Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
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Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
OTTO SIMBOLI MONGOLI Capitolo XXVII “L’incidente dell’Ussuri” Dimitri Vladimirovich Melnikov guardò il suo antico compagno d’armi, Sergheij Andreev, alias Irbis Zargal, seduto di fronte a lui nel suo ufficio alla sede del Partito Democratico. La sua impassibile fisionomia mostrava sincera meraviglia per la visita di quell’amico che non vedeva da anni. Una visita, preceduta da una semplice telefonata di Melnikov da Mosca, il quale gli aveva annunciato il suo arrivo alle sette del mattino seguente con il volo Aeroflot. Irbis si era recato personalmente all’aeroporto a riceverlo. Adesso, uno di fronte all’altro, si scrutavano e prendevano tempo prima di incominciare quella che si preannunciava come una lunghissima conversazione. “ Come hai fatto a rintracciarmi?”, chiese Irbis all’amico di alcuni anni più vecchio. “ Non è stato difficile. Dopo la mia promozione a colonnello dell’Armata Rossa, ricorderai che sono entrato nei Servizi Segreti dell’Esercito sempre in stretta collaborazione con l’FSB. Come fa un grande ex agente segreto dell’FSB a pensare che alla Lubianka non sappiano tutto, ma proprio tutto di Irbis Zargal, oggi Segretario del Partito Democratico mongolo?”, rispose Dimitri con un sorriso che accentuò i due solchi sulle gote del suo viso magro. 220 A cinquantasette anni, Melnikov conservava il fisico asciutto e muscoloso di quando, a venticinque, aveva incontrato Irbis per la prima volta in una località selvaggia vicina al confine con la Cina.. Adesso i suoi capelli argentati si intonavano al color acquamarina degli occhi che si fondevano con la sua pelle chiara di russo del nord. La sua esistenza era trascorsa sotto l’egida dell’Armata Rossa. Inviato in Afganistan, nel rovente decennio dell’occupazione russa, Melnikov aveva combattuto contro i partigiani tagiki di Ahmed Shah Massoud. E una volta lo aveva persino incontrato. Al tramonto di una gelida giornata autunnale la colonna di carri russi stazionava di fronte alla gola di Band-e-Ghazi, a trenta chilometri da Kabul, un luogo dove, nel 1842, le truppe britanniche erano state decimate durante la loro ritirata verso Djelalabad. I fiancheggiatori stavano esplorando gli ammassi di rocce che delimitavano le pareti del Passo per accertarsi che non vi fossero guerriglieri in agguato. Mentre con due uomini aggirava una grande roccia, all’improvviso, si trovò di fronte tre afgani. Con immenso stupore, Melnikov riconobbe il mitico Massoud, già soprannominato “Leone del Panshir” che doveva diventare un eroico emblema dell’Afganistan. Non avrebbe mai dimenticato quel viso scavato dalle privazioni e dalla lotta quotidiana senza quartiere: un viso dallo sguardo profondo e allo stesso tempo spirituale: da grande condottiero, ma soprattutto da grande uomo. Per lunghi istanti si erano scrutati con le armi in pugno, poi, per tacito assenso, ciascuno era ritornato sui suoi passi. 221 ---------------------------------------------------------------“ Ti chiederai perché mi sono fiondato a Ulaan Baataar senza neanche spiegarti il motivo di questo viaggio lampo”, disse Melnikov fissando Irbis con curiosità. Il suo antico camerata mezzo russo e mezzo mongolo sembrava in ottima forma: addirittura più giovane di quattro anni prima, quando l’aveva salutato a Mosca dicendogli che doveva sparire per qualche tempo. Evidentemente gli anni di vita selvaggia in Siberia e poi i grandi spazi ossigenati della Mongolia gli avevano giovato. Il suo viso olivastro aveva conservato una pelle molto giovane, molto più giovane dei suoi cinquantadue anni. Ma soprattutto il suo sguardo sereno lo faceva sembrare diverso dall’uomo stanco e oppresso che era stato costretto ad allontanarsi dalla capitale russa perché a conoscenza di segreti troppo scottanti. Oggi, con la sua camicia dal colletto slacciato sotto la sahariana kaki, aveva l’aria di uno sportivo che vive all’aria aperta nonostante le sue recenti responsabilità di nuovo capo del partito di opposizione. “ Sono venuto a Ulaan Baataar seguendo le tracce dei mandanti dell’assassinio di Anna, mia sorella. Te la ricordi, vero? Eravate coetanei e credo che nei tuoi brevi soggiorni a Mosca, lei si fosse presa una tremenda sbandata per te. E’ morta due settimane fa a San Pietroburgo, uccisa e mutilata in modo orrendo. Sono certo che, durante il suo incarico di parlamentare Responsabile del settore estero del Partito Comunista, abbia scoperto per caso qualche trama terroristica che stava prendendo forma a Mosca. E questo l’ha portata 222 a essere condannata a morte”, disse Dimitri con la voce arrochita dal dolore. Un dolore non ancora sopito dal tempo e alimentato dalla visione agghiacciante di quel corpo massacrato con inusitata ferocia. Sinceramente addolorato da quel racconto, Irbis rivedeva Anna, una ragazza magra, non bella, ma dalla mente acuta che si era votata alla politica, militando per anni a fianco di Zyuganov. Era vero che lei, al tempo degli allegri raduni a Mosca con gli amici del fratello, avesse provato un tenero sentimento per Sergheij Andreev, il giovane agente del KGB sempre invischiato nelle missioni più pericolose in giro per il mondo. Si, Anna Melnikova l’aveva amato, ma lui, per rispetto all’amico e ai sentimenti di quella ragazza troppo intelligente e vulnerabile, non aveva voluto approfittare di quell’amore così evidente agli occhi di tutti. E aveva mantenuto il rapporto sul piano di una sincera amicizia. Adesso lei era stata uccisa e suo fratello voleva a tutti i costi scoprire perché e da chi era stata uccisa. ----------------------------------------------------Alla porta dell’ufficio spartano del Segretario del Partito Democratico, qualcuno bussò. Un giovane assistente della segreteria si affacciò sulla soglia con espressione contrita. “ Scusa, capo, è arrivato l’ambasciatore russo che ha urgenza di parlare con te.” Irbis fece un cenno di benevolo assenso al ragazzo affinché introducesse Elena Skutova. Nella sede del Partito i rapporti erano molto informali fra gli esponenti politici e i pochi funzionari che lavoravano tutti con entusiasmo come volontari. 223 Melnikov non aveva mai incontrato Elena e non dissimulò la sua palese ammirazione per la bella donna. “ Mi sento inopportuna per essere piombata così all’improvviso senza un appuntamento nel tuo ufficio, ma ho pensato che ti potesse interessare il resoconto di una conversazione avvenuta questa mattina. Forse è meglio che torni più tardi o che venga tu all’ambasciata non appena sarai libero.” “ Invece arrivi a proposito poiché Dimitri è il fratello di Anna Melnikova, la donna che purtroppo tu stessa hai trovato assassinata nel tuo palazzo a San Pietroburgo”. Dopo aver salutato quell’uomo distinto che negli occhi portava le tracce del lutto recente, Elena comprese che la sua presenza a Ulaaan Baataar costituiva un evento straordinario: come se un nuovo anello di congiunzione si fosse saldato alla catena di tanti avvenimenti drammatici che l’avevano perseguitata dal giorno del suo arrivo in Mongolia. Melnikov non le chiese di rievocare la terribile scoperta da lei fatta con Stephan Schmidt poche settimane prima. Sapeva già tutto dai rapporti della polizia. E proprio da quelle accurate indagini era emerso l’importante indizio che lo aveva spinto a partire per Ulaan Baataar. “ Dimitri è un amico di gioventù. Ci siamo conosciuti durante gli scontri al confine fra Russia e Cina nel 1970”, disse Irbis per far capire a Elena che il nuovo arrivato era una persona con la quale si poteva parlare a cuore aperto. 224 “ Nel 1970?”, rispose Elena attonita, “ ma tu a vent’anni quale incarico avevi in quel luogo?” “ Mi avevano mandato in Cina perché con il mio aspetto orientale e la conoscenza della lingua cinese potevo infiltrarmi nell’establishment delle Forze Armate che pattugliavano il corso dell’Ussuri. Il fiume dell’Asia estremorientale di 909 chilometri che ha origine nella Federazione Russa dalla confluenza di due rami sorgentizi, l’Ulache e il Daubiche: discendono dalla catena montuosa di Sichote –Alin e una volta congiunti nell’Ussuri seguono con il suo corso medio inferiore la linea di confine con la Cina.” Melnikov ascoltava l’amico annuendo mentre il ricordo di quei giorni drammatici diventava vivo e reale come se fosse accaduto pochi mesi prima. “ Tu eri una bambina”, riprese Irbis “ Non puoi sapere che nel marzo del 1969, vicino all’isola di Damaskj al centro dell’Ussuri, ci furono duri scontri a fuoco fra le truppe di confine sovietiche e quelle cinesi. Io mi trovavo all’interno delle linee cinesi e riuscii ad annunciare con la mia piccola radio trasmittente al comando della postazione russa l’imminenza di un attacco micidiale. Fu proprio il sottotenente Melnikov a ricevere quel messaggio che salvò la vita di qualche centinaio di soldati russi. Dopo fui costretto a fuggire e ad attraversare il fiume per rifugiarmi a Damaskj dove conobbi Dimitri. “ Arrivai con una piccola barca a motore, pilotata da un pescatore che abitava in riva all’Ussuri ( Wusuli in cinese), il quale per venti yuan mi avrebbe portato persino a Habarovskj, allora in territorio sovietico. 225 Impiegammo più di dieci ore di navigazione contro corrente sotto raffiche di vento e violenti scrosci di pioggia. Non avevamo quasi nulla da mangiare tranne qualche galletta che mi era rimasta nello zaino prima di darmi alla fuga. Se i soldati cinesi mi avessero preso, mi avrebbero fucilato immediatamente.” “ Mi ricordo benissimo” interloquì Melnikov, “ quella serata gelida e nebbiosa in cui silenziosamente con gli uomini del mio plotone stavamo infiltrandoci nelle linee cinesi a sud dell’Ussuri. Non avevamo alcuna idea del terribile periodo costituito dalle truppe cinesi in agguato fra i cespugli in riva al fiume. Un silenzio pesante incombeva nell’umidore di quel clima micidiale che ci penetrava nelle ossa. Il nemico poteva essere dovunque: anche a pochi metri. I miei avanzavano con estrema cautela, consci di poter essere falciati da un minuto all’altro dal fuoco della truppa avversaria. Una mano mi battè sulla spalla e, per poco, io non mi girai di scatto sparando all’impazzata. Era il mio addetto radio che mi passava il ricevitore della trasmittente in cui sentii una voce calma che parlava in russo e che ci avvertiva di ripiegare subito poiché stavamo per cadere in bocca alla trappola che i cinesi avevano preparato. Quando fummo al sicuro la nebbia si era diradata e potemmo assistere a uno spettacolo abbastanza comico. I soldati cinesi, ormai a distanza di sicurezza per noi, furibondi perché la preda era riuscita a sfuggire, urlando si calavano le braghe e ci mostravano i loro pallidi deretani in senso di spregio. Il giorno seguente arrivò Sergheij, nostro 226 salvatore, a bordo di una bagnarola cinese che faceva acqua da tutte le parti.” Elena aveva ascoltato il racconto in silenzio rivedendo quelle scene di guerriglia ormai lontana e pensando al ragazzo ventenne affamato e lacero che eroicamente, aveva affrontato senza esitare quell’impresa rischiosa nella Cina di Mao Tze Tung nel 1971. L’anno della rottura con Lin Piao, l’uomo più vicino a Mao dall’inizio della Rivoluzione culturale, scomparso poi in circostanze misteriose. Si poteva capire che l’evoluzione di Irbis, attraverso le mille esperienze della sua vita tormentata, non era paragonabile alla sua né a quella di Melnikov che lo aveva raggiunto proprio perché aveva la speranza di essere aiutato ancora una volta dal suo amico. Ecco perché Irbis aveva chiesto a Elena di rimanere ad ascoltare il racconto di Dimitri. Elena, per uno strano caso dell’imponderabile era a San Pietroburgo la notte del delitto: il delitto che aveva condotto Dimitri in Mongolia. Da quando lei lo aveva salutato dopo la notte trascorsa insieme, nonostante il loro successivo colloquio, sembrava che nulla fosse avvenuto fra loro. Eppure, ogni volta che lo rivedeva, l’emozione la dominava al punto da dovere compiere notevoli sforzi per dissimularla e mostrare una calma soltanto apparente. Allo stesso tempo cercava di capire quali fossero i sentimenti di quell’uomo chiuso nel suo mondo interiore dove, in apparenza, non c’era posto per nessuno. Anche adesso, mentre seguiva attentamente il racconto di quella lontana avventura sulle rive dell’Ussuri, lo osservava posare il suo 227 sguardo su di lei. E più di una volta sorprese un lampo di dolcezza appassionata subito dissimulato dal calare delle palpebre sugli occhi allungati verso le tempie. Notò che a Melnikov non era sfuggita la strana tensione sopraggiunta da quando lei era entrata nell’ufficio. Assolutamente normale che qualche pensiero su loro due passasse nella testa dell’ex ufficiale dell’Armata Rossa. Un uomo e una donna che sembravano fatti uno per l’altra: entrambi con la stessa cultura alle spalle. Entrambi attraenti nel fisico e nell’anima. Dimitri, che conosceva Sergheij fin dalla prima giovinezza, aveva captato subito il profondo interesse del suo amico per quella magnifica donna, colma di tutte le doti femminili e per di più in grado di affrontare incarichi diplomatici di alto rango. Due intelligenze di quella portata erano fatte per intendersi o per opporsi. Non era il loro caso. A cinquantadue anni, Sergheij aveva incontrato la donna più importante della sua vita, ma anche se ne era innamorato poteva decidere di non legarsi a lei secondo le regole della sua esistenza da sempre priva di vincoli e da sempre destinata alle imprese più straordinarie. Guardando quell’uomo e quella donna e ripensando a quanto era riuscito a scoprire a Mosca sulla morte di Anna, Dimitri Melnikov ebbe la certezza che il suo doloroso pellegrinaggio fosse giunto nel luogo destinato a risolvere l’atroce enigma che aveva sconvolto la sua famiglia. Forse, con l’aiuto di Elena e Sergheij, avrebbe potuto trovare le risposte che cercava e Anna sarebbe stata vendicata. Capì ad un tratto che proprio il desiderio di vendetta aveva guidato i suoi passi 228 dall’obitorio di San Pietroburgo fino ai silenzi incontaminati della Mongolia. 229