Intervento al workshop _Digital Single Market ed

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Intervento al workshop _Digital Single Market ed
Workshop
“Digital Single Market ed Ecosistema digitale tra regole e politiche pubbliche”,
AGCOM, Roma, 24 marzo 2016
Intervento di Antonio Preto
1.
Premessa
La più grande risorsa di cui dispone l’Europa è il suo mercato interno: 510 milioni
di cittadini e oltre 20 milioni di aziende. Saperlo sfruttare al meglio è di vitale
importanza per la crescita economica. Ha inoltre un sua valenza politica.
Mentre la maggior parte degli ostacoli per il mercato unico è scomparsa nel
mondo fisico – come perseguito dai padri fondatori 70 anni fa con il primo mercato
comune europeo – oggi registriamo ancora troppi limiti e barriere nel mondo virtuale.
Gli europei debbono poter comperare online beni e servizi nel mercato unico,
sicuri di una consegna rapida e a prezzi ragionevoli, avendo nel contempo fiducia che
in caso di problemi non avranno difficoltà a vedersi restituita la somma pagata o
cambiata la merce difettosa.
2.
Perché DSM?
Il mercato unico digitale è la grande sfida che l’Europa deve vincere da qui al
2020. É un fattore straordinario di crescita e sviluppo. È l’economia del presente, oltre
che del futuro.
Secondo i dati forniti dalla Commissione europea, l’esistenza di ostacoli alle
operazioni online impedisce ai cittadini di profittare di una vasta gamma di beni e
servizi:
- solo il 15% effettua acquisti online da un altro Stato membro;
- solo il 7% delle PMI vende all’estero;
- le imprese e le pubbliche amministrazioni non possono fruire appieno degli
strumenti digitali.
Un mercato unico digitale pienamente funzionante potrebbe apportare
all’economia europea 415 miliardi di euro l’anno.
La sua realizzazione è quindi di vitale importanza.
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Per godere di tutte le opportunità che l’economia digitale offre è necessario che
tutti i settori si impregnino del digitale e ne facciano la propria modalità di lavoro.
In primis la Pubblica amministrazione. Deve promuovere la domanda,
innanzitutto diventando essa stessa digitale.
Ciò vuol dire credere nella digitalizzazione dei processi, nei digital skills dei
lavoratori e la standardizzazione nel settore dell’ICT che a sua volta favorisce
interazione e interoperabilità su scala globale. Imporre uno standard significa avere un
vantaggio competitivo fondamentale.
Se dunque cresce la consapevolezza rispetto alla digitalizzazione dell’economia e
della società, non sono sicuro che le istituzioni nazionali siano ugualmente consapevoli
della velocità con cui questa trasformazione sta avvenendo.
Perché sta avvenendo molto velocemente. Dobbiamo allora procedere
speditamente verso la realizzazione di un mercato unico digitale europeo, se non
vogliamo che l’Unione Europa diventi un carro trainato dall’economia mondiale e un
terreno di conquista delle altre economie.
Tutto questo vale ancor più per l’Italia.
Sia per quanto riguarda la crescita dell’e-commerce nazionale. L’acquistato
online dei consumatori italiani nel 2015 vale 16,6 miliardi di euro, 2,2 miliardi in più
rispetto al 2014. La penetrazione dell’e-commerce supera il 4% del totale consumi
retail. Gli acquirenti online abituali (almeno 1 acquisto al mese) sono 11,1 milioni e lo
scontrino medio tocca quota 89 euro. Il mercato cresce del 16%.
Sia per quanto riguarda la possibilità di offrire al mercato mondiale i tanti prodotti
e identità del nostro paese, grazie al digitale che permette di disintermediare e
raggiugere direttamente il consumatore finale.
3.
Una sfida integrata
“L’Europa deve dotarsi di un quadro legislativo unico per internet,
comunicazioni elettroniche e audiovisivo per garantire parità di condizioni a tutti i
protagonisti della catena di valore digitale”.
È quanto sostiene un recente studio sulla riforma delle leggi europee del settore
digitale, pubblicato dal CERRE (Centre on Regulation in Europe).
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Una posizione che sostengo da tempo. Mi fa piacere che anche eminenti centri di
ricerca raggiungano le stesse conclusioni.
É necessaria una visione integrata. Dobbiamo abbandonare ‘i silos legislativi’ che
hanno normato i diversi comparti del mondo ICT.
Sono figli di una stagione regolamentare a cavallo tra gli anni ’90 ed i primi 2000
che si è conclusa. Le diverse norme a compartimenti stagni vanno sostituite con un due
soli quadri regolamentari: uno per le infrastrutture e uno per i servizi.
Entrambi ambiziosi, ed entrambi ‘a prova di futuro’. Abbastanza da garantire la
necessaria stabilità negli investimenti. Flessibili dinanzi alle trasformazioni
tecnologiche.
Oggi parliamo di quadruple play, la convergenza è realizzata. Il business model
di Netflix è basato sui contenuti piuttosto che sull’infrastruttura. Fornire contenuti
sembra più attraente, a discapito ad esempio della pay tv che neanche più i diritti
calcistici sembrano in grado di rilanciare in modo economicamente sostenibile.
4.
Le comunicazioni elettroniche ed il ruolo della regolazione per un
vero level playing field.
Il roll-out delle reti fisse e mobili rimane il prerequisito dello sviluppo del mercato
unico digitale.
Secondo organismi come l’ETNO la parola chiave per favorire gli investimenti
sarebbe deregulation.
Non sono d’accordo.
Si potrà e si dovrà ridurre, se non eliminare, la regolazione ex ante nel settore
delle comunicazioni elettroniche solo quando si sarà sviluppata una concorrenza
effettiva e sostenibile. In quel caso il mercato potrà essere disciplinato dal diritto della
concorrenza.
La reti di nuova generazione, come quelle tradizionali, continuano invece ad avere
le caratteristiche di bottleneck, tipiche delle reti di accesso.
Una regolazione è quindi necessaria. Come ogniqualvolta si presentino problemi
legati al possesso di un’infrastruttura essenziale o persistono elevate barriere
all’ingresso.
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La regolamentazione degli operatori dotati di significativo potere di mercato
rimane uno strumento indispensabile per l'imposizione di adeguati obblighi di accesso
all'ingrosso.
Certo vi sono ambiti nei quali la regolazione non serve più perché il gioco
concorrenziale fa già la sua parte: pensiamo alla messaggistica o ai servizi di telefonia
vocale da rete fissa. Ma di questa inutilità Agcom ne ha già preso atto da tempo oramai,
assieme alla Commissione europea.
L'attuale quadro normativo si fonda inoltre su una regolazione pro concorrenziale.
La revisione che la Commissione ha previsto per quest’anno della regolazione delle
comunicazioni elettroniche deve continuare a fornire le condizioni per investimenti
diffusi nelle reti a banda larga e a forte intensità di capitale.
Gli obiettivi sanciti dall’articolo 8 della direttiva quadro sulle comunicazioni
elettroniche - concorrenza, tutela dei consumatori, investimenti, e innovazione - sono
ancora validi.
Così la pensa il Parlamento europeo, così la pensano il BEREC (organismo che
raccoglie i regolatori europei del settore), ed ovviamente Agcom.
Il quadro normativo, in particolare, deve continuare a fondarsi su una regolazione
pro concorrenziale che incentiva le imprese a investire e innovare. A beneficio degli
utenti finali in termini di scelta, prezzo e qualità.
Una visione regolamentare chiara e di lungo periodo incoraggia gli investimenti
efficienti in quanto garantisce la necessaria certezza e stabilità delle regole.
Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, allungando il periodo coperto dalle analisi di
mercato. Questo comporterebbe il vantaggio tra l’altro, di ridurre gli oneri
amministrativi per gli operatori e i costi della regolazione.
5.
Le sfide affrontate: roaming e net neutrality, payment services
Nell’ambito della strategia DSM ritengo importante, da parte dell’Ue, aver
affrontato tre temi che incidono sulla qualità dei servizi digitali: il roaming, la net
neutrality e il payment service.
Il legislatore europeo ha “cancellato” il roaming internazionale. L’utente pagherà
la stessa tariffa, quella del contratto che lo lega al proprio gestore, sull’intero territorio
dell’Unione. Gli operatori saranno tenuti alla nuova regola dal 15 giugno 2017. Fino
ad allora potranno fare solo adattamenti parziali e mirati, poi potranno definire una
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“politica di utilizzo corretto” (fair use), per evitare abusi (quali un uso mirato e distorto
delle SIM).
In generale si va verso l’unificazione. Una prima ed importante “rivoluzione” a
vantaggio dell’integrazione del mercato.
Altra sfida affrontata è quella della net neutrality. Tutto il traffico online sarà
trattato in maniera uguale, eccezion fatta per alcuni casi definiti - che richiederanno un
occhio vigile delle Authority.
Ma una scelta - anche se non esente da critiche – è stata fatta ed ora il quadro è
più chiaro. Ora tocca alle Autorità nazionali di regolazione come Agcom fare la propria
parte per rendere effettivo il diritto alla net neutrality, in particolare garantendo agli
utenti i giusti standard di qualità del servizio. I servizi specializzati non debbono
diventare occasione di discriminazione tra utenti di serie A e utenti di serie B.
Quanto ai servizi di pagamento la nuova direttiva entrata in vigore il 1 gennaio
scorso crea le condizioni per aumentare la fiducia dei consumatori negli strumenti
elettronici di pagamento a livello europeo meglio proteggendoli contro frodi e abusi e
soprattutto in caso di controversie. Pagamenti via internet e attraverso smartphone in
mobilità diventeranno più facili e sicuri.
6. Le proposte della Commissione: banda 700, geo-blocking e contratti
digitali
Tra le varie questioni sul tavolo del DSM, ci sono tre proposte della Commissione
su cui vorrei soffermarmi.
La Banda 700.
La prima è la proposta di Decisione relativa alla Banda 700 al fine di liberare per
il 2020 le frequenze dai broadcaster a favore degli operatori TLC. Il tutto per dare
spazio al 5G.
Francia, Germania e UK si sono già mosse a riguardo. Il governo inglese, in
particolare, ha dispiegato ingenti risorse per compiere il refarming.
Il testo della Commissione toglie la flessibilità prevista dal rapporto Lamy, cui lo
stesso Parlamento europeo fa esplicito riferimento nella sua risoluzione sul Mercato
unico digitale: flessibilità basata sul 2020 più o meno 2.
Lamy prevedeva inoltre una formula in tre step orientata a gestire una fase di
transizione che terminasse nel 2030 e avesse un momento di valutazione parziale nel
2025.
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Questa accelerazione e questa volontà di uniformare a livello europeo la gestione
dello spettro radio, se da un lato apre prospettive interessanti in termini di innovazione
e sviluppo tecnologico, dall’altro crea situazione difficili da affrontare per Paesi come
l’Italia ad alta densità di utilizzo dello spettro e che hanno nella banda 700 i canali di
primari operatori di rete nazionali.
In caso di refarming hanno diritto ad ottenere frequenze equivalenti. E’ un bel
guazzabuglio.
A prescindere da quello che decideranno i legislatori europei (Parlamento e
Consiglio UE) che dovrebbero pronunciarsi tra giugno e settembre, resta il fatto che
l’Italia si deve preparare sin d’ora all’evento quale che sia la data di entrata in vigore
della decisione.
E’ urgente la definizione di un piano d’azione che coinvolga i soggetti pubblici e
privati, in cui le istituzioni indichino le strategie e obiettivi generali.
L’auspicata flessibilità al 2022, qualora venisse concordata con l’Ue, non
dispensa da una necessaria programmazione e accelerazione della transizione verso la
banda 700 Mhz dei servizi TLC di prossima generazione.
Il geo-blocking.
La proposta della Commissione intende combattere il fenomeno togliendo ogni
limitazione tecnica basata sugli indirizzi IP – vale a dire consentire la fruizione di
servizi e l’acquisto di beni da ogni nodo connesso all’interno dell’Unione europea.
Si potrà vedere ciò che si è acquistato on line in ogni parte dell’Unione. Una sorta
di portabilità dei diritti.
L’effetto pro competitivo è evidente, oltre al benessere che crea nei consumatori
che possono accedere a beni e servizi di loro gradimento a prezzi concorrenziali e senza
limiti legati al territorio.
La distribuzione selettiva spesso genera segmentazione dei mercati in contrasto
col diritto della concorrenza
Questo è il geo-blocking ingiustificato di cui parla ripetutamente il Vicepresidente
della Commissione Ansip, che dobbiamo da subito superare.
Diverso il tema della territorialità dei diritti audiovisivi, su cui è basato il business
model dei fornitori di contenuti, in particolare dei broadcaster ed il cui superamento
genererebbe effetti devastanti per molte imprese del settore. La territorialità è ancora
un elemento essenziale del diritto d’autore e la licenza paneuropea è ancora prematura.
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La proposta della Commissione è stata ben accolta dal Parlamento europeo. La
Risoluzione di gennaio dell’Assemblea di Strasburgo è chiara a questo proposito.
Dovrebbe dunque avere vita facile ed un’approvazione rapida.
I contratti online.
La proposta della Commissione mi pare vada nella giusta direzione. Certo
dobbiamo rendere facile e sicuro (garanzie, clausole abusive, prodotti difettosi) per i
consumatori l’acquisto di contenuti digitali online, la occorre al tempo stesso evitare
di introdurre disparità crescenti tra acquisti online e offline. Occorre garantire coerenza
per evitare una dannosa corsa al ribasso delle tutele, sempre presente quando si
confrontano realtà diverse soggette a normative diverse.
7.
La revisione della Direttiva servizi media
AGCOM ha partecipato consultazione relativa alla revisione delle Direttiva
Servizi Media Audiovisivi.
La direttiva – che mantiene vive le sue ragioni e la sua ispirazione di fondo – deve
tuttavia potersi applicare a tutti i nuovi servizi che circolano e si diffondono attraverso
la rete, in Europa. Pluralismo, diversità linguistica e culturale, la tutela dei minori, dei
giovani e delle minoranze debbono rimanere principi fondamentali delle direttiva.
Ritengo siano maturi i tempi per procedere con un bilanciamento della pressione
regolamentare, su due diversi livelli. Il primo si riferisce ai fornitori di servizi di media
audiovisivi e gli altri player. Il secondo agli operatori stabiliti dentro l’UE e quelli fuori
dall’Unione, ma che si rivolgono al mercato europeo.
Quando soggetti differenti, sottoposti a regole diverse, competono sugli stessi
mercati, vi è il rischio di un’alterazione della concorrenza. Occorre quindi rimodulare
gli strumenti normativi allo scopo di impedire asimmetrie tra soggetti operanti sui
medesimi mercati e garantire le migliori condizioni di competitività e concorrenza.
L’attuale direttiva inoltre favorisce una sorta di “dumping normativo”: incentiva
infatti i fornitori di servizi media a stabilirsi in paesi con norme minime e massima
flessibilità. Netflix opera in Italia essendo stabilito ad Amsterdam ed in Italia non ha
praticamente alcun rappresentante.
La direttiva deve far fronte a questa distorsione della concorrenza.
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Sono quindi favorevole a estendere la direttiva ai fornitori di servizi di media
audiovisivi stabiliti al di fuori dell'UE ma che si rivolgono al pubblico dell'UE e la cui
presenza nell'UE è rilevante in termini di quota di mercato/volume d'affari.
In mancanza di armonizzazione l’applicazione del principio del paese di
destinazione costringe gli operatori ad adattare le loro produzioni a 28 regimi giuridici
potenzialmente diversi, con considerevole aggravio dei costi.
All’opposto, l’applicazione del principio del paese d’origine creerebbe nei singoli
Stati membri una discriminazione tra operatori che applicano regole del tutto differenti.
Qui ritorno al tema della responsabilità editoriale prevista per i broadcaster ma
che oggi non si applica ad aggregatori e motori di ricerca. Soggetti questi alla
irresponsabilità editoriale della direttiva e-commerce.
Se la concorrenza è tra fornitori di contenuti questa disparità non ha più senso e
va superata. Come indicato dal Parlamento europeo nella sua risoluzione di gennaio
dobbiamo integrare gli OTT, aggregatori e motori di ricerca, nella direttiva servizi
media nel caso operino come fornitori di contenuti.
Poi, magari, possiamo parlare di ridurre la pressione regolatoria a tutti,
promuovendo autoregolazione e coregolazione.
8.
Le piattaforme digitali e la sharing economy.
Le piattaforme online sono motore dell’innovazione e fonte di valore per tutti.
Il premio Nobel Jean Tirole sostiene che le piattaforme online siano i gatekeeper
del mondo digitale. Per questo dovrebbero essere regolate.
Il problema è come.
Si devono evitare nuove barriere all’ingresso. E gli utenti devono essere protetti.
L’intervento ex post non è, a mio avviso, sufficiente: punire gli abusi solo quando
questi si sono verificati determina un elevato rischio d’incertezza, che a sua volta è un
ostacolo all’innovazione.
Bisogna invece stabilire obblighi chiari, proporzionati, certi. E pretendere la
massima trasparenza, in particolar modo per i meccanismi reputazionali, da regolare
con principi generali.
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Una delle principali innovazioni generate dalle piattaforme online è la sharing o
collaborative economy. Un fenomeno in crescita per i vantaggi economici, sociali e
ambientali che presenta e che esiste grazie al digitale.
Secondo i dati di studio del Parlamento europeo, il potenziale è enorme, ma solo
se sapremo coglierlo: in questo caso parliamo di 578 miliardi di Euro di consumi; in
caso contrario, di 18 o 134, rispettivamente per il breve e il medio-lungo periodo.
Un fenomeno non privo di criticità: elusione fiscale, concorrenza non regolata,
scarsa sicurezza di alcuni servizi, scarsa protezione dei lavoratori.
La regolazione esistente non sembra stia reggendo l’impatto. Quando la sharing
economy offre servizi analoghi all’off-line – come ad esempio nel caso dei Taxi – lo
scontro è inevitabile.
Normative diverse per servizi simili determinano concorrenza sleale e
controversie diffuse.
É la mancata regolazione dei servizi intermediati che genera contrapposizione.
Mina l’innovazione e la crescita.
Alcune sentenze, poi, hanno aggravato lo scontro.
A giugno l’Unione europea dovrebbe pubblicare la Comunicazione sul ruolo delle
piattaforme online nel DSM. Poco dopo, in estate, dovrebbe infine annunciare l’agenda
Ue sulla collaborative economy, comprese le linee guida su come applicare le leggi
esistenti.
Saranno sufficienti a garantire il giusto equilibrio tra regolazione, innovazione e
crescita?
Dubito. Nel frattempo a livello di Stati membri – vedi il caso della Spagna, Francia
e anche dell’Italia - le Autorità regolatorie e legislative intervengono per far fronte ai
problemi, inevitabilmente con una prospettiva nazionale.
Fare ricorso di nuovo al diritto ex post della concorrenza? Non è in grado da solo
d’impedire sul nascere i probabili comportamenti anti-competitivi.
É necessario un quadro normativo innovativo che:
a) riguardi tanto i servizi tradizionali che quelli online,
b) abbia come obiettivo il level playing field,
c) presenti la flessibilità del case by case.
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E che tenga presente sempre la domanda: per il consumatore ci sono più benefici
o problemi?
9.
Quale Governance
La governance del mercato unico digitale è un elemento essenziale per il buon
funzionamento del sistema.
Le comunicazioni elettroniche sono una success story. Migliorabile, ma una
success story.
Sul piano normativo, l’Unione armonizza il settore, occupandosi della
“costruzione” di un mercato in modo proporzionale. Sul piano amministrativo, le
misure sono lasciate alle Autorità nazionali di regolazione (ANR). I mezzi debbono
essere taylor made sulla realtà specifica nella quale impattano.
Vi è il rischio che le singole ANR generino una applicazione frammentata.
Questo viene superato attraverso un dialogo aperto, che riconcilia l’esigenza
uniformatrice dell’Unione con le istanze “centrifughe” degli Stati nazionali.
Per questo motivo, all’interno del quadro succintamente descritto sono previsti
rimedi specifici: la funzione di indirizzo, l’organizzazione, le procedure.
Quanto alla prima, la Commissione ha la responsabilità di “indirizzare” le attività
discrezionali delle ANR. Lo fa attraverso Raccomandazioni che intervengono su
diversi aspetti, fra cui ricordo le analisi di mercato o la metodologia di costo sulle NGN.
Non mi interessano tanto i contenuti, quanto il metodo: si tratta di atti
formalmente non vincolanti – ma sostanzialmente molto efficaci. Perché producono un
elevato grado di uniformità e la fanno convivere con la diversità.
Con riguardo all’organizzazione, abbiamo un centro importante come il BEREC,
che opera a lato (non all’interno) della Commissione europea. Svolgendo dunque una
funzione aggiuntiva (e non sostitutiva) rispetto a quest’ultima.
Infine, con riferimento alle procedure, si tende a instaurare un confronto
preventivo tra Commissione, BEREC e ANR al fine di conseguire una soluzione
“concordata” e rispettosa dei diversi interessi in gioco.
In sintesi, i poteri nazionali sono “diretti” in un “concerto” di ampia portata.
Ciò avviene in via preventiva, ossia prima dell’adozione delle misure. È proprio questo
approccio, concertato e preventivo, a favorire l’integrazione.
Suggerisco una formula organizzativa ancora più composita, che consenta lo
10
scambio “specificità locale” vs. “uniformità europea”. Ciò dovrebbe avvenire a
livello del BEREC, che già svolge una partita fondamentale. Ma se ad esso fosse
attribuito anche il controllo delle regole generali, forse faremmo un ulteriore passo
avanti. Bilanciando le istanze e assicurando unità nella diversità.
Insomma, occorre un filtro nella adozione delle regole. Filtro che non deve
essere “formale” (di mera legittimità e dunque “vuoto”), ma “sostanziale” (di
opportunità” e dunque di merito). Dovrebbe essere un BEREC più europeo, rafforzato,
con un Presidente stabile e un vero Segretariato, in grado di assicurare la coerenza
ricercata.
Alla Commissione resterebbe un ruolo centrale, di orientamento e controllo
generale, oltre naturalmente alla vigilanza sul rispetto del diritto dell’Unione, così
come previsto dai Trattati.
Un modello questo da estendere anche all’audiovisivo. Sarebbe il modello
italiano, dove Agcom autorità indipendente e convergente si occupa anche di
audiovisivo, integrando al meglio le due competenze, come nel caso della tutela del
diritto d’autore online.
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