2008 Luce e conoscenza

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2008 Luce e conoscenza
LUCE E CONOSCENZA
UN PERCORSO TRA ARTE E PSICOANALISI
Dott. Marcello Pedretti
M. Pedretti, Luce e conoscenza, Bergasse 19. Cultura e cura psicoana1itica, n. 2
Giugno 2008, Ed. Ananke
Joan Mirò
(1893 - 1983)
Wilfred R. Bion
(1897 - 1979)
Questo lavoro è dedicato a Joan Mirò, un artista, e a Wilfred Bion, uno psicoanalista, che
hanno segnato con la loro presenza il Novecento.
Quasi contemporanei nella nascita e nella morte, Mirò (1893 - 1983), Bion (1897 - 1979),
contemporanei nella vita, entrambi hanno segnato con le loro opere un secolo drammatico e
vitale, caratterizzato, almeno in Occidente, dal crollo delle certezze. I punti di riferimento
tradizionali del tardo Ottocento: Dio, Patria, Famiglia, Progresso illimitato, vengono infatti
profondamente scossi.
Il Novecento è il secolo della secolarizzazione, della Teologia della morte di Dio, del crollo
della fede nel concetto di Nazione, dello svelamento degli orrori spesso presenti nell'universo
familiare, della presa di coscienza che lo sviluppo, se non governato, può portare alla morte.
L'arte, in questo contesto, si orienta, specie nella prima parte del secolo verso il primitivo,
nella speranza di una rifondazione. Mircea Eliade, grande studioso dei miti, sintetizza così
questa tendenza nel libro la Nostalgia delle origini: "Tutti i movimenti artistici moderni
perseguono, coscientemente o meno, la distruzione dei mondi estetici tradizionali, la
riduzione delle forme a degli stati germinali, larvali, nella speranza di ricreare mondi
'freschi', di abolire la storia dell'arte e di reintegrare il momento aurorale, in cui l'uomo
vedeva il mondo per la prima volta".
Freud, padre della psicoanalisi, opera parallelamente una profonda rivoluzione nel pensiero
corrente, ponendo al centro dell'osservazione psicologica i fenomeni collegati all'inconscio: i
sintomi, i lapsus, gli atti mancati, i sogni, le libere associazioni. Freud e i suoi successori si
spingono sempre di più nelle loro osservazioni e nelle loro riflessioni sull'uomo verso il
tempo delle origini, tesi verso lo "zoccolo duro", il punto di confine tra biologico e
psicologico da un lato, tra una generazione e le generazioni precedenti dall'altro.
In questo panorama Mirò e Bion si confrontano con le emozioni più primitive, con le angosce
del secolo, e propongono percorsi di vita e di speranza. In entrambi gli autori l'attenzione si
allontana progressivamente dal "noto" per rivolgersi al "nascosto", un nascosto che diviene
visibile solo dove si prenda la distanza dalle proprie memorie e dai propri desideri, come dice
Bion, si spenga la luce del "già noto", così da potere cogliere la debole luminescenza legata al
"nascente" .
Il processo della conoscenza in Bion non procede in modo lineare, cioè per accumulo, ma è
caratterizzato da continue oscillazioni, è un processo sensitivo-emotivo prima che razionale,
luogo di continue trasformazioni, trasformazioni che coinvolgono il soggetto conoscente, in
un continuo processo di destrutturazione / ristrutturazione. Un processo che mirabilmente
risuona, come vedremo, con il processo artistico in Mirò.
Bion ipotizza tre oscillazioni principali.
La prima è tra le angosce relative all'integrità del soggetto, angosce di cadere in un buco nero,
di perdersi nel vuoto, di frammentazione, di minaccia, chiamate da Melanie Klein angosce
schizo-paranoidee, e le angosce relative all'integrità dell'oggetto, angosce di perdita, di colpa,
chiamate dalla stessa angosce depressive.
Mirò parla della creazione artistica come capacità di superare accogliere uno stato di
malessere interiore e di trasformarlo attraverso una realizzazione.
La seconda è tra "contenuto e contenitore", non esiste nessun contenitore che non possa essere
contenuto e nessun contenuto che non possa funzionare da contenitore. Questa oscillazione
esprime la continua interrelazione tra realtà esterna e realtà psichica o pensiero. Possiamo
contenere sensazioni, emozioni, rappresentazioni mentali inconsce e consce della realtà, ma
non la realtà che le stimola in noi, per altro la realtà esterna non ci contiene semplicemente in
quanto continuamente oggetto della nostra azione trasformatrice.
Mirò trasforma continuamente ciò che è dato rendendo lo nuovo, in un gioco di rimandi in cui
contenuto e contenitore cambiano continuamente di ruolo.
La terza oscillazione è tra "conosciuto e assoluto". Come abbiamo prima accennato il
processo della conoscenza in Bion non avviene per accumulo, ma per trasformazione.
L'assoluto resta inconoscibile, ma ogni irruzione dell'assoluto nel conosciuto porta a una
trasformazione.
Mirò si confronta continuamente nella sua opera con l'assoluto, le sue opere parlano del
processo della conoscenza, un processo che illumina l'assoluto senza però mai esaurirlo.
L'opera artistica di Mirò si presenta come una ricerca di conoscenza, capace di gettare uno
sguardo sui processi vitali, creativi e relazionali, sia come una educazione alla conoscenza.
Dice Mirò:
Ciò che è volontario, in me, è la tensione dello spirito. L'atmosfera propizia a questa
tensione io la trovo nella poesia, nella musica, nell'architettura - Gaudì, per esempio,
è straordinario -, nelle mie passeggiate quotidiane, in certi rumori: il rumore dei
cavalli nei campi, lo scricchiolio delle ruote di legno dei carri, i passi, le grida nella
notte, i grilli.
Lo spettacolo del cielo mi sconvolge.
Ho bisogno di un vero e proprio allenamento fisico per dipingere. Credo che la
pittura sia come la danza: prima di fare certi passi, bisogna avere i polpacci
adatti. Sono un temerario, ma non voglio suicidarmi. Se cammino su una corda
tesa, è perché lo posso fare. È quello che molti giovani di oggi non capiscono.
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"La fattoria" (1921 -1923), è un quadro ancora intriso di realtà, ma già proteso oltre di essa.
La riproduzione della realtà è sostituita da una visione interiore, dai ricordi. Varie scene si
mescolano tra loro e la rappresentazione assume caratteri onirici. È un quadro che non
riproduce più una semplice fattoria, ma la terra di Catalogna, una terra viva, impregnata di
tradizioni.
Compare un tema che sarà sviluppato ulteriormente nelle opere successive: per vedere occorre
togliere. È la mancanza che permette di vedere. In questo quadro ad esempio è la mancanza
della parete del granaio che permette di vedere il suo interno. Sono presenti anche spunti
simbolici: le radici dell'albero appaiono come un fascio di luce che affonda nell'oscurità, in
quell'assoluto che non potrà mai essere compiutamente rappresentato.
È questo un quadro che richiederà una lunga gestazione, il ricordo non basta, occorre una
percezione attuale, viva, fatta di sensazioni ed emozioni, e Mirò risolverà il problema
facendosi inviare a Parigi, dalla fattoria di famiglia, un pacchetto pieno di fili d'erba.
Sono questi temi cari anche a Bion, l'importanza di una attitudine negativa per andare oltre il
conosciuto e ancora l'importanza dell'esperienza emotiva affinché si sviluppi quel particolare
processo trasformativo che prende il nome di conoscenza.
Bion a questo proposito dice:
Una esperienza emotiva è, per certi versi simile a una esperienza fisica, nel senso che
si avverte che può avere un significato: cioè si avverte che è una esperienza da cui si
può apprendere qualcosa.
"Terra arata" (1923 - 1924) evidenzia una decisa espansione degli aspetti onirici all'interno
della rappresentazione pittorica. Il soggetto è simile a quello del quadro precedente, ma la
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rappresentazione è quella di una terra viva che ascolta (l'orecchio accanto al tronco
dell'albero), che osserva (l'occhio nella sua chioma), ove i segni del lavoro dell'uomo (la
terra arata), delle sue realizzazioni (l'immagine del toro che ricorda i dipinti primitivi delle
grotte) divengono decoro. Sono già presenti aspetti, come la scelta di non tenere conto della
dimensione reale degli oggetti, di privilegiare la loro posizione nel campo emotivo, che
vedremo meglio nel quadro successivo.
In "Paesaggio" (1924 -1925) le risonanze emotive prendono il sopravvento sulla
rappresentazione della realtà. Ciò che è impercettibile diviene dominante e viceversa ciò che
è dominante allo sguardo può sparire.
Il fiore, il seme, l'uccello, l'insetto, l'erba, come per condensazione, rappresentano tutta la
realtà, una realtà non più definita dall'uomo, pur essendo da esso abitata.
In "Personaggio che getta il sasso a un uccello" (1926), le linee divengono dominanti. Ove
prima erano usate solamente per definire forme, volumi, spazi, ora sono anche vettori,
espressione di forze che si muovono all'interno del campo emotivo e vengono a rappresentare
sia le intenzioni che le hanno generate, sia gli effetti ad esse connessi, in una rappresentazione
in cui gli aspetti relazionali sono sempre più al centro.
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"Natura morta con scarpe vecchie" (1937) è la rappresentazione quasi allo stato puro di un
campo emotivo. Mirò ha definito questo lavoro il corrispettivo del celebre dipinto di Picasso
"Guemica". L'opera contemporanea alla Guerra civile spagnola con i suoi massacri è la
rappresentazione dei dolori e delle angosce collettive di un popolo. Se pensiamo al lavoro di
Picasso dove l'angoscia e il dolore sono affidati a figure stilizzate, Mirò affida la stessa
espressione al colore. Verrebbe da dire che le "scarpe vecchie" delle rappresentazioni
figurative sono state definitivamente lasciate.
"Cifre e costellazioni innamorate di una donna" (1941) ci presenta la realtà come un campo
di forze segnato da punti e linee che li congiungono. Ciò che viene cercato nel fruitore
dell' opera, in chi osserva, non è più un riconoscimento, una significazione razionale, ma una
emozione.
Dirà Mirò:
"Più che l'arte in sé conta ciò che l'arte getta nell'aria, ciò che l'arte diffonde ....
L'arte può morire, importante è che abbia cosparso di semi la terra. "
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Le trasformazioni artistiche di Mirò non coinvolgono solo la qualità delle rappresentazioni,
ma anche le tecniche e i materiali usati. Il quadro "Pittura" (1950), ingloba ad esempio
frammenti di corda.
Ciò che all'occhio comune appare come scarto, acquista nuovo valore una volta inserito nella
trama dei colori, delle rappresentazioni oniriche, delle emozioni. Per Mirò l'unico scarto è
quello tra il percepito e le potenzialità di ciò viene percepito.
In "L'ala dell'allodola circondata dal blu dell'oro si riunisce al cuore del papavero che
dorme sul prato adorno di diamanti" (1967) assume sempre più importanza il vuoto, il
silenzio. La rappresentazione è sostituita dall'evocazione, occorre entrare in risonanza con
l'oggetto assente.
Dice Mirò:
Cerco il rumore nascosto nel silenzio, il movimento nell'immobilità, la vita nell'inanimato, l'infinito nel finito, delle forme nel vuoto e me stesso nell' anonimato: si
tratta sempre del medesimo procedimento.
Anche i nomi delle opere rappresentano campi di forze, sia che vengano attribuiti all'opera
finita dagli amici, come spesso nel periodo parigino, sia che appaiano nella mente dell'autore
nel corso dell'opera e ne influenzano la continuazione. Spesso sono ripetitivi: la donna,
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l'uccello, le stelle, ritornano continuamente, come dotati di una potenzialità illimitata, a
rappresentare un continuo in cui la moltitudine è in rapporto con una creatività che trova la
sua origine nell'incontro del femminile con il maschile, della percezione sensitiva con la
potenza espressiva.
È nella scultura che appare al massimo grado lo scarto tra ciò che è allo stato potenziale e
l'opera.
Presento qui due opere, "L'orologio del vento" (1967) e "Ragazza che fugge" (1968).
Ciò che per sua natura è evanescente acquista forma durevole attraverso le fusioni in bronzo.
Composizioni di pietre, stracci, oggetti o parti di oggetti, corde, scatole, trasposte mediante un
calco in cera, in parte rimodellate, danno origine al calco di fusione. Il prodotto finale viene
talora ulteriormente trasformato mediante l'aggiunta di colore.
L'uso della ceramica come fondo per il lavoro artistico testimonia una spinta interna verso il
lavoro di gruppo, la collaborazione con altri artisti, un suo sempre maggiore interesse per ciò
che vi è di impersonale in un'opera artistica, ad esempio per la ceramica la funzione del
fuoco, per l'aninimato.
Le opere, per così dire "da camera", perdono progressivamente interesse per Mirò a favore
di "una scultura monumentale, che sia parte integrante della natura, su cui gli uccelli
possano posarsi, un ragno tessere la sua tela".
Porto qui due esempi, un particolare del murales in ceramica "Parete del Sole" per il
Palazzo dell'UNESCO a Parigi (1955-58) e "Donna e uccello" (1982), scultura monumentale
posta in un parco di Barcellona, parte di qualcosa di molto più vasto che comprende il cielo, i
riflessi della superficie d'acqua con funzione di specchio, il contesto urbano, un opera in cui
coesistono aspetti stabili e aspetti continuamente cangianti, forze personali oramai anonime e
forze impersonali.
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Dirà Mirò:
Per diventare veramente un uomo bisogna liberarsi del proprio falso io. Nel mio caso
bisogna smettere di essere Mirò, vale a dire un pittore spagnolo appartenente a una
società delimitata da frontiere ben precise, da tutta una serie di convenzioni sociali e
burocratiche. In altri termini, bisogna andare verso l'anonimato. L'anonimato ha
sempre regnato nelle grandi epoche storiche e oggi la sua necessità si fa sentire con
urgenza crescente.
Ma, contemporaneamente, si avverte la necessità di un gesto totalmente individuale,
totalmente anarchico dal punto di vista sociale.
Perché? Perché un gesto profondamente individuale è anonimo; e in quanto tale
consente di giungere all'universale.
È la chiara percezione che un sogno di valore generale non può che essere anonimo perché
non opera del singolo, ma del sogno dell'umanità. Un sogno nello stesso tempo individuale,
in quanto occorre una mente per percepirlo, registrarlo, trasformarlo in narrazione, renderlo
utilizzabile. Un sogno anarchico dal punto di vista sociale, in quanto capace di risignificare il
mondo.
Mi soffermo ora sul concetto di "realizzazione" in Bion, per poi chiudere con un esempio
tratto da Mirò.
Una realizzazione è per Bion il frutto di un processo di trasformazione, ad esempio in campo
psicologico di sensazioni ed emozioni in rappresentazioni inconsce, di rappresentazioni
inconsce in sintomi, lapsus, atti mancati, ma anche sogni, miti, opere d'arte. Nuovamente per
trasformazione, a partire da tutto ciò, si arriva alla formulazione di concetti e formule astratte.
Il posto di ogni realizzazione per altro in Bion non è fisso, ma dipende dal contesto e dal
punto di vista dell'osservatore. Come l'uso dei sassi e del fuoco ha permesso all'uomo
primitivo di dominare il suo ambiente e lo sviluppo della cultura, così un'opera d'arte può
essere usata come un sasso, ed essere scagliata contro qualcuno, o come combustibile per il
fuoco.
Bion non esclude che realizzazioni personali, apparentemente prive di utilità, come sogni o
sintomi, o collettive come i miti, possano in futuro venire utilizzate per risolvere problemi di
ordine specifico o generale, e ciò è già oggi evidente attraverso l'uso fatto da Freud di miti
come quello di Edipo e di Narciso per dare rappresentabilità all'inconscio.
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Queste riflessioni risuonano mirabilmente con alcuni pensieri di Mirò che ci dice:
Non escludo la possibilità che, guardando uno dei miei quadri, un uomo d'affari
scopra il modo di concludere un affare, o uno scienziato il modo di risolvere un problema.
La soluzione costituita dal quadro è una soluzione di ordine generale che può essere
applicata a qualsiasi ambito.
Una mia lettura personale del quadro Blu II, dipinto da Mirò nel 1961 all'età di 68 anni,
evidenzia come un quadro, che possiamo considerare fatto della stessa stoffa dei sogni, possa
divenire una "formula viva", assumere la qualità di un "fatto scelto", emozionalmente
significativo, capace di risignificare la realtà, di originare nuove rappresentazioni.
Suggerisco come problema adeguato a questo quadro un problema astratto, il processo della
conoscenza.
Un segno come di fuoco su uno sfondo azzurro, una traccia che da lì si parte. La storia sembra
scorrere verso il futuro e la traccia sembra portare a qualcosa che non è ancora, con il colore
nero che allude a un vuoto di sensazioni, di immagini, di concetti, di pensieri, a un "non
ancora" percepito, "non ancora" rappresentato, "non ancora" pensato. Il segno rosso sembra
esprimere la potenza del pensiero creativo, lo sfondo azzurro la necessità di uno spazio
sereno, di un rapporto fiducioso con noi stessi e con ciò che ci trascende.
Il segno rosso.
Il segno rosso è la curiosità un elemento vitale, relazionale, strettamente collegata al
"prendersi cura". Essere curiosi, ancor prima di conoscere, è essere aperti alle percezioni che
provengono dal proprio corpo e dall'ambiente.
Rosso perché ogni stimolo è vita, sangue che fluisce nei propri vasi.
Rosso perché ogni stimolo potenzialmente ci ferisce, è rottura della quiete, esposizione,
disagio
vita che sfugge, ove manchi il prendersi cura.
Rosso come legame di sangue, quel legame che ci fa figli dei nostri genitori e della nostra
cultura e che farà di noi persone adulte, eredi, capaci a loro volta di generare.
La curiosità, il prendersi cura, è un elemento innato, ma fragile. Per crescere e svilupparsi ha
bisogno a sua volta di una curiosità in cui il bambino possa rispecchiarsi. La curiosità è alla
base della vita in quanto anima del processo della conoscenza, potenza trasformatrice.
Lo sfondo azzurro.
Lo sfondo azzurro ci attesta che la nostra vita ci è stata donata e non può realizzarsi
completamente se non nella reciprocità del dono.
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Lo sfondo azzurro in psicoanalisi è ciò che Anzieau chiama un lo-Pelle sufficientemente
sano, il "sentirsi bene nella propria pelle", è la possibilità di una relazione viva con le
generazioni che ci hanno preceduto e che verranno. Winnicott (1896 - 1971), altro
contemporaneo di Mirò, lo collega al gioco relazionale e alla creatività: è nel gioco creativo
che l'Io percepisce di essere vivo e nasce la percezione del Sé. Bion lo chiama "capacità di
sognare" nuove rappresentazioni del mondo. Gaetano Benedetti (1920) lo definisce lo sfondo
che ci trascende e che da senso e risalto al nostro essere.
Le macchie nere
Bion dice che se uno vuol vedere una luce deve fare buio, che se qualcuno vuole ascoltare un
suono flebile deve imparare il silenzio, che pensieri non pensati si aggirano continuamente
attorno a noi in cerca di un pensatore la cui mente non sia ingombra di pensieri già noti. È
solo dove manca "memoria e desiderio" - afferma Bion - che le cose ci possono apparire per
quello che sono in tutto il loro spessore e le loro potenzialità. Memoria e desiderio alterano il
nostro sguardo: evitiamo di vedere ciò che ci ha segnato negativamente, sostituiamo i nostri
desideri alla realtà.
Il nero è energia potenziale, è l'informe che attende di prendere forma,
Concludo con la citazione di un pensiero di Pavel Evdokimov (1901 - 1970), filosofo e
teologo russo, coevo di Mirò e di Bion:
Non è la conoscenza che illumina il mistero, è il mistero che illumina la conoscenza.
Bibliografia
Bion W.R. (1992), Cogitations - Pensieri, Armando Editore, 1996
Bion W.R. (1997), Addomesticare i pensieri selvaggi, Franco Angeli Editore, 1998
Vallier D., Dentro l'arte, Il Quadrante, Edizioni,1990
Mink J. (trad. it.), Mirò, Taschen, 1994
Prat J-L (a cura di), Joan Mirò Metamorfosi delle forme, Mazzotta Editore, 2003
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