NON SOLO LE PENSIONI DIVIDONO LE GENERAZIONI di

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NON SOLO LE PENSIONI DIVIDONO LE GENERAZIONI di
NON SOLO LE PENSIONI DIVIDONO LE GENERAZIONI
di: Marco Albertini
Negli ultimi trent'anni una situazione socio-economica molto favorevole e i
particolari assetti del welfare italiano hanno contribuito a migliorare
notevolmente la posizione economica relativa della parte più anziana della
popolazione. Nel frattempo i destini economici delle famiglie più giovani sono
andati sempre più deteriorandosi. Senz'altro è il risultato di una condizione del
mercato del lavoro oggi radicalmente diversa rispetto alla fine degli anni
Settanta. Ma il sistema dovrebbe tenere conto anche delle alterne fortune delle
generazioni.
Uno dei "filoni" della recente accesa discussione sul famigerato "scalone" ha
riguardato l’esistenza o meno di un conflitto tra gli interessi delle diverse
generazioni rispetto agli assetti pensionistici in Italia. Se da un lato, vi era chi
sottolineava l’assenza di rappresentanza e di tutela degli interessi dei
pensionati del futuro, oggi giovani lavoratori o studenti, a favore della tutela
dei genitori prossimi alla pensione, dall’altro, c’era chi negava l’esistenza di
interessi divergenti e di una questione di generational fairness.
Schematicamente, nel primo gruppo si annoverano alcuni politici e molti
accademici (soprattutto economisti), nel secondo molti sindacalisti.
La crescente disparità tra generazioni
È sicuramente vero, come sostenuto da molti, che il gioco redistribuivo tra
generazioni non è a somma zero, tuttavia è anche vero che le casse dello Stato
e degli enti previdenziali non assomigliano nemmeno lontanamente alla borsa
di Mary Poppins. In altre parole, le risorse da investire e redistribuire sono pur
sempre limitate e gli investimenti alternativi non sono certo neutrali rispetto
all’equità redistribuiva tra generazioni. Negli articoli pubblicati su lavoce.info è
stato ampiamente mostrato che il contratto pensionistico alla base del
welfare italiano è fortemente squilibrato a sfavore delle generazioni più
giovani. Tuttavia, è importante sottolineare che purtroppo lo squilibrio della
parte pubblica del contratto generazionale non si limita solo alle recenti
modifiche delle regole che stabiliscono l’accesso e l’ammontare della pensione
di anzianità, ma emerge fortemente anche da un’analisi della allocazione del
budget del welfare italiano e, soprattutto, dai suoi risultati in termini di
posizioni reddituali relative.
Gli squilibri del contratto generazionale pubblico
Il primo indicatore dello squilibrio del welfare italiano è costituito dal valore del
rapporto tra spesa "dedicata" alla parte anziana della popolazione rispetto a
quella dedicata alla parte più giovane. Esping-Andersen e Sarasa, esaminando i
dati sulla allocazione della spesa sociale nei diversi sistemi di welfare, esclusa
la spesa sanitaria, stimano che il valore del rapporto tra spesa per le
generazioni anziane e spesa per le generazioni giovani è pari a 3,5 in Italia,
contro una media di 1,7 nei paesi dell’Europa continentale, di 1,2 nei paesi
anglo-sassoni
e
di
0,8
in
quelli
scandinavi.
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Forse già questo basterebbe a chiarire che, almeno in potenza, esiste in Italia
un conflitto redistribuivo tra generazioni. Volendo approfondire, tuttavia, si può
andare a vedere come è cambiata nel tempo la posizione economica
relativa delle famiglie italiane secondo l’età di riferimento. L’andamento della
posizione economica delle diverse generazioni, infatti, è un buon indicatore sia
della loro "fortuna" in termini di destini familiari e di condizioni del mercato del
lavoro durante la loro età lavorativa, sia di ciò che il sistema di welfare ha fatto
per
"compensare"
le
diverse
"fortune"
delle
famiglie
e
degli
individui.Consideriamo innanzitutto il livello del rischio di "basso reddito" che
colpisce gli individui a seconda dell’età di riferimento della famiglia in cui
vivono, ovvero la loro probabilità di essere collocati nel quintile più basso della
distribuzione dei redditi disponibili equivalenti. Se tutti fossero equamente
"colpiti" da tale rischio, il 20 per cento di ciascun gruppo d’età dovrebbe
trovarsi nel primo quintile. Ma, come si può vedere in figura 1, il rischio non è
mai stato distribuito equamente. Nel 1977 le persone che vivevano in famiglie
di ultra sessantacinquenni correvano un elevatissimo rischio di basso
reddito: circa il 38 per cento era collocato nel primo quintile della distribuzione.
Quasi trenta anni dopo, però, lo scenario è drammaticamente diverso: sono le
famiglie con una età di riferimento sotto i 40 anni le uniche a essere sovra
rappresentate nella parte bassa della distribuzione. All’opposto, la piena
implementazione del sistema pensionistico e anche la combinazione di una
serie di fattori socio economici favorevoli (1), ha fatto in modo che solamente
il 18 per cento degli ultra sessantacinquenni del 2004 siano situati nella parte
bassa della distribuzione dei redditi.
Figura 1: Proporzione di individui nel primo quintile di redditi, secondo
l’età di riferimento della famiglia
Risultati analoghi si ottengono analizzando l’andamento dei redditi medi
relativi dei vari gruppi d’età. Dalla fine dei Settanta a oggi si assiste: (i)
all’aumento del reddito relativo di un gruppo della popolazione già benestante,
ovvero quello delle famiglie con età di riferimento tra i 51 e i 65 anni; (ii) al
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forte miglioramento delle condizioni degli ultra sessantacinquenni, un gruppo
prima assai svantaggiato; (iii) un forte peggioramento della posizione delle
famiglie
sotto
i
30
anni
(figura
2).
Se poi consideriamo il livello delle differenze di reddito intragruppo, va
notato che si è avuta una decisa riduzione nella diversità dei redditi dei gruppi
di età più anziani, e una tendenza opposta per le famiglie con meno di 40 anni.
Figura 2: Reddito medio relativo per gruppo di età
Si aggiunga, inoltre, che le vecchie generazioni lasciano alle nuove una eredità
negativa piuttosto pesante: un debito pubblico tra i più elevati in Europa.
Il ruolo del welfare
Negli ultimi trent’anni la combinazione di una situazione socio-economica molto
favorevole e dei particolari assetti del welfare italiano ha di fatto contribuito a
migliorare notevolmente la posizione economica relativa della parte più
anziana della popolazione. Guardando ai dati della Banca d’Italia possiamo
senz’altro dire che alcune coorti di nascita sono state indubbiamente
fortunate: i trentenni della fine dei Settanta non se la cavavano poi male e
oggi, nei loro 60 anni, si trovano in uno dei gruppi di popolazione più
benestanti. Nel frattempo, i destini economici delle famiglie più giovani sono
andati sempre più deteriorandosi, e con loro, chiaramente, anche quelli dei
figli.
Non c’è dubbio che in larga parte questo quadro sia il risultato di una
situazione del mercato del lavoro che è oggi radicalmente diversa rispetto a
quella della fine degli anni Settanta. Ma non dovrebbe forse il sistema di
welfare tenere conto anche di queste alterne fortune delle generazioni? Non è
forse un sistema compensativo dei rischi e destini che dipendono solo
marginalmente dalle abilità individuali? E tali rischi non sono forse
inegualmente distribuiti non solo rispetto alle classi sociali, ma anche
rispetto alle generazioni? È, credo, nella sordità rispetto a tali quesiti che
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nascono nel nostro paese le potenzialità per un conflitto forte tra generazioni
circa la redistribuzione dei costi e benefici del sistema di welfare.
(1) Negli anni della loro maturità queste coorti hanno sperimentato condizioni
assai favorevoli quali: bassa instabilità familiare, forte crescita economica e un
mercato del lavoro fluido, con uno "scivolamento" verso la parte alta della
struttura occupazionale.
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