364-368 Case Records - Recenti Progressi in Medicina

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364-368 Case Records - Recenti Progressi in Medicina
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Case Records IFC/CNR
Recenti Prog Med 2010; 101: 364-368
Utilità dei biomarcatori nella valutazione del danno cardiaco subclinico:
H-FABP e ablazione in radiofrequenza delle aritmie ventricolari
Daniela Giannessi1, Marcello Piacenti1, Maristella Maltinti2, Andrea Rossi2, Pietro Di Cecco2,
Umberto Startari2, Manuela Cabiati3, Luca Panchetti2, Silvia Del Ry1, Maria-Aurora Morales1
Riassunto. La determinazione di biomarcatori in campo cardiologico, troponine cardiache e H-FABP inclusi, ha un ruolo
chiave nella diagnosi e nel monitoraggio di pazienti non solo
con sindromi coronariche acute ma anche di quelli in cui il danno miocardico non è determinato da una patologia ischemica
sottostante. Negli ultimi anni, metodiche di trattamento non
farmacologico delle aritmie cardiache, quali l’ablazione in radiofrequenza (RF), sono diventate sempre più diffuse; tuttavia
poco è conosciuto sul ruolo dei biomarcatori di danno miocardico indotto dalla RF. Riportiamo il caso di un paziente sottoposto ad ablazione in RF per tachicardie ventricolari sostenute, in cui è stato determinato l’andamento temporale di marcatori di danno miocardico dopo la procedura.
Summary. Role of biomarkers in the detection of sub-clinical
myocardial injury: H-FABP and radiofrequency ablation of ventricular arrhythmias.
Parole chiave. Ablazione in radiofrequenza, aritmie ventricolari, biomarcatori, danno cardiaco, H-FABP, troponine
cardiache.
Key words. Biomarkers, cardiac injury, cardiac troponins,
H-FABP, radiofrequency ablation, ventricular arrithmias.
Introduzione
C del complesso della troponina sul filamento dell’actina regolano la forza e la velocità della contrazione del muscolo. La subunità T di 37 KDa è responsabile del legame del complesso delle troponine alla tropomiosina; la TnI, 21 KDa, è altamente
cardio-specifica a causa della diversità della sequenza di 31 aminoacidi sullo N-terminale rispetto
alle troponine scheletriche. La TnT e la TnI sono
proteine strutturali i cui pool citosolici sono rilasciati in circolo dopo danno cellulare e sono indici di
danno miofibrillare. H-FABP è un marker precoce
di danno miocardico acuto particolarmente sensibile nelle primissime ore dopo l’evento. La sua alta
sensibilità è legata al basso peso molecolare (15
KDa) e alla sua elevata presenza in forma libera
nel citoplasma, che ne permettono un rapido rilascio dalle cellule miocardiche danneggiate. L’aumento nella circolazione periferica 30-90 minuti dopo l’evento, con un picco massimo a 4-6 ore, è indice di danno della membrana miocitaria. Data la sua
rapida clearance renale, la normalizzazione dei livelli circolanti ai valori basali avviene entro le 20
ore dall’evento, come mostrato in figura 1, che riporta l’andamento in funzione del tempo delle concentrazioni ematiche di cTn, H-FABP, mioglobina e
creatinchinasi (CK)-MB dopo danno miocardico.
Il ruolo dei biomarcatori come indici di danno
miocardico sta assumendo sempre maggiore importanza in situazioni cliniche in cui il danno miocardico non è determinato da una patologia ischemica sottostante come nello scompenso cardiaco1 e
nella valutazione di procedure terapeutiche invasive come l’angioplastica coronarica2 e l’ablazione
in radiofrequenza3,4. Un importante danno miocitario – ben evidente a livello biochimico dall’innalzamento significativo di indici di comune uso clinico, quali le troponine cardiache (cTn) – porta a
compromissione della funzione cardiaca, che può
essere associata a rimodellamento del ventricolo
sinistro con conseguente peggioramento della prognosi. Tuttavia, non solo il danno clinicamente evidente ma anche quello sub-clinico riveste un ruolo
importante come è stato recentemente dimostrato
in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra,
anche in assenza di sintomi evidenti di scompenso
cardiaco e sotto terapia ottimale5,6.
Per la determinazione del grado di danno miocardico sub-clinico vengono utilizzati principalmente le cTn e lo Heart-type Fatty Acid Binding
Protein (H-FABP). Come è noto, le subunità I, T e
The importance of biomarker assay such as cardiac troponins and H-FABP is assuming a pivotal role not only in the
diagnosis and follow-up of patients with acute coronary
syndromes. Radiofrequency (RF) ablation represents a
widely used method for the non pharmacologic treatment
of arrhythmias. We report a case of a patient complaining of
life-threatening arrhythmias treated by RF in whom temporal changes of cardiac biomarkers was determined after
the procedure.
1Istituto di Fisiologia Clinica CNR e Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa; 2Fondazione Toscana Gabriele Monasterio,
Pisa; 3Scuola Superiore S. Anna, Pisa.
Pervenuto il 30 giugno 2010.
D. Giannessi et al.: Biomarcatori nella valutazione del danno cardiaco subclinico: H-FABP e ablazione in radiofrequenza delle aritmie ventricolari
dico dovuto alla procedura di ablazione. Infatti, entrambi sono indici indipendenti di danno miocitario, della miofibrilla e della membrana rispettivamente, ma avendo diverse cinetiche ematiche, il loro uso combinato potrebbe rendere più affidabile
la valutazione della severità del danno cardiaco a
seguito di ablazione e quindi permettere di selezionare quei pazienti che potrebbero avere necessità di un monitoraggio post-procedurale.
Il caso clinico descritto di seguito illustra come
la determinazione dei livelli circolanti di H-FABP
consenta una valutazione più rapida di danno miocardico, rispetto ai biomarcatori più comunemente
utilizzati nella pratica clinica.
Figura 1. Livelli ematici di H-FABP, cTnI, mioglobina e CK-MB, in
funzione del tempo, dopo danno miocardico acuto.
Le cTn rimangono in circolo per alcuni giorni
dopo danno cardiaco miofibrillare e sono quindi indice di un danno recente, ma non necessariamente in corso. Al contrario H-FABP, che è prontamente rilasciato in circolo a seguito di danno alla
membrana cellulare, riflette in tempo reale un
danno in atto della membrana miocardica, come
mostrato in figura 2, dove è indicata la localizzazione dei diversi biomarcatori a livello cellulare.
Per le loro caratteristiche, questi biomarcatori
potrebbero rivestire un ruolo significativo anche in
condizioni in cui il danno miocitario è modesto, ma
il cui riconoscimento precoce potrebbe essere utile
nel selezionare i pazienti a maggior rischio di complicanze come nell’ ablazione in radiofrequenza
(RF) delle aritmie ventricolari e sopraventricolari7, procedura sempre più estesamente utilizzata
nella pratica clinica nell’ultimo decennio.
In questo contesto, la misura di H-FABP, in associazione con quella delle cTn, permette una più
accurata valutazione dell’entità del danno miocar-
Figura 2. Localizzazione a livello cellulare dei biomarcatori cardiaci.
Descrizione del caso
VF, di anni 72, veniva ricoverato nel nostro Istituto
per episodi di cardiopalmo associati a dolore precordiale e documentazione di più episodi di tachicardia
ventricolare sostenuta. Il paziente presentava familiarità per cardiopatia ischemica; ipertensione arteriosa
da diversi anni; ipercolesterolemia in trattamento con
statine. Rimaneva asintomatico fino al settembre 2003,
quando, in terapia antipertensiva, insorgevano dispnea
da sforzo e sporadici episodi di dolore precordiale sia a
riposo sia da sforzo, sensibili ai comuni antidolorifici.
Nel febbraio 2005 per insorgenza di dolore precordiale
intenso associato a sensazione di prelipotimia si recava
al Pronto Soccorso e quindi veniva ricoverato in ambiente cardiologico per “tachicardia ventricolare trattata con DC-shock in paziente con infarto miocardico
non Q, lieve compromissione della funzione ventricolare sinistra e malattia della circonflessa trattata mediante angioplastica; stenosi subcritica della discendente anteriore”. All’ecocardiogramma veniva descritta
ipocinesia laterale, inferiore ed infero-laterale, con una
frazione di eiezione del ventricolo sinistro del 44%.
Asintomatico fino all’aprile 2006, quando insorgeva
nuovamente dolore precordiale di lunga durata associato a cardiopalmo; al Pronto Soccorso veniva rilevata
tachicardia ventricolare con iniziale impegno emodinamico, che era trattata con DC-shock. Dopo la cardioversione, era presente un sottoslivellamento del segmento
ST sulle derivazioni laterali e
documentato rialzo enzimatico (cTnI 4.73 µg/L). Alla terapia di base veniva aggiunta
quella con amiodarone in considerazione dell’aritmia ventricolare. Successivamente il
paziente continuava a riferire
dispnea (Classe NYHA II) e
palpitazioni associate a brevi
sensazioni vertiginose per cui,
nel maggio 2006, veniva sottoposto a esame ECG Holter 24
ore che metteva in evidenza
un run di tachicardia ventricolare di 29 battiti alla frequenza di 150 b.p.m. Veniva
pertanto ricoverato nel nostro
Istituto.
All’ingresso, stabile da un
punto di vista emodinamico,
presentava un esame obiettivo
negativo con PA 120/70 mmHg.
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L’ECG mostrava PR nei limiti, blocco di branca destra,
deviazione assiale sinistra e onda T negativa in D3.
L’ecoDoppler cardiaco segnalava ipocinesia della parete
infero-laterale con funzione globale del ventricolo sinistro moderatamente compromessa (FEVS 41%).
L’esame coronarografico concludeva per aterosclerosi coronarica diffusa in assenza di stenosi critiche ed assenza di restenosi a carico dell’arteria circonflessa già
trattata mediante angioplastica.
Sottoposto a eco da sforzo, il test veniva interrotto al
carico di 50 W x 1’ per comparsa di due run di tachicardia a complessi larghi, in assenza di alterazioni della cinetica regionale (figura 3).
In considerazione dei reperti clinico-strumentali, veniva sottoposto a studio elettrofisiologico endocavitario.
Con la stimolazione ventricolare programmata in cono
di efflusso del ventricolo destro con drive di 600 msec e
triplice extrastimolo (a 320, 320 e 340 msec) si induceva tachicardia ventricolare. La morfologia – differente
da quella evidenziata durante il test ergometrico – risultava compatibile con origine dal setto anteriore, per
cui si procedeva a tale livello con l’applicazione di energia in radiofrequenza. Si procedeva inoltre a pace-mapping per riprodurre morfologia della TV indotta durante il test ergometrico; veniva indotta una TV a morfologia simile stimolando a livello della parete laterale; veniva pertanto applicata in quella sede energia in radiofrequenza ottenendo la remissione dell’aritmia. A circa
15 minuti si ripeteva la stimolazione ventricolare programmata, in condizioni basali e dopo infusione di isoprenalina, osservando assenza di induzione di TV sostenuta.
Immediatamente prima della procedura di ablazione, il paziente era sottoposto a prelievo ematico per la
determinazione di indici di danno miocardico. I prelievi
venivano ripetuti alla fine della procedura ablativa, dopo 3, 6 e 24 ore. La valutazione del danno miocardico includeva la determinazione di mioglobina, CK-MBmassa,
cTnI e H-FABP.
Dopo la procedura, il paziente rimaneva asintomatico, mentre ECG seriati mostravano transitorie modificazioni della ripolarizzazione ventricolare, che ritornavano al basale dopo 24 ore dalla procedura. L’ecocardiogramma alla dimissione non mostrava variazioni significative della cinetica parietale ed una funzione globale
sovrapponibile all’ingresso.
Figura 3. Episodi di TV sostenuta-inframmezzati da un breve periodo di ritmo sinusale con blocco di branca destro completo. La
TV monomorfa appare originare dalla parete laterale basale del
ventricolo sinistro.
Dopo la dimissione, il paziente – sotto trattamento
con acido acetilsalicilico 100 1 cpr/die, metoprololo/die,
atorvastatina 20 mg 1 cpr/die, valsartan/idroclorotiazide
160/12.5 mg/die – è rimasto asintomatico per angor, palpitazioni o dispnea. ECG Holter ripetuti (l’ultimo 10 mesi dopo la procedura ablativa) hanno mostrato assenza di
aritmie significative durante tutto il periodo della registrazione.
In tabella 1 sono riportati i livelli basali dei biomarcatori cardiaci e quelli relativi al picco post-ablazione; per
confronto è riportato anche il rispettivo intervallo di normalità. La massima concentrazione ematica (picco) per
mioglobina e H-FABP si osservava immediatamente dopo
la procedura, mentre il picco di cTnI e CK-MB era evidente
al prelievo a 6 ore dalla procedura. I livelli basali del paziente rientravano nell’intervallo di normalità, mentre si
osservavano valori più alti di quelli normali in corrispondenza del picco post-ablazione; in particolare, i livelli ematici di H-FABP risultavano più che raddoppiati.
Tabella 1. Concentrazioni dei biomarcatori cardiaci del paziente VF. Per ciascun analita sono riportati i valori basali, i valori del
picco post-ablazione in RF e l’intervallo di normalità.
Biomarcatore
Intervallo di
normalità
Basale
Picco
H-FABP, µg/L
0.6 – 5.9
3.8
9.8
< 0.02
0.01
1.6
Mioglobina, µg/L
<70 (F)
< 110 (M)
33.8
157.2
CK-MBmassa, µg/L
< 6.3
1.6
15.6
cTnI, µg/L
Discussione
L’introduzione nella pratica clinica della determinazione delle cTn nelle sindromi coronariche
acute ha rivoluzionato, circa quindici anni fa, il
processo decisionale e le cTn sono state incluse come criterio diagnostico obbligatorio nella definizione di infarto miocardico. Sebbene i metodi di determinazione delle cTn di ultima generazione (Tn
ad alta sensibilità) permettano di rivelare danni
cardiaci corrispondenti a circa 1 mg di tessuto miocardico danneggiato, le cTn hanno una bassa sensibilità nelle prime 6-12 ore dall’evento acuto, corrispondenti al periodo ottimale per il trattamento
di rivascolarizzazione (che si pone entro le prime 2
ore). Più di recente, numerosi studi hanno indicato un potenziale ruolo per H-FABP nella diagnosi
precoce di infarto miocardico in virtù della sua
maggiore sensibilità nelle prime ore dall’evento
acuto8,9. In particolare, la misura di H-FABP è in
grado di stratificare i pazienti con dolore toracico e
cTnT normale10 migliorando, in combinazione con
la cTnT, la sensibilità e il valore predittivo negativo nella rilevazione precoce del danno cardiaco
acuto (4 ore dai sintomi)11.
Analogamente, dopo ablazione in RF, la determinazione di H-FABP è in grado di rilevare precocemente la presenza di un danno miocardico, confermata in una fase più avanzata dall’aumento delle cTn e della CK-MB.
D. Giannessi et al.: Biomarcatori nella valutazione del danno cardiaco subclinico: H-FABP e ablazione in radiofrequenza delle aritmie ventricolari
La cinetica di comparsa in circolo di questa proteina è simile a quella osservata per la mioglobina,
che tuttavia è un indice cardiaco meno specifico
per la sua componente muscolare. Uno studio effettuato presso il nostro Istituto ha mostrato che
H-FABP aumenta in maniera significativa dopo
ablazione in RF nei pazienti trattati per aritmie
relative al ventricolo sinistro e che durata e potenza delle applicazioni in RF rappresentano il
principale determinante dell’aumento acuto di indici di necrosi miocardica (dati non mostrati). Si
ritiene, infatti, che la procedura di ablazione produca piccole lesioni in grado di rilasciare alcune
sostanze biochimiche attraverso meccanismi diversi quali la rottura della membrana, l’attivazione e denaturazione proteica, il danno nucleare. La
rottura del sarcolemma, legata alla elevata temperatura indotta dalla RF, può essere responsabile della diffusione dal compartimento cellulare a
quello extracellulare, con conseguente aumento
nel flusso ematico di H-FABP, cTnI e CK-MB. HFABP è presente abbondantemente nel citoplasma
delle cellule miocardiche e può essere rilevato in
alte concentrazioni in campioni ematici dopo rottura del sarcolemma. L’aumento di cTnI dopo
ablazione in RF indica che, oltre al danno di membrana, un danno alle miofibrille può essere indotto dalla procedura di ablazione, come già dimostrato da altri Autori3,4.
Sebbene il danno miocardico determinato dall’energia termica indotta dall’applicazione della
RF venga generalmente considerato trascurabile
per le piccole dimensioni delle lesioni, in alcuni
casi, specialmente in quelli in cui l’aritmia è persistente, può essere necessario praticare un maggior numero di applicazioni con la RF che possono portare a lesioni miocardiche più estese e compromettere la contrattilità parietale. Alcuni autori sottolineano, addirittura, come nei cuori disfunzionanti, ed in particolare nel post-infarto, le
ablazioni vadano il più possibile limitate ai territori necrotici o perinecrotici, in modo da non
danneggiare ulteriormente la funzionalità cardiaca12.
Il caso che abbiamo presentato indica che la
procedura di ablazione ha prodotto un danno subclinico alla membrana miocitaria, testimoniato
dall’aumento di circa 2 volte dei livelli ematici di
H-FABP. Questa alterazione dei livelli di H-FABP
è seguita dall’aumento della cTnI, indice di danno
miofibrillare, in questo caso di lieve entità. Anche
mioglobina e CK-MBmassa risultavano aumentate
post-ablazione in parallelo con la cTnI. Il paziente
è rimasto asintomatico sia durante sia dopo la procedura, malgrado transitorie alterazioni della ripolarizzazione ventricolare siano state evidenziate
sugli ECG eseguiti nelle prime 24 ore dopo ablazione. Le modificazioni ECG di per sé possono non
avere un significato ischemico, ma essere correlate alla memoria elettrica, fenomeno di alterazioni
dell’onda T dopo una depolarizzazione patologica e
ben descritto nelle ablazioni in RF di vie accessorie
nella sindrome di WPW13.
Tuttavia, la possibilità di monitorare molto precocemente l’eventuale danno miocardico indotto da
RF può avere risvolti clinici. Infatti, per quanto raramente, complicanze significative sono riportate
dopo ablazione in RF fino all’infarto acuto del miocardico da danno coronarico indotto dalle alte temperature applicate nei territori immediatamente
circostanti il vaso12,14.
Il paziente di cui abbiamo riferito, per la sua
particolare storia clinica di cardiopatia ischemica
con moderata disfunzione ventricolare sinistra, già
sottoposto a procedura di angioplastica coronarica
percutanea, rappresenta il candidato ideale ad un
monitoraggio accurato post-ablazione. Infatti, proprio i pazienti che presentano già basalmente una
disfunzione ventricolare ed in cui la RF è stata applicata su più foci per le particolari caratteristiche
dell’aritmia, necessitano di un monitoraggio bioumorale precoce che possa definire in tempi brevi
l’entità del danno miocardico indotto dalla procedura. Questo è in accordo con i risultati di un recente lavoro, lo studio FAB15, che dimostra come, in
pazienti con sospetta sindrome coronarica acuta e
a rischio medio-basso, elevati livelli di H-FABP
identifichino quelli a più alto rischio di eventi avversi, includendo anche i soggetti negativi per troponina, misurata con un sistema di terza generazione (ultra-sensibile).
La determinazione di H-FABP dopo ablazione,
in aggiunta a quella dei biomarcatori convenzionali, aumenta l’accuratezza diagnostica, ma aumenta in maniera significativa anche il costo della valutazione bioumorale post-procedura. Per questo motivo ne suggeriamo l’utilizzo solo in gruppi
selezionati di pazienti a maggior rischio procedurale, come quelli che sviluppano angor durante la
procedura ed in cui un danno coronarico può essere sospettato in considerazione della sede di ablazione.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Daniela Giannessi
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Fisiologia Clinica
Via Giuseppe Moruzzi, 1
56125 Pisa
E-mail: [email protected]
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