “working class” il 24 agosto del 1922. Prima di intraprendere una carriera accademica, ha lavorato come scaricatore di porto e combattuto nell’aviazione degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Entrambe le esperienze lo hanno segnato, orientando i suoi interessi verso la storia e la politica, che sono rimaste le sue grandi passioni fino alla morte, avvenuta nei giorni scorsi. A People’s History of the United States non è semplicemente un libro di storia. Forse sarebbe più corretto descriverlo come un’epopea. In uno stile accessibile e brillante – sin da bambino Zinn era appassionato di lettura, e da studente aveva seguito corsi di Creative Writing – racconta la storia degli Stati Uniti vista dal punto di vista degli sconfitti e degli ultimi. A parlare non sono le grandi figure della mitologia nazionale, ma i nativi, gli schiavi, le donne, i lavoratori, gli immigrati, gli afroamericani che si battevano per la parità dei diritti. Insomma, tutti quelli che gli storici tradizionali tengono solitamente ai margini della narrazione. Figure indistinte che non hanno un posto nei libri di chi è interessato solo alle grandi individualità che “fanno” la storia. Da questo punto di vista, Zinn appartiene a un filone della storiografia contemporanea che trova nei grandi storici marxisti britannici la sua manifestazione più sofisticata dal punto di vista intellettuale. Autori come Christopher Hill, E.P. Thompson o Eric Hobsbawm, che hanno rivoluzionato il nostro modo di considerare il rapporto tra la dimensione macro e quella micro della politica e della società. Come i suoi colleghi Zinn è stato anche un attivista politico, impegnato in tutte le battaglie progressiste della storia recente degli Stati Uniti. Per i diritti dei neri, contro la guerra nel Vietnam e – di recente – contro quella di Bush in Iraq. Si è fatto arrestare, e una volta perfino cacciare dall’insegnamento, ma non ha mai smesso di battersi per le sue idee. Che non erano, bisogna riconoscerlo, sempre condivisibili. Infatti, a differenza degli storici marxisti che abbiamo menzionato, Zinn a volte si faceva trascinare dalla passione perdendo quel «senso della realtà» che – come sosteneva Isaiah Berlin – è uno dei requisiti indispensabili per comprendere la politica e la storia. Ciò nonostante, i suoi interventi si leggevano sempre con piacere. Talvolta commoventi, sempre pieni di grinta. Animati comunque da un amore sconfinato per un’idea dell’America come adempimento di una promessa: «The land of the free and the home of the brave». La terra dei liberi e dei coraggiosi che i suoi genitori avevano cercato lasciando il vecchio continente. Libero e coraggioso Howard Zinn lo era di certo. Anche chi non era d’accordo con lui ne sentirà la mancanza.