Attuali concetti sul ruolo della disfunzione endoteliale nella

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Attuali concetti sul ruolo della disfunzione endoteliale nella
Rassegna
Vol. 96, N. 10, Ottobre 2005
Pagg. 499-507
Attuali concetti sul ruolo della disfunzione endoteliale
nella patogenesi dell’arteriosclerosi ed applicazioni cliniche
Giuseppe Patti, Rosetta Melfi, Germano Di Sciascio
Riassunto. L’endotelio è il principale organo per il mantenimento dell’omeostasi vasale.
L’ossido nitrico rappresenta il più importante mediatore della normale funzione endoteliale, che esercita mediante una potente azione vasodilatatrice e mediante l’inibizione dell’attivazione piastrinica, della migrazione delle cellule muscolari lisce e dell’adesione dei
monociti. I fattori di rischio cardiovascolare favoriscono lo sviluppo della disfunzione endoteliale, caratterizzata da una ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente (endothelium-dependent vasodilation = EDV) e da attività pro-coagulanti e pro-infiammatorie dell’endotelio. La misurazione della EDV è il parametro comunemente usato per la valutazione della funzione endoteliale. Una tecnica non-invasiva per la valutazione della EDV,
recentemente standardizzata mediante linee-guida, consiste nella misurazione ecografica a livello dell’arteria brachiale della vasodilatazione flusso-mediata secondaria all’iperemia reattiva. Una stretta correlazione è stata dimostrata tra questa tecnica e la risposta vasomotoria del circolo coronarico all’infusione di acetilcolina. La disfunzione endoteliale è stata associata ad una maggiore prevalenza di malattia coronarica, è risultata
predittiva di futuri eventi cardiovascolari al follow-up e recentemente è stata associata
ad una maggiore incidenza di restenosi dopo angioplastica coronarica con impianto di
stent. La disfunzione endoteliale è attualmente considerata un processo reversibile; terapie farmacologiche con ACE-inibitori, sartani, statine e molecole antiossidanti sembrano avere un effetto benefico nel ristabilire il ruolo protettivo dell’endotelio vasale.
Parole chiave. Aterosclerosi coronarica, dilatazione flusso-mediata, disfunzione endoteliale, endotelio, ossido nitrico, restenosi intra-stent.
Summary. The role of endothelial dysfunction in the pathogenesis and in clinical practice of
atherosclerosis. Current evidences.
Endothelium is not a mere monolayer of cells separating flowing blood and vascular
wall, but plays a key role in maintenance of vascular homeostasis. Nitric oxide is the principal mediator of endothelial function; it is a potent vasodilator, it inhibits platelet aggregation, vascular smooth muscle cell migration and proliferation, and monocytes adhesion. Cardiovascular risk factors promote development of endothelial dysfunction,
characterized by impairment of endothelium-dependent vasodilation (EDV) and by procoagulant/pro-inflammatory endothelial activities. The assessment of EDV is a common
parameter for testing endothelial function. EDV in the coronary arteries is angiographically evaluated by measurement of the vessel response to endothelial agonists, such as
acetylcholine. A non-invasive technique for the detection of EDV employs the ultrasound
evaluation of flow-mediated dilation (FMD) of the brachial artery following reactive hyperemia. A close relation between FMD and coronary vasomotor response to acetylcholine
has been demonstrated. Endothelial dysfunction in the coronary circulation may precede
development of angiographically evident coronary atherosclerosis; endothelial dysfunction has been also associated with a higher prevalence of coronary artery disease and resulted predictive of future cardiovascular events; recently, it has been associated with a
higher risk of restenosis after coronary stent implantation. Endothelial dysfunction is actually considered a reversible phenomenon; drug therapies with ACE-inhibitors, angiotensin receptor blockers, statins, antioxidants agents have shown a beneficial effect on
endothelial function.
Key words. Coronary atherosclerosis, endothelial dysfunction, endothelium, flow-mediated dilation, nitric oxide, in-stent restenosis.
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università Campus Bio-Medico, Roma.
Pervenuto il 13 giugno 2005.
500
Recenti Progressi in Medicina, 96, 10, 2005
Introduzione
MONOSSIDO DI AZOTO
L’endotelio vasale non è soltanto un insieme di
cellule che fungono da barriera tra il sangue ed i tessuti circostanti, ma rappresenta un vero e proprio
organo con la funzione di modulare il tono vasale e
l’entità del flusso ematico in risposta a stimoli umorali, nervosi e meccanici. In condizioni fisiologiche
l’endotelio svolge un ruolo attivo nell’interscambio
cellulare, essendo capace di adattarsi funzionalmente e strutturalmente alle variazioni del microambiente1. L’endotelio contribuisce inoltre alla
mitogenesi, all’angiogenesi, alla permeabilità vasale, al bilancio della fluidità ematica, alla regolazione dell’infiammazione e dell’attivazione piastrinica.
NO è una delle sostanze più importanti prodotte dall’endotelio; è un potente vasodilatatore, un
inibitore della crescita cellulare e dell’infiammazione, ha effetti antiaggreganti sulle piastrine, per
cui risulta la molecola chiave della normale funzione endoteliale. Una ridotta disponibilità di NO
è stata descritta in presenza di disfunzione endoteliale ed è stata associata ad una ridotta attività
dell’isoforma endoteliale della NO-sintetasi
(eNOS), enzima in grado di ottenere NO a partire
dall’L-arginina, per ossidazione del suo nitrogruppo terminale guanidinico.
La eNOS è in grado di sintetizzare quantità di
NO in pochi secondi, in risposta ad agonisti recettoriali oppure in risposta allo shear stress di
parete; lo shear stress attiva rapidamente i canali ionici del potassio calcio-dipendenti presenti sulla superficie endoteliale e sensibili alla forza tangenziale del flusso ematico sulla parete vasale.
Sostanze vasodilatatrici prodotte dall’endotelio,
che contribuiscono alla sua funzione omeostatica,
sono il monossido di azoto (NO), la prostaciclina,
alcuni fattori iperpolarizzanti endoteliali, il peptide natriuretico tipo C. I vasocostrittori endoteliali
comprendono l’endotelina-1 (ET-1), l’angiotensina
II (Ang II), il trombossano A2 e le specie reattive
dell’ossigeno (ROS)2,3.
NO e molecole d’adesione dell’endotelio, quali
L’ECCESSO OSSIDATIVO
ICAM-1 (intercellular adhesion molecule-1), VCAM1 (vascular adesion molecule-1) ed E-selectin, sono
Un ruolo preminente nella disfunzione endoteconsiderati anche modulatori dell’infiammazione. I
liale va assegnato all’inattivazione dell’NO da
modulatori dell’emostasi comprendono l’attivatore
parte dei radicali liberi dell’ossigeno. Le specie
del plasminogeno, il tissue factor inhibitor, il fattore
reattive dell’ossigeno reagiscono con l’NO produdi Von Willebrand, NO, la
cendo perossinitriti, moprostaciclina, il trombossalecole cito-ossidanti, che
no A2, l’inibitore dell’attitramite – la nitrazione
vatore del plasminogeno-1,
delle proteine cellulari
In presenza di fattori di rischio cardiovail fibrinogeno2.
endoteliali – ne alterano
scolare, il ruolo protettivo dell’endotelio
la funzione; i perossinitrisembra alterarsi, configurando il quadro
La normale funzione
ti sono anche coinvolti
della cosiddetta disfunzione endoteliale, caratterizzata da una compromissione della riendoteliale dipende stretnell’ossidazione delle
sposta vasomotoria ai principali stimoli vatamente sia dalla contiLDL, che aumentano così
sodilatatori endotelio-dipendenti e da un’atnuità anatomica del moil loro effetto pro-aterogetività pro-infiammatoria e pro-coagulante
nostrato cellulare, sia
no11 e riducono a loro voldell’endotelio.
ta la biodisponibilità di
dalla sua integrità funNO inibendone la via biozionale3. La disfunzione
sintetica tramite una alendoteliale è stata deterazione della conformascritta per la prima volta
zione dei recettori Gi-dipendenti, con conseguennell’uomo nel 1990 a livello dell’arteria brachiale
te mancata attivazione della eNOS, oppure
di soggetti ipertesi4 ed è stata successivamente
associata al diabete di tipo 15 e 26,7, alla presenza
inattivando direttamente lo NO per un eccesso di
di malattia coronarica8 ed allo scompenso cardiaanione superossido.
co9. In particolare, è stato dimostrato che la disfunzione endoteliale può precedere le manifestaIn modelli animali di ipertensione, un eccesso
zioni cliniche dell’aterosclerosi coronarica10.
ossidativo caratterizzato da produzione di elevate quantità di radicali liberi sotto forma di anione superossido, perossido di idrogeno e radicale
Patogenesi della disfunzione endoteliale
ossidrilico, è associato a disfunzione endoteliale,
come dimostrato da un miglioramento della vasoLa patofisiologia della disfunzione endoteliale
dilatazione endotelio-dipendente dopo l’uso di anrappresenta un fenomeno complesso ed articolato, cotiossidanti12.
involgente diversi meccanismi. La disfunzione endoL’eccesso ossidativo si associa inoltre ad auteliale è caratterizzata da vasocostrizione, aggregamento dei processi infiammatori e della formazione piastrinica, adesione leucocitaria e proliferazione di trombi e la sua entità correla con il
zione delle cellule muscolari lisce ed è stata correlata
grado di riduzione della vasodilatazione endoad una ridotta biodisponibilità di NO, ad un eccesso
telio-dipendente e con lo sviluppo di eventi carossidativo e ad un’aumentata azione di ET-1.
diovascolari 13.
G. Patti, R. Melfi, G. Di Sciascio: La disfunzione endoteliale nella patogenesi dell’arteriosclerosi
ENDOTELINA-1
È la più potente sostanza vasocostrittrice di
produzione endoteliale ed agisce su recettori specifici denominati ETA ed ETB. I recettori ETA sono presenti solo sulle cellule muscolari lisce e causano vasocostrizione e crescita cellulare, mentre i
recettori ETB sono presenti sia sulle cellule muscolari lisce, dove inducono vasocostrizione, che
sull’endotelio, dove determinano dilatazione stimolando la produzione di NO, che agisce da feedback negativo inibendo l’ulteriore produzione di
ET-1. In caso di ridotta biodisponibilità di NO questo meccanismo di feedback negativo è compromesso e di conseguenza è incrementato l’effetto vasocostrittore di ET-114.
Valutazione della funzione endoteliale
Il parametro tradizionalmente usato per misurare il grado di funzione dell’endotelio è la capacità di vasodilatazione endotelio-dipendente, ovvero
indotta da agonisti (acetilcolina, bradichinina o lo
shear stress sulla parete vasale durante flusso
iperemico) che stimolano la produzione endoteliale di sostanze vasodilatatrici.
I primi studi eseguiti a livello del circolo coronarico hanno utilizzato l’infusione di acetilcolina durante coronarografia. La modificazione del diametro
vascolare durante infusione intracoronarica di acetilcolina, misurata con angiografia quantitativa, è
stata utilizzata come indice di produzione locale di
NO. È stato dimostrato che l’acetilcolina induce una
vasodilatazione nelle arterie coronariche epicardiche normali, mentre è possibile osservare una vasocostrizione paradossa nelle arterie con disfunzione
endoteliale15. Oggi è possibile utilizzare, sempre durante studio coronarografico, sostanze vasodilatatrici quali la papaverina che permettono di misurare la dilatazione coronarica dovuta allo shear stress
indotto dal farmaco.
È, inoltre, possibile quantificare l’entità della
risposta ai mediatori sin qui esposti, oltre che con
l’angiografia quantitativa, anche mediante tecniche più sensibili quali l’ultrasonografia ed il doppler intracoronarico.
L’impiego di queste tecniche, sebbene valido in
quanto utilizza agonisti endoteliali selettivi e modulabili, presenta tuttavia limitazioni dovute all’invasività della tecnica; la loro applicazione è ristretta ai pazienti che hanno una indicazione clinica alla esecuzione di una coronarografia e
pertanto sono state sviluppate metodiche per valutare la vasodilatazione endotelio-dipendente in
altri distretti vascolari ed in modo meno invasivo.
La pletismografia venosa viene utilizzata per
valutare le variazioni di flusso a livello dell’avambraccio in risposta all’infusione diretta – mediante
incannulazione dell’arteria brachiale – di sostanze
vasodilatatrici ad azione endotelio-dipendente,
quali l’acetilcolina, la sostanza P o la bradichinina.
Per la valutazione della funzione endoteliale è
stata recentemente standardizzata mediante linee
501
guida una tecnica non-invasiva nota con il nome di
flow-mediated dilation (FMD = dilatazione mediata
dal flusso iperemico); tale metodica sfrutta l’aumento della forza tangenziale sulla parete vascolare in corso di iperemia (shear stress), che determina rilascio endoteliale di NO e conseguente vasodilatazione16. La tecnica prevede la visualizzazione
dell’arteria brachiale in un tratto rettilineo del vaso circa 2 cm al di sopra della piega del gomito mediante ultrasonografia, con una sonda vascolare di
7,5 MHz; la misura del diametro vasale viene eseguita in condizioni di base e dopo un minuto di flusso iperemico, al picco della vasodilatazione mediata
dallo shear stress. L’iperemia viene indotta tramite
occlusione meccanica dell’arteria brachiale mediante gonfiaggio di un manometro a pressioni maggiori di quelle arteriose sistemiche e successivo rilascio, dopo cinque minuti di collasso del vaso.
L’esame viene svolto in regime ambulatoriale,
con controllo della temperatura ambientale e dello stress emotivo del paziente. Vengono sospesi per
almeno 48 ore prima del test tutti i farmaci vasoattivi, l’assunzione di caffeina ed il fumo di sigaretta, che possono inficiare la risposta del vaso allo stimolo. I maggiori vantaggi di questa tecnica
consistono nella noninvasività, nella facile riproducibilità e ripetibilità del test, nel basso costo e
nel minor rischio rispetto ad uno studio invasivo
angiografico selettivo.
È stata dimostrata una buona correlazione tra
la funzione endoteliale studiata a livello periferico
con la FMD e quella misurata invasivamente a livello coronarico durante coronarografia17; ciò ha
permesso l’applicazione estensiva dello studio della funzione endoteliale mediante FMD in pazienti
affetti da aterosclerosi coronarica o con fattori di
rischio cardiovascolare.
Poiché la presenza di disfunzione endoteliale
correla con lo stato infiammatorio delle pareti arteriose, sono marker di disfunzione endoteliale anche le forme solubili di mediatori dell’infiammazione, quali ICAM-1, VCAM-1 ed E-selectin, che
possono essere dosate a livello plasmatico.
Valore prognostico
della disfunzione endoteliale
La disfunzione endoteliale sembrerebbe rappresentare l’evento più precoce nell’ambito del processo di formazione della placca aterosclerotica,
manifestandosi quando non è ancora dimostrabile
una lesione strutturale della parete vasale10; per
tale motivo la valutazione della funzione endoteliale potrebbe essere un utile strumento per la
stratificazione precoce dei pazienti a rischio di
eventi cardiovascolari. La presenza di disfunzione
endoteliale è stata associata all’incidenza di eventi cardiovascolari in diversi studi longitudinali (tabella 1 a pagina seguente).
Suwaidi e coll.18 hanno valutato 157 pazienti con
documentazione angiografica di malattia coronarica non significativa (stenosi coronariche <40%).
147 pz con CAD
73 pz con CAD
281 pz con CAD
225 pz con ipertensio- Arteria
ne arteriosa
brachiale
187 pz sottoposti a Arteria
brachiale
chirurgia vascolare
400 donne ipertese in Arteria
post-menopausa
brachiale
308 pz candidati a ca- Coronarie
teterismo cardiaco
130 pz con coronarie Coronarie
normali all’angiografia
Retrospettivo / 7,7 anni
Retrospettivo / 5 anni
Prospettico / 4,5 anni
Prospettico / 32 mesi
Prospettico / 30 giorni
Prospettico / 67 giorni
Prospettico / 46 mesi
Prospettico / 45 mesi
Prospettico / 1,2 anni
Prospettico / 6 mesi
Schachinger
e coll.19
Neunteufl
e coll.21
Heitzer
e coll.22
Perticone
e coll.23
Gokce
e coll.24
Modena
e coll.34
Halcox
e coll.20
Schindler
e coll.35
Gokce
e coll.36
Patti
e coll.26
136 pz sottoposti a Arteria
PTCA + stent per ma- brachiale
lattia monovasale
199 pz candidati a Arteria
chirurgia vascolare
brachiale
Arteria
brachiale
Arteria
brachiale
Coronarie
Coronarie
157 pz con CAD
Retrospettivo / 28 mesi
Al Suwaidi
e coll.18
Letto vascolare
esplorato
Popolazione
di pazienti
Disegno dello
studio/follow-up medio
Autore
Risultati
Morte cardiaca, MI, CHF, 6 pz con eventi. Risposta all’aCABG o PTCA
cetilcolina predittore indipendente di eventi
End-point
27 pz con eventi. FMD <10%
predittiva di eventi; effetto
perso se controllato per l’estensione della malattia coronarica
Morte, MI, UA, ictus
Restenosi intra-stent
FMD
FMD
20 pz con restenosi. FMD <7%
predittore indipendente di restenosi
35 pz con eventi. FMD predittore indipendente di eventi a
lungo termine
Morte cardiovascolare, UA, 26 pz con eventi. Test al fredMI, PTCA, CABG, ictus, do predittore indipendente di
bypass periferico
eventi
Morte cardiovascolare, MI, 35 pz con eventi. Risposta alictus ischemico, UA
l’acetilcolina predittore indipendente di eventi
Ospedalizzazione per eventi 47 pz con eventi. Il mancato
cardiovascolari
miglioramento della FMD dopo 6 mesi di terapia era predittore indipendente di eventi
Morte cardiovascolare, MI, 45 pz con eventi. FMD preditUA, ictus
tore indipendente
Test al freddo
Risposta all’acetilcolina
FMD
FMD
Risposta periferica all’acetil- Morte cardiovascolare, MI, 29 pz con eventi. Risposta alcolina
ictus, TIA, UA, CABG, PTCA l’acetilcolina predittore di
eventi
Risposta periferica all’acetil- Morte cardiovascolare, ictus, 91 pz con eventi. Risposta alcolina
MI, CABG, PTCA, bypass pe- l’acetilcolina predittore indiriferico
pendente di eventi
FMD (dilatazione mediata Morte, MI, PTCA o CABG
dal flusso iperemico)
Risposta all’acetilcolina, test MI, UA, ictus ischemico, 28 pz con eventi. Funzione vaal freddo, test alla papaveri- CABG, PTCA, bypass perife- somotrice predittore indipenna
dente di eventi
rico
Risposta all’acetilcolina
Marker
di funzione endoteliale
Tabella 1. - Studi sul valore prognostico della disfunzione endoteliale nelle patologie cardiovascolari. CABG=by-pass aorto-coronarico; CAD=malattia coronarica;
CHF=scompenso cardiaco; FMD=vasodilatazione flusso-mediata; MI=infarto miocardico; PTCA=angioplastica coronarica; Pz=pazienti; TIA=ischemia cerebrale transitoria; UA=angina instabile.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 10, 2005
G. Patti, R. Melfi, G. Di Sciascio: La disfunzione endoteliale nella patogenesi dell’arteriosclerosi
I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi in base
alla risposta locale durante infusione coronarica
di acetilcolina: 1) pazienti con normale funzione
endoteliale (n=83; incremento >50% del flusso dopo infusione di acetilcolina); 2) pazienti con lieve
disfunzione endoteliale (n=32; aumento <50%); 3)
pazienti con severa disfunzione endoteliale (n=42;
vasocostrizione in risposta all’acetilcolina). Dopo
un follow-up medio di 28 mesi, nessun paziente del
gruppo 1 e 2 ha presentato eventi cardiovascolari,
mentre 6 pazienti (14%) con severa disfunzione
hanno avuto un totale di 10 eventi cardiovascolari
(P<0,05); di questi eventi, 5 erano rappresentati da
procedure di rivascolarizzazione coronarica. La vasocostrizione in risposta all’acetilcolina, marker di
severa disfunzione endoteliale coronarica, si rivelava quindi essere un predittore indipendente di
eventi cardiovascolari in soggetti con aterosclerosi
coronarica angiograficamente non significativa.
In uno studio analogo, Schaechinger e coll.19 hanno arruolato 147 pazienti, sottoposti a studio coronarografico o ad angioplastica coronarica; 84 di questi pazienti (57%) avevano malattia coronarica significativa monovascolare. La funzione endoteliale a
livello delle coronarie epicardiche è stata valutata in
tutta la popolazione dello studio con infusione di acetilcolina, con il test al freddo e dopo somministrazione di papaverina. È stata inoltre valutata, come
parametro di confronto, la massima vasodilatazione
non endotelio-dipendente dopo infusione di nitroglicerina. Considerando l’intera popolazione dello studio, 16 pazienti (11%) hanno avuto un totale di 28
eventi durante il tempo di osservazione della durata mediana di 7,7 anni: anche in questo caso, la maggior parte degli eventi (17 = 61%) era rappresentata
da procedure di rivascolarizzazione. Una disfunzione endoteliale era presente nel 66% dei pazienti, se
valutata con l’acetilcolina, e nel 64% dei pazienti, se
definita come anomala risposta allo stimolo freddo.
I pazienti liberi da eventi erano significativamente
minori nel gruppo con disfunzione endoteliale rispetto a quelli con endotelio normo-funzionante
(87% vs 97%, P=0,022, per la valutazione con l’acetilcolina; 64% vs 100%, P=0,0007 per la risposta al
freddo). I pazienti con eventi durante il follow-up
presentavano inoltre una minore risposta alla vasodilatazione indotta da aumento del flusso (dopo somministrazione di papaverina) ed alla vasodilatazione
indotta da nitroglicerina. Da questo studio è emerso,
quindi, che sia la disfunzione vasale endotelio-dipendente sia quella endotelio-indipendente, sono
predittori di una prognosi peggiore anche a lungo
termine in soggetti con malattia aterosclerotica coronarica.
Halcox e altri20 hanno intrapreso uno studio
specifico per valutare se la disfunzione endoteliale
coronarica in pazienti con coronarie epicardiche
angiograficamente normali o con malattia coronarica significativa era in grado di predire una peggiore prognosi in termini di eventi cardiovascolari
acuti (morte cardiovascolare, infarto del miocardio, angina instabile, ictus ischemico).
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Un totale di 308 pazienti (132 con malattia coronarica, 176 con coronarie epicardiche indenni da
lesioni) sono stati sottoposti a studio della funzione endoteliale coronarica e sono stati monitorizzati per un tempo medio di 46,3 mesi; 35 pazienti
(11,4%) hanno sviluppato un evento ischemico acuto durante il periodo di studio ed i pazienti che presentavano vasocostrizione coronarica indotta dall’acetilcolina hanno avuto una maggiore incidenza
di eventi rispetto a quelli che rispondevano allo
stesso stimolo con la vasodilatazione (13% vs 9,4%;
P=0,003); viceversa, la vasodilatazione non endotelio-dipendente in risposta al nitroprussiato non
era significativamente diversa (P=0,71). La correlazione tra disfunzione endoteliale e prognosi era
inoltre indipendente dalla presenza o meno di lesioni coronariche. Questo studio ha quindi dimostrato che la disfunzione endoteliale può predire
anche eventi mortali o potenzialmente tali, e che
l’incidenza di tali eventi è indipendente dalla dimostrazione di lesioni coronariche iniziali.
Neunteufl e coll.21 hanno valutato la FMD a livello dell’arteria brachiale in 73 pazienti con angina pectoris. Sono stati valutati prospetticamente,
durante un follow-up medio di 5 anni, gli eventi
morte, infarto miocardico e rivascolarizzazione coronarica; i pazienti che avevano una FMD >10% o
<10% presentavano una incidenza di rivascolarizzazione miocardica significativamente diversa, sia
con angioplastica coronarica (7% vs 37%; P=0,003)
che con by-pass aorto-coronarico (0% vs 15%;
P=0,0009). I due gruppi hanno avuto una simile incidenza di infarto del miocardio (11 vs 20%;
P=0,34). La FMD dimostrava una sensibilità
dell’86% ed una specificità del 51% nell’identificare futuri eventi cardiovascolari, con un valore predittivo del 93%.
Utilizzando la pletismografia venosa, Heitzer e
coll.22 hanno misurato l’incremento del flusso a livello dell’avambraccio dopo somministrazione di
acetilcolina e di nitroprussiato sodico in 281 pazienti con malattia coronarica angiograficamente stabile. Gli outcomes valutati durante un periodo di 4,5
anni includevano la morte per cause cardiovascolari, l’ictus ischemico, l’infarto miocardico e la rivascolarizzazione coronarica o periferica. Sono stati registrati 120 eventi in 91 pazienti, i quali presentavano una risposta all’acetilcolina significativamente
ridotta rispetto ai pazienti senza eventi al follow-up
(4,7 vs 6,1 ml/min per 100 ml; P<0,001). I pazienti
con eventi avevano anche una minore risposta al nitroprussiato sodico (vasodilatazione non endoteliodipendente), sebbene la differenza non fosse significativa (5,6 vs 5,9 ml/min per 100 ml; P=0,05).
Perticone e coll.23 hanno condotto uno studio simile in 225 pazienti con ipertensione arteriosa non
trattata. Gli outcomes valutati ad un follow-up
medio di 31,5 mesi erano la morte cardiovascolare,
l’infarto miocardico, l’ictus, l’attacco ischemico
transitorio, l’angina instabile e la rivascolarizzazione coronarica.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 10, 2005
L’incidenza totale di eventi nel terzile più basso di risposta all’acetilcolina era del 57,2% vs il
14,4% del terzile più alto (P=0,0012). L’originalità
del lavoro consiste nella prima dimostrazione del
significato prognostico della vasodilatazione endotelio-dipendente anche in pazienti a basso rischio
cardiovascolare.
Gokce e coll.24 hanno impiegato la FMD in 187
pazienti preospedalizzati per chirurgia vascolare
ed hanno monitorizzato gli eventi cardiovascolari
a 30 giorni dall’intervento (morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico, sindromi coronariche acute, fibrillazione ventricolare di origine
ischemica, aumento della troponina I ed ictus
ischemico); 45 pazienti hanno avuto eventi durante il follow-up. La FMD pre-operatoria era significativamente minore nei pazienti con eventi rispetto a quelli senza eventi (4,9±3,1% vs 7,3±5%;
P<0,001), mentre la risposta alla nitroglicerina
non era significativamente diversa (10,3±7,2% vs
10,7±6,2%; P=0,84). Una ridotta FMD era un predittore indipendente di eventi post-operatori
(P=0,007), insieme all’età (P=0,001) ed all’insufficienza renale cronica (P=0,03). Considerando un
cutt-off dell’8%, la FMD aveva una sensibilità del
95% ed una specificità del 37% nel predire gli
eventi, con un valore predittivo negativo del 98%.
Nell’ambito dei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent, in un piccolo studio osservazionale25 la vasodilatazione in risposta all’iperemia reattiva, misurata mediante
pletismografia venosa brachiale, è risultata ridotta nei pazienti che avevano sviluppato restenosi.
Il nostro gruppo ha recentemente pubblicato26 i
risultati del primo studio prospettico su 136 pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica con
impianto di stent per malattia coronarica monovascolare, eseguito allo scopo di valutare il potere di
una alterata vasodilatazione endotelio-dipendente
nel predire il rischio di restenosi durante il followup. I pazienti sono stati sottoposti, trenta giorni
dopo la procedura di angioplastica, alla valutazione della FMD a livello dell’arteria brachiale mediante ultrasonografia; nello studio è stata anche
misurata la vasodilatazione non endotelio-dipendente, mediante incremento del diametro vasale
in risposta alla somministrazione sistemica di nitroglicerina, donatore diretto di NO. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a follow-up clinico-strumentale a 2, 3 e 6 mesi; lo studio coronarografico
di controllo è stato eseguito nei pazienti con ritorno di angina o con ischemia inducibile da sforzo: 20
pazienti (15%) hanno sviluppato restenosi intrastent a 6 mesi. La FMD, espressa come incremento del diametro dell’arteria brachiale in risposta
all’iperemia, era significativamente ridotta nei pazienti con restenosi rispetto a quelli senza restenosi (percentuale di variazione del diametro vasale: 4,6±5,8% vs 9,5±6,6%; P=0,002). Considerando
come cut off il valore mediano di FMD (7%), soltanto il 4% dei pazienti con FMD al di sopra di
questo valore ha presentato restenosi, rispetto al
28% di quelli con FMD <7% (P=0,0001). La vasodilatazione non endotelio-dipendente non era viceversa differente nei gruppi con e senza restenosi.
All’analisi multivariata, la FMD è risultato il maggiore predittore di restenosi intrastent (hazard ratio 4,5, 95% CI 0,8-6,3) ed una preservata FMD
(>7%) ha mostrato un valore predittivo negativo
per rischio di restenosi del 96%. Questo è il primo
studio prospettico che indica una correlazione tra
la presenza di disfunzione endoteliale e rischio di
restenosi dopo angioplastica coronarica con impianto di stent, dimostrando che una compromissione della FMD può rappresentare un predittore
maggiore di tradizionali fattori di rischio per restenosi, quali il diabete mellito o l’impianto di
stent con diametro <2,5 mm. La restenosi intrastent è relativamente frequente dopo impianto intracoronarico di stent, verificandosi nel 10-40% dei
casi, in relazione a diverse caratteristiche cliniche
ed angiografiche; una stratificazione precoce dei
pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, allo scopo di identificare quelli maggiormente a rischio di restenosi, rappresenta quindi un passo importante per la gestione clinica di questi pazienti
durante il follow-up, e la valutazione non invasiva
della FMD può rappresentare uno strumento di
supporto in tal senso. Come commentato nell’editoriale di A. Lerman27, sebbene sia stata in precedenza descritta una relazione tra disfunzione endoteliale e restenosi, lo studio del nostro gruppo
estende le osservazioni presenti in letteratura e
dimostra che una riduzione della FMD a livello periferico è in grado di predire la risposta della parete vasale ad un insulto locale a livello coronarico. La restenosi dopo angioplastica rappresenta lo
stadio di maggiore gravità della malattia aterosclerotica, in un continuum eziopatogenetico unico
che inizia dalla disfunzione endoteliale isolata, la
quale rappresenta la prima fase, ancora reversibile, della malattia. La restenosi intra-stent, è all’estremo opposto, l’espressione di una risposta vascolare anomala ad un insulto locale quale l’impianto di stent e tale risposta si estrinseca con un
eccesso di crescita tessutale (iperplasia intimale).
La disfunzione endoteliale è caratterizzata da
un disequilibrio tra sostanze vasodilatatrici con attività antiproliferativa (NO) e sostanze vasocostrittrici con proprietà mitogene (ET-1), per cui rappresenta una condizione sistemica che può favorire
a livello locale la proliferazione cellulare, l’iperplasia intimale e la vasocostrizione locale. Un endotelio disfunzionante, inoltre, a causa della ridotta disponibilità di NO e di prostaciclina, presenta minori proprietà anticoagulanti ed un’aumentata
trombogenicità per stimolazioni meccaniche endoluminali (rappresentate, per esempio, dall’impianto intracoronarico di stent) che determinano esposizione delle sostanze sub-endoteliali: i mediatori
rilasciati dalle piastrine attivate, tra cui la serotonina, sono anch’essi in grado di indurre vasocostrizione locale, soprattutto se agiscono in un substrato di cellule endoteliali disfunzionanti.
G. Patti, R. Melfi, G. Di Sciascio: La disfunzione endoteliale nella patogenesi dell’arteriosclerosi
Il coinvolgimento della microcircolazione della
parete vasale (inclusi i vasa vasorum) determina
inoltre ischemia parietale e successiva neoangiogenesi; la neovascolarizzazione della placca comporta un maggiore afflusso di macrofagi ed una
maggiore tendenza all’emorragia di placca, favorendo una riparazione anomala e quindi la restenosi dopo angioplastica; l’impianto stesso dello
stent è infine in grado di indurre di per sé uno stimolo alla neovascolarizzazione.
Il concetto di disfunzione endoteliale come patologia sistemica può essere inoltre esteso ai progenitori delle cellule endoteliali (EPCs). Evidenze
emergenti sembrando suggerire che cellule staminali endoteliali derivanti dal midollo osseo siano
coinvolte nella riparazione dei microinsulti subiti
dalla parete vasale in seguito a stimoli chimici e
meccanici e che la riparazione di tale danno mediante EPCs contribuisca a riformare un endotelio
integro e funzionale in corrispondenza del sito di
lesione. La disfunzione dell’apparato di riparazione delle lesioni vascolari può essere legata ad un
minor numero di EPCs disponibili in circolo o ad
una alterata capacità di queste cellule ad operare
la riparazione a causa di una ridotta disponibilità
di NO. Il concetto che le EPCs possano giocare un
ruolo nella risposta vascolare agli insulti, e quindi
nel processo di restenosi dopo angioplastica coronarica, apre la strada a futuri interventi indirizzati al ruolo delle EPCs come agenti terapeutici.
Trattamento della disfunzione endoteliale
La disfunzione endoteliale è associata a varie
patologie cardiovascolari e rappresenta uno dei
principali meccanismi attraverso cui i fattori di rischio cardiovascolare predispongono allo sviluppo
di aterosclerosi, di instabilità di placca e di trombosi, e quindi, all’incidenza di eventi clinici futuri.
Un’attività fisica adeguata e regolare riduce il rischio cardiovascolare e migliora
la funzione vasomotoria endotelio-dipendente in soggetti sani ed in individui con ipertensione arteriosa, malattia coronarica o scompenso cardiaco; tale effetto sembra essere legato
in larga parte ad una maggiore biodisponibilità
di NO. Una vita sedentaria, viceversa, si associa
ad un aumentato stress ossidativo e ad un incremento dello stato infiammatorio sistemico,
per cui presenta una maggiore probabilità di associarsi a disfunzione endoteliale. Un ulteriore
effetto benefico sull’endotelio è stato inoltre dimostrato dai farmaci che riducono l’insulino-resistenza nei diabetici e dalla cessazione del fumo
di sigaretta. Una dieta povera di grassi e ricca di
frutta e verdura è raccomandata dalla American
Heart Association per diminuire il rischio cardiovascolare ed in particolare il vino rosso, il tè
ed il succo d’uva sembrano ridurre la disfunzione endoteliale, grazie all’elevato contenuto di
flavonoidi.
505
Essendo una patologia di tipo funzionale, la disfunzione endoteliale è per lo più un processo reversibile ed il trattamento delle condizioni predisponenti può almeno in parte ripristinare un endotelio integro e funzionante28,29.
Lo stress ossidativo è considerato uno dei meccanismi patogenetici fondamentali della disfunzione endoteliale e dell’aterosclerosi; esiste, per
questo motivo, una crescente attenzione sugli effetti di terapie antiossidanti sulla funzione dell’endotelio. Le terapie con sostanze antiossidanti
sono a base di farmaci che agiscono sugli ossidanti lipidici circolanti (per esempio statine e Probucol) o di farmaci che agiscono direttamente sugli
anioni superossido (vitamina C). La somministrazione per via intra-arteriosa di vitamina C in pazienti con fattori di rischio cardiovascolare è stata associata ad una normalizzazione della FMD
locale, ma tali effetti sono stati ottenuti con dosi
molto elevate di farmaco, difficilmente raggiungibili per via sistemica. Negli studi eseguiti con
somministrazione sistemica di vitamina C alle dosi di 2 g/die, la FMD a livello dell’arteria omerale
è migliorata nei pazienti con malattia coronarica,
ma non in quelli affetti da ipertensione arteriosa;
con risultati, quindi, difficilmente interpretabili.
Gli studi che hanno usato combinazioni di antiossidanti, quali vitamina C, vitamina B e beta-carotene, hanno dato esiti discordanti e recentemente
anche l’acido acetilsalicilico è stato proposto come
agente antiossidante, potenzialmente utile per ridurre la disfunzione endoteliale. La riduzione delle fonti di stress ossidativo, più che le sole terapie
con sostanze antiossidanti, probabilmente potrà
dare dei risultati applicabili alla popolazione generale. Anche l’iperomocisteinemia è stata associata ad uno stato di disfunzione endoteliale, che
può migliorare con la somministrazione di acido
folico.
Nell’ipertensione arteriosa, la semplice riduzione dei valori tensivi non è sufficiente ad indurre una involuzione del processo di disfunzione
endoteliale; tuttavia farmaci anti-ipertensivi,
quali gli ACE-inibitori ed i sartani, hanno mostrato un effetto benefico su tale reintegro. I meccanismi attraverso i quali il blocco del sistema renina-angiotensina riduce il grado di disfunzione
endoteliale sono probabilmente legati alla riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione30. Gli ACE-inibitori aumentano le concentrazioni plasmatiche di bradichinina, un vasodilatatore endotelio-dipendente e migliorano la
funzione endoteliale anche attraverso la riduzione di Ang II, una molecola che incrementa l’attività della NADPH ossidasi, con conseguente aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno ed inattivazione di NO.
Le evidenze sperimentali dimostrano inoltre
una stretta associazione tra profilo lipidico e disfunzione endoteliale, per cui una riduzione dei lipidi corporei è in grado di per sé di migliorare la
funzione dell’endotelio31.
506
Recenti Progressi in Medicina, 96, 10, 2005
L’uso di inibitori della HMG CoA reduttasi
(statine) riduce il rischio cardiovascolare e ristabilisce un normale equilibrio dell’endotelio; oltre
all’effetto ottenuto attraverso la diminuzione dei
lipidi circolanti, le statine hanno mostrato un’azione benefica diretta sull’endotelio, mediata da
meccanismi pleiotropici ed antinfiammatori32. Le
statine infatti aumentano l’espressione e l’attivazione della eNOS, oltre ad agire come antiossidanti33, e riducono i livelli sistemici di proteina
C reattiva, molecola che rispecchia lo stato infiammatorio vascolare ed è in grado di inibire l’espressione di eNOS.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Germano Di Sciascio
Università Campus Bio-Medico
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari
Via E. Longoni 83
00155 Roma
E-mail:[email protected]
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