Progresso sociale e progresso nazionale devono marciare assieme

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Progresso sociale e progresso nazionale devono marciare assieme
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Progresso sociale e progresso nazionale devono
marciare assieme. Intervista a Joan Carles
Gallego
Categories: Mondo
di:Elena Marisol Brandolini da Barcelona
ottobre - 4 - 2012
Con l’intervista a Joan Carles Gallego, Segretario Generale di
Comisiones Obreras de Catalunya, iniziamo una serie di colloqui con
rappresentanti catalani del mondo della cultura, della politica,
dell’associazionismo, delle istituzioni sul rapporto tra Catalunya e
España, dopo la grande manisfestazione dello scorso 11 settembre a
Barcelona sull’indipendenza
Cominciamo con Joan Carles Gallego, Segretario Generale di CC OO de
Catalunya, per non dimenticare che il processo aperto in Catalunya fa i conti
anche con la drammaticità della crisi economica, la qualità del modello sociale,
la dimensione europea.
In occasione della manif est azione dell’11 set t embre, CCOO e UGT
cat alane avet e af f ermat o che progresso sociale e progresso nazionale
devono marciare insieme. Che signif ica quest o rispet t o al rapport o oggi
in discussione t ra Cat alogna e Spagna?
Noi constatiamo che la relazione tra la Catalogna e la Spagna, l’incastro della Catalogna nello
Stato spagnolo ha enormi difficoltà ed enormi punti di debolezza Dal punto di vista della
Catalogna, che si considera come una nazione storicamente e socialmente determinata, riteniamo
che il potere centrale indebolisca la capacità di rafforzare le competenze di autogoverno per dare
risposte ai problemi della gente; consideriamo che l’incastro attuale limiti le capacità del governo
catalano di dare risposte concrete, limiti il finanziamento, quello catalano è un finanziamento che
non aiuta a sviluppare economicamente e socialmente la Catalogna. E’ un modello di
finanziamento in cui paghiamo eccessivamente i costi dello Stato e la parte che apportiamo alla
solidarietà interterritoriale è eccessiva, attorno all’8 -9% del Pil. Non voglio dire che non ci sia
bisogno di solidarietà interterritoriale, c’é bisogno di solidarietà interterritoriale, ma bisogna trovare
un limite che permetta di sviluppare economicamente e socialmente la Catalogna, perché se la
Catalogna non riesce a svilupparsi economicamente difficilmente potrà contribuire. Perciò
pensiamo che questo è un incastro che non va bene, che non permette il maggiore sviluppo
dell’autogoverno della Catalogna. Questo maggiore sviluppo deve mettere la capacità di governo
della Catalogna al servizio della cittadinanza, dell’economia. Insistiamo che l’obiettivo nazionale,
quello del maggiore autogoverno, di più competenze, di miglior finanziamento o va accompagnato
con l’impegno di sviluppare diritti sociali, un modello sociale determinato, o evidentemente non
riuscirà ad avanzare neppure in questa direzione. Crediamo che un progetto nazionale debba
comprendere i diritti sociali, perché quello che alla gente può dare speranza è sapere che avanzare
in un modello nazionale comporterà miglioramenti da un punto di vista sociale. D’altra parte,
intendiamo che nella misura in cui miglioriamo da un punto di vista sociale, stiamo costruendo
anche un progetto nazionale. Se tu migliori il sistema educativo, la salute, i servizi sociali, stai
anche facendo un progetto nazionale più potente, più ambizioso. Perciò insistiamo nell’avanzare
sui due fronti: migliorare l’incastro della Catalogna con la Spagna, cambiare il modello, l’attuale non
serve; un modello che doti di più autogoverno, di più progetto nazionale, ma perché sia messo al
servizio degli interessi sociali dell’immensa maggioranza della popolazione.
Un modello f ederale?
Ci sono diverse posizioni aperte, il modello federale è una possibilità. Un modello federale che, nel
nostro caso, dovrebbe riconoscere anche l’identità nazionale della Catalogna, perché la Catalogna
si autocostituisce come una nazione, abbiamo una lingua propria, abbiamo una storia e una
cultura determinate. Un modello federale che renda possibile fare questo incastro di pieno
riconoscimento nazionale, ma con competenze importanti e sufficienti per sviluppare quel
progetto al servizio della cittadinanza. Potrebbe essere un modello federale, confederale,
potremmo trovare qual è la migliore soluzione, perché l’attuale è insoddisfacente.
E’ così vero, come sost engono alcuni, che la Cat alogna separat a dalla Spagna non avrebbe
t ut t i quei problemi che oggi af f liggono la sua economia e che anzi pot rebbe sit uarsi ai primi
post i t ra le economie europee? Ossia che le polit iche di Rajoy sono colpa dell’Europa e le
polit iche di Mas sono colpa di Rajoy?
Credo che non si dovrebbe cercare un’argomentazione economica per affrontare il conflitto
territoriale nello Stato spagnolo. In un mondo globale come l’attuale non si può dire se la
Catalogna sarà più povera o meno povera con l’indipendenza o senzal’indipendenza, perché
qualsiasi modello organizzativo e istituzionale dipenderà
dalle interdipendenze economiche che si daranno a livello
globale. Altra questione è che nella misura in cui tu disponi di
maggiori competenze per applicare le risorse pubbliche per
fare determinate politiche, sì che puoi allora, da una maggiore
prossimità, fare politiche di sviluppo economico, territoriale, e
di infrastrutture che migliorino la tua posizione competitiva
nel mondo. Ma questo si può fare con o senza indipendenza.
Lo dico perché a volte l’argomento è doppio: ossia che se
escludi l’indipendenza sarai più povero, o al contrario che se
scegli l’indipendenza sarai più ricco. Credo che in un mondo
interdipendente dipenda dalle politiche che fai e da come
applichi le risorse alle finalità per essere più competitivo.
L’altra questione è che certamente viviamo in un contesto
dove tutti cercano di discolparsi per le proprie politiche in relazione alle politiche degli altri: Rajoy
rispetto all’Europa, la Catalogna in relazione a Rajoy e i comuni in relazione al governo della
Catalogna, per capirci. Io credo che nel caso della Catalogna, le politiche che si stanno facendo
non siano obbligate dalle politiche di Rajoy, nè che Rajoy stia facendo politiche obbligate
dall’Unione Europea. Credo che sono governi che hanno il sostegno di partiti politici che poggiano
le loro politiche su un’ideologia liberista; sono governi che puntano, secondo i loro principi
ideologici, a smontare buona parte del modello sociale basato sui diritti e sulle libertà. Sono governi
che puntano non tanto a tagliare per risparmiare la spesa pubblica e sociale, ma per smontare
l’offerta di beni e servizi pubblici, perché scommettono sulla privatizzazione, sulla
mercantilizzazione di quei servizi pubblici e la loro conversione in business Non lo fanno perché
sono obbligati, ma perché realmente è l’ideologia che loro impongono. Perché si potrebbero fare le
cose in un’altra maniera, si potrebbe combattere la crisi economica e finanziaria con altre politiche.
Perché si potrebbe combattere gli squilibri dei conti pubblici attuando sulle entrate e non solo sulle
spese come si sta facendo. E anche intervenendo sulle spese, si potrebbero individuare delle
priorità su quali spese considerare e quali no, cosa che non si sta facendo. Cercano di nascondersi
dietro le direttive europee, spagnole, ma nel fondo operano secondo il proprio retaggio ideologico.
Non avet e paura che gli imprendit ori abbandonino la Cat alogna se quest a si separerà dalla
Spagna?
No, io vedo che gli imprenditori alla fine continueranno a produrre dove già hanno l’unità di
produzione installata e perciò nel caso di una possibile indipendenza le fabbriche continueranno a
funzionare e continueranno a vendere i prodotti tanto nei mercati di prossimità d’Europa come nel
resto dello Stato spagnolo. L’economia catalana, come qualsiasi economia del mondo, è
un’economia che è molto integrata a livello mondiale e a livello globale. In uno scenario di
cambiamento istituzionale, gli imprenditori continueranno a comprare e a vendere prodotti nei
mercati naturali che sono quelli che hanno funzionato fino ad ora. Può succedere che in un primo
momento, in un determinato settore ci sia qualche aggiustamento, però in termini generali la
situazione si ricomporrà e l’economia continuerà funzionando, perché la capacità produttiva
installata deve essere mantenuta. Difficilmente si può smontare una fabbrica di automazione dalla
Catalogna per installarla, nel giro di qualche mese, da un’altra parte.
Però la Cat alogna esport a molt o nel rest o di Spagna…
Le cifre esatte sono che poco più del 40% di ciò che si produce in Catalogna va al resto dello
Stato, un’altra parte importante va in Europa e nel resto del mondo. Vanno allo Stato soprattutto
i prodotti di maggior prossimità dell’industria agroalimentare e prodotti di mercato, manufatti. La
Spagna dovrà continuare a comprare questi prodotti e li comprerà in funzione della qualità e del
prezzo che offriranno i prodotti e se non alziamo i prezzi, gli imprenditori spagnoli continueranno
a comprarli; se manteniamo la qualità continueranno a comprare i prodotti catalani. Può esserci
qualche problema in qualche settore molto specifico, in relazione con il consumo di alcuni prodotti
alimentari, come per esempio il Cava, la famosa guerra del Cava, che in un primo momento può
darsi determini una specie di rifiuto, di boicottaggio. Può esserci qualche problema puntuale, ma poi
le cose si normalizzeranno, poi la gente tornerà a comprare Cava, come potrà comprare
Champagne francese, Lambrusco, perché difficilmente nessuna economia potrà chiudersi su se
stessa. L’economia catalana non potrà chiudersi su se stessa, dovrà mantenere i mercati dove
vendere i prodotti. Però anche la Spagna dovrà mantenere il suo livello di apertura e di scambio
commerciale con il mondo e anche con la Catalogna nella nuova situazione.
E se si dovesse det erminare un problema con l’Europa?
Noi pensiamo che nell’ipotetico caso che ci fosse un processo di indipendenza che è solo
un’ipotesi futura, perché quello che si sta discutendo adesso è la messa in funzione del diritto a
decidere, ossia che la gente possa decidere qual è l’incastro che vuole con la Spagna. Ma nel caso
che in maniera democratica arrivassimo a prendere questa decisione, pensiamo che da un punto di
vista dell’Europa, bisognerebbe cercare di mantenere il ruolo della Catalogna dentro l’Unione
Europea. L’esercizio del diritto a decidere è un esercizio democratico che si deve fare nel quadro
dello stato di diritto. Questo significa che previamente ci sarà stata una contrattazione in relazione
alla domanda in consultazione e ci sarà stato un processo d’elaborazione di modo che quando tu
domandi una cosa sai che la risposta a questa domanda dà la soluzione a quello che la gente si
propone; e credo che in questo momento nessuno stia immaginando un orizzonte in cui la
Catalogna rimanga isolata dal mondo, chiusa in se stessa. Ciò che si sta decidendo è approfondire
la democrazia attraverso il diritto a decidere, come questa Catalogna possa disporre di più
strumenti d’autogoverno per dare risposte concrete alle persone, come possa disporre di un
finanziamento sufficiente a partire da una fiscalità giusta e progresssiva, e perciò bisogna vedere
se per realizzare tutto questo è possibile migliorare l’incastro con la Spagna, o se questo incastro
è impossibile ed è necessario trovare un nuovo modello come l’indipendenza, che sarebbe il
risultato di un lungo processo di negoziato e della decisione della cittadinanza. Però la decisione
dei cittadini dovrebbe dare risposta a ciò che la Catalogna vuole essere, ossia un paese integrato
nel mondo.
E’ vero che in Cat alogna non vale l’opposizione t ra dest ra e sinist ra, ma che prevale sempre
il ragionament o ident it ario? Convergència i Unió, da due anni al governo della Generalit at , f a
polit iche di dest ra, di t agli e privat izzazioni dello st at o sociale e di riduzione dei dirit t i
sociali, ed oggi è alla t est a del moviment o per l’aut odet erminazione cat alana….
In Catalogna, come in qualunque altro luogo, i conflitti principali sono di tipo sociale, ciò che fa la
differenza tra la destra e la sinistra, la diseguaglianza tra le persone, gli squilibri sociali, i servizi
pubblici, questo è parte del conflitto sociale: conflitti nel lavoro, imprese che chiudono, persone
che perdono il lavoro, questo è il conflitto principale che sta vivendo oggi la nostra società. In
Catalogna per molto tempo i governi che si definiscono nazionalisti, in questo caso di
Convergència i Unió, hanno preferito molte volte, da una parte fare politiche di destra, ridurre i
diritti sociali e d’altra parte farsi scudo con il conflitto territoriale per nascondere il conflitto sociale.
In questo caso, Convergència i Unió fa politiche di tagli e quando cresce la protesta per i tagli dice
che la colpa di questo è di Madrid; però poi risulta che a Madrid vota le politiche di tagli che fa il
signor Rajoy. O come qui in Catalogna pattuisce con il Partido Popular questa stessa politica di
tagli. Quello che succede è che si cerca di nascondere il dibattito sociale, situando in prima linea il
dibattito territoriale. Ma credo che il dibattito tra destra e sinistra è anche in piazza, abbiamo fatto
molte mobilitazioni, abbiamo chiesto al governo della Generalitat un cambiamento delle sue
politiche. Il governo della Generalitat quando anticipa le elezioni non è solo perché ha un conflitto
territoriale, ma anche perché sa che il conflitto sociale reale sta erosionando la sua capacità di
governo. La nostra risposta sarà mettere sul tavolo il conflitto sociale, perché queste elezioni
diano risposte concrete anche su come combattere la disoccupazione, come creare lavoro, come
mantenere la protezione sociale, come migliorare il sistema educativo e parallelamente andremo
ad approfondire il diritto a decidere su quale modello istituzionale vogliamo, quale Catalogna
vogliamo. Ci devono anche dire se questa Catalogna che vogliamo deve avere diritti sociali o
meno.
Che pensat e come sindacat o delle elezioni convocat e per novembre, con due anni di
ant icipo sulla scadenza nat urale della legislat ura? CCOO e UGT avevat e apert o in t ut t a
Spagna una campagna di mobilit azione per un aut unno caldo sulle quest ioni sociali, ma
sembra che il t ema indipendent ist a vi abbia rubat o la scena…
Il fatto è che mediaticamente l’argomento independentista è sul tavolo, però i dati sono quelli che
sono: abbiamo un 23% di disoccupazione in Catalogna; più del 50% dei giovani con meno di 25
anni vuole lavorare e non può; il sistema educativo pubblico sta ai livelli minimi, è tornato all’anno
1997; la salute pubblica sono due anni che soffre politiche di tagli tagli e tagli. Noi pensiamo che
quando il governo di Convergència i Unió anticipa le lezioni è perché è cosciente del fallimento
delle sue politiche per combattere la crisi e del fatto che la politica che sta facendo genera un
rifiuto maggioritario della gente che è contro queste politiche e lo esprime continuamente nelle
diverse mobilitazioni. Perciò il governo di Convergència i Unió pianifica delle elezioni in chiave
nazionale e non sociale. Ma i cittadini dovranno pretendere che si risponda anche delle politiche
sociali che si stanno facendo, altrimenti potremmo trovarci di fronte a una frode democratica.
Convergència i Unió adesso va a elezioni in chiave identitaria e poi farà politiche quotidiane in
chiave di destra e questo non possiamo permetterlo. Sono due anni che questo governo fa
politiche di destra che stanno pregiudicando l’immensa maggioranza della popolazione e quello
che non si può fare adesso è andare alle elezioni nascondendo ciò e manifestando solo l’altro
corno del problema. Credo che in questo momento sia risultato chiaro che la maggioranza delle
forze parlamentari catalane, ossia forze di destra e forze di sinistra, è d’accordo sul diritto a
decidere quale debba essere l’incastro con la Spagna. Se su questo siamo d’accordo non
dobbiamo discuterlo. Quello su cui dobbiamo discutere è quello su cui non siamo d’accordo: quale
modello di Catalogna vogliamo costruire, che ci dicano quale modello vuole la destra e quale
modello vuole la sinistra affinché la gente possa decidere.
Come sindacat i proponet e un ref erendum sulle polit iche economiche del governo Rajoy; in
Cat alogna la st ragrande maggioranza delle f orze polit iche è d’accordo sulla celebrazione di
una consult azione che permet t a al popolo cat alano di decidere del suo rapport o con la
Spagna. Non dovrebbe rient rare nella normalit à democrat ica di un paese consult are i
cit t adini sulle scelt e f ondament ali che li riguardano?
Per noi la possibilità di fare un referendum, una consultazione popolare rappresenterebbe
realmente quella radicalità democratica che nel nostro paese non esiste. Nel nostro paese la
democrazia si esaurisce con le elezioni ogni quattro anni e con la delega di voto ai partiti che
operano nei parlamenti, nei governi e che devono render conto solo ogni quattro anni. Crediamo
che quando si stanno facendo politiche che non erano nei programmi elettorali sia obbligatorio
consultare le persone, visto che non hanno potuto decidere quando hanno votato. Perciò diciamo
che le politiche del signor Rajoy non stavano nel programma elettorale e che quindi va fatto un
referendum popolare che dica se si è a favore o contro queste politiche. Nel caso della Catalogna,
quando constatiamo l’esistenza di un malessere circa il ruolo della Catalogna nei confronti dello
Stato spagnolo, riteniamo che si debba poter decidere su come dev’essere questo incastro. Sono
temi che o stanno nei programmi elettorali, o se non ci stanno, che si dia allora l’opportunità ai
cittadini di potersi esprimere. Fare un referendum è positivo, che si faccia su cose concrete, perché
ciascuno possa apprezzare di poter decidere sulle politiche.
Nel caso della relazione Cat alogna-Spagna non sarebbe più democrat ico che il governo
spagnolo, com’è successo in alt ri paesi, consent isse la celebrazione di un ref erendum?
Sì, il diritto a decidere della Catalogna rispetto alla Spagna dovrebbe essere facilitato dal governo
spagnolo. Credo che il governo e il parlamento della Catalogna dovrebbero promuovere e
organizzare questa consultazione ed il governo spagnolo dovrebbe facilitarla ed essere rispettoso
e naturalmente impegnarsi ad accettare il risultato di questo possibile referendum. Come sta
succedendo in Scozia o nel Quebec, dove il governo autonomo ha pattuito con il governo dello
Stato, Canada e Regno Unito, la celebrazione del referendum e la domanda, così da consentire ai
cittadini del Quebec e agli scozzesi di schierarsi, c’è stato perciò un processo di consenso previo,
un negoziato, così che si accetta che la gente decida e che il risultato che viene fuori sia accettato
dalle due parti. E’ la maniera di fare le cose nella normalità democratica.
Come sindacat o, in occasione dell’11 set t embre scorso, avet e det t o che cont inueret e
comunque a f are il vost ro mest iere, qualunque sia la soluzione del rapport o t ra la Cat alogna
e la Spagna…
Un sindacato è un’organizzazione che raggruppa lavoratori, organizza lavoratori per difendere i
loro interessi. La Catalogna può stare dentro o fuori della Spagna, però ci saranno lavoro e ci
saranno lavoratori e ci saranno imprese e ci saranno imprenditori e ci sarà conflitto sociale. E dove
c’è conflitto sociale il sindacato dev’esserci, per organizzare i lavoratori, per difendere i loro
interessi, per confrontarsi con gli imprenditori, per confrontarsi sulle politiche sociali del governo.
Pertanto il sindacato continuerà attuando in qualunque scenario e seguiterà a stabilire i propri
vincoli e relazioni con i sindacati attorno, dei paesi europei, del mondo e della Spagna, come si è
fatto finora. Noi siamo un’organizzazione nazionale catalana, pero allo stesso tempo stiamo nella
confederazione sindacale di CC OO dell’insieme dello Stato, con gli andalusi, i valenziani, così
come la confederazione spagnola sta nella confederazione europea, con gli italiani, i francesi e gli
altri. Ossia che CC OO continuerebbe a fare sindacato in Catalogna e parteciperebbe dell’ambito di
relazioni con il sindacalismo spagnolo, europeo, globale in definitiva. Perché anche la solidarietà dei
lavoratori in tutto il mondo, e in Spagna è importante per avanzare tutti: retrocedere qui facilita la
retrocessione in un’altra parte del mondo, avanzare qui consente di rafforzare i diritti sociali da
un’altra parte nel mondo.
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