michelangelo buonarroti

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michelangelo buonarroti
IV A SCIENTIFICO MICHELANGELO BUONARROTI RICERCA DI GRUPPO: MARTINA COLOMBO (CAPOGRUPPO) ELETTRA MARIANI GRETA RIGAMONTI INDICE 
Biografia Pag. 3 – 4 
Madonna della scala Pag. 5 
Lotta dei centauri Pag. 6 – 7 
Crocifisso Pag. 8 – 9 
Bacco Pag. 10 – 11 
Tondo Pitti Pag. 12 
Fanciullo arciere Pag. 13 
Bibliografia Pag. 14 2
BIOGRAFIA Michelangelo Buonarroti nacque a Caprese, nella Val Tiberina, il 6 marzo del 1475. Appartenente ad una famiglia di piccola nobiltà, Michelangelo ebbe la possibilità di frequentare la scuola di Domenico Ghirlandaio col quale però non andò mai d'accordo. L'attività della bottega non corrispondeva al carattere di Michelangelo che lavorava sempre in solitudine, è in questo periodo in cui egli studiò la cultura quattrocentesca fiorentina e in particolare pittori come Filippo Lippi, Gentile da Fabriano, Verrocchio, Pollaiolo e soprattutto Masaccio. Dopo un solo anno nella bottega del Ghirlandaio, Michelangelo si allontanò per accedere al giardino di casa Medici dove era conservata una collezione di oggetti d'arte, numerose medaglie e camei antichi e dove si riunivano uomini illustri del panorama italiano della fine del quattrocento, tra i quali Angelo Poliziano, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. E' proprio in questo ambiente che l'artista matura la sua idea della bellezza dell'arte: anche per lui come per gli altri artisti rinascimentali l'arte è imitazione della natura e attraverso lo studio di essa si arriva alla bellezza, ma a differenza degli altri, lui pensa che non bisogna imitare fedelmente la natura, ma trarre da questa le cose migliori in modo da arrivare ad una bellezza superiore a quella esistente in natura. Nel 1496 lasciò la città di Firenze e si trasferì a Roma dove su commissione del cardinale Jean Bilheres realizzò la Pietà. Il gruppo scultoreo rappresenta la Madonna con in grembo Cristo senza vita. Per Michelangelo la scultura era una pratica particolare secondo la quale l'artista aveva il compito di liberare dalla pietra le figure che vi sono già imprigionate, per questo egli considerava la vera scultura quella "per via di levare" cioè di togliere dal blocco di pietra le schegge di marmo. Nel 1501, tornato a Firenze, gli viene commissionata una scultura rappresentante il David che doveva essere collocata presso il Duomo. Per la sua realizzazione gli venne affidato un blocco di marmo che era già stato usato da Agostino di Duccio. L'opera rappresenta David nell'attimo precedente lo scaglio della pietra, sono evidenti nelle membra, nelle vene a fior di pelle la tensione e la concentrazione che precedono l'azione. Il David fu collocato davanti il Palazzo Vecchio, oggi il suo posto è occupato da una copia, mentre l'originale si trova all'Accademia di Belle Arti. Sempre a Firenze, per il matrimonio di Agnolo Doni, eseguì una tavola rappresentante la Sacra Famiglia, conosciuta con il nome di Tondo Doni. Le figure eseguite con un colorismo cangiante, sono rappresentate come sculture; in primo piano, al centro, vi è la rappresentazione della Sacra famiglia, alle spalle della quale, al di la di un muretto è posto San Giovannino, mentre figure di giovani nudi occupano lo sfondo e sono ritenuti anticipazione di Prigioni eseguiti per il mausoleo di Giulio II. Nel 1503 Michelangelo si recò nuovamente a Roma dove il Papa Giulio II della Rovere gli commissionò il suo mausoleo, al quale l'artista lavorò dal 1503 al 1545. 3
Nel 1508 inoltre gli furono commissionati gli affreschi per la cappella Sistina ai quali lavorò fino al 1512. La decorazione della volta si organizza in finte strutture architettoniche, nei pennacchi angolari sono raffigurati: Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, Il serpente di bronzo e la Punizione di Amon. Nel primo registro della volta, in grandi troni di marmo delimitati da sculture, sono rappresentati Profeti e Sibille. La superficie centrale è divisa in nove riquadri separati da archi, cornici marmoree e medaglioni bronzei raffiguranti scene bibliche, culminanti nella Creazione di Adamo nel riquadro centrale. Poco dopo la morte di Giulio II Michelangelo concluse le sculture dello Schiavo ribelle, dello Schiavo Morente e del Mosè di San Pietro in Vincoli. Il nuovo Papa Leone X inviò Michelangelo a Firenze per completare la facciata di San Lorenzo e per la costruzione della Sagrestia Nuova, della Biblioteca e delle Tombe dei Medici, per le quali eseguì le sculture del Giorno e della Notte. Nel 1534 si stabilì definitivamente a Roma accettando l'incarico di dipingere il Giudizio Universale nella parete di fondo della cappella Sistina. Dopo la morte di Bramante vari architetti si susseguirono per portare a termine il progetto per la fabbrica di San Pietro e nel 1547 Paolo III affidò i lavori a Michelangelo che intervenne nella zona absidale, ma i lavori vennero conclusi solo dopo la sua morte con la costruzione della cupola che lui aveva progettato, ma che probabilmente fu modificata. L'ultima delle sue opere è la Pietà Rondanini che non riuscì a completare, oggi si trova al Castello Sforzesco di Milano. Michelangelo Buonarroti morì il 18 febbraio del 1564 a Roma nella sua casa presso il Foro di Traiano. 4
MADONNA DELLA SCALA La Madonna della scala, di cui non si conoscono menzioni durante la vita di Michelangelo, viene citata per la prima volta nell’edizione giuntina (1568) delle Vite di Giorgio Vasari, dove si riferisce che l’opera era stata donata “non è molti anni” da Leonardo Buonarroti, nipote dell’artista, al duca Cosimo I, “il quale la tiene per cosa singularissima”. Prima di questo dono, molto probabilmente l’opera era sempre rimasta nella casa dell’artista in via Ghibellina, dove tornò nel 1616, quando il granduca Cosimo II la restituì a Michelangelo il Giovane, come segno di riconoscimento per l’opera di glorificazione del grande avo che si stava avviando in quegli anni nelle sale monumentali del piano nobile. Già Vasari nota il rapporto tra la Madonna della scala e lo stile di Donatello: “volendo contrafare la maniera di Donatello, si portò sì bene che par di man sua, eccetto che si vede più grazia e più disegno”. Ma il rapporto di Michelangelo con Donatello appare, già in quest’opera così giovanile, personale, intenso, senza dubbio di rottura: una rivisitazione affascinata, ma già polemica e di congedo. Nonostante le dimensioni limitate, l’opera ha un respiro monumentale, con la figura femminile che occupa tutta l’altezza del rilievo, da un margine all’altro. Rimane ambiguo il significato sia della scala che dà il nome al rilievo sia dell’azione dei bambini: due in atteggiamento di danza e due che sembrano tendere un drappo dietro la Madonna. La data del rilievo, considerato tradizionalmente, fin dal Vasari, opera dell’adolescenza di Michelangelo, è stata ed è molto discussa: pare tuttavia da confermare una collocazione introno al 1490, prima della Battaglia dei centauri. Michelangelo Buonarroti Madonna della scala 1490 circa marmo, 56,7 x 40,1 cm Casa Buonarroti, inv. 190 5
BATTAGLIA DEI CENTAURI Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, ca 1490 – 1492, altorilievo marmoreo, 84,5 x 90,5 cm, Firenze, Casa Buonarroti. La Battaglia dei centauri o Lotta dei centauri o Centauromachia è un altorilievo marmoreo di poco posteriore alla Madonna della scala, realizzato dal giovanissimo Michelangelo. Mentre la biografia del Condivi testimonia che l’opera fu eseguita per Lorenzo il Magnifico, su un tema suggerito da Agnolo Poliziano, nell’edizione del 1568 delle Vite Giorgio Vasari inserisce la Battaglia nella descrizione del Giardino di San Marco a Firenze, celebre palestra di esercizio per alcuni giovani artisti, tra cui Michelangelo adolescente. I due biografi non concordano sull'identificazione di questo soggetto, che per il Condivi sarebbe il "Ratto di Deianira e la zuffa dei Centauri", mentre per il Vasari è la "Battaglia di Ercole coi Centauri". L'ipotesi più probabile, nonostante il titolo ormai usato in tutta la letteratura, sembra essere la prima, poiché qua e là si scorge anche qualche donna: in alto a sinistra e a destra, dietro l'uomo dal torso ben tornito. Il soggetto ha suscitato molte discussioni e resta non perfettamente definito: infatti il giovanissimo Michelangelo, pur riferendosi a una tematica già utilizzata nella cultura figurativa fiorentina dell’ultimo ventennio del Quattrocento, appare interessato a comunicare un’impressione di forza e di azione più che a illustrare un preciso episodio mitologico. L'opera risulta essere incompiuta. E’ molto probabile che Michelangelo non abbia terminato la Battaglia a causa della morte di Lorenzo il Magnifico, nella primavera del 1492. Ricerche degli ultimi anni hanno messo in luce l'ipotesi di una rielaborazione più tarda del rilievo, testimonianza dell’apprezzamento di Michelangelo, anche da anziano, per questa sua grande opera dell’adolescenza. Michelangelo la riteneva paradigmatica non solo della sua giovinezza, ma dell'intera carriera di scultore. La Battaglia rimase sempre nella casa fiorentina della famiglia Buonarroti, da dove non è mai uscita. La lastra, inquadrata da una fascia irregolare, mostra una mischia di corpi in cui, a fatica, si distinguono le forme umane da quelle dei centauri, i maschi dalle femmine, i vincitori dai vinti. I combattenti si affrontano a colpi di pietre o con le sole mani. La figura centrale, con il braccio destro alzato, è quella da cui sembra scaturire l'intero movimento a spirale, che si può cogliere nel ritmo delle membra intrecciate al centro della composizione. La posizione del Cristo giudice, potente motore dell’intera azione nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, richiama la figura centrale della Battaglia: segno anche questo della memoria sempre viva nell’artista del suo capolavoro giovanile. 6
Attorno alla figura centrale si sviluppa un groviglio di corpi che, in quelle più sporgenti, crea una sorta di piramide visiva che ha il vertice proprio nella sua testa. Tra questi personaggi più spiccati della fascia mediana si vedono, da sinistra, un uomo canuto che sta per scagliare una grossa pietra squadrata, un uomo raffigurato interamente mentre compie una torsione verso destra, e una zuffa di almeno cinque personaggi principali le cui braccia compongono un nodo inestricabile: uno di spalle trascina per i capelli un secondo, che è tenuto alla vita da un terzo uomo che col braccio destro afferra le spalle di un gruppo di due figure, una donna che strozza col braccio un uomo che tenta di liberarsi. Più isolata la battaglia infuria tra figure dal rilievo meno pronunciato; più in basso si scorgono i perdenti: un uomo seduto che si ripara la testa, un centauro abbattuto, un uomo che si sta accasciando e due lottatori uno sopra l'altro, in posizione pressoché identica, con quello dietro che si sta avventando su quello davanti armato di un sasso. Il moto indistinto consente a Michelangelo di affrontare il tema del nudo nelle pose più diverse: l'espressione delle emozioni è violenta e drammatica. L'intreccio dei corpi si traduce in un'impressione di forte energia che si sprigiona dall'interno della materia stessa. Questa misteriosa forza caratterizzerà tutta l'opera dell'artista, divenendo uno dei temi fondamentali del linguaggio di Michelangelo. Le figure si confondono le une con le altre, talvolta emergendo con forza dallo sfondo, talvolta appena sporgenti, con una straordinaria abilità nello sfruttare le potenzialità del marmo per creare diversi piani spaziali. Alcuni nudi maschili si staccano dal fondo lasciato grezzo e non finito, dispiegandosi in pose che mettono in evidenza la bellezza delle forme di classica proporzione, pur nello sprigionarsi di indomita energia. Le figure in primo piano rimangono attaccate al fondo con pezzi di marmo che dovevano essere rimossi. Tutti i personaggi mostrano i segni dello scalpello. Per quanto riguarda la striscia superiore, si può solo ipotizzare che cosa Michelangelo prevedesse di rappresentare. Rispetto ai busti le teste appaiono appena sbozzate, con risalti chiaroscurali che accentuano il carattere drammatico. La riquadratura della lastra marmorea e il fondo restano volutamente indeterminati. A parte l'ispirazione mitologico‐letteraria, all'artista interessava soprattutto esplorare il tema del nudo umano, analizzato in pose diverse e in differenti situazioni di tensione muscolare, che divenne in seguito uno dei temi più peculiari della sua arte. La fonte di ispirazione dell'opera non è chiara. Tra i precedenti della Battaglia michelangiolesca si considera il rilievo bronzeo della Battaglia in bronzo di Bertoldo, nel Museo nazionale del Bargello, suo maestro al Giardino di San Marco, che a sua volta ebbe una fonte di ispirazione in uno dei sarcofagi romani antichi conservati nel camposanti di Pisa. Ma per Michelangelo i modelli, soprattutto quelli antichi, non sono un repertorio in cui pescare per imitare, bensì il frutto di miti e passioni umane, la cui espressione, attualizzata con consapevolezza, gli permetteva di ricreare l'antico con stupefacente virtuosismo. I riferimenti sono però sorpassati dal giovane artista, che esalta il dinamismo e l'anatomia, con gesti fluidi e una notevole efficacia compositiva. 7
CROCIFISSO Michelangelo Buonarroti, Crocifisso, 1492 – 1493, legno policromato, 139 x 135 cm, Firenze, Basilica di Santo Spirito Questa è l'unica scultura lignea di Michelangelo che conosciamo. Michelangelo la realizzò durante il suo soggiorno nel Convento di Santo Spirito, dove aveva trovato ospitalità dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Il Crocifisso ligneo venne realizzato dall'artista in segno di gratitudine nei confronti del priore e venne collocato sopra l'altare maggiore. Fino al 2000 rimase al museo di Casa Buonarroti, quando si decise di riesporlo in una collocazione vicina a quella originaria, nella sagrestia di Santo Spirito. Nel Convento Michelangelo, diciassettenne indipendente da scuole e botteghe artistiche, iniziò una fase di approfondimento dedicato allo studio della figura umana attraverso l'anatomia. Egli fu autorizzato dal priore a studiare i cadaveri provenienti dall'ospedale del convento in modo semiclandestino, in quanto questa pratica sarà accettata solo a partire dal Cinquecento. È anche grazie a questa esperienza che Michelangelo divenne insuperabile nel rappresentare il corpo umano in ogni suo più piccolo dettaglio. Michelangelo, infatti, era tra i pochi a poter vantare una conoscenza "scientifica" del corpo umano da poterlo raffigurare tanto realisticamente. Il “titulus crucis” è originale, mentre non lo è il legno della croce che appartiene all'epoca della ridipintura dell'opera, avvenuta tra il XVIII e il XIX secolo. L'iscrizione, applicata a rovescio (in ebraico, greco e latino) è una trascrizione analogica sul tipo del titulus, reliquia scoperta nel 1492 a Roma e conservata a Gerusalemme. Probabilmente tra i diversi riferimenti ci fu anche il Crocifisso di Brunelleschi, conservato a Santa Maria Novella a Firenze. Ma Michelangelo, fin dalla più giovane età seppe operare con estrema libertà e autonomia creativa anche nei confronti della tradizione. Cristo è raffigurato sulla Croce in posizione sofferente. Il suo corpo è composto e piuttosto gracile, indifeso e fragile davanti al dramma del martirio e della morte. Il volto è inclinato verso il basso e leggermente ruotato verso sinistra; la fisionomia delicata ma netta nella linea del naso, nel taglio largo delle orbite, nella bocca serrata a trattenere qualsiasi espressione di dolore. Le membra sono esili, pure nella loro anatomia. Le gambe con le ginocchia piegate e unite, leggermente direzionate a destra, generano un'innovativa rotazione a serpentina e una netta spinta verso l'alto. Tale 8
rotazione non è un esercizio di stile, ma è evocata da una riflessione sulla posizione delle gambe, con quella sinistra sopra la destra per effetto della sovrapposizione dei piedi all'inchiodatura. Da ciò deriva anche l'innovativa rotazione del bacino, che arriva a rendere visibili i glutei a uno sguardo da sinistra, valorizzando anche la veduta laterale. Il modellato esteriormente delicato della scultura ha però un vigore interno che si esprime nella avvertibile torsione della figura e nella sua tensione verso l'alto. La scultura, nonostante la precisa resa anatomica, è morbida e attenta ai dettagli più delicati, come la resa dei soffici e finissimi capelli, le gocce di sangue, i tendini dei piedi e l'articolazione del ginocchio. Si tratta di caratteristiche ben diverse dalle opere più celebri dell'artista, ma a ben guardare non mancano le analogie. Ad esempio la forma e la posizione del capo è molto simile a quello della Madonna nella Pietà vaticana: lo stesso motivo della torsione e della spinta verso l'alto si ritrovano in molti dei capolavori futuri. Secondo il Condivi, questa tipologia di rappresentazione del Cristo crocifisso corrisponde a quella tratteggiata da Girolamo Savonarola, il quale esortava gli artisti a rappresentare un Cristo inerme e vulnerabile. L'opera è di altissima qualità ed è stata ricondotta a Michelangelo solo in anni recenti. In seguito allo studio di due medici nel 1999 è stata riconosciuta la stretta aderenza del crocifisso alla realtà, ritraente un giovane quattordicenne morto da poche ore: il profondo studio anatomico del corpo ha reso ancora più probabile l'attribuzione del legno al maestro fiorentino. 9
BACCO Bacco, Michelangelo Buonarroti (1496 – 1497), Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Si tratta di una delle rare opere di soggetto profano dell’artista, realizzata durante il primo soggiorno romano e ispirata ai modelli antichi osservati nella Città Eterna. La statua, in marmo, alta 203 cm., compresa la base, oggi è conservata nel Museo nazionale del Bargello a Firenze. Poco prima Michelangelo aveva scolpito un "Cupido dormiente" (oggi perduto) che, attraverso diversi passaggi, fu venduto al potente cardinale Raffaele Riario da un mercante che spacciò l'opera come una scultura antica. Il cardinale scoprì l'inganno successivamente, ma volle anche conoscere l'artista che era stato così abile nell'imitare l'arte antica, e una volta invitato Michelangelo a e fatta Roma conoscenza con lui, decise di commissionargli un'opera d'arte sempre ispirata all'antichità classica, ovvero il celebre Bacco. Michelangelo terminò l'opera nel luglio del 1497, un anno dopo averla iniziata. L'opera rivela una padronanza assoluta dell'anatomia, dei mezzi tecnici, dei valori di composizione, armonia ed equilibrio classici, ma anche di sorprendente capacità inventiva, perché creata secondo la fantasia dell'artista, senza derivazione diretta. 10
La statua evoca il mito pagano di Bacco, qui rappresentato come un "giovane dio ebbro", che barcolla sostenendo una coppa mentre dietro di lui un piccolo satiro, seduto su un tronco, approfitta furbescamente della sua ebbrezza per assaggiare l'uva che tiene con la sinistra. Il dettaglio del satiro, che ha una funzione statica e invita lo spettatore ad allargare la visione frontale verso il lato, venne ampiamente lodata da tutti gli scultori del tempo, poiché il giovane sembra davvero mangiare dell'uva con grande realismo. Il Bacco è reso in maniera naturalistica, come un fanciullo che incede con incertezza per via dell'ebbrezza, con un modellato fluido che evidenzia gli attributi di un'acerba virilità sensuale, e con effetti illusivi e tattili nel marmo che rendono l'opera in grado di gareggiare con i modelli della scultura ellenistica. La posa a contrapposto è vivace e sciolta, il volto espressivo, la sensualità evidente. Da qui deriva l'effetto dinamico: il senso di oscillazione, di instabilità, che suggerisce la camminata e il movimento tipici delle persone ubriache. La posa è barcollante e il dio non si accorge del piccolo satiro che alle sue spalle sta mordendo i grappoli d’uva stretti nella mano sinistra. La pelle di tigre è un altro attributo della divinità. Nel complesso non hanno equivalenti nell'arte del tempo. Sul capo porta una ghirlanda di pampini (foglie di vite) e di grappoli d'uva. Sempre con la mano sinistra regge una pelle di tigre o di leopardo, animali cari a Bacco, che indica la liberazione dell'anima dalla umana condizione terrena. Il Bacco di Michelangelo si rifà alla statuaria antica. Rappresenta lo splendido risultato dell'incontro dello scultore poco più che ventenne con l'onnipresente e maestosa bellezza dell'antico in Roma. Michelangelo aveva già potuto conoscere frammenti antichi a Firenze nel giardino di San Marco e nei tesori medicei, a Pisa aveva potuto vedere gli antichi sarcofagi del Camposanto, ma a Roma l'antichità gli si offriva allo sguardo e allo studio con varietà e precisione: tanto che il Bacco, nell'accostarsi alla statuaria antica, risente particolarmente di certi tratti della scultura ellenistica. Fatto per esser visto da più di un lato, il gruppo statuario articola un complesso rapporto spaziale tra il dio del vino e il suo piccolo accompagnatore, che lo avvicina furtivo da tergo. L'unicità della sua opera non sta però soltanto nell'aver raffigurato una figura in equilibrio precario, che tenta di reggersi al tronco vicino a lui (dove vediamo anche il satiro), postura che non trova riscontro nell'arte antica, ma sta anche nell'aver realizzato un dio Bacco dalle fattezze volutamente ambigue, perché, come ci suggerisce Giorgio Vasari, Michelangelo sembra "avergli dato la sveltezza della gioventù del maschio e la carnosità e la tondezza della femina": una qualità molto lodata dallo stesso Vasari. La lavorazione delle superfìci varia da parte a parte, con effetti di grana ruvida nel satiro, e di levigata politezza sull'epidermide del dio, di cui già le fonti notavano la mollezza effeminata, composta di tratti maschili e femminili. 11
TONDO PITTI Tondo Pitti, Michelangelo Buonarroti, 1503 circa, Firenze, Museo nazionale del Bargello. Il Tondo Pitti è un bassorilievo marmoreo (85x82 cm) di Michelangelo, eseguito tra il 1503 e il 1504 circa e collocato nel Museo nazionale del Bargello a Firenze. Il tondo risale agli anni in cui Michelangelo stava scolpendo il David, trovando il tempo di dedicarsi anche a qualche remunerativa commissione privata. Quest'opera in particolare fu eseguita per Bartolomeo Pitti, il cui figlio Miniato, frate a Monteoliveto, la donò a Luigi Guicciardini (1487‐
1551). In casa di suo nipote Piero, Benedetto Varchi vide l'opera nel 1564. Nel 1823 fu acquistata dalle Gallerie fiorentine per duecento scudi, dalla bottega dell'antiquario Fedele Acciai. Collocato agli Uffizi, venne destinato infine all'appena istituito Museo del Bargello nel 1873. Nel tondo si vedono Maria che, con un libro aperto sulle ginocchia, distoglie lo sguardo in lontananza come meditando sulla sorte del figlio appena letta nelle profezie delle Sacre Scritture, il Bambino appoggiato a lei in un vivace contrapposto, e, sullo sfondo appena visibile, san Giovannino. Sicuramente Michelangelo dovette essere influenzato dalla visione del perduto cartone di Sant'Anna di Leonardo da Vinci, esposto all'Annunziata proprio in quegli anni, cercando un maggior legame e interazione tra le figure e graduando i piani dello stiacciato alla ricerca di quel legante atmosferico tipico di Leonardo. Gli stessi contorni non levigati, dovuti al carattere non‐
finito dell'opera, accentuano questo effetto. Il fulcro dell'intera composizione è Maria, seduta su un blocco cubico (come nella Madonna della Scala), che sembra piegarsi per entrare al meglio nello spazio del tondo, tuttavia dando l'impressione anche di volere uscirne con forza, con la testa in altorilievo che esce dal bordo del tondo e girandosi verso sinistra rompe la rigidità dell'asse verticale del suo corpo. Il cherubino in fronte a Maria simboleggia la sua consapevolezza delle profezie, come si trova anche nella Madonna col Bambino di Donatello a Padova. Particolarmente espressivo è il contrasto tra la figura appena accennata di Giovanni Battista e la finitezza e il rilievo di quella della Vergine, dando anche l'idea dello scalare dei piani in profondità. L’opera è una delle rare committenze private portate a termine durante la lavorazione del David. L’unica parte ben rifinita è il volto di Maria che fuoriesce dei limiti del marmo e il cui scatto frontale conferisce all’immagine un senso di vitalità appena trattenuta. 12
FANCIULLO ARCIERE Fanciullo arciere, Michelangelo Buonarroti, 1494, New York, Services Culturels de l’Ambassade de France. Giovane arciere è una scultura in marmo (h 97 cm) attribuito a Michelangelo, databile al 1491‐1492 circa e conservata al Metropolitan Museum di New York. L'opera si trovava anticamente nelle collezioni Borghese, che la cedettero a Stefano Bardini per venderla. Il 27 maggio 1902 passò in un'asta di Christie's con l'attribuzione a Michelangelo e da allora se ne persero completamente le tracce, tanto che la riproduzione sul relativo catalogo restò a lungo l'unica testimonianza grafica dell'opera esistente. Negli studi novecenteschi l'opera venne messa in relazione col perduto Cupido‐Apollo scolpito per Jacopo Galli (Parronchi). L'opera è stata riscoperta solo nel 1990 dal curatore del Metropolitan Museum James David Draper nell'Ambasciata Francese (oggi Ufficio Culturale dell'Ambasciata) sulla Fith Avenue a New York. Per decenni l'opera aveva decorato una fontana nell'atrio di ingresso ed era stata probabilmente portata dall'architetto che aveva disegnato l'edificio, Stanford White[1]. L'attribuzione a Michelangelo è stata ribadita nel 1997 da Kathleen Weil‐Garris Brandt, riscuotendo alcuni consensi, ma anche critiche. Prestata per dieci anni al museo newyorkese, è stata al centro di un'esibizione sul giovane Michelangelo nel 1999 a Palazzo Vecchio e nel 2009 al MET. L'opera mostra un giovinetto nudo, a cui mancano le braccia e la parte inferiore delle gambe sotto le ginocchia. Al braccio sinistro tiene qualcosa legato, una faretra a forma di zampa leonina. Assimilabile ad opere della gioventù dell'artista, come l'Angelo reggicandelabro, il Crocifisso di Santo Spirito e il satiro nel Bacco, caratterizzate da una certa morbidezza di modellato e un'intonazione sentimentale delicata, ancora lontana dalla "terribilità" delle opere mature. La figura sembra muoversi al passo, con una torsione che va oltre un bilanciato contrappasso e che aumenta gli scorci "interessanti" visibili ruotando attorno alla statua. Probabilmente la testa era infatti rivolta alla faretra poiché in atto di sfilare una freccia. Notevole la precisione anatomica, confrontabile con alcune figure della Battaglia dei centauri. Il volto del giovane ha notevoli somiglianze con quelli degli angeli nella tavola della Madonna di Manchester. Lo stato di conservazione è compromesso, oltre che dalle parti mancanti, da scalfiture e abrasioni sulla superficie, compatibili con l'esposizione in un giardino, come gli Horti Borghese. Giunti di metallo si trovano in più punti per ricomporre alcune fratture. Si notano comunque delle piccole parti non levigate (nei capelli, nel torso) che rimandano a uno stadio di "non‐finito" così frequente nell'arte di Michelangelo. Altre parti sembrano invece levigate con cura (la faccia o le natiche). 13
BIBLIOGRAFIA  Art Book Michelangelo  Art Dossier – Michelangelo: gli anni giovanili – Cristina Acidini Luchinat; Elena Capretti; Kathleen Weil Garris Brandt SITOGRAFIA  http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_dei_centauri  http://www.casabuonarroti.it/it/collezioni/opere‐michelangelo/battaglia‐dei‐centauri/  http://it.wikipedia.org/wiki/Crocifisso_di_Santo_Spirito  http://it.wikipedia.org/wiki/Bacco_(Michelangelo)  http://geometriefluide.com/pagina.asp?cat=michelangelo&prod=bacco  http://arte.it/opera/bacco‐2123  http://finestresullarte.info/.../110‐michelangelo‐buonarroti‐bacco.php  http://it.wikipedia.org/wiki/Tondo_Pitti  http://arte.it/opera/tondo‐pitti‐2122  http://it.wikipedia.org/wiki/Giovane_arciere 14