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VITE FLESSIBILI Disperati, scettici, rassegnati. I ragazzi dell’era Co.co.co, part-time, contratto a progetto raccontano in un blog come si inventano le giornate e si esorcizza il futuro: da chi fa migliaia di chilometri per un colloquio inutile a chi «fabbrica» notizie per il web. Senza verificarne nemmeno una. Ragazzi, come ce ne sono sempre di più in Italia. Che la stagione del posto fisso - magari in un ente pubblico oppure in una catena di montaggio delle grandi fabbriche - non hanno fatto a tempo a conoscerla. E che invece si misurano con un vocabolario da mal di testa: perché il lavoro oggi è flessibile, interinale, a contratto, a collaborazione, a progetto, autonomo, subordinato. E ancora intermittente, part time, a tempo determinato... Ma come si vive ai tempi della legge 30? Sul blog di Euroforum - l’associazione culturale che si occupa di integrazione, lavoro e prospettive istituzionali dell’Unione Europea - i precari si sono raccontati. Lavorare stanca Questa mattina mi sono alzato alle 8, sforzo impressionante, sono quasi tentato di desistere. Questione di abitudine, penso. Ma il colloquio come supplente postino è quasi una chiamata dal cielo. Mia madre ha preparato cornetto e caffè sul comodino. La nonna mi grida mentre esco di tornare in tempo per il pranzo. Mentre attendo il mio turno, ricapitolo i punti del discorso: sorriso aperto e comunicativo; sguardo sincero e consapevole; disponibilissimo a lavorare part-time, con una certa disponibilità di orario. Sono consapevole che nel mondo del lavoro il futuro è flessibile, e anch'io sono flessibile. Ho letto attentamente la Legge Biagi. Il co.pro.co. invece ancora non ho capito bene cosa voglia dire, ma pazienza, come nei compiti a scuola spero nel COEFFICIENTE della PRONTA COPIATURA, e insomma in una botta di fortuna. Emi Le degustatrici La storia è questa (l'incipit sembra la barzelletta del fantasma formaggino ma non vi preoccupate fa più ridere): ci sono tre giovani donne - una libera professionista e due contratti a termine (nel vero senso della parola visto che ci resta un mese prima della grande nomination) -, reclutate per la loro voglia di dimostrare quanto valgono, ogni giorno devono superare la prova. Boia chi vomita; di mestiere ingurgitano tutto quello che puoi trovare in un supermercato e poi emettono una sentenza tipo: buono, salato, ma chi la mangia sta m...a! Di primo impatto si può dire: Carino! ma provateci voi a mangiare cozze alle 9.30 di mattina! E se come lavoro vi sembra facile sappiate che personalmente mi è costato una laurea in Enologia e un master specifico in Analisi Sensoriale e le mie colleghe hanno rispettivamente una laurea in Scienze Agrarie e un Dottorato in Scienze Farmacologiche... Sara Mario Rossi Progetto per Fondazione Franceschi – A.S. 2006/2007 mario rossi. Così voglio chiamarmi. Il più tipico, onesto, sincero, comune, fra i comuni, nome italiano. Sono mario rossi, dunque, e con le minuscole. Non mi sento di meritarmi lettere più grandi, checché ne dicano documenti e certificati. mario rossi piccolino. D'altronde sono un mediocre. Come il mio nome, del resto. mario rossi. Si, il mio lavoro è un po' come il mio nome. minuscolo innanzitutto e poi, anche lui, tipico, onesto, sincero e comune, fra i comuni. Faccio il giardiniere. Meglio, so fare il giardiniere. Sono laureato in ingegneria elettronica, laurea breve e faccio il giardiniere, quando capita. Sì, quando capita, perché per parlar nel dettaglio il mio lavoro, detto anche lavoro a chiamata o lavoro intermittente e previsto dalla Legge n. 30 del 14 febbraio 2003, è una specie di pendolo nel pozzo di Edgar Allan Poe, ovvero: si sta in attesa dell'evento. Antonio Maria Ma tu che fai nella vita? Poi qualcuno inventò il mercato del lavoro mobile e flessibile e acrobatico. Da anni, ormai, la domanda «Ma tu, che fai nella vita?» mi mette in un leggero imbarazzo. Fino a qualche mese fa, una volta finito di spiegare in che modo mi guadagnavo la pagnotta (non tutti hanno familiarità con le mansioni dei «progettisti di corsi di formazione a distanza»), in genere aggiungevo anche che non mi identificavo molto con il mio lavoro. Ogni tanto, qualcuno mi domandava «Ma perché lo fai?» A quel punto, mi era sempre molto difficile evitare di rispondere con un secco «Ho il vizio di mangiare tre volte al giorno». Giulia La sindrome di Peter Pan I giovani non fanno più figli, dice la Chiesa. I giovani sono mammoni e irresponsabili, commenta Renato Mannheimer da Bruno Vespa. I giovani non hanno voglia di crescere, racconta Muccino nei suoi film. Tutti affetti dalla famosa sindrome di Peter Pan, oppure il modello economico e sociale chiamato flessibilità viene imposto anche a livello culturale? Patrizio Colloqui show Una nota azienda di prodotti informatici mi contatta per un colloquio conoscitivo. Come saprete, all'inizio, si parla con una società di selezione (PD) (125 km)... Inizia la mia 24h di viaggi... Ok, sono interessante, magari anche bello (boh,...) primo colloquio superato! Il giorno dopo vengo contattato dall'azienda: VAIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII! Colloquio (il secondo) dopo 48 ore (420 km). Mi daranno una risposta entro sessanta giorni! (sigh, sigh, mi avranno scartato...). No, invece dopo 2 giorni mi chiamano e mi dicono che devo fare 1 altro colloquio con un commerciale... Vado carico come una mina (altri 420 km) e Progetto per Fondazione Franceschi – A.S. 2006/2007 spero nel buon Dio. Va tutto bene credo, mi dicono che mi contatteranno per farmi sapere la loro proposta. Yuppie, mi arriva la telefonata: devo andare ancora in sede però (420 km, ancora...). Vedo il capo del personale, mi dico: «Ok, sentiamo cosa mi offrono!!». Invece? 1 altro colloquio di 40 minuti... Alla fine chiedo: ma si può sapere, così, per caso..., l'inquadramento retributivo previsto? «No, è ancora presto, eventualmente se dovesse rientrare nella rosa dei prescelti le manderemo un mail con la nostra proposta». RISULTATO? L'azienda? Mai più sentita. Luca Maternità e piccola impresa Anna aveva trovato un lavoro qui: doveva rispondere al telefono con quella sua vocina da stracci e doveva controllare i conti perché il commerciante di turno non facesse la cresta sugli aghi per cucire a macchina. Era scrupolosa Anna, per ogni ago che costava più di 10 lire, telefonava al commerciante furbo e chiedeva una nota di credito, e quando una sola telefonata non bastava, lei riprovava fino a quando non aveva quel documento in mano. Ed era puntuale e coscienziosa, mai un caffè, mai una telefonata personale, mai una parola con un collega e mai neanche una pipì, che lei per non disturbare se la riportava a casa la sera dove l'aspetta il suo amore. Dopo un po' Anna rimane incinta, conoscendola mi venne il dubbio che neanche lei sapesse come era potuto succedere, si dispera e piange per giorni ma poi quel suo mucchietto di ossa sembra quasi contento e lei si affeziona all'idea. Io nella storia entro adesso, mi chiamano per un colloquio nell'azienda del sig. Piero, cercano qualcuno che possa sostituire quel mucchietto di ossa, una sostituzione definitiva perché di Anna non ci si può fidare: una che resta incinta così non si sa mai cosa potrebbe combinare. Anna non sa niente della mia presenza, e quando torna a lavorare dopo solo tre mesi dal parto e con la piccola Elena sballottata ogni mattina da una nonna a 50 km dall'artigiano arricchito, mi trova alla sua scrivania. Giovanna Il general manager Fare finta di ascoltare, mi hanno insegnato che bisogna assentire ogni tanto e guardare l'interlocutore negli occhi, brevi cenni di comunicazione interpersonale, insomma una parte del mio lavoro, coccolarlo, dargli l'idea che sta pronunciando frasi importanti, che denotano intelligenza e acume, il mio interlocutore è un soggetto adatto a qualsiasi tipo di sperimentazione clinica, soprattutto nel campo psichiatrico, veste bene però, la camicia button down e la cravatta in tinta unita, di quelli che la giacca non se la tolgono mai, l'italiano l'ha imparato per corrispondenza (scuola radio elettra? Compagno di banco dell'on. Bossi?), una lingua tormentata attraversata da molti tecnicismi e Progetto per Fondazione Franceschi – A.S. 2006/2007 parole in inglese, il mio interlocutore sul biglietto da visita ha scritto general manager e generalmente risponde a quattro diversi telefoni per certificare la missione, ha un monovolume nel parcheggio qui sotto, ogni giorno mi costringe a sopportare con ilarità questa tortura, fa parte del mio lavoro, è una prova - mi dico - mentre cerco di organizzare una risposta abbastanza demente da farlo desistere dall'impresa. Michele Io lavoro al desk di un portale ad ore Bilancino della giornata. Vediamo... Oggi ho prodotto dieci - o dodici aggiornamenti della Borsa. Altri tre o quattro pastoni. Nessuna firma. Visibilità zero. Nebbia in Valpadana. Vieni all'online, dicevano, qui è il giornale del futuro. «Perché comprare un giornale che esce una volta al giorno quando lo puoi avere aggiornato ogni ora?». Sì, ogni ora, ogni mezz'ora, ogni minuto no? E perché no? Mortacci vostra... Ma noi siamo la punta di diamante del futuro. «Il futuro è qui». Il giornalismo di domani è questo. Giornalismo? Questo non è giornalismo, non per me almeno. Anche oggi non ho chiamato nessuna fonte, non ho sentito nessuno, non ho visto niente. Non ho messo fuori il piede dalla redazione. Ho passato i soliti 5mila lanci di agenzia quotidiani alla ricerca della NOTIZIA. Ho linkato siti e siti, documenti, file pdf, immagini e suoni. Ho seguito indici, opzioni, future, azioni, obbligazioni. Ho travasato numerini e nomi da uno scherzo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti. Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno. Domani splenderà il sole e il Giornalismo ti bacerà in fronte. Ivan Progetto per Fondazione Franceschi – A.S. 2006/2007