Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004

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Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
OTTO SIMBOLI MONGOLI
Capitolo XIII
“Le miniere di diamanti del Khovsgol”
Ianos Misic camminava nella serata limpida verso l’Hotel Continental
dove alloggiava sempre a Ulaan Baataar. Aveva rifiutato l’offerta di
Elena di farlo accompagnare dal suo autista perché senza dubbio
quella serata non avrebbe avuto alcun proseguo con lei. E preferiva
aspettare la prossima occasione per rivedere quell’affascinante
signora russa che gli aveva promesso di invitarlo molto presto a cena
nella sua residenza.
L’albergo era piuttosto fuori da centro. Si trovava in un quartiere
circondato dai campi poiché la città confinava direttamente con la
grande prateria.
La strada era poco illuminata.
Con le mani in tasca, Ianos fischiettava la sua canzone preferita e
assaporava quella salubre passeggiata dopo la piacevole cena. Non
fece assolutamente caso all’auto che si avvicinava lentamente per
fermarsi subito di fianco a lui.
Una portiera si aprì e due uomini gli saltarono addosso spruzzandogli
la faccia con uno spray che subito lo intontì.
-------------------------------------------------------Il soffitto sembrava di stoffa e aveva una strana forma circolare.
Mosse la testa che gli girava vorticosamente e vide tre sagome
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confuse. Quando riuscì a mettere a fuoco l’immagine si rese conto di
stare seduto su una seggiola dura con le mani e i piedi legati.
Due mongoli forzuti con i capelli tirati a coda di cavallo stavano in
piedi davanti a lui. Il terzo, appoggiato a una tavola, aveva la testa
coperta da un passamontagna di tessuto sottile che quasi scolpiva i
suoi lineamenti.
L’uomo aveva una voce calma che mise i brividi addosso a Janos
Misic. Una voce che gli ricordava quella del capo della polizia segreta
di Milosevic: un suo compagno di università che era riuscito a entrare
nelle grazie dell’ex presidente serbo perché parlava un ottimo inglese.
L’uomo dal volto coperto lo guardava in silenzio aumentando la sua
angoscia. Certo lo faceva apposta e anche quel sistema gli ricordò
racconti raccapriccianti di coloro i quali avevano subito simili
trattamenti.
“ Che cosa hai raccontato alla signora russa?”, disse l’uomo con il
volto coperto.
“ Solo la storia della mia vita e…”, un potentissimo manrovescio quasi
gli staccò la testa dal collo.
“ Non abbiamo tempo da perdere: attento a non scherzare con me.”
“ Ho detto la verità: lei voleva capire per quale motivo sono arrivato in
Mongolia. Gli ho soltanto raccontato come è avvenuto il mio ingaggio
in Serbia.”
A quel punto, uno dei mongoli estrasse un coltello da caccia appuntito
e premendoglielo alla gola ne fece uscire qualche goccia di sangue.
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“ Sei certo di non avere detto altro?”, ribadì la voce pacata, ma
durissima.
“ Si.”
“ Se vuoi continuare a vivere, parti subito e tieni la bocca chiusa. Hai
capito bene? Devi partire stanotte. Sparisci da qui e non lasciare più
la miniera.”
------------------------------------------------------------“ Il signor Misic è ripartito”, disse la voce del portiere dell’Hotel
Continental alla domanda di Elena Skutova.
“ Quando?”
“ Stanotte.”
“ Ha detto quando tornerà?”
“ Non lasciato detto nulla.”
Elena si alzò dalla scrivania e mosse qualche passo per la stanza.
Rifletteva su quella partenza precipitosa. Collegò il fatto di avere
notato il pedinamento fino al ristorante cinese e pensò che qualcosa di
sgradevole poteva essere accaduto al geologo serbo. Da lui non
avrebbe potuto sapere di più. Si rammaricò di non aver accettato il
diamante che costituiva una prova e una denuncia dell’attività
clandestina
di
sfruttamento
della
vena
diamantifera
ancora
sconosciuta alle autorità mongole. E decise di agire a modo suo.
Il giorno precedente, dal Direttore Generale del Ministero degli Esteri
aveva ricevuto una telefonata sulla linea riservata che l’aveva messa
al corrente dei risultati delle indagini sulla morte di Anna Melnikova.
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L’FSB ( Federal Securitiy Bureau) aveva appurato che la deputata
comunista,
Responsabile
del
Dipartimento
Esteri
del
Partito
Comunista russo, intratteneva relazioni equivoche con rappresentanti
del Partito Comunista cinese fornendo informazioni riservate, ma
manipolate sui retroscena politici del suo Partito. Sospettata di doppio
gioco era stata eliminata.
“ Eliminata da chi? Dai cinesi o dai russi”, si chiese Elena ben conscia
dei sistemi sbrigativi dell’FSB. Quella era infatti la versione ufficiale
che non poteva essere in nessun modo verificata.
Il suo lavoro di indagine era stato produttivo: la miniera di Marai
faceva uscire dal Paese un surplus di uranio non controllato poiché il
Governo mongolo aveva assegnato limiti precisi all’estrazione che
doveva essere limitata. Inoltre era ormai certa che insieme all’uranio
venivano esportati diamanti grezzi. Quindi era vero che nel Khovsgol
esistevano vene diamantifere ancora da sfruttare. Ma dove andava
l’uranio insieme ai diamanti non lo aveva ancora appurato.
Non poteva dimenticare le notizie riservate giunte dalla Turchia a
Stephan Schmidt sui Movimenti radicali pan asiatici in tutte le ex
Republiche sovietiche.
La conversazione con l’ambasciatore cinese le aveva provocato
grandi sospetti e dubbi sulla posizione della Cina nei confronti
dell’Asia Centrale.
La morte di Hamar Zargal, mai chiarita, nonostante le indagini della
polizia mongola, inseriva nel quadro generale una nota molto oscura
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che la sconcertava poiché non riusciva a individuare quali forze
occulte si celavano dietro quel delitto.
L’altra notte nell’accampamento di Erdene Zuu, dove aveva potuto
ascoltare parte della conversazione riguardante di certo la questione
dell’uranio, lei aveva riconosciuto uno dei due interlocutori: Janos
Misic. E l’altro chi era?
A quel punto, Elena decise di ricorrere all’aiuto dell’FSB per
conoscere la destinazione dell’uranio e dei diamanti grezzi.
-------------------------------------------------------------------La giovane contorsionista Togontchuluunn sembrava un vero e
proprio serpente colorato. Sul capo, il diadema a cupola tempestato di
pietre simil preziose, scintillava sotto i riflettori e non si capiva mai
dove quella testa si trovasse: l’intreccio snodato delle sue membra la
faceva apparire ora sotto l’intrico delle gambe, ora addirittura sotto il
ventre.
La musica tipica degli strumenti a fiato aveva una melodia incalzante
che diffondeva un’atmosfera magica. Quello spettacolo della Scuola
del Circo di Stato di Ulaan Baataar dava allo spettatore la sensazione
di assistere a qualcosa di assolutamente straordinario.
Gli artisti, vere e proprie star delle loro discipline, prodigavano con una
sorta di eroismo miracoloso la loro arte.
“ Ti piace questa anteprima del vero Circo della Mongolia?”, chiese
Irbis Zargal a Elena che sembrava estasiata dalla bellezza esotica e
dalla antica tradizione che traspariva da quel palcoscenico. Non aveva
mai visto nulla di simile.
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“ Come posso ringraziarti di avermi portato in questo teatro unico al
mondo?”, rispose Elena sinceramente ammirata dallo spettacolo che
si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
“ Sono i misteri della Mongolia che apparentemente sembra brulla, ma
nasconde tesori inestimabili di arte, bellezza e cultura.”
Quel giorno Irbis sembrava una persona diversa. L’atteggiamento
chiuso e riservato aveva lasciato spazio a una cordialità simpatica.
Sembrava che volesse farsi perdonare la freddezza dell’incontro
all’ambasciata. E anche la mancanza di entusiasmo mostrato quando
l’aveva incontrata la prima volta a Ulaan Baataar.
Elena aveva accolto quell’invito con molto interesse e anche con una
certa meraviglia. Da lui non si aspettava nulla del genere. Nemmeno
l’invito a cena dopo lo spettacolo.
L’Ankara Restaurant si trovava nella piazzetta dove sorgeva il Museo
di Lenin: gestito da turchi, offriva una varietà di specialità anatoliche,
incluso, naturalmente, un ottimo kebab.
Irbis si stava rivelando un cavaliere irreprensibile.
Elena andava da una sorpresa all’altra.
Dov’era il selvaggio siberiano che si batteva nella foresta contro i
sicari che volevano ucciderlo? O il nobile capo della famiglia Zargal,
vestito secondo la tradizione mongola, solenne e orgoglioso?
Quella sera, la giacca sahariana color militare si apriva su una camicia
azzurra senza cravatta e gli dava un aspetto sportivo e intellettuale
allo stesso tempo. La sua conversazione le rivelò che aveva compiuto
studi universitari a Mosca e una laurea in psicologia che non avrebbe
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mai sospettato. Però, ora che lo ascoltava davvero per la prima volta,
nonostante i loro numerosi, ma brevi incontri, scopriva che quell’uomo
era molto più di uno psicologo: era qualcuno che sembrava conoscere
tutti i segreti del genere umano. Le venne in mente la graziosa Dalah
e la sua intima pena e comprese che nessuna donna avrebbe mai
potuto penetrare quella corazza di scetticismo oltre che di profonda,
spirituale indipendenza.
Irbis aveva l’aureola del cavaliere solitario da leggenda orientale e non
le riusciva certo di immaginarlo sposato con prole.
Dalah lo aveva capito e ne soffriva senza speranza.
“Non ti sei mai sposato? Non hai avuto figli?”, gli chiese Elena quasi
senza riflettere.
“Le vicende della mia vita non mi hanno lasciato lo spazio per una
famiglia, ma ho una figlia di vent’anni che studia storia dell’arte a
Parigi.”
Quell’uomo era stupefacente: una figlia a Parigi. Chi l’avrebbe mai
pensato?
“Come si chiama?”
“Mireille: sua madre è francese e l’ha sempre tenuta lei. Io non la vedo
da cinque anni.”
“Non ti manca?”
“Non lo so: non sono certo un padre esemplare. Ho soltanto fatto in
modo che non le mancasse mai nulla. Forse per lei è meglio che io
resti lontano.”
“ Perché?”, chiese ancora Elena stupita.
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“ Il mio destino è quello di combattere e di vivere fra i pericoli: la mia
estraneità è per lei una protezione.”
Elena comprese che l’argomento stava diventando penoso per quello
strano uomo e sviò la conversazione sul terreno che più la
interessava.
“ Che cosa hai deciso di fare per il Partito Democratico?”
“ Due giorni fa ne ho assunto la guida come avevo promesso, ma la
notizia non è ancora ufficiale.”
“ Quali nuovi impulsi porterai nel tuo Partito”, chiese Elena con
audacia.
“ Lavorerò per creare e incrementare nuovo benessere e migliore
qualità di vita per il popolo della Mongolia.”
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