Voltaire - Simone per la scuola

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Voltaire - Simone per la scuola
Voltaire
Figlio di un notaio parigino, François-Marie Arouet nasce a Parigi nel 1694 e perde
la madre a soli sette anni. Indotto a studiare presso i gesuiti, mostra un precoce
talento. Brillante e mordace, presto conquista la società parigina. Il successo
teatrale delle tragedie Edipo (1718) e Marianna (1725) gli procura protezioni e
pensioni, mentre il poema La Lega (1723), in cui impudentemente esalta i protestanti e le guerre di religione, attira su di lui l’inimicizia dei potenti. Arricchito
da fortunati investimenti, Voltaire, pseudonimo col quale è ormai noto “Arouet il
giovane”, incorre nelle ire di Rohan: colpito dal suo sarcasmo, il nobile (personaggio molto influente) lo fa bastonare dai suoi lacchè e, rifiutandogli la riparazione
in duello, lo fa rinchiudere alla Bastiglia, in cui era già stato per circa un anno a
causa di alcuni versi contro Filippo d’Orléans. Il filosofo, che ha accusato la lezione
sul rispetto dovuto ai ceti più alti, patteggia la pena con l’esilio. Il soggiorno in
Inghilterra, durato quasi tre anni, è di fondamentale importanza nella sua formazione. L’esperienza affiora nelle Lettere filosofiche o Lettere sugli inglesi (1733),
pubblicate prima in inglese e poi in francese, attraverso le quali irrompe in Francia, mo­narchi­ca e cartesiana, un’aria di libertà intellettuale e politica. Al ritorno
dall’Inghilterra è ospite della sua amante, la marchesa di Châtelet, a Cirey, dove
svolge un’intensissima attività intellettuale. I poemi, fra cui l’Enriade (1728),
nuova versione della Lega, si alternano alle opere storiografiche (Storia di Carlo
XII) e alla rappresentazione di numerose tragedie (Zaira, La morte di Cesare, Alzira, Maometto ovvero Il fanatismo, Merope). Nel 1745 viene ricevuto a corte dal
re e l’anno seguente è eletto all’Accademia di Francia. Il tradimento e poi la morte
della marchesa di Châtelet, le offese arrecate al re e alla Pompadour, lo inducono
ad accettare l’invito del monarca di Prussia Federico II. Durante i tre anni a Berlino
scrive Il secolo di Luigi XIV (1751) e Micro­mega (1752), racconto in cui appare
metaforizzato il sodalizio tra il filosofo e il sovrano. È inevitabile tuttavia che due
forti personalità entrino in urto; alla rottura definitiva il filosofo torna non senza
difficoltà dalla Prussia e si stabilisce nella sua tenuta, detta «Le Delizie», vicino Ginevra, tra la Germania che non gli offre più asilo e la Francia che glielo nega. Dietro
l’articolo di d’Alembert su Ginevra, in cui il filosofo dell’Enciclopedia rivolge severe
critiche al Calvinismo, si è più volte visto il malcontento e l’istigazione dell’amico
Voltaire. Rousseau di rimando, si lancia, in difesa della patria, in una contesa
col filosofo intorno al concetto di Provvidenza, che Voltaire mette in dubbio nel
Poema sul disastro di Lisbona (1756). Tutto ciò, compresa la simpatia dimostrata
nel Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1756) per Miguel Servet (il dissidente che Calvino fa bruciare a Ginevra), gli rivela una Svizzera meno tollerante
di quella dapprincipio osannata. Deluso, come il personaggio del suo Candido o
l’ottimismo (1759, la satira, appunto, dell’ottimismo filosofico a cui egli lavora
proprio in questi anni), cerca rifugio in Francia dove, a pochi passi dal confine,
acquista la villa di Ferney; vi vive per vent’anni, allietato da una piccola corte personale. La sua indomabile energia gli detta ancora satire, opere teatrali, racconti
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filosofici e libelli, volti soprattutto a schiacciare il fanatismo e l’intolleranza della
Chiesa Cattolica. Con interventi appassionati denuncia le insufficienze del sistema
giudiziario e ottiene la riabilitazione di Jean Calas (1762), un protestante accusato
dell’assassinio del figlio. Dal suo aureo esilio, attraverso opere memorabili come il
Trattato sulla tolleranza (1763), il Dizionario filosofico (1764), L’ingenuo (1767)
e La principessa di Babilonia (1768) continua la lotta per il trionfo dei “lumi”.
La sua vastissima corrispondenza, in cui conforta le vittime della sorte e delle
ingiustizie, rivela in lui l’abile gestore della propria fortuna e della propria fama.
Nel 1778, a Parigi, dove lo richiama un’acclamata rappresentazione dell’Irene,
Voltaire muore nel bel mezzo di un’accoglienza trionfale. L’aver acconsentito alla
ritrattazione della sua vita empia non impedisce la sua inumazione fuori città,
avendogli il clero parigino rifiutato la sepoltura religiosa. Soltanto nel 1791, in
piena Rivoluzione francese, che ha trovato in lui un padre ispiratore, le sue spoglie
sono trasferite nel Pantheon.
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