la risoluzione del rapporto di lavoro subordinato

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la risoluzione del rapporto di lavoro subordinato
LA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI
LAVORO SUBORDINATO
LA GESTIONE AMMINISTRATIVA E LEGALE
DELLE PROCEDURE DI LICENZIAMENTO
Convegno del 26 marzo 2008
Relatore:
Dott. Giovanni Francesco Cassano
INDICE
1. La risoluzione del rapporto di lavoro subordinato
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
cessazione del rapporto di lavoro ed obbligazioni successive
patto di non concorrenza
preavviso e indennità sostitutiva
dimissioni, modalità, termini e forma
rinunzie e transazioni nell’ambito di un atto di cessazione concordata del
rapporto: art. 2113 c.c.
2. Licenziamento individuale
A) il licenziamento disciplinare:
•
•
•
il potere disciplinare
le sanzioni disciplinari
la procedura disciplinare
B) giusta causa – giustificato motivo
approfondimenti e casi concreti
C) licenziamento per giustificato motivo oggettivo
1.riorganizzazione aziendale o ristrutturazione con soppressione del
posto di lavoro
2.onere probatorio
3.verifica della inesistenza di mansioni da affidare al lavoratore
4.controllo verifica del giudice, poteri e limiti
5.approfondimenti e casi concreti
D) licenziamenti plurimi individuali
E) recesso ad nutum
F) sistema di tutele:
•
•
1
tutela reale
tutela obbligatoria
H) aspetti contributivi e fiscali
3. Licenziamenti collettivi
4. Appendice 1
Schemi e prospetti
5. Appendice 2
Normativa di riferimento
Eventuali involontari errori o inesattezze non possono comportare specifiche
responsabilità, dovuta ad elaborazioni o composizioni.
La proprietà intellettuale del presente testo è del Dott. Giovanni Francesco Cassano.
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1) RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
La risoluzione o la estinzione del rapporto di lavoro può avvenire per:
A) Recesso del datore di lavoro ( licenziamento )
B) Recesso del lavoratore ( dimissioni )
Il recesso unilaterale è espressione del potere di ciascuna delle parti di sciogliere il rapporto con il
semplice mezzo della comunicazione all’altra parte; come tale il recesso è un diritto potestativo
riconosciuto dall’ordinamento in deroga al principio secondo cui in linea generale, il contratto può
essere risolto solo per mutuo consenso.
C) Risoluzione consensuale, quale accordo tra le parti diretto alla estinzione del rapporto.
La giurisprudenza ritiene verificata la risoluzione consensuale solo in presenza di una
esplicita volontà risolutiva, essendo insufficiente un generico comportamento concludente o
acquiescente del lavoratore.
D) Scadenza del termine, nei confronti a tempo determinato ( vedi capitolo 2 )
E) Altre particolari circostanze specificamente previste dalla legge: es. mancato rientro in
azienda dopo il servizio militare, dopo la malattia, dopo il superamento del c.d. periodo di
comporto.
F) Morte del lavoratore.
La morte del datore di lavoro, viceversa, non provoca la cessazione del rapporto che
prosegue con i successivi titolari dell’impresa.
1
G) Impossibilità sopravvenuta della prestazione ovvero per causa di forza maggiore.
Tale impossibilità può investire il datore o il lavoratore.
Esempio della prima è la requisizione dell’azienda, mentre per la seconda può essere
l’invalidità che comporti assoluta inidoneità al lavoro.
Pur considerando la dottrina che, individua per l’impossibilità sopravvenuta, la risoluzione
automatica del rapporto di lavoro senza una particolare manifestazione di volontà,
l’opinione prevalente ritiene che tali eventi rilevino come cause estintive non già alla stregua
della disciplina del diritto comune ( artt. 1464 e 1256, 2° c., c.c. ), ma nei limiti in cui
configurino una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, operando con la
disciplina del recesso.
H) Messa in mobilità.
I) Mancato superamento della prova ( vedi capitolo 2 ).
J) Licenziamento per raggiunti limiti d’età.
Con il raggiungimento dei requisiti per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia
( art. 4, c. 2 L. 108/90 ) il contratto di lavoro può essere risolto da ciascuna delle parti.
In tale ottica anche il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro senza che sussista
una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, ovvero ad nutum.
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I) CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO ED OBBLIGAZIONI SUCCESSIVE
Con la cessazione del rapporto di lavoro si esaurisce l’insieme di relazioni diritti-doveri dal
punto di vista giuridico, mentre residuano alcuni obblighi di natura burocratico –
amministrativa.
Tutti questi obblighi ricadono in capo al datore di lavoro e sono:
•
Compilazione e consegna, con ricevuta del libretto di lavoro
•
Consegna del modello CUD entro il 12° giorno, se richiesto dal lavoratore
•
Registrazione a libro matricola della data di cessazione
•
Dichiarazione che attesti quanto erogato a titolo di retribuzione assoggettata al
contributo di solidarietà
•
Prospetto di liquidazione del T.F.R.
•
Eventuale modello DS22, se richiesto dal lavoratore, per l’indennità di
disoccupazione o mobilità
•
Comunicazione al Centro per l’Impiego dell’avvenuta cessazione, entro il 5° giorno
successivo. Tale adempimento diventerà contestuale alla data di cessazione con il
decreto attuativo istitutivo della comunicazione unica, di prossima emissione
•
Compilazione ed inoltro della denuncia nominativa degli assicurati all’INAIL
•
Eventuale modulistica per il riconoscimento del beneficio dell’assegno per il nucleo
familiare ( ANF 43 )
•
Se lavoratore extracomunitario occorre comunicare la cessazione anche alla
Direzione Provinciale del Lavoro, alla Questura e Prefettura
•
Dichiarazione dei periodi di godimento dei permessi speciali a titolo di congedo
parentale
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Il lavoratore ha, da parte sua, l’obbligo di riconsegnare gli attrezzi, attrezzature o beni a lui fornite
per svolgere l’attività e di proprietà dell’azienda.
Tra questi sicuramente rientrano l’autovettura concessa in uso, il telefonino aziendale, il computer
portatile, il campionario aziendale e qualsiasi documento aziendale.
Un obbligo eventuale che grava sul lavoratore è l’osservanza del divieto di concorrenza sancito in
forma scritta, indipendentemente dalla data di sottoscrizione, in virtù del quale l’ex lavoratore deve
astenersi dallo svolgere attività in proprio o alle dipendenze di altri, in concorrenza con il
precedente datore di lavoro.
II) PATTO DI NON CONCORRENZA
Come anticipato, il patto di non concorrenza richiede la forma scritta e deve contenere i limiti
espliciti riferiti al luogo, la durata e l’oggetto.
Lo stesso deve altresì contenere la quantificazione del corrispettivo da garantire al lavoratore a
fronte della rinunzia allo svolgimento dell’attività lavorativa, e le modalità di erogazione.
Esistono dei limiti che si riferiscono alla durata del patto di non concorrenza che non può superare i
tre anni ( 5 per i dirigenti ), decorrenti dalla data di cessazione, al luogo che deve essere specificato
e può coprire l’intero territorio nazionale solo in casi particolari, e al corrispettivo che deve essere
proporziona to alla rinunzia imposta al lavoratore.
Il patto di non concorrenza può essere sciolto anticipatamente con il consenso di entrambi i
contraenti.
Dal punto di vista previdenziale e fiscale, il corrispettivo costituisce retribuzione computabile al
TFR ed imponibile previdenziale se erogata mensilmente.
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III) PREAVVISO E INDENNITA’ SOSTITUTIVA
Si è visto come il recesso dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato comporti
l’estinzione del rapporto.
Indipendentemente della parte che esercita tale diritto, deve essere concesso e rispettato un periodo
di preavviso ( art. 2118 c.c. ), la cui funzione è quella di evitare un pregiudizio economico all’altro
contraente, fornendogli il tempo per provvedere al personale bisogno.
Sia la dottrina sia la giurisprudenza attribuiscono al preavviso efficacia reale con la diretta
conseguenza che al rapporto di lavoro si continuano ad applicare le norme di legge e di contratto
collettivo intervenute in tale periodo.
Questo significa che alcuni eventi interruttivi del preavviso, di fatto, ne comportano il
prolungamento, es. le ferie, la malattia, l’infortunio.
Esistono dei casi in cui l’efficacia reale del preavviso può essere ridotta, ad es. quando è il
C.C.N.L. che prevede la possibilità del recesso senza preavviso con pagamento della relativa
indennità a carico del recedente ( es. contratto collettivo per i dipendenti da imprese alimentari ),
oppure per accordo tra le parti diretto all’esonero immediato dagli obblighi relativi alle reciproche
prestazioni.
Ogni contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce la durata minima del preavviso,
generalmente correlandola al livello o categoria e all’anzianità.
In qualche caso viene richiamata anche la qualifica ( impiegato, operaio ).
La durata del preavviso, stabilita dal C.C.N.L., non può essere ridotta dalle parti, le stesse non
possono neppure preventivamente escluderlo.
La consolidata giurisprudenza ammette una durata maggiore del preavviso mediante accordo
individuale, così come ammette a causa di particolari esigenze personali o aziendali, una proroga
concordata consensualmente.
Le parti possono, con il comune consenso, decidere di sostituire l’attività lavorativa effettuata
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durante il periodo di preavviso con l’indennità sostitutiva. In questo caso l’interruzione del rapporto
avviene immediatamente.
IV) DIMISSIONI, MODALITA’, TERMINI E FORMA
Uno dei modi per recedere dal contratto di lavoro subordinato, consiste nella manifestazione di
volontà da parte del lavoratore.
Molti contratti collettivi prevedono espressamente la forma scritta per manifestare la volontà di
recesso anche se in linea generale la stessa può essere comunicata oralmente.
Affinché tale volontà sia valida ed efficace, occorre che la sua formazione sia libera da minacce,
errore o incapacità.
La minaccia, utilizzata per raggiungere uno scopo diversamente irraggiungibile con mezzi leciti,
rende invalide ed annullabili le dimissioni.
Sono altresì annullabili le dimissioni manifestate a seguito di un errore di giudizio o valutazione.
Nel caso d’incapacità d’intendere e di volere, le dimissioni, pur essendo annullabili, non
comportano l’equiparazione di licenziamento illegittimo, situazione invece prevista nell’ipotesi di
dimissioni ottenute con la minaccia. Sono nulle le dimissioni sottoscritte, senza data all’atto
dell’assunzione.
All’atto della comunicazione delle dimissioni occorre specificare al datore di lavoro i termini di
preavviso.
Un caso particolare si riferisce alle dimissioni incentivate, ovvero sollecitate dal datore di lavoro a
fronte di una erogazione di denaro e liberamente formate nella volontà del lavoratore.
Con l’entrata in vigore della legge 17 ottobre 2007 n. 188, non è più possibile ricevere dal
lavoratore le dimissioni su un foglio di carta generico(a pena di nullità delle stesse). Infatti il
lavoratore, dovrà munirsi di un modello standard, scaricabile dal sito del ministero, o
distribuito presso le Direzioni Provinciali del lavoro, foglio pre numerato e pre datato, con
validità di 15 giorni dalla emissione.
Una volta compilato ed inoltrato ondine al Ministero, lo stesso, stampato, potrà essere
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consegnato al datore.
APPUNTI
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DIMISSIONI
giusta causa ( art. 2119
c.c. )¹
VOLONTARIE
IN PERIODO DI PROVA
(Art. 2096 c.c.)
SENZA PREAVVISO
QUALIFICATE ²
( INCENTIVATE ) ³
VOLONTARIE CON PREAVVISO ( Art. 2118 c.c.)
DIMISSIONI
VOLONTARIE CONDIZIONATE
DI
LAVORATRICI MADRI O LAVORATORI PADRI
( art. 55 D.Lgs. 151/01 ) *
PRESUNTE
INESISTENTI
PER FATTI CONCLUDENTI
-DI LAVORATRICI SPOSE
( art. 1 L. 7/63 )
NULLE
-ESTORTE
-IN BIANCO
- SENZA AVER RISPETTATO
IL DETTATO DELLA LEGGE
17 OTTOBRE 2007 N. 188
1 Con indennità sostitutiva del preavviso a carico del datore di lavoro
2 In genere, solo per i dirigenti, con indennità di importo variabile a carico del datore di lavoro
3 Rectius: risoluzione consensuale
* Necessità convalida da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro. Se convalidate, competono ai lavoratori
da parte del datore di lavoro le indennità sostitutive del preavviso previste in casi di licenziamento ed i lavoratori non
sono tenuti ad effettuare il periodo di preavviso.
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2) LICENZIAMENTO INDIVIDUALE
Come abbiamo visto in precedenza ( pag. 19 ) il licenziamento è una delle forme di estinzione del
rapporto di lavoro subordinato e consiste in una manifestazione di volontà unilaterale.
Nella evoluzione di tale disciplina si è passati da una previsione oggettivamente discrezionale a
favore del datore di lavoro, contenuta nel codice del 1942 ad una situazione di maggiore tutela,
almeno economica, introdotta dalle successive norme ( L. 15 luglio 1966 n. 604, L. 20 maggio
1970 n. 300, L. 11 maggio 1990 n. 108 ).
Nella previgente normativa, generata da principi liberali, vi era il tentativo di equivalenza, formale,
dei diritti, nell’ottica della libertà individuale.
Di fatto il potere economico – psicologico del datore di lavoro, spezzava, in tempi di alta
disoccupazione, il fragile equilibrio imposta dalla forma ed inesistente nella sostanza.
Tutti gli interventi successivi hanno cercato di dare corpo alle legittime aspettative dei lavoratori,
dirette ad una tutela della dignità personale, non sempre slegabile dall’aspetto economico, rispetto
ad un potere troppo discrezionale.
In quest’ottica, lo spartiacque ideale è la legge n. 604 del 15 luglio 1966, che attribuisce rilievo
giuridico al profilo causale di un potere che, nella ispirazione del codice civile, era ritenuto
sostanzialmente insindacabile e svincolato da oneri causali, introducendo il principio della
giustificazione del recesso.
Il licenziamento costituisce un negozio unilaterale recettizio a forma vincolata che si perfeziona nel
momento in cui la dichiarazione di volontà del recedente giunge a conoscenza del destinatario.
La forma di intimazione del licenziamento è senza dubbio quella scritta, richiesta ad substantiam,
con sottoscrizione in originale da parte del datore di lavoro o da un rappresentante che abbia i
relativi poteri.
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Tale disciplina è contenuta nell’art. 2, comma 1, legge 604/66.
Da tale norma si ricavano altri importanti spunti, quali l’identificazione del soggetto legittimo ad
intimare il licenziamento e la determinazione del momento dal quale l’atto produce effetti giuridici
rilevanti.
Solo il datore di lavoro oppure le persone munite dei poteri dispositivi nel caso di soggetto con
personalità giuridica, sono legittimate ad intimare il recesso.
Nel caso di comunicazione di licenziamento intimata da persona non munita di alcun potere, diversa
dal datore di lavoro, la stessa non è colpita da nullità assoluta ma è annullabile o ratificabile dal
legittimo datore di lavoro.
Gli articoli 1334 e 1335 del c.c. regolano la materia in tema di termini per gli effetti degli atti
unilaterali.
Infatti è previsto che “gli atti unilaterali producono effetti nel momento in cui pervengono a
conoscenza della persona alla quale sono destinati”.
La presunzione di conoscenza si manifesta “nel momento in cui gli atti giungono all’indirizzo del
destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne
notizia”.
Particolare importanza riveste tale ultimo aspetto dal punto di vista delle modalità con le quali la
volontà di recedere da parte del datore di lavoro viene portata a conoscenza del lavoratore; infatti
sempre più spesso, si assiste all’interno delle aziende al rifiuto da parte del lavoratore di ritirare la
lettera di licenziamento, con invito del lavoratore ad inoltrarle, tramite servizio postale, salvo il
successivo rifiuto a ritirarla anche da quest’ultimo. Nonostante questi tentativi, tendenti a differire
l’evento, occorre definire dei punti di riferimento.
Il lavoratore, in virtù del rapporto esistente sostenuto dagli obblighi di diligenza, obbedienza e
buona fede, e assoggettato al potere direttivo – organizzativo e disciplinare, non può rifiutarsi
all’interno dei locali aziendali e in orari di lavoro di ricevere le comunicazioni da parte del datore di
lavoro.
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Quindi, quand’anche si rifiuti di ricevere la lettera di licenziamento, il licenziamento si considera
regolarmente avvenuto ( Cass . 12 Nov. ’99 N. 12571 ).
Risulta ovvio che al di fuori dei locali aziendali, comprendendo il suo domicilio, tale obbligo non
sussista.
La notifica della comunicazione di licenziamento effettuata tramite ufficiale giudiziario comporta
l’obbligo di ricezione da parte del lavoratore, con la conseguente efficacia dell’atto.
Quando la notifica viene effettuata tramite il servizio postale, la prova della conoscenza del
licenziamento è fornita dall’avviso di ricevimento della raccomandata o dell’attestazione del
periodo di giacenza presso l’ufficio postale.
Risulta chiaro che è il destinatario che deve dimostrare che la mancata conoscenza del
licenziamento è avvenuta per causa a lui non imputabile.
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A) IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Si tratta del licenziamento volto a sanzionare un comportamento del lavoratore e non collegato con
oggettive esigenze organizzative o produttive dell’azienda, ma riferito a violazioni di prescrizioni
contrattuali e non di diligenza o più in generale di norme di comportamento e civiltà.
Tale forma di recesso non deve essere intesa come una categoria autonoma e aggiuntiva rispetto alle
previsioni del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, e deve essere considerata come
l’estrinsecazione formale quando la giusta causa o il giustificato motivo divengano inadempienza o
colpa del lavoratore.
IL POTERE DISCIPLINARE
Abbiamo visto in precedenza che il rapporto di lavoro, quale contratto, oltre che essere basato sulla
cessione di attività lavorativa a fronte di un corrispettivo, trova il suo giusto completamento in
alcune regole fondamentali definite dagli artt. 2104 e 2105 del C.C.
Tali articoli contengono la specifica degli obblighi contrattuali ai quali si deve attenere il lavoratore
subordinato nello svolgimento dell’attività a favore del datore di lavoro.
L’art. 2106 cod. civ. stabilisce che l’inosservanza, da parte del prestatore di lavoro, degli obblighi
previsti nei due articoli precedenti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo
la gravità dell’infrazione e in conformità delle norme corporative.
Anche il potere disciplinare nel corso del tempo, ha subito una sostanziale compressione, spogliato
del principio di immediatezza, intesa come difesa del potere datoriale fine a se stesso per la tutela
dell’interesse dell’imprenditore, e trasformato in uno dei requisiti procedimentali, a garanzia della
posizione contrattuale del lavoratore.
In quest’ottica si definisce potere disciplinare del datore di lavoro il potere di garantire il rispetto
dell’organizzazione all’interno dell’impresa, mediante la propria facoltà d’imporre delle sanzioni
“private” nei confronti dei lavoratori ove sussistano comportamenti configuranti violazioni degli
obblighi contrattuali. Tali obblighi sono contenuti negli articoli 2104 e 2105 e sono i doveri di
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diligenza, obbedienza e fedeltà.
Considerato che l’obbligazione fondamentale da parte del lavoratore consiste nello svolgimento
dell’attività lavorativa, l’oggetto di tale obbligazione è la prestazione diligente.
Il parametro di riferimento per definire la diligenza richiesta al lavoratore è la natura della
prestazione dovuta; infatti l’art. 2104 specifica che “la diligenza deve valutarsi con riguardo alla
natura dell’attività esercitata”.
Con riferimento al dovere di obbedienza, sempre indicato nell’art. 2104, comma 2, c.c., va
riconosciuta la natura di soggezione giuridica in senso proprio, in quanto il lavoratore soggiace agli
effetti dell’esercizio del potere altrui e alle modificazioni che questo produce nella propria sfera
giuridica, concretizzandosi nell’obbligo di osservanza delle disposizioni impartite dall’imprenditore
e dai collaboratori di questo dai quali il lavoratore dipende per la esecuzione e per la disciplina del
lavoro.
L’obbligo di fedeltà a cui fa riferimento l’art. 2105, c.c., è oramai comunemente circoscritto ai
divieti di concorrenza e divulgazione di notizie non estendendosi verso generiche posizioni
obbligatorie di fedeltà.
Tali obblighi sono di natura accessoria rispetto alla prestazione di lavoro, e possono perdurare
anche in assenza di prestazione lavorativa ( es. malattia ).
La violazione degli obblighi sopraccitati comporta un inadempimento contrattuale che può essere
sanzionato dal datore di lavoro allo scopo di salvaguardare l’equilibrio dell’organizzazione
aziendale.
La duplice funzione del potere disciplinare, ed in specifico del potere sanzionatorio, è da un lato
quella di pretendere l’esatto adempimento, da parte del lavoratore, o la rimozione del
comportamento o dell’atto che lo impediscono, e dell’altro di monito per la collettività dei
lavoratori a non porre in essere gli stessi illeciti, sempre nell’ottica della proporzionalità tra eventi.
L’esercizio del potere disciplinare passa attraverso le regole procedimentali, fis sate dall’art. 7,
comma 1, Statuto dei lavoratori ( Cass. 30 dicembre 2004 n. 24187 ).
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Tale previsione ha l’evidente scopo di proteggere il lavoratore da eventuali azioni scorrette o illecite
da parte del datore di lavoro.
La norma può essere a sua volta integrata e resa più rigida dalla previsione contrattuale collettiva,
nel senso che i contratti collettivi possono indicare ulteriori requisiti procedurali.
Ad esempio, stabilire un termine entro il quale il provvedimento disciplinare deve essere irrogato, a
pena di decadenza .
Per poter sanzionare dei comportamenti del lavoratore occorre che il datore di lavoro porti a
conoscenza di tutti i propri dipendenti le norme disciplinari sia che si tratti di quelle previste dalla
contrattazione collettiva sia che si tratti di un regolamento interno aziendale.
Infatti è prevista la possibilità che il datore di lavoro predisponga un regolamento interno, diretto ad
indicare le condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa e la disciplina da osservare all’interno
del luogo di lavoro.
E’ evidente che aziende con particolari caratteristiche adottino regole interne diverse.
Lo Statuto dei lavoratori, sempre all’art. 7, stabilisce l’obbligo, in capo all’imprenditore,
d’informare i lavoratori sull’esistenza del regolamento disciplinare contrattuale o interno, affinché
le violazioni e le relative sanzioni siano conosciute a priori.
Sulla analiticità dell’indicazione, oramai la giurisprudenza ha creato un orientamento negativo,
stabilendo che è importante la chiarezza delle ipotesi in modo schematico senza l’obbligo di
sviscerare tutte le possibili fattispecie.
La modalità prevista dalla norma con la quale si porta a conoscenza dei lavoratori l’esistenza ed il
contenuto del regolamento è “l’affissione in luogo accessibile a tutti”.
Molto si è dibattuto sull’interpretazione di tale prescrizione con riferimento ad eventuali deroghe
sul requisito dell’accessibilità.
Si può affermare che l’obbligo di affissione sussiste certamente per le norme contenute nel
C.C.N.L. ed al massimo per quelle riportate negli accordi aziendali, mentre nessun obbligo sussista
per le norme che tutelano i fondamentali doveri di civiltà e correttezza, propri in ogni cittadino e
non esclusivi del lavoratore.¹
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La conseguenza della mancata affissione del regolamento disciplinare in luogo accessibile a tutti i
lavoratori è, tranne nel caso di violazione di doveri fondamentali del cittadino, la nullità di qualsiasi
atto disciplinare adottato nei confronti del lavoratore.
Per accessibilità s’intende un luogo raggiungibile dal lavoratore direttamente senza controllo a
distanza ed in modo non disagevole.
E’ stato censurato il caso di un’azienda edile che aveva esposto il regolamento in cantiere appeso
dietro i bagni mobili, mentre gli stessi erano posizionati a pochissima distanza dalla recinzione che
delimitava il cantiere.
Nel caso di più sedi, l’affissione, in apposita bacheca, dovrà avvenire in ogni sede, mentre per il
personale viaggiante, è prevista la consegna all’atto di inizio rapporto, di una copia del regolamento
con l’indicazione che lo stesso è affisso in azienda.
¹
- Cass. 2 settembre 2004 n. 17763
- Cass. 3 gennaio 2005 n. 17
- Tribunale di Milano 16 novembre 2001
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SANZIONI DISCIPLINARI
Nel momento in cui l’azienda rileva il verificarsi da parte del lavoratore di un inadempimento può
attivare la procedura disciplinare destinata ad eliminare tale atto o comportamento.
Abbiamo visto che di regola l’inadempimento del lavoratore è riferito all’ambito lavorativo–
professionale e che in rari casi l’azienda può procedere per un evento extra professionale accaduto
al lavoratore.
Si pensi al caso del cassiere, accusato di rapina o furto al di fuori dell’istituto per il quale presta
attività lavorativa.
Con il divieto contenuto nell’art. 7, comma 4 dello statuto dei lavoratori riferito alla impossibilità da
parte del datore di lavoro di irrogare sanzioni modificative nei confronti del lavoratore viene
definito il perimetro d’azione entro il quale lo stesso può esercitare il suo potere disciplinare.
In tal senso individuiamo due categorie fondamentali di sanzioni:
1. conservative
2. espulsive
Le sanzioni conservative, previste dal succitato articolo dello statuto dei lavoratori, sono
sostanzialmente il rimprovero orale, scritto, la multa, la sospensione dal servizio e dalla
retribuzione.
Tale elenco, non essendo tassativo, non preclude la possibilità che la contrattazione collettiva e
aziendale prevedano nuove e più articolate sanzioni.
La contestazione di violazioni che comportino provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero
verbale deve essere fatta per iscritto.
Tale comunicazione non soggiace ad alcuna formalità, quanto al contenuto, salvo l’obbligo della
specificità, immediatezza ed immutabilità.¹
L’art. 7, comma 4 dello Statuto dei lavoratori fissa alc uni limiti al potere d’irrogare le sanzioni
conservative; ad esempio la multa non può superare le 4 ore della retribuzione base, mentre la
sospensione dal servizio e dalla retribuzione non può essere superiore a 10 giorni.
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Particolare attenzione è stata rivolta dalla giurisprudenza al trasferimento disciplinare ed alla
sospensione cautelare.
Con il trasferimento del lavoratore ad altra sede produttiva, in presenza di situazioni rilevanti dal
punto di vista disciplinare, il datore di lavoro rispetta il principio di gradualità della sanzione,
conservando il posto di lavoro senza violare il dettato normativo circa il divieto di modificare
definitivamente il rapporto di lavoro.
La sospensione cautelare, è lo strumento provvisorio necessario per pervenire all’adeguato
provvedimento disciplinare nell’ipotesi in cui la presenza del lavoratore in azienda sia incompatibile
alla luce della violazione disciplinare commessa.²
Essa è applicabile ogni volta che il lavoratore sia sottoposto a procedimento disciplinare o penale,
senza che vi sia una previsione da parte della contrattazione collettiva, rientrando nell’esercizio del
potere del datore di lavoro.
La stessa non può superare i limiti indicati nello statuto dei lavoratori e può essere regolamentata
dai contratti collettivi.
Durante la sospensione cautelare, atto unilaterale da parte del datore, la retribuzione deve essere
riconosciuta ed erogata, salvo il caso in cui l’esito della procedura disciplinare si concluda con il
licenziamento del lavoratore.
In tale situazione la mancata erogazione ha effetto anche per il periodo di sospensione cautelare.
¹- Cass. 14 agosto 2004 n. 15912
- Cass. 22 dicembre 2004 n. 23752
- Cass. 25 maggio 2005 n. 10985
² - Cass. 30 dicembre 2004 n. 24187
- Cass. 16 settembre 2004 n. 18722
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PROCEDURA DISCIPLINARE
Come precisato in precedenza, il potere disciplinare, quale manifestazione ed estensione del potere
direttivo - organizzativo del datore di lavoro, è previsto e rigidamente regolamentato dalle norme.
Si parla, infatti, di procedura disciplinare, quale insieme di regole necessarie per la tutela degli
interessi delle parti del rapporto.
La violazione, anche formale di una di queste regole, comporta la nullità della procedura stessa
( Cass. 2 maggio 2005 n. 9066 ).
Esistono dei rapporti di lavoro ai quali non si applicano o si applicano con limitazioni le tutele
procedurali dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori.
Tali rapporti, sui quali la giurisprudenza sta incidendo in modo significativo, sono:
-
lavoro domestico
-
lavoro a domicilio
-
lavoro sportivo
-
dirigenti
Occorre precisare che gli attuali orientamenti della giurisprudenza per i dirigenti sono tutti diretti al
riconoscimento delle tutele, differenziando tra dirigenti apicali e non.
Per i primi non vi è tutela dell’art. 7 s.l. , mentre i secondi sarebbero coperti dalla tutela ( vedi
articolo allegato ).
Di seguito esponiamo in modo schematico gli elementi fondamentali della procedura disciplinare.
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PROCEDURA DISCIPLINARE
La peculiarità del licenziamento disciplinare consiste nella obbligatorietà dello svolgimento, in
modo fedele e totale, della procedura.
In tal senso gli elementi che la costituiscono e le conseguenze per il mancato rispetto sono di
seguito schematicamente elencati:
1. codice disciplinare : è necessaria la preventiva affissione dello stesso, in un luogo
accessibile a tutti i lavoratori, art. 7 comma 1, legge n. 300 1970. Tale obbligo ha come
scopo la necessaria conoscibilità degli obblighi, da parte del lavoratore, e delle
conseguenze per le violazioni. Tale inderogabile modalità di pubblicità, rende inidonee
in modo assoluto altre forme equipollenti di comunicazione. ( es. l’avviso in bacheca
indicante la possibilità di consultare il contratto collettivo o il codice disciplinare,
custoditi in un determinato ufficio. Esempio l’affissione in un locale accessibile soltanto
per specifiche esigenze e dotato di un ingresso disagevole in quanto situato dietro
un’area occupata da grande quantitativo di materiale e completamente privo di
illuminazione naturale. Es. forme di comunicazione che abbiano per destinatari
direttamente i singoli lavoratori, mediante consegna a mano all’atto dell’assunzione.)
L’affissione deve essere in atto al momento in cui viene commessa l’infrazione e viene
predisposta la contestazione al lavoratore. In assenza di tale procedura il datore di
lavoro non può sanzionare il lavoratore per i suoi comportamenti e si produce la nullità
della sanzione eventualmente irrogata.
Per consolidata giurisprudenza, l’omessa
pubblicazione del codice disciplinare, non rende invalido il licenziamento quando i
fatti addebitati configurano illeciti penali o gravi violazioni dei doveri fondamentali
del lavoratore ( es. dovere di fedeltà, della tutela del patrimonio aziendale e de lla
reputazione del datore di lavoro).
19
2. contestazione scritta: l’art. 7 c. 2, L. 300/1970 stabilisce che la contestazione degli
addebiti configuranti una ipotesi di infrazione disciplinare, deve essere fatta per iscritto e
deve rispondere ai seguenti requisiti:
•
Contenuto:
la contestazione
non richiede particolari formalità, infatti la
giurisprudenza ritiene che non sussista alcun obbligo, a carico del datore di lavoro,
né d’indicare la sanzione del licenziamento che intende presumibilmente irrogare
come invece previsto da alcuni C.C.N.L., né di rendere note al dipendente le prove a
suo carico. Viceversa è richiesta la corrispondenza tra l’addebito contestato e quello
posto poi a fondamento del licenziamento disciplinare.
•
Immediatezza : questo elemento deve essere valutato con riferimento al momento
della commissione o della conoscenza del fatto contestato e deve quindi essere inteso
in senso relativo, ben potendosi attribuire un intervallo di tempo necessario per
l’approfondimento dei fatti e della condotta del lavoratore. La violazione
del
principio d’immediatezza nella contestazione si può configurare quando il datore di
lavoro, acquisita la piena certezza dell’esistenza e della violazione, ne ritardi la
contestazione, oppure la rinvii per utilizzare l’eventuale ripetizione dell’illecito come
pretesto per l’irrogazione di una sanzione disciplinare più grave (Cass. 16 giugno
1987 n. 5309).
•
Specificità: La contestazione deve essere formulata
in modo specifico e non
generico, ma è ammesso un richiamo sintetico dell’episodio o del fatto, con
eventuale riferimento ad una precedente comunicazione inoltrata al lavoratore. Sulla
contestazione, per pacifica giurisprudenza non sono necessari, da parte del datore di
lavoro, i richiami alle norme legali o contrattua li che si presumono violate tranne nei
casi di comportamenti omissivi da parte del lavoratore. In tali casi occorre indicare la
regola di condotta alla quale il lavoratore avrebbe dovuto far riferimento e da lui non
20
rispettata.
•
Immutabilità: I fatti o comportamenti oggetto della contestazione di violazione non
possono
differire da quelli indicati nel provvedimento sanzionatorio. Tale
coincidenza è necessaria per il rispetto del principio di tutela del diritto alla difesa
del lavoratore costituzionalmente garantito. Questo significa che nuovi fatti o
elementi potranno essere aggiunti solo allo scopo di chiarire gli aspetti concreti
dell’episodio per la conferma dell’addebito già contestato ma non per dimostrare
una maggiore gravità.
•
Comunicazione : la contestazione d’infrazioni comportanti sanzioni disciplinari più
gravi del rimprovero verbale deve essere effettuata per iscritto. Essa viene
ricompressa tra gli atti unilaterali recettivi, ovvero quegli atti che si presumono
conosciuti una volta giunti all’indirizzo del destinatario. Non sono specificate nella
norma le modalità di consegna e questo ha generato non pochi equivoci. Nel
rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima l’obbligo del
lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro, in
dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale è sottoposto, ma non si rileva
un analogo obbligo, al di fuori dell’orario e del posto di lavoro. Questo significa che
il lavoratore ha l’obbligo di ricevere la comunicazione del licenziamento quando è
effettuata sul luogo di lavoro (consegna a mano) e quando è effettuata a mezzo di
notifica con ufficiale giudiziario, mentre può rifiutarsi di ricevere qualsiasi
comunicazione fuori dai sopraccitati termini.. La notifica tramite la raccomandata si
considera valida se la consegna è comprovata della ricevuta di ritorno, o dalla
ricevuta di compiuta giacenza.
3. Difesa: il lavoratore ha tempo 5 giorni dal ricevimento della contestazione per produrre
le proprie difese e controdeduzioni, orali o scritte, mentre il datore di lavoro non ha
nessun onere di invitare il lavoratore a discolparsi oralmente(Cass. 7 gennaio 1998 n.
21
67). Infatti
l’unico obbligo in capo al datore di lavoro è quello di ascoltare le
giustificazioni a difesa fornite direttamente dal lavoratore o con l’assistenza di un
rappresentante dell’associazione sindacale cui ha conferito mandato. Sul termine di 5
giorni si sono avute diverse pronunce della S.C. con due orientamenti contrastanti.
Infatti l’una considera il termine “dilatorio” con la conseguenza che se il lavoratore
presenta la sua difesa senza manifestare esplicitamente l’intenzione di produrre ulteriore
documentazione integrativa entro il termine stabilito, non occorre attendere
necessariamente il decorso dei 5 giorni previsti prima di adottare il provvedimento.
L’altra considera il termine tassativo con la conseguenza che anche se il lavoratore ha
esaurito il proprio diritto alla difesa, non potrà essere emesso alcun provvedimento
prima che siano trascorsi i 5 giorni. Alcuni C.C.N.L. prevedono un termine entro il quale
il provvedimento disciplinare, licenziamento, deve essere irrogato pena di nullità, mentre
altri stabiliscono un termine di riflessione prima del quale il provvedimento non può
essere irrogato.
4. Proporzionalità: L’art. 2106 del Codice Civile dispone che nel legittimo esercizio del
potere disciplinare è necessaria la proporzionalità tra infrazione commessa dal lavoratore
e sanzione irrogata dal datore di lavoro, rimandando alla contrattazione collettiva o al
datore, in un eventuale regolamento aziendale, il compito di specificarne i contenuti
sulla base della identificazione della correlazione tra evento e sanzione. Tutta questa
attività è subordinata al controllo del giudice. In tal senso la giurisprudenza ha elaborato
i principi su cui il giudice di merito deve basarsi nella sua valutazione: 1) precedenti
disciplinari del lavoratore; 2) circostanze del caso concreto (natura e qualità del
rapporto, posizione gerarchica, mansioni).
5. La recidiva: Si parla di recidiva quando il lavoratore commetta la medesima mancanza,
precedentemente sanzionata con un provvedimento disciplinare non contestato nell’arco
temporale di due anni. In presenza di “recidiva” la giurisprudenza ritiene che la prima
22
mancanza può essere elemento costitutivo della seconda e, pertanto, la preventiva
contestazione deve riguardare anche la stessa recidiva, o comunque, i precedenti
disciplinari che la integrano, p di nullità della sanzione irrogata, senza che
necessariamente la contestazione contenga il termine “recidiva”.
6. Conseguenze : Il licenziamento disciplinare intimato in violazione delle garanzie
procedurali è illegittimo ed inefficace con gli stessi effetti del licenziamento privo di
giusta causa o giustificato motivo, ovvero in base ai limiti dimensionali previsti dall’art.
18 L. 300/70, ovvero:
•
Unità produttive con più di 15 dipendenti o con datori di lavoro con più di 60
dipendenti
NULLITA’ DELL’ATTO
.
Tutela reale con reintegrazione del lavoratore in azienda salvo che questi chieda
l’indennità sostitutiva per un massimo di 15 mensilità della retribuzione globale di
fatto.
•
Unità produttive sino a 15 dipendenti o datori di lavoro fino a 60 dipendenti.
ILLEGITTIMITA’ DELL’ATTO
Tutela obbligatoria con scelta per l’azienda fra riassunzione del lavoratore e
risarcimento del danno (da 2,5 a 6 mensilità riferita alla retribuzione globale di
fatto)
23
MODULISTICA
•
Lettera di richiamo :
Società xxyyy
Via
Cap …….Milano
C.F./P.I……………….
Luogo………..,data…………
Egr.Sig
Gent.Sig.ra
Tizio e caio
Via ...........
Cap……Milano
RACCOMANDATA A.R.
Oggetto: Contestazione violazione disciplinare
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art.7, L.20.05.1970, n. 300, nonché della regolamentazione
disciplinare collettiva ed aziendale, Le contestiamo quanto segue.
Ella non si è presentato al lavoro dal giorno………al giorno…….ed è assente alla data di
spedizione della presente , senza aver informato l’azienda e senza aver fatto pervenire
giustificazioni in merito. Pertanto ella risulta assente ingiustificato dal giorno……..
La invitiamo a produrre sue giustificazioni per l’evento sopra indicato, entro il termine di giorni
5 dal ricevimento della presente, riservandoci sin d’ora la facoltà di emettere il provvedimento
disciplinare previsto per tali violazioni.
In attesa, porgiamo distinti saluti
TIMBRO AZIENDA E FIRMA
24
•
Lettera di irrogazione del provvedimento disciplinare:
Società xxyy
Via…………
Cap……Milano
C.F./P.I…………..
Luogo…….., Data……..
Egr. Sig.
Gent.Sig.ra
Via...........
Cap........Milano
RACCOMANDATA A.R.
Oggetto: Licenziamento disciplinare
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art.7, L.20.05.1970/300, nonché della regolamentazione
disciplinare collettiva ed aziendale, in riferimento alla contestazione del………, da lei
ritirata/ricevuta il……., in difetto di sue giustificazioni, Le comunichiamo la decisione di
infliggerle, come previsto dall’art…..del C.C.N.L. di categoria a lei applicato, la sanzione del
licenziamento, con effetto dal……..
(nel caso di presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore la frase diventa” le
comunichiamo che le sue giustificazioni non sono ritenute valide ed accettabili, quindi le
irroghiamo, come previsto dall’art……del C.C.N.L. di categoria a lei applicato, la sanzione del
licenziamento, con effetto dal…)
Distinti saluti.
TIMBRO AZIENDA E FIRMA
25
B) GIUSTA CAUSA – GIUSTIFICATO MOTIVO
La condotta del lavoratore che comporti una violazione delle regole comportamentali sancite per
legge, dai contratti collettivi o dai regolamenti aziendali, produce, a seconda della lesione del
vincolo fiduciario, l’adozione di un provvedimento disciplinare, compreso il licenziamento.
Parlare d’intensità della lesione del vincolo fiduciario è importante in assenza di una precisa
definizione di giusta causa o giustificato motivo.
Infatti, l’art. 2119 non fornisce alcun accenno circa la definizione giuridica di giusta causa
limitandosi ad individuarla in “una mancanza così grave da non poter consentire la prosecuzione,
anche provvisoria del rapporto”.
Il dibattito giurisprudenziale nel tempo ha cercato di definire i contorni per evitare un abuso da
parte dei datori di lavoro di uno strumento troppo generico.
In tale direzione si sono orientate le decisioni dei giudici, individuando i criteri di valutazione dei
motivi leciti di licenziamento legato al comportamento del lavoratore.
Tali indicatori rilevati dalle sentenze possono essere schematicamente riassunti come segue:
•
Identificazione della natura e della qualità del singolo rapporto
•
Valutazione delle posizioni delle parti del rapporto per l’importanza dell’attività svolta in
funzione delle responsabilità verso altri lavoratori quali modelli diseducativi e
disincentivanti ( disvalore ambientale ).
•
Valutazione dei gradi di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni svolte dal
dipendente
26
•
Analisi del fatto e dei motivi
•
Intensità dell’intenzionalità e della colpa
•
Eventuali aspetti correlati o tipicizzanti il rapporto
In questo processo di identificazione dei connotati della violazione che ha compromesso il rapporto
di fiducia, occorre sottolineare che l’inadempimento o reato del lavoratore può anche essere di tipo
extra – professionale ma di una importanza tale da ledere in modo irreparabile il vincono
fondamentale tra le parti.
Infatti, è in dubbio che in alcune attività lavorative, a seconda della qualifica rivestita dal lavoratore,
o per la posizione all’interno dell’organizzazione aziendale o per la particolarità della mansione
svolta, gli eventi esterni all’azienda ma inscindibili dalla persona “lavoratore” ledano
inesorabilmente il vincolo fiduciario.
Occorre ricordare che il datore di lavoro deve sempre rispettare il principio di proporzionalità tra
l’inadempimento del lavoratore e la sanzione irrogata, nell’ottica della conservazione del posto di
lavoro ( Cass. 24 marzo 2005 n. 6353 ).
Ipotesi di licenziamento disciplinare per giusta causa:
•
Accettazione o estorsione di erogazioni da terzi
•
Alterazione delle timbrature
•
Danneggiamento volontario o gravi danni ai beni dell’azienda per negligenza
•
Furto o approvazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi ( Cass. 12 aprile 2005 n.
7464 )
27
•
Ingiurie
•
Insubordinazione
•
Minacce
•
Molestie sessuali
•
Reiterato stato di ubriachezza
•
Trattare affari in concorrenza con l’azienda
•
Rifiuto di eseguire i compiti propri della mansione in base alla qualifica assegnata
•
Trafugamento di documenti e/o dati tecnici
•
Mantenere un comportamento che implichi pregiudizio della incolumità delle persone e
delle cose
•
Abbandono del posto di lavoro ( Cass. 23 marzo 2005 n. 6241 )
•
Rifiuto di trasferimento del lavoratore ( in presenza di comprovate ragioni tecnico –
organizzative )
•
Utilizzo di attrezzature aziendali per motivi personali extraprofessionali
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è regolato dall’art. 3, legge 15 luglio 1966 n. 604
“il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”.
La distinzione tra giusta causa e giustificato motivo è quindi riferita all’intensità della gravità della
violazione, rilevando ai fini della temporanea o meno prosecuzione del rapporto ( preavviso ).
Come per la giusta causa, anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo vale la
valutazione del giudice circa la sussistenza dei requisiti.
Infatti, è possibile il caso di conversione di un licenziamento per giusta causa in uno per giustificato
motivo soggettivo, in presenza di motivi di violazione “meno intensi”, con le relative conseguenze.
Nei contratti collettivi raramente vengono elencati e definiti i casi di inadempimento dei lavoratori,
compatibili con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Di seguito elenchiamo, in modo non esaustivo, alcune situazioni tipiche:
28
•
Assenze ingiustificate ripetute
•
Imperizia nell’esecuzione dell’attività lavorativa
•
Rallentamento dell’attività lavorativa
•
Ritardi
•
Danneggiamento colposo
•
Insubordinazione
•
Scarso rendimento ( Tribunale di Forlì 24 gennaio 2005 )
C) LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Il recesso da parte del datore di lavoro per motivi inerenti la sfera produttivo - organizzativa
dell’azienda è definito licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
L’insindacabilità delle decisioni aziendali è garantita dall’art. 41 della Costituzione.
In tal senso la giurisprudenza, nel rispetto di tale principio, ha elaborato, tramite una serie di
giudicati, alcuni punti di riferimento per evitare che la necessità di produrre più profitti diventi
l’unica motivazione per riorganizzare le aziende.
Per esempio, l’accorpamento di servizi, con esubero di personale, perché integri un giustificato
motivo oggettivo di licenziamento, deve essere attuato per fronteggiare situazioni sfavorevoli non
contingenti
che
influiscano
decisamente
sulla
normale
attività
produttiva
imponendo
un’indilazionabile ed effettiva necessità di riduzione dei costi per la più economica gestione
dell’azienda ( Cass. 4 marzo 2002 n. 3096 ).
Sono considerate giustificato motivo oggettivo anche le seguenti situazioni:
•
Cessazione dell’attività produttiva
•
Chiusura o perdita di appalto con impossibilità di diversa soluzione lavorativa
•
Introduzione di nuove tecnologie e contestuale soppressione delle attività manuali
La contrazione del fatturato, generata dalla perdita di un contratto con un cliente, non è considerata
giustificato motivo oggettivo di licenziamento perché, pur incidendo sulla redditività aziendale, può
non segnare profondamente l’organizzazione dell’azienda.
Al contrario, la perdita dell’unico appalto, con impossibilità ad adibire la forza lavoro ad altra
occupazione senza prospettiva di immediata firma di altro appalto, risulta essere giustificato motivo
29
oggettivo.
La tutela del datore di lavoro prevista dall’art. 41 della Costituzione limita l’azione del giudice alla
verifica della situazione oggettiva al momento delle scelte imprenditoriali non permettendo il
sindacato delle opportunità e congruità delle scelte imprenditoriali.¹
Il concetto di attualità implica che non si configura come giustificato motivo oggettivo di
licenziamento, una ipotesi prevista o prevedibile nel futuro neanche per maggiore economicità, con
sostituzione di un lavoratore con un altro economicamente meno oneroso.
Occorre sottolineare che, la giurisprudenza ammette la possibilità che il lavoratore, in caso di
riorganizzazione aziendale, per salvaguardare il posto di lavoro e la propria stabilità di reddito,
accetti un demansionamento, risultante da un accordo scritto tra le parti.²
In tal senso, l’onere di provare l’esistenza del giustificato motivo oggettivo, grava sul datore di
lavoro, che dovrà dimostrare l’esistenza delle ragioni di carattere produttivo – organizzativo, la
relazione causale tra le ragioni e l’attività svolta dal lavoratore, nonché l’impossibilità di adibire il
lavoratore ad altra mansione equivalente.³
Esistono alcune situazioni particolari, per le quali sono dettate specifiche discipline.
Tali situazioni soggettive o oggettive, riconducibili allo stato di salute del lavoratore, alla sua
capacità lavorativa o ad assenze, possono essere di seguito riassunte:
•
Malattia.
Durante il periodo di malattia il datore di lavoro no n può recedere dal rapporto, prima che
sia decorso un determinato periodo di assenza ( comporto ).
Il fondamento del recesso è l’impossibilità temporanea del lavoratore a fornire la
prestazione, decorrente dal momento del superamento del periodo di comporto.
E’ evidente che è sempre possibile, anche durante la malattia, il recesso per giusta causa.
La contrattazione collettiva può stabilire condizioni di miglior favore, in funzione
dell’anzianità aziendale.
30
•
Scarso rendimento.
Questa situazione si verifica quando le aspettative del datore di lavoro riferite al
raggiungimento di un risultato riferito alla media del rendimento degli altri lavoratori, viene
disatteso.
Si configura l’ipotesi di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.
Risulta evidente la difficoltà per il datore di lavoro di dimostrare tale inadempimento.
Nel caso in esame non sussiste l’obbligo di verificare l’esistenza di una alternativa
lavorativa all’interno della struttura aziendale.
•
Tossicodipendenza.
I lavoratori, con accertato stato di tossicodipendenza, che iniziano un percorso rieducativo,
hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutta la durata del trattamento, con
un massimo di 3 anni.
•
Sopravvenuta infermità permanente.
L’inidoneità del lavoratore a fornire la prestazione dedotta nel contratto, e quindi a svolgere
le mansioni affidate, è un evento oggettivo, certificato dal servizio sanitario, che comporta la
risoluzione per giustificato motivo ( Cass. 7 marzo 2005 n. 4827 ).
In tal senso, non sussiste per il datore di lavoro, l’obbligo di attendere il decorso del periodo
di comporto.
Non è ammesso il recesso di rapporto subordinato quando la sopravvenuta infermità
permanente derivi da infortunio sul lavoro o da malattia professionale.
31
•
Carcerazione.
Anche per questo evento, oggettivo, vi è l’impossibilità, da parte del lavoratore, di fornire la
prestazione di lavoro, con conseguente diritto da parte del datore di risolvere il rapporto,
purché non più interessato a ricevere le ulteriori prestazioni.
Gli elementi su cui fondare la decisione sono:
•
Durata della carcerazione sia preventiva sia definitiva
•
L’imputazione contestata
•
La stadio dell’eventuale processo penale
•
Le dimensioni aziendali e la relativa organizzazione
¹- Tribunale di Ravenna 18 ma ggio 2005
- Cass. 18 marzo 2005 n. 5920
- Cass. 23 marzo 2005 n. 6245
- Cass. 29 novembre 2004 n. 22464
- Cass. 4 ottobre 2004 n. 19837
- Cass. 24 febbraio 2005 n. 3848
²- Cass. 1° giugno 2005 n. 11678
- Cass. 7 febbraio 2005 n. 2375
³- Cass. 23 giugno 2005 n. 13468
32
D) LICENZIAMENTI PLURIMI INDIVIDUALI
Quando si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si può estendere quanto detto in
precedenza ai licenziamenti plurimi individuali.
Infatti, per tale categoria, l’unica discriminante è quantitativa e non qualitativa.
Infatti la normativa di riferimento, legge 604/1966, prevede che i licenziamenti plurimi individuali,
in quanto riferiti agli elementi organizzativi dell’azienda e non caratteristiche personali del
lavoratore, rientrino nella specie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
I requisiti quantitativi e temporali sono contenuti nell’art. 24 della legge 604/66, nel rispetto dei
criteri di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori.
E) LICENZIAMENTO AD NUTUM
Gli interventi normativi che si sono susseguiti dagli anni “60” in poi, hanno notevolmente
compresso la libertà di recesso da parte del datore di lavoro, relegando ai seguenti casi marginali
tale possibilità:
1. Lavoratore ultrassessantacinquenni con diritto alla pensione di vecchiaia.
In tale situazione aggiornata per l’innalzamento dei limiti d’età, è prevista la possibilità, alla
data di maturazione del requisito, di recesso ad nutum da parte del datore di lavoro.
Non esiste un automatismo, ma deve essere espressa la volontà.
2. Lavoro domestico.
Il lavoratore al servizio di terzi per l’accudimento di cose e persone, può essere licenziato,
con maturazione del preavviso, senza formalità o rispetto del requisito della casualità.
Nulla esclude che a tali lavoratori possa essere applicato il licenziamento per giusta causa.
33
3. Lavoratori in prova.
In precedenza abbiamo esaminato il concetto di prova nel suo significato giuridico, nelle
modalità applicative.
Ricordiamo che questa, prevista dall’art. 2096 del c.c., deve risultare da atto scritto ad
substantiam e che la sua durata non può eccedere quella prevista dalla contrattazione
collettiva.
La giurisprudenza, per altro, ammette in presenza di mansioni di particolare complessità, la
stipula di un periodo di prova di durata superiore a quello fissato dalla contrattazione
collettiva.
Durante tale rapporto ciascuna delle parti può recedere dal contratto di lavoro in essere
anche in assenza di giusta causa o giustificato motivo e senza obbligo di preavviso.
In tale tipologia di recesso, al datore di lavoro non è richiesto di comunicare i motivi della
decisione.
E’ evidente che il lavoratore potrà impugnare il recesso adducendo di non essere stato messo
dall’azienda nelle condizioni di svolgere concretamente o compiutamente la prova.
In tal senso, potrà essere reintegrato per il tempo residuo e valutato al temine del periodo.
4. Lavoratore assunto obbligatoriamente.
I lavoratori destinatari della normativa sul collocamento obbligatorio sono soggetti, in tema
di risoluzione del rapporto di lavoro, alla normativa valida per la generalità dei lavoratori,
salve le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva.
5. Socio di cooperativa.
Il socio di cooperativa è titolare di due distinti rapporti stabiliti dalla normativa, uno di
natura associativa ( socio della cooperativa ) e uno di natura subordinata ( lavoratore ).
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Questi due rapporti possono coesistere sin dall’origine oppure riunirsi in un momento
successivo.
La conseguenza di tale duplice veste è che alla cessazione del rapporto può sopravvivere
quello societario, mentre in presenza di risoluzione del rapporto associativo si estingue
anche il rapporto di lavoro.
Quindi nel primo caso si applica lo Statuto dei lavoratori con esclusione delle tutele dell’art.
18, mentre, nel secondo, si applica la tutela prevista dalla legge 604/66.
35
F) CAUSE D’INVALIDITA’ DEL LICENZIAMENTO
Il licenziamento, quale manifestazione di volontà, può se non espresso nei modi, tempi e termini,
essere colpito da un vizio che a seconda della gravità può comportare l’inefficacia, la nullità o
l’annullabilità del provvedimento stesso.
L’inefficacia del licenziamento è richiamata dall’art. 2, legge 604/66 ed è definita come una causa
d’invalidità del licenziamento individuale intimato senza l’osservanza della forma scritta o in difetto
di comunicazione dei motivi nel termine legale, quando richiesti dal lavoratore.
Gli effetti giuridici di un licenziamento inefficace sono diversi a seconda della tutela del lavoratore.
Infatti, il recesso da parte del datore di lavoro viziato da inefficacia, riferito ad un rapporto di lavoro
tutelato della c.d. stabilità reale, sarà anch’esso disciplinato dagli stessi principi.
Le conseguenze del licenziamento individuale inefficace nei confronti di un lavoratore coperto dalla
tutela obbligatoria sono quantificabili nel risarcimento del danno valutato secondo le regole generali
dell’inadempimento delle obbligazioni.
La nullità di un atto si ha quando uno degli elementi giuridici fondamentali non esiste oppure è
contrario a norme imperative o comunque illecito.
In tal caso, l’atto è improduttivo di effetti e quindi è nullo, inidoneo a determinare la risoluzione del
rapporto di lavoro.¹
Le conseguenze di tale nullità dipendono dalla diversa tutela garantita al lavoratore.
Infatti, in ambito di tutela reale, si applica il disposto dell’art. 18 dello S.L., anche in presenza di
violazioni delle procedure dettate dall’art. 7, legge 300/70.
In ambito di tutela obbligatoria le violazioni alle procedure previste dall’art. 7, legge 300/70,
comportano che il licenziamento viene classificato come ingiustificato con le conseguenze previste
dall’art. 8, legge 604/66.
L’annullabilità consiste nell’invalidità di un atto o negozio giuridico esistente e produttivo di effetti
fatta valere su richiesta di parte in presenza di un vizio in uno degli elementi dell’atto stesso.
36
Ad esempio, il licenziamento è annullabile quando sia intimato senza giusta causa o giustificato
motivo.
In questo senso l’atto è viziato ma il licenziamento produce l’interruzione del rapporto di lavoro.
Tra le cause d’invalidità del licenziamento si devono ricomprendere il licenziamento
discriminatorio, il licenziamento per matrimonio e quello delle lavoratrici madri.
L’elemento comune a queste situazioni è la protezione del lavoratore, dalle azioni del datore di
lavoro in momenti particolari e personali.
In tal senso si ricomprendono all’interno del concetto di discriminazione previsto dall’art. 3 legge
108/90, quale atto discriminatorio previsto dall’art. 15 dello S.L., con conseguente nullità,
“qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via
indiretta i lavoratori”.
Ad ulteriore specifica è intervenuta la legge 40/98 con l’art. 41, comma 1, fornendo una definizione
completa di discriminazione.
La discriminazione può quindi essere sindacale, sessuale, religiosa, o di credito politico.
La conseguenza di tale atto illecito è la nullità, sicché non si producono effetti sul rapporto che,
come indicato dall’art.3, legge 108/90, estende la tutela reale dell’art. 18, S.L., a tutti i licenziamenti
discriminatori, senza valorizzare i limiti dimensionali dell’azienda.
Particolari sono le fattispecie del licenziamento per matrimonio o della lavo ratrice madre.
Nel primo caso, infatti, la tutela, con impossibilità di procedere al licenziamento, interviene dal
giorno della richiesta delle pubblicazioni a un anno dopo la celebrazione del matrimonio.
Per pubblicazioni, la Suprema Corte, ha indicato che si devono intendere quelle civili nel rispetto
del principio di eguaglianza religiosa.
Nel secondo caso, tale divieto è contenuto nell’art. 2, comma 1, legge 1204/71 ove viene prevista la
nullità del licenziamento comunicato durante l’intero periodo comp reso tra l’inizio della gestazione
37
fino al compimento del 1° anno di vita del bambino.
Il richiamo a questi principi è stato ribadito con il d.lgs. 151/2001 all’art. 54 comma 5.
In virtù del principio di eguaglianza, il divieto di licenziamento opera anche nei confronti del padre
sino al compimento del 1° anno di vita del bambino.
Le norme richiamate per le situazioni sopraindicate contengono alcune deroghe al divieto assoluto
di licenziamento e sono:
1. esito negativo della prova
2. cessazione dell’attività aziendale
3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta
4. risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine
5. colpa grave tale da configurare una giusta causa di licenziamento
¹ - Tribunale di Siracusa 18 aprile 2005
- Tribunale di Bassano del Grappa 10 ottobre 2003
- Tribunale di Milano 10 ottobre 2003
- Cass. 16 settembre 2002 n. 13543
38
G) SISTEMA DI TUTELE
Le fonti normative riferite al sistema di tutela in materia di licenziamento individuale sono l’art. 18
dello S.L., la legge 604/66 e la legge 108/90.
La differenza adottata dal legislatore nel trattamento del recesso dal rapporto di lavoro del datore di
lavoro dipende sostanzialmente dal motivo per cui è intimato e dalle dimensioni dell’azienda.
Le tutele previste sono:
A) tutela reale, garantita dall’art. 18 S.l.
B) tutela obbligatoria garantita dall’art. 8 legge 604/66 e modificato dall’art. 2 legge 108/90
•
TUTELA REALE
L’art. 18 dello S.l. prevede che il datore di lavoro che abbia posto in essere un provvedimento
espulsivo invalido sia obbligato alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e a
corrispondergli un’indennità a titolo di risarcimento del danno commisurata alle retribuzioni non
percepite ( non inferiori a 5 ) dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.
La norma indica un criterio dimensionale per la sua applicazione con riferimento al numero degli
addetti e alle modalità di computo, “ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il
licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se
trattasi d’imprenditore agricolo di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro” ed anche per i
“datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano
più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano
più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non
raggiunge tali limiti, e in ogni caso, al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro” ( Cass. 15 aprile 2005 n. 7837 ).
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Come si evince dalla norma i limiti dimensionali, definiti requisito oggettivo, sono rigidamente
fissati.
Alcune considerazioni si possono fare, in virtù degli interventi della giurisprudenza, circa la
definizione di forza lavoro computabile e sulla identificazione dell’unità produttiva.
I limiti numerici contenuti nella norma devono essere accertati con riferimento non al momento di
intimazione del licenziamento, bensì in virtù del criterio della normale occupazione.
La consolidata giurisprudenza indica la media dei lavoratori addetti in un periodo di normale attività
produttiva. Solo alcune pronunce si sono spinte ad individuare in tre mesi prima del licenziamento
l’arco temporale nel quale svolgere l’accertamento del livello medio di occupazione.
Nel computo dei lavoratori non devono essere considerati gli apprendisti ( art. 21, comma 7, della
legge 28 febbraio “87 n. 56 ), i lavoratori assunti in sostituzione di assenti ( malattia, maternità ), i
lavoratori interinali.
Sono computati, per la valutazione numerica, i lavoratori a domicilio, i soci di cooperativa nel caso
di coesistenza del rapporto associativo e di un rapporto di lavoro subordinato.
La prova dei requisiti dimensionali per ottenere i benefici garantiti della tutela reale grava sul
lavoratore.
L’unità produttiva
viene
definita
come
l’entità
autonoma,
indipendente
tecnicamente,
produttivamente ed amministrativamente, tale da esaurire il ciclo produttivo o una frazione di esso.
Una deroga importante è riferita alle unità produttive ubicate nello stesso comune per le quali, pur
in presenza di attività diverse, si procede alla sommatoria dei lavoratori.
La legge 108/90, che ha riformato l’art. 18 dello S.l., ha di fatto esteso la tutela reale anche nei
confronti del datore di lavoro non imprenditore.
L’assenza di tale remunerazione, tipica delle attività di natura politica, religiosa, culturale e
sindacale, comporta la esclusione dal regime di stabilità reale.
40
Come anticipato, il lavoratore che ritenga di essere stato ingiustamente licenziato e che sia tutelato
dal regime della stabilità reale, si rivolge al giudice affinché dichiari nulli gli effetti del
provvedimento espulsivo.
La conseguenza diretta di tale giudizio è l’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro
come se l’interruzione non sia mai intervenuta.
Questo significa che nel periodo del licenziamento illegittimo i diritti del lavoratore sia economici
sia giuridici, sono regolarmente maturati e tutelati.
L’ordine di reintegra emesso dal giudice è valido anche in presenza di un provvedimento espulsivo
comunicato al lavoratore ma efficace da una successiva data.
Infatti, in tale situazione, i termini per l’impugnazione decorrono dal momento in cui il lavoratore
riceve la comunicazione.
Il provvedimento del giudice è sorretto dalla immediata esecutività con riferimento sia all’azione di
accertamento della continuità del rapporto sia per effetti inibitori diretti al ripristino della situazione
preesistente al provvedimento espulsivo.
Il datore di lavoro che riceve tale provvedimento, per espressa previsione dell’art. 18 S.l., deve
invitare il lavoratore alla ripresa del servizio entro il termine di 30 giorni, anche se nel contempo il
lavoratore ha intrapreso una nuova occupazione, tranne il caso di rinunzia esplicita da parte del
lavoratore.
L’invito da parte del datore di lavoro è un atto recettizio e deve contenere l’esplicito riferimento al
luogo e alle mansioni originarie o, in alternativa, altre purché nel rispetto dell’art. 2103 c.c. quanto
alla equivalenza delle mansioni e rispetto della professionalità acquisita.
La mancanza o la genericità dell’invito da parte del datore di lavoro comportano l’obbligo di
corresponsione delle retribuzioni per tutto il periodo, anche se il lavoratore ha nel contempo trovato
una nuova occupazione.
Il rapporto di lavoro, nel caso in cui il lavoratore invitato alla ripresa del servizio non si presenti in
azienda nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, si intenderà risolto senza
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necessità di ulteriori atti di recesso.
L’impossibilità temporanea da parte del lavoratore ad aderire all’invito dell’azienda non produce
l’effetto sopra citato se la causa è un evento che comunque, in costanza di rapporto, dà diritto alla
sospensione della prestazione lavorativa ( malattia ).
L’ipotesi in cui l’impossibilità alla ripresa del servizio gravi sul datore di lavoro ( es. cessazione
dell’attività aziendale ) ha effetto solo sulle modalità risarcitorie, comportando la sostituzione di
diritto della disponibilità alla prestazione lavorativa con il risarcimento del danno.
La reintegrazione nel servizio, disposta dal giudice, deve avvenire con riferimento al luogo di
lavoro ove il lavoratore prestava la propria attività al momento del recesso dichiarato illegittimo.
In tal senso, la dottrina ammette, sia quale potere organizzativo aziendale, sia per possibili ragioni
di carattere ambientale ( incompatibilità con altri lavoratori ), la possibilità di trasferire il lavoratore
ad altro reparto.
Tale potere può essere esercitato solo dopo la reintegrazione del lavoratore, con provvedimento
motivato.
Oltre alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro, l’art. 18 impone a carico del datore di lavoro, il
pagamento del risarcimento del danno subito dal lavoratore mediante un’indennità ragguagliata alla
retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione
e il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; tale risarcimento non può, in ogni caso,
essere inferiore alle cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
La misura del risarcimento prevista dall’art. 18 è pari alle mensilità non percepite per il periodo
intercorrente tra la data di licenziamento e la sentenza di reintegra ( minimo cinque mensilità, salvo
che il lavoratore provi di aver subito un danno maggiore o che il datore di lavoro provi l’aliunde
perceptum o il ricorrere di fatto colposo del creditore ).
La retribuzione globale di fatto richiamata nell’art. 18 S.l. corrisponde ad ogni compenso di
carattere continuativo che si ricolleghi alle particola ri modalità della prestazione in atto al momento
del licenziamento ( es. il compenso per lavoro straordinario ); in senso contrario vi sono alcune
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sentenze che collegano la garanzia retributiva allo svolgimento dell’attività lavorativa quanto ai
compensi aggiuntivi definendo una retribuzione normale al netto di questi ultimi.
Il lavoratore illegittimamente licenziato e reintegrato dal giudice con provvedimento ha la facoltà di
optare tra la reintegrazione nel posto di lavoro e la corresponsione di una indennità sostitutiva pari a
15 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Con l’esercizio di tale opzione da parte del lavoratore il rapporto di lavoro si risolve cessando
l’obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore sostituito.
L’ulteriore effetto della opzione da parte del lavoratore è la cessazione della corresponsione, da
parte del datore dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 18, comma 4, S.l.
La mancata corresponsione da parte del datore dell’indennità sostitutiva in base all’opzione
formulata dal lavoratore ha come conseguenza l’applicazione del disposto dell’art. 429, comma 3,
c.p.c.., ovvero l’aggravio di interessi e rivalutazione.
Abbiamo visto in precedenza che il lavoratore ha 30 giorni di tempo dal ricevimento dell’invito da
parte del datore per riprendere il servizio, mentre, per la comunicazione dell’opzione, il termine a
pena di decadenza, è di 30 giorni o dalla comunicazione del datore di lavoro o dalla comunicazione
del deposito della sentenza, posto che il primo preceda o segua in secondo atto.
Diversi sono gli effetti dell’inezia del lavoratore, infatti nel caso di mancata opzione nel termine
decorrente dall’invito a riprendere il lavoro si verifica anche l’estinzione del rapporto.
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•
TUTELA OBBLIGATORIA
Le fonti della tutela obbligatoria sono l’art. 8, legge 15 luglio 1966, n. 604, modificato dalla legge
108/90.
Le ragioni per l’esistenza della differenziazione tra i regimi sono da ricercare nel particolare tessuto
produttivo composto da una quantità di aziende di piccole dimensioni, nelle quali l’ordine di
reintegrazione non sembra essere la soluzione migliore.
Infatti, a differenza del regime di tutela reale, ove è il lavoratore licenziato, in modo invalido, a
decidere tra la reintegrazione nel posto di lavoro o l’indennità sostitutiva, nel regime di tutela
obbligatoria è il datore di lavoro ad avere la facoltà se riassumere il lavoratore o pagare il
risarcimento del danno nella misura fissata dal giudice.
La proposta di riassunzione fatta dal datore di lavoro equivale a tutti gli effetti ad una nuova offerta
di lavoro che per essere valida deve essere accettata dal lavoratore.
La conseguenza è che il rifiuto da parte del lavoratore dell’offerta di riassunzione fatta dal datore
obbliga quest’ultimo al pagamento comunque dell’indennità risarcitoria.
Quest’ultima è compresa tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 14 a seconda
dell’anzianità aziendale del lavoratore.
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H) ASPETTI CONTRIBUTIVI E FISCALI
In materia di somme corrisposte all’atto della risoluzione del rapporto, l’art. 12, c. 4, lettera b) e c)
della legge 153/1969 e successive modificazioni, stabilisce che non concorrono a formare la base
imponibile contributiva i seguenti emolumenti:
lettera b): somme corrisposte in occasione delle cessazioni del rapporto di lavoro per incentivare
l’esodo dei lavoratori, nonché quella la cui erogazione trae origine dalle predette cessazioni ( ad
esclusione dell’indennità sostitutiva del preavviso e delle gratifiche previste contrattualmente o dei
premi individuali ).
Sono quindi escluse dall’imponibile contributivo ad esempio:
-
somme corrisposte nel caso di prepensionamento
-
somme corrisposte per cessazione anticipata dal contratto a termine
-
somme corrisposte per cessazione del rapporto a tempo indeterminato assistito dal regime di
stabilità e per attuare riduzioni di personale con licenziamenti collettivi
-
ogni erogazione priva di uno specifico titolo retributivo, corrisposta in sede di risoluzione
del rapporto di lavoro finalizzata allo scioglimento dello stesso.
lettera c): proventi ad indennità conseguiti, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento
danni.
Sono quindi escluse dall’imponibile contributivo ad esempio:
-
le indennità liquidate dal giudice a titolo di risarcimento del danno in caso di reintegrazione
nel posto di lavoro per illegittimo licenziamento secondo quanto previsto dall’art. 1, comma
5, della legge 108/90, nonché quelle pari a 15 mensilità spettanti al lavoratore in caso di
rinuncia alla reintegrazione nel posto di lavoro disposto dal giudice
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-
le indennità fino ad un massimo di 14 mensilità corrisposte al lavoratore nei casi previsti
dall’art. 8, della legge n. 604/66, come riformulato dalla legge n. 108/90, in caso in cui
risulti accertato che non concorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo e
non intervenga la riassunzione entro il termine di 3 giorni
-
le somme corrisposte per interessi e rivalutazione monetaria
•
IMPOSTE
L’art. 17, c. 1, lettera A e C del TUIR prevede che le somme e i valori comunque percepiti, al netto
delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a
seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del
rapporto di lavoro, devono essere tassate con la procedura separata dai redditi correnti ( tassazione
separata ).
Con riferimento all’incentivo all’esodo, la norma dispone che deve trattarsi di somme aggiuntive
corrisposte al fine di incentivare l’esodo ( Cass. 10 gennaio 2005 n. 2118 ).
In tal senso possono essere applicate le agevolazioni se sussistenti i requisiti anagrafici: occorre
ricordare che affinché si possa parlare di incentivo all’esodo, lo stesso deve essere previsto per la
generalità dei lavoratori.
LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
Tutela reale
Tutela
Indennità per mancata
riassunzione
Retribuzione persa
Indennità per rinuncia
alla reintegra
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Natura risarcitoria
esclusione alla base
imponibile contributiva
Da assoggettare a
contribuzione
Natura risarcitoria,
esclusione dalla base
imponibile
contributiva
3) LICENZIAMENTI COLLETTIVI
La legge che regola l’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro per una pluralità di lavoratori è
la 223/91.
Prima di tale data esistevano solo accordi interconfederali e richiami della corte di giustizia europea
alla corretta applicazione degli obblighi imposti dalla normativa comunitaria; le ragioni
dell’intervento normativo sono di carattere sia protettivo verso i lavoratori sia di bilanciamento dei
diritti dei datori di lavoro tutelati dall’art. 41 della Costituzione.
Il risultato è una norma che non ha limitato il potere di recesso del datore di lavoro ma ha introdotto
vincoli di carattere procedurale al suo esercizio.
Infatti, all’imprenditore, è concessa la libertà di decidere la dimensione del proprio organico
aziendale secondo la propria convenienza, compreso l’utilizzo dello strumento del licenziamento
collettivo, senza sfruttare in modo arbitrario tale potere.
Il legislatore nell’intento di ricercare un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi sottesi alla
disciplina della riduzione del personale, non ha limitato la posizione di supremazia di coloro che
detengono i mezzi di produzione, ma vi ha posto una regolamentazione attraverso il rafforzamento
delle garanzie dei lavoratori.
La norma in questione prevede due diverse ipotesi di licenziamento collettivo:
-
art. 24, comma 1, si riferisce al licenziamento attuato dal datore di lavoro che non ha fatto
ricorso al trattamento straordinario d’integrazione salariale prima di aprire la procedura
espulsiva e che occupa più di 15 dipendenti
-
art. 4, comma 1, si riferisce al licenziamento attuato dalle imprese ammesse al trattamento
straordinario di integrazione salariale, che nel corso di attuazione del programma di
ristrutturazione, riorganizzazione o conversione, non ritengano di essere in grado di
garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi.
47
La norma prevede l’esistenza di alcuni requisiti:
-
soggettivo
La disciplina dei licenziamenti per riduzione del personale è applicabile ai datori di lavoro
imprenditori compresi gli artigiani, con più di 15 dipendenti, alla società cooperativa di
produzione e lavoro, ai lavoratori autoferrotravieri.
Con il d.lgs. 8 aprile 2004 n. 110, il legislatore ha inserito i datori di lavoro non imprenditori
che non perseguono fini di lucro ( c.d. terzo settore ).
-
dimensionale
Le imprese beneficiarie della procedura indicate nell’art. 24, legge 223/91, sono quelle che
occupano più di 15 dipendenti.
La determinazione della soglia numerica deve avvenire nel rispetto del principio della
normale occupazione, ovvero dell’organigramma produttivo inteso in senso oggettivo o, in
mancanza, all’occupazione media dell’ultimo semestre .
Dal computo numerico sono esclusi per espressa previsione normativa ( art. 59, comma 2,
d.lgs. 276/2003 ) i contratti d’inserimento e analogamente i contratti di apprendistato e i
lavoratori “ somministrati “.
Sono computati nel numero i dirigenti e i lavoratori assunti a termine quando tale assunzione
non avvenga per esigenze eccezionali.
Sono esclusi i lavoratori assunti in sostituzione di altri lavoratori assenti.
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-
numerico
Il 1° comma dell’art. 24 prevede che il datore di lavoro abbia manifestato l’intenzione di
effettuare almeno cinque licenziamenti.
L’esubero deve risultare all’atto dell’apertura della procedura sindacale, ovvero al momento
in cui il datore di lavoro comunica ai suoi interlocutori sindacali il progetto di riduzione del
personale.
Sono esclusi dal computo i lavoratori dimissionari.
-
temporale
Le disposizioni in cui all’art. 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e dell’art. 5, commi da 1 a 5, si
applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una
riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque
licenziamenti nell’arco di centoventi giorni.
Al fine di determinare il momento dal quale decorre il termine dei centoventi giorni utili per
procedere al licenziamento per riduzione del personale occorre riferirsi alla data
dell’accordo sindacale o, al limite, alla data di fine fase amministrativa.
In sede di accordo sindacale le parti potranno, inoltre, prevedere non solo una diversa durata
del limite temporale ( es. superiore ai centoventi giorni, ma anche stabilire una diversa
decorrenza del termine per l’intimazione dei licenziamenti.
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-
territoriale
“ In ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una
stessa provincia “, il Ministero ha chiarito che seppur la riduzione del personale riguardi
unità produttive ubicate in più regioni, la controversia deve essere trattata unilateralmente”.
-
causale
Sempre l’art. 24 della legge in esame, definisce il licenziamento collettivo quale atto
conseguente “ alla riduzione o trasformazione di attività o di lavoro “ e “ alla cessazione
dell’attività d’impresa “ ( Tribunale di Roma sez. IV 27 aprile 2005 n. 8017 ).
Sia il licenziamento individuale plurimo sia quello collettivo sono caratterizzati da motivi
non inerenti la persona del lavoratore, ma da ragioni tecnico-produttive, ma solo il secondo
si distingue per i requisiti numerico - temporali.
La conseguenza è l’assoggettamento di tale situazione alla procedura del licenziamento
collettivo, in ossequio anche delle direttive europee ( 94/54 del 20/7/98 ).
In tal senso, affinché si parli di licenziamento, occorre una riduzione non temporanea
dell’attività produttiva, ovvero, alternativamente, una trasformazione strutturale dell’impresa
che comporti riduzione di uffici, reparti o lavorazioni con conseguente contrazione della
forza lavoro.
Occorre considerare che oltre all’evento sopra riportato, si configura il licenziamento
collettivo, anche quando la trasformazione della struttura o dell’attività sia la diretta
conseguenza di calo di commesse o per l’introduzione di nuove tecnologie che rendono di
fatto esuberante la forza lavoro.
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LA PROCEDURA
La procedura ha inizio con l’invio di una comunicazione, scritta e preventiva, da parte del datore di
lavoro, indirizzata alle “ rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della
legge 300/70 nonché alle rispettive associazioni di categoria “ o, in mancanza, alle “ associazioni di
categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale “.
L’art. 4 della legge fissa in modo dettagliato il contenuto della comunicazione che deve contenere:
1. la specifica dei motivi che determinano la situazione di eccedenza;
2. la specifica dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter
adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte,
la dichiarazione di mobilità;
3. la specifica del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale
eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato;
4. indicazione dei tempi di attuazione del programma di mobilità;
5. indicazione delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano
sociale della attuazione del programma medesimo;
6. specifica del metodo di lavoro delle attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste
dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.
Alla comunicazione deve essere allegata la ricevuta dell’avvenuto pagamento del contributo
d’ingresso.
La comunicazione deve essere compilata in base ai principi di correttezza e buona fede e può essere
integrata da tutte le informazioni ritenute necessarie durante l’esame delle parti.
La fase sindacale è quella prettamente di consultazione.
Durante questa ultima vengono valutate le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza
51
del personale e la possibilità di utilizzazione diversa di tale personale o di una parte.
Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, le organizzazioni sindacali e quella datoriale
iniziano l’esame congiunto per valutare la situazione e proporre eventuali interventi alternativi.
L’azienda ha l’obbligo, in questa fase, di rendere disponibili tutte le informazioni alla controparte
sindacale ma non è vincolata dai suggerimenti di quest’ultima ( Cass. 17 febbraio 2005 n. 3193 ).
Infatti, in ossequio all’art. 41 della Costituzione, l’imprenditore non ha l’obbligo di raggiungere un
accordo a tutti i costi.
Con l’accordo si deve considerare chiusa la procedura nel senso che si devono rendere effettivi i
contenuti, rendendo concreti gli interventi decisi.
Nell’accordo possono essere contemplati uno o più interventi come ad esempio:
-
misure alternative quali la C.I.G.S. o i contratti di solidarietà o il part – time generalizzato;
-
il riassorbimento totale o parziale degli esuberi in deroga all’art. 2103 c.c. con accettazione
di mansioni diverse;
-
la modifica dei criteri di scelta per il personale da licenziare;
-
definire e regolare il distacco temporaneo presso terzi;
-
definire una deroga al termine di centoventi giorni, termine entro il quale intimare i
licenziamenti
Il mancato accordo in sede sindacale rende necessaria, entro 45 giorni, la comunicazione all’ufficio
competente, indicando il risultato della consultazione e i motivi del suo esito negativo.
La stessa comunicazione può essere trasmessa anche dalle associazioni sindacali dei lavoratori.
L’ufficio notiziato, convoca le parti per una nuova verifica congiunta e, entro 30 giorni dal
ricevimento della comunicazione, deve chiudere questa seconda fase.
Scaduto questo termine senza aver raggiunto un accordo, l’azienda può procedere ad intimare i
licenziamenti ai lavoratoti in esubero.
52
La comunicazione del licenziamento deve avvenire per iscritto a pena di inefficacia dello stesso
provvedimento e può non contenere la motivazione.
Un ulteriore adempimento a carico del datore di lavoro consiste nella comunicazione all’ufficio
competente e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con la
specifica dei criteri di scelta applicati.
La mancanza di tale specifica può portare alla inefficacia dei licenziamenti.
Le comunicazioni di licenziamento e le lettere agli enti devono essere inoltrate in modo contestuale,
intendendo un arco temporale ragionevole e senza la coincidenza di data.
Di particolare importanza, per i riflessi che hanno su tutta la procedura, sono i criteri di scelta dei
lavoratori da collocare in mobilità.
I criteri di scelta possono essere individuati dalla contrattazione collettiva.
L’essenza di tale previsione comporta che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità
debba avvenire con il rispetto dei seguenti criteri:
A) carichi di famiglia;
B) anzianità;
C) esigenze tecnico – produttive ed organizzative, in concorso tra loro
Nell’ottica della finalità alla quale tutta la procedura è diretta, il datore di lavoro può individua re
uno o più criteri applicandoli disgiuntamente dagli altri. E’ il caso delle esigenze produttive ed
organizzative ( Cass. 20 dicembre 2004 n. 23607 ).
Tale applicazione gli permette di dare più forza alla propria azione per raggiungere lo scopo finale.
Il lavoratore ha 60 giorni di tempo da quando ha ricevuto la comunicazione di licenziamento per
impugnare il provvedimento.
La conseguenza diretta è che, se determinata l’inefficacia del recesso, si applica l’art. 18 S.L.,
ovvero la reintegrazione del dipendente licenziato sul posto di lavoro.
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L’inefficacia può verificarsi anche per violazione della procedura, infatti a differenza del
licenziamento individuale, nel licenziamento collettivo il giudice verifica il rispetto della procedura,
non il contenuto.
La violazione dei criteri di scelta comporta l’annullabilità del provvedimento, dietro impugnazione,
nel termine di 60 giorni dalla notifica, da parte del lavoratore con applicazione dell’art. 18 S.L.
In questo caso il datore potrà comunque procedere all’espulsione del numero previsto di lavoratori,
senza instaurare una nuova procedura, ma applicando correttamente i criteri di scelta.
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APPENDICE 1
SCHEMI E PROSPETTI
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Procedura di mobilità
Pagamento all’INPS dell’importo di
€ 950,95 (importo fissato per l’anno 2003 e
pari al trattamento massimo mensile di
CIGS) per ogni dipendente interessato
dall’esubero denunciato
Invio della comunicazione di apertura della
procedura alle R.S.U., alle OO.SS. (in
mancanza delle predette rappresentanze alle
associazioni aderenti alle confederazioni
maggioramente
rappresentative) e all’Agenzia Regionale per
l’Impiego
Ricevimento comunicazione di apertura
A
Primo esame congiunto delle parti
Entro 7 giorni da A
Fine della fase sindacale
Entro 45 giorni da A
Accordo Sindacale
Risparmio di 3 mesi di indennità di
mobilità sui 9 dovuti dall’azienda
all’INPS (pari al trattamento CIGS)
In questo caso la procedura si
esaurisce ed i lavoratori possono
essere collocati in mobilità
Comunicazione all’Agenzia Regionale
per l’impiego del risultato delle
consultazioni e dei motivi dell’esito
negativo
Ricevimento della seconda
comunicazione
B
Il Direttore dell’Agenzia Regionale per
l’impiego convoca le parti per un
ulteriore esame delle cause che hanno
determinato l’eccedenza del personale
Fine della seconda ed ultima parte della
procedura di mobilità
Entro 30 giorni da B
Licenziamento collettivo entro 120 giorni dalla
fine della procedura salvo diverso termine
indicato dall’Accordo Sindacale di mobilità
N.B. L’estensione massima della procedura è definita in 75 gg. Inoltre, se i dipendenti da licenziare sono meno di 10, i termini previsti dall’art.4 della
legge 223/1991 sono ridotti a metà (max. 38 gg.).Ogni licenziamento dovuto a ragioni tecnico-produttive ed organizzative ed effettuato entro 120 gg
dal primo è considerato licenziamento collettivo.
54
Violazione della procedura di mobilità – Violazione dei criteri di scelta – Conseguenze
Vizi della procedura
Condotta antisindacale ex art. 28
Stat. Lav.
Impugnazione del licenziamento
Cessazione della condotta antisindacale e rimozione degli effetti
Applicazione art. 18 Stat. Lav.
Impugnazione del licenziamento
Applicazione art. 18 Stat. Lav.
Reintegrazione
Esperimento di una nuova
procedura
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Violazione dei criteri
di scelta
Reintegrazione
Applicazione art. 17, L. 223/91:
possibile licenziamento di un numero
equivalente di lavoratori reintegrati
senza necessità di esperire
nuovamente la procedura di mobilità,
previa comunicazione alle
organizzazioni sindacali
FACSIMILE DI PATTO DI NON CONCORRENZA
Il giorno ……………, presso …………………………, il Sig. …………………………...ed il Sig.
……………… nella sua qualità di legale rappresentante ad acta della Società …………………….,
in relazione alle mansioni e responsabilità affidate allo stesso Sig. …………..hanno concordato un
patto di non concorrenza i cui punti fondamentali, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2125 del
codice civile, sono i seguenti:
a) Oggetto del patto di non concorrenza ( Limiti di oggetto )
Il Sig. ………………… si impegna, dal momento della cessazione per qualsiasi causa del
rapporto di lavoro con la Società………………., a non svolgere, nello specifico settore
aziendale, alcuna attività, in proprio o come consulente lavoratore autonomo o come
lavoratore dipendente di imprese, enti, o persone ( ivi compresa qualsiasi struttura
organizzativa, di consulenza e di pubblicità ausiliaria dei medesimi ), in concorrenza con la
stessa Società……………………
Ai fini del presente patto resta convenuto che per attività s’intende quella svolta in settori
quali:
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
L’impegno di cui sopra si estende a tutti gli altri settori aziendali della Società nei quali il
Sig. …………….. avrà acquisito competenze od operato negli ultimi dieci anni anteriori alla
risoluzione del rapporto di lavoro o per tutto il minor periodo di dipendenza della Società
……………………….;
56
b) Durata del patto di non concorrenza ( Limiti di tempo )
L’impegno di cui al precedente punto a) avrà la durata di …. Anni e decorrerà dal giorno
immediatamente successivo a quello di effettiva cessazione del rapporto di lavoro del Sig.
………………… con la Società ……………… per qualsiasi motivo avvenuta;
c) Area geografica di validità del patto di non concorrenza ( Limiti di luogo )
L’impegno di non concorrenza vale per le seguenti aree geografiche:
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
d) ( clausola eventuale )Imprese e datori di lavoro in genere per i quali vige il divieto di non
concorrenza
L’impegno di non concorrenza vale per le seguenti imprese e datori di lavoro:
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
e) Recesso
La Società ……………….. ha facoltà di recedere unilateralmente dal presente patto di non
concorrenza in qualsiasi momento del rapporto di lavoro, previa comunicazione scritta dal
Sig. ………………….. Dal momento di avvenuto ricevimento di tale comunicazione, lo
stesso sarà sciolto dal vincolo di non concorrenza, fermi restando gli altri obblighi previsti al
successivo punto 1);
57
f) Controllo
Per consentire il controllo sull’adempimento dell’obbligo di non concorrenza, il Sig.
……………….. s’impegna a notificare alla Società …………………, entro trenta giorni
dalla cessazione del rapporto di lavoro, con lettera raccomandata, l’attività che svolgerà nel
periodo di validità e di esecuzione del patto di non concorrenza, così come precisato al
punto b), nonché, negli stessi termini di trenta giorni, ogni successiva modificazione della
sua attività.
In caso di inosservanza di detti obblighi, la Società ……………….. ha facoltà di non
effettuare il pagamento del corrispettivo di cui al successivo punto g), salvo il diritto di
richiedere il risarcimento dei danni, in particolare ai sensi degli artt. 1223 e 1382 del codice
civile;
g) Corrispettivo
Quale corrispettivo degli impegni di cui ai punti precedenti, e salvo il diritto di recesso
esercitato dalla Società ai sensi del precedente punto e), la Società …………………..
riconoscerà al Sig. ………………………, una cifra pari a…………………………mensilità
( calcolate con le stesse modalità previste dagli artt. 2118 e 2120 per l’indennità sostitutiva
del preavviso ), al lordo delle ritenute di legge.
Tale cifra sarà corrisposta entro trenta giorni successivi alla scadenza del patto, così come
precisata nel precedente punto b). a tal fine, il domicilio del Sig. ……………………………
viene stabilito presso la sede della Società……………………… ;
58
h) Penale
In caso di violazione da parte del Sig. …………………. Degli impegni derivanti dal patto di
non concorrenza così come sopra concordato, il Sig. …………………… riconosce che il
risarcimento del danno al quale la Società…………………. avrà diritto è quantificato nel
quadruplo della somma che gli sarebbe spettata in caso di pieno rispetto del patto stesso,
salvo ed impregiudicato da parte della Società…………………………. la prova del
maggior danno ai sensi degli artt. 1223 e 1382 del codice civile;
i) Foro competente
Per ogni controversia relativa alla materia disciplinata dal presente patto di non concorrenza
la competenza esclusiva sarà dell’autorità giudiziaria di ……………………………………
l) Obblighi di fedeltà e di segretezza
Sia durante il rapporto di lavoro che dopo la sua cessazione, per qualsiasi motivo avvenuta,
il Sig. …………………….. s’impegna a non divulgare il contenuto di atti o documenti della
Società ……………….., nonché qualsiasi segreto o notizia destinata a restare segreta, senza
Specifica ed espressa autorizzazione scritta da parte della stessa Società, tenendo presente
che qualsiasi violazione di tale impegno costituisce, oltre che una violazione delle legge
civili ( in particolare dell’art. 2105 del codice civile ), anche un reato, così come previsto
dagli artt. 622 e 623 del codice penale.
Alla cessazione del rapporto di lavoro il Sig. ………………………. restituirà alla
Società………………., nella persona del suo diretto responsabile, qualsiasi documento,
cartaceo od elettronico, attinente l’attività svolta, anche se dallo stesso Sig. ………………...
predisposto, dovendosi ritenere in ogni caso di esclusiva proprietà della predetta Società.
Letto, confermato e sottoscritto
……………………………………
( il lavoratore )
59
…………………………………..
( per la Società )
Le parti approvano specificamente, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del codice civile seguenti punti
del presente patto di non concorrenza:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
l)
Oggetto del patto;
Durata del patto;
Area geografica di validità del patto;
(clausola eventuale) Imprese e datori di lavoro per i quali vige l’obbligo di non concorrenza;
Recesso;
Controllo;
Corrispettivo;
Penale;
Foro competente;
Obblighi di fedeltà e di segretezza.
………………………………….
( il lavoratore )
60
………………………………….
( per la Società )
GLI EFFETTI DI UN LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO SONO…
CONTRATTUALI
LEGALI
( con tutela reale )
( art. 18 L. 300/70 e art. 1
L. 108/90
LEGALI
( con tutela obbligatoria )
( art. 2 L. 604/66 e art. 2
L. 108/90
LEGALI
( artt. 2043, 2059 e 2087
cod. civ. )
61
- quando è previsto soltanto un intervento economico come ad
esemp io:
• la corresponsione di un’indennità risarcitoria ( indennità
supplementari ) nel caso di licenziamento di dirigenti;
• la corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso, in
caso di licenziamento intimato per giusta causa, nel caso di
lavoratori licenziabili ad nutum (dirigenti, domestici,
ultrassentacinquenni in possesso dei requisiti pensionistici);
• lo svolgimento di attività lavorativa, con corrispondente
riconoscimento della retribuzione, per l’eventuale periodo
di prova non lavorato, per i lavoratori in prova
- quando sono previsti congiuntamente:
• la reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente
occupato;
• un risarcimento danni nella misura pari alle retribuzioni ed
ai contributi dal giorno di licenziamento fino a quello di
effettiva integrazione;
- il lavoratore può chiedere, in alternativa alla reintegrazione, la
corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione
globale di fatto, in aggiunta al risarcimento del danno
- quando sono previsti alternativamente, a scelta del datore di
lavoro:
• la riassunzione entro 3 giorni dalla sentenza;
• un risarcimento danni nella misura di 2,5 e massima di 6
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La
misura massima può arrivare a 10 o a 14 mensilità per i
lavoratori rispettivamente con anzianità superiore ai 10 od
ai 20 anni, se dipendenti da datori di lavoro con più di 15
dipendenti, ma non soggetti alle tutele reali
- quando il licenziamento illegittimo ha causato:
• danni morali;
• danni biologici;
• danni esistenziali
IN FUNZIONE DEL TIPO DI ILLEGITTIMITA’ IL LICENZIAMENTO E’…
DEFINIZIONE
ANNULLABILE
MOTIVAZIONE
- quando il giudice del lavoro
abbia accertato l’inesistenza di una
giusta causa
o di un giustificato motivo
CONSEGUENZA
- riassunzione e pagamento di una
penale nel caso di tutela obbligatoria
- reintegrazione o risarcimento
danni in caso di tutela reale
INEFFICACE
NULLO
62
- quando non è stato comunicato per
iscritto
( art. 2 L. 604/66 e art. 2 L. 108/90 )
- quando non sono state comunicate per
iscritto al lavoratore le motivazioni del
licenziamento
entro 7 giorni dalla richiesta
( art. 2 L. 604/66 e art. 2 L. 108/90 )
- è improduttivo di effetti ed idoneo ad incidere sulla
- quando è dovuto a motivazioni
discriminatorie ( art. 3 L. 108/90 );
- quando è effettuato ai fini di
discriminazione politica, religiosa,
razziale, di lingua, di sesso ( art. 13 L.
903/77 ), per l’origine etnica
( art. 3 D.Lgs. 215/03 ), per
convinzioni personali, esistenza di
handicap, per l’età e l’orientamento
sessuale ( art. 3 D.Lgs. 216/03 );
- quando è causato dalla domanda o
dalla fruizione del congedo per
maternità, parentale, per formazione
( art. 18 L. 53/00 );
- quando è attuato a causa di
matrimonio ( art. 1 L. 7/63 );
- quando è effettuato a causa
dell’affiliazione od attività sindacale
ovvero della partecipazione ad uno
sciopero ( art. 15 L. 300/70 );
- quando è effettuato nei confronti della
lavoratrice madre dall’inizio della
gravidanza fino ad un anno di età del
bambino ( art. 54 D.Lgs. 151/01 );
- reintegrazione e risarcimento danni pari
a 5 mensilità ( art. 3 L. 108/90 ) qualunque sia il numero di addetti
continuità del rapporto, con la conseguenza che
il lavoratore ha diritto al pagamento di tutte le
retribuzioni non corrisposte
- nelle imprese con più di 15 dipendenti ( o 60 complessivamente ):
impugnazione entro 60 giorni per ottenere la reintegrazione e il
risarcimento danni nelle imprese con meno di 15 dipendenti
( o 60 complessivamente ):
il lavoratore non deve im pugnare il recesso e si applica il regime
della nullità degli atti
IN FUNZIONE DEL TIPO DI ILLEGITTIMITA’ IL LICENZIAMENTO E’…
DEFINIZIONE
MOTIVAZIONE
CONSEGUENZA
- quando è causato dalla domanda
o dalla fruizione del congedo
parentale
e per malattia del bambino da parte
della
lavoratrice madre o del lavoratore
padre
( art. 54 D.Lgs. 151/01 )
INGIUSTIFICATO - licenziamento disciplinare viziato
nel rispetto della procedura
63
- reintegrazione e risarcimento nel
caso di tutela reale
- riassunzione o risarcimento danni nel
caso di tutela obbligatoria
LICENZIAMENTO: FATTISPECIE E RELATIVE FONTI
Licenziamento
individuale
Artt. 2118 e 2119 cod.civ.
L. 15 luglio 1966, n. 604
L. 20 maggio 1970, n. 300
L. 11 maggio 1990, n. 108
Licenziamento
per giustificato motivo
Licenziamento
per cause
particolari
Art. 3, L. n. 604/66
Licenziamento senza obbligo
di motivazione (recesso ad
nutum)
Licenziamento
per giusta causa
Art. 2118 cod. civ.
Art. 2119 cod.civ.
Solo obbligo del preavviso o
della relativa indennità
sostituiva
Motivi discriminatori
Forma: scritta e rispetto della
procedura di cui all’art. 7 L. 300/70
Maternità
Matrimonio
Art.54, D.Lgs.
26 marzo
2001, n. 151
Art. 1, l. 9
gennaio
1963, n. 7
Se illegittimo
Forma: qualsiasi
Tutela reale
- art. 18 L. 300/70
Reintegrazione o opzione per indennità pari a 15
mensilità più indennità risarcitoria dalla data di
licenziamento alla reintegrazione ( minimo 5
mensilità )
64
Tutela obbligatoria
- art. 8 L. n. 604/66
Riassunzione o indennità risarcitoria
da 2,5 a 6 mensilità elavabile a 10 o
14 mensilità se l’anzianità di servizio
supera i 10 o 20 anni
Art. 3, L. 11 maggio
1990, n. 108
Art. 4, L. 15 luglio
1966, n. 604
Art. 15, L. 20
maggio 1970, n. 300
LA REINTEGRAZIONE DEL LAVORATORE
MOTIVAZIONE
Quando il licenziamento è stato dichiarato illegittimo ( inefficace,
annullato o nullo ) con sentenza del giudice del lavoro
FATTISPECIE POSITIVA
Imprenditori e non imprenditori che occupano alle proprie
dipendenze:
- più di 15 lavoratori ( 5, se agricoli ) nella stessa sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo;
- più di 15 dipendenti ( 5 se agricoli ) nell’ambito dello stesso
Comune, se la singola unità produttiva non raggiunga tale soglia;
- in ogni caso, se occupano più di 60 dipendenti
complessivamente ( tra i dipendenti non si computano coniuge e
parenti entro il 2° grado dell’imprenditore, apprendisti ( art. 22
D.Lgs. 21 L. 56/87 ), lavoratori somministrati ( art. 22 D.Lgs.
276/03 ) e forse i lavoratori a termine con contratto inferiore a 9
mesi ( art. 8 D.Lgs. 368/01 )
FATTISPECIE NEGATIVA
- ai datori di lavoro non imprenditori ( c.d. “di tendenza” che
svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale,
culturale, di istruzione, di religione o di culto ( art. 4 L. 108/90 );
- imprenditori e non imprenditori che occupano alle proprie
dipendenze:
• fino a 15lavoratori ( 5, se agricoli ) nella stessa sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo;
• più di 15 dipendenti ( 5 se agricoli ) nell’ambito dello
stesso Comune, se la singola unità produttiva non
raggiunga tale soglia;
• in ogni caso, se occupano più di 60 dipendenti
complessivamente:
- ai datori di lavoro utilizzatori di lavoratori somministrati,
limitatamente a questi ultimi ( art. 22 D.Lgs. 276/03 )
( Agli imprend itori minori ( quelli fino a 15 o 60 dipendenti ) che
decidano di superare tali limiti, per un periodo sperimentale di 4
anni come da Proposta di legge 13 giugno 2002 n. 848 bis
65
SOGGETTI ESCLUSI
CONSEGUENZE
66
- dirigenti ( art. 10 L. 604/66 );
- dipendenti d datori di lavoro di tendenza ( vedi fattispecie
negativa ) ( art. 4 L. 108/90 );
- lavoratori ultrasessantacinquenni, in possesso dei requisiti
pensionistici ( di vecchiaia ) ( art. 4 L. 108/90, art. 1 D.Lgs.
503/92 e art. 11 L. 724/94 ) sempre che non abbiano esercitato)
l’opzione per la prosecuzione dell’attività lavorativa ( art. 6 L.
407/90 );
- lavoratori domestici ( art. 4 L. 108/90 );
- sportivi professionisti ( art. 4 L. 91/81 );
- lavoratori in prova ( art. 10 L. 604/66 )
( per tutti i lavoratori di cui sopra c’è però la reintegrazione in
caso di licenziamento discriminatorio ex art. 3 L. 108/90
Il datore di lavoro è obbligato:
- a reintegrare il lavoratore nello stesso posto di lavoro ed alle
stesse condizioni normo-retributive precedenti;
- a risarcire al lavoratore il danno, nella misura pari alle
retribuzioni ed ai contributi dal giorno del licenziamento fino a
quello di effettiva reintegrazione e comunque mai inferiore a 5
mensilità;
il lavoratore:
- deve prendere servizio entro 30 giorni dall’invito (obbligatorio)
del datore di lavoro;
- può chiedere, in alternativa alla reintegrazione ed entro 30
giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, la
corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione
globale di fatto, in aggiunta al risarcimento del danno;
- se non riprende servizio e non chiede l’indennità sostitutiva
della reintegrazione entro i termini di cui sopra, il rapporto
s’intende risolto ( art. 1 L. 108/90 )
SCHEMA DI FLUSSO PER IMPUGNAZIONE LICENZIAMENTO
LICENZIAMENTO
Obbligatoria la forma scritta ( art. 2 L. 604/66 )
Per il licenziamento disciplinare, obbligatorio il rispetto di
specifica procedura ( forma scritta, rispetto dei termini a difesa - di
norma 5 giorni – assistenza sindacale ) ( art. 7 L. 300/70 )
MOTIVAZIONE DEL
LICENZIAMENTO
Entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento, richiesta
del lavoratore al datore di lavoro ( art. 2 L. 604/66 )
Entro 7 giorni dalla richiesta, comunicazione scritta delle
motivazioni dal datore di lavoro al lavoratore ( art. 2
L. 604/66 )
IMPUGNAZIONE
Entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento ( o delle motivazioni, se non contestuali )
Forma scritta, destinatario il datore di lavoro
( art. 6 L. 604/66 )
Iter extragiudiziale
( facoltativo, ma alternativo all’iter giudiziario )
Entro 20 giorni dalla comunicazione del
licenziamento ( o delle motivazioni, se non
contestuali ) ( licenziamenti disciplinari )
RICORSO AL COLLEGIO DI
CONCILIAZIONE ED ARBITRATO
PRESSO LA DPLMO (art.7 L. 300/70)
Entro 30 giorni dalla comunicazione del
licenziamento ( licenziamento di dirigenti )
RICORSO AL COLLEGIO ARBITRALE
(art. 412 ter c.p.c. e Ccnl)
67
Iter giudiziario
Entro 10 anni ( 5 per risarcimento danni )
dall’impugnazione del licenziamento
TENTATIVO OBBLIGATORIO DI
CONCILIAZIONE PRESSO LA
DPLMO ( art. 410 e segg. c.p.c. )
Dopo 60 giorni dalla presentazione della
richiesta del tentativo di conciliazione
RICORSO ALLA
MAGISTRATURA DEL LAVORO
(art. 2946 e 2947 c.c e art. 412 bis cpc)
Lodo arbitrale
Riconosce l’illegittimità
del licenziamento
Sentenza del Tribunale del lavoro
Riconosce la legittimità
Riconosce l’illegittimità
del licenziamento (*) (°)
del licenziamento
Riconosce la legittimità
del licenziamento
licenziamento
confermato
indennità supplementare licenziamento confermato
(ammontare ex CCNL)
(a scelta del lavoratore)
(per dirigenti d’azienda)
reintegrazione+risarcimento danni
(min. 5 mensilità)
oppure
indennità sostitutiva
(15+5 mensilità)
(art.18 L. 300/70 e art. 1 L. 108/90)
(a scelta del datore)
(aziende con meno di 15 dip.)
risarcimento danni
(da 2,5 a 14 mensilità)
oppure
riassunzione
(art. 18 L. 300/70 e art. 2 L. 108/90)
( per dirigenti d’azienda )
indennità risarcitoria
( ammontare ex CCNL )
contro il lodo arbitrale è ammesso il ricorso
entro 30 giorni dalla notificazione del lodo al
Tribunale del Lavoro in unico grado
( art. 412 quater c.p.c )
contro la sentenza della Corte d’Appello del Lavoro è ammesso il
ricorso entro 30 giorni dalla notifica o entro 1 anno dalla pubblicazione
alla Corte d’Appello del Lavoro
contro la sentenza della Corte d’Appello è ammesso il ricorso solo
per motivi di legittimità entro 60 gg dalla notifica o entro 1 anno dalla
pubblicazione alla Cassazione Civile sez. Lavoro
(*) il licenziamento illegittimo per motivi discriminatori prevede sempre e per qualunque lavoratore la reintegrazione
( art. 3 L. 108/90 )
(°) non previsti reintegrazione o risarcimento per lavoratori ultrasessantenni con requisiti pensionistici
( art. 4 L. 108/90 ) o in prova ( art. 10 L. 604/66 )
68
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Raccomandata a mano / Raccomandata con avviso di ricevimento
…………………………………….
…………………………………………
( luogo )
( data )
Egr. Sig. ……………………………………………………………………………………………….
( nome e cognome del lavoratore )
…………………………………………………………………………………………………………
( recapito aziendale o indirizzo della residenza )
Oggetto: Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Siamo spiacenti di doverLe comunicare che, per ragioni inerenti all’attività produttiva,
all’organizzazio ne del lavoro ed al regolare funzionamento della stessa e consistenti nel
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………,
non esistendo in Azienda posizioni lavorative vacanti di livello e contenuto professionale pari od
equivalenti a quelli da Lei posseduti, il Suo rapporto di lavoro s’intende risolto, ai sensi dell’art. 3
della legge n. 604/66, a far data dal giorno di ricevimento della presente.
La dispensiamo dal prestare il contrattuale periodo di preavviso. La relativa indennità
sostituiva Le sarà corrisposta unitamente alle spettanze di fine rapporto.
La invitiamo a voler prendere contatto con il nostro Ufficio Amministrazione del
personale per poter ritirare i Suoi documenti di lavoro, riconsegnare gli oggetti ed indumenti di
proprietà aziendale eventualmente affidatiLe, concordare le modalità per la liquidazione delle Sue
spettanze di fine rapporto.
Distinti saluti.
……………………………………………..
( firma per ricevuta del lavoratore )
69
…....…………………………….
( per la Società )
APPENDICE 2
NORME DI RIFERIMENTO
69
L. 11 MAGGIO 1990, N. 108
Disciplina dei licenziamenti individuali
(G.U. 11 maggio 1990, n. 108)
Articolo 1
Reintegrazione
1. I primi due commi dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono sostituiti dai seguenti:
“Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta
legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la
nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento
occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore
agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che
nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel
medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di la voro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al 1° comma si tiene conto anche dei
lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il
computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore.
Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale.
Il computo dei limiti occupazionali di cui al 2° comma non incide su norme o istituti che prevedono
agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al 1° comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno
subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo
un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del
licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà
essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al 4° comma, al prestatore di
lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni
dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto trenta giorni
dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il
rapporto di lavoro s’intende risolto allo spirare dei termini predetti”.
70
Articolo 2
Riassunzione o risarcimento del danno
1. I datori di lavoro privati, imprenditori non agricoli e non imprenditori, e gli enti pubblici di cui
all’articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che occupano alle loro dipendenze fino a quindici
lavoratori ed i datori di lavoro imprenditori che occupano alle loro dipendenze fino a cinque
lavoratori computati con il criterio di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall’articolo 1 della presente legge, sono soggetti all’applicazione delle disposizioni di
cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, così come modificata dalla presente legge. Sono altresì soggetti
all’applicazione di dette disposizioni i datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti,
qualora non sia applicabile il disposto dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall’articolo 1 della presente legge.
2. L’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
“Art. 2. – 1. Il datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, deve comunicare per iscritto il
licenziamento al prestatore di lavoro.
2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno
determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli
per iscritto.
3. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all’articolo 9 si applicano anche ai dirigenti”.
5. L’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
“Art. 8. – 1. Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa
o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine
di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo
al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del
prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della
predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità
superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti
anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”.
Articolo 3
Licenziamento discriminatorio
1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell’articolo 4 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 13
della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e
comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze
previste dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge.
Tali disposizioni si applicano anche ai dirigenti
71
Articolo 4
Area di non applicazione
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, le disposizioni degli articoli 1 e 2 non trovano
applicazione nei rapporti disciplinati dalla legge 2 aprile 1958, n. 339. La disciplina di cui
all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente
legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza
fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di
culto.
2. Le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato
dall’articolo 1 della presente legge, e dall’articolo 2, non si applicano nei confronti dei prestatori si
lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la
prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto legge 22 dicembre 1981, n.
791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le
disposizioni dell’articolo 3 della presente legge e dell’articolo 9 della legge 15 luglio 1966, n. 904.
Articolo 5
Tentativo obbligatorio di conciliazione,
arbitrato e spese processuali
1. La domanda in giudizio di cui all’articolo 2 della presente legge non può essere proposta se non è
preceduta dalla richiesta di conciliazione avanzata secondo le procedure previste dai contratti e
accordi collettivi di lavoro, ovvero dagli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile.
2. L’improcedibilità della domanda è rilevabile anche d’ufficio nella prima udienza di discussione.
3. Ove il giudice rilevi l’improcedibilità della domanda a norma del comma 2 sospende il giudizio e
fissa alle parti un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la proposizione della
richiesta del tentativo di conciliazione.
72
4. Il processo deve essere riassunto a cura di una delle parti nel termine perentorio di centottanta giorni,
che decorre dalla cessazione della causa di sospensione.
5. La comunicazione al datore di lavoro della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di
conciliazione avvenuta nel termine di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, impedisce
la decadenza sancita nella medesima norma.
6. Ove il tentativo di conciliazione fallisca, ciascuna delle parti entro il termine di venti giorni può
promuovere, anche attraverso l’associazione sindacale a cui è iscritta o conferisca mandato, il
deferimento della controversia al collegio di arbitrato previsto dal contratto collettivo nazionale di
lavoro applicabile o, in mancanza, ad un collegio composto da un rappresentante scelto da ciascuna
parte e da un presidente scelto di comune accordo o, in difetto, dal direttore dell’Ufficio provinciale
del lavoro e della massima occupazione. Il collegio si pronuncia entro trenta giorni e la sua decisione
acquista efficacia di titolo esecutivo osservate le disposizioni dell’articolo 411 del codice di
procedura civile.
7. Il comportamento complessivo delle parti viene valutato dal giudice per l’applicazione degli articoli
91, 92, 96 c.p.c
Articolo 6
Abrogazioni
1. Nel primo comma dell’articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono soppresse le parole
“dell’articolo 18 e”.
2. Il 1° comma dell’articolo 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è abrogato.
73
L. 15 LUGLIO 1966, N. 604
Norme sui licenziamenti individuali
(articoli estratti)
Articolo 1
1. Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti
pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo
o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi
dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo.
Articolo 2
1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al
prestatore di lavoro.
2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno
determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta,
comunicarli per iscritto.
3. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all’articolo 9 si applicano anche ai dirigenti.
Articolo 3
1. Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva,
all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Articolo 4
1. Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un
sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla motivazione
adottata.
Articolo 5
1. L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento
spetta al datore di lavoro.
74
Articolo 6
1. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 gg. dalla ricezione della sua
comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del
lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso.
2. Il termine di cui al comma precedente decorre dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla
comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento.
3. A conoscere delle controversie derivanti dall’applicazione della presente legge è competente il
pretore.
Articolo 7
1. Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o
dagli Accordi sindacali, può promuovere, entro 20 gg. dalla comunicazione dei motivi ove questa
non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio
Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione.
2. Le parti possono farsi assistere dalle Associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali
conferiscono mandato.
3. Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio Provinciale del
Lavoro e della Massima Occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del pretore.
4. Il termine di cui al 1° comma dell’articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio
Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione fino alla data della comunicazione del deposito
in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento del
tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale.
5. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al 1° comma le parti possono definire
consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale.
Articolo 8
1. Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o
giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di
tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo
al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del
prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.
La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il
prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di
lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di
quindici prestatori di lavoro.
Articolo 9
1. L’indennità di anzianità è dovuta al prestatore di lavoro in ogni caso di risoluzione del rapporto di
lavoro.
75
Articolo 10
1. Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la
qualifica d’impiegato e d’operaio, ai sensi dell’art. 2095 c.c. e, per quelli assunti in prova, si
applicano dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi 6
mesi dall’inizio del rapporto di lavoro.
Articolo 11
1. (abrogato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 6).
2. La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni della
presente legge.
76
L. 20 MAGGIO 1970, N. 300
Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,
della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento
Titolo I
DELLA LIBERTA’ E DIGNITA’ DEL LAVORATORE
Articolo 7
Sanzioni disciplinari
1. Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può
essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza
dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in
materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano (1).
2. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa (1).
3. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o
conferisce mandato (1).
4. Fermo restando quanto disposto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni
disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può
essere disposta per un importo superiore a 4 ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio
e dalla retribuzione per più di 10 giorni.
5. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere
applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato
causa.
6. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di
adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può
promuovere, nei 20 giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto
ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione, di un collegio di conc iliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna
delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal
direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte
del collegio.
7. Qualora il datore di lavoro non provveda entro 10 giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro,
a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione
disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare
resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
8. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 2 anni dalla loro
applicazione.
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 30 novembre 1982, n. 204, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, primo, secondo e terzo comma, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai
licenziamenti disciplinari, per i quali i detti commi non siano espressamente richiamati dalla normativa
legislativa o validamente posta dal datore di lavoro.
77
Titolo II
DELLA LIBERTA’ SINDACALE
Articolo 15
Atti discriminatori
1. E’ nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un
associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei
trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della
sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
2. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti ai fini di
discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso.
Articolo 18
Reintegrazione nel posto di lavoro
1.
Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1996,
n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo
2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato
motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro,
imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale o reparto autonomo
nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di
lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori,
che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole
che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di
lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta
prestatori di lavoro.
78
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
79
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al 1° comma si tiene conto anche
dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a
tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale
proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla
contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei limiti occupazionali di cui al 2° comma non incide su norme o istituti che
prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al 1° comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o
l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi
assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva
reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque
mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto dal 4° comma, al
prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale
di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro
non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del
deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di
lavoro s’intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al 1° comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato cui questi aderisca o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del
giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quanto ritenga irrilevanti o insufficienti gli
elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice
medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’art. 178, 3°, 4°, 5° e 6° comma
del Codice di procedura civile.
L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, il datore di lavoro che non
ottempera alla sentenza di cui al 1° comma ovvero all’ordinanza di cui al 4° comma, non
impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di
ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo
della retribuzione dovuta al lavoratore.
Titolo III
DELL’ATTIVITA’ SINDACALE
Articolo 19
Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali
1.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni
unità produttiva, nell’ambito:
a) delle associazio ni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale;
b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di
contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.
2.
80
Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire
organi di coordinamento.
1
C.C.N.L.
NUMERO
ART.¹
Commercio, terziario
e distribuzione
Artt. 151152-153
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i 15
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore per
raccomandata
Turismo e pubblici
esercizi
Artt. 144145-146
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Panificatori Industria
Art. 49
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Panificatori e negozi
di vendita al minuto
Federpanificatori
Art. 61
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro il
30° giorno successivo al termine per
le giustificazioni del lavoratore
Alimentaristi
Aziende industriali
Artt. 43-4445
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Imprese artigiane
barbieri, parrucchieri e
estetisti
Art. 32
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Art. 42
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro 12
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore
Lavanderie tintorie e
stirerie in genere
Artigiane
81
1
Salvo variazioni non rilevate
DISPOSIZIONI
particolari
1
C.C.N.L..
NUMERO
ART.¹
Trasporto, spedizione
merci e logistica
Art. 31
particolari
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i 20
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore per
raccomandata
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Studi professionali
1
DISPOSIZIONI
particolari
Industria chimica e
farmaceutica
Artt. 51-5253-54
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i 5
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore per
raccomandata
Gomma e plastica
confindustria
Art. 56-5758
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro il
10 giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore
Salvo variazioni non rilevate
82
C.C.N.L.
NUMERO
ART.¹
Metalmeccanici
Confindustria
Artt. 23-2425-26
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i
6 giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore
Metalmeccanici
Confapi
Art. 24
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, dovrà essere irrogato entro i
5 giorni lavorativi successivi al
termine per le giustificazioni del
lavoratore
Metalmeccanici
artigiani
Artt. 30-3132
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i 6
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore
Artigiani grafici
Art. 43
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Imprese di pulizia
Artt. 3838bis-38ter38quater
Il provvedimento disciplinare, se
deciso, deve essere irrogato entro i 6
giorni successivi al termine per le
giustificazioni del lavoratore
Imprese Ed ili Industria
Artt. 96-9798
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
Artigiani edili
Art. 86
Non risultano esistere termini di
decadenza per irrogare il
provvedimento disciplinare
83
DISPOSIZIONI
particolari
Art. 1256. C.C. (Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea).
L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa
impossibile (¹).
Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo
nell’adempimento (1183,1219).
Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo della
obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può essere ritenuto obbligato a estinguere la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (1174, 1288 ss.)
(¹) Si vedano:
perimento della cosa legata (art. 673);
perimento della mandre o dei greggi (art. 994);
impossibilità della prestazione a carico del creditore (art. 1207);
responsabilità del debitore (art. 1218);
effetti della mora per il debitore (art. 1221);
smarrimento di cosa determinata (art. 1257);
impossibilità parziale della prestazione (art. 1258 ss.);
impossibilità di una delle prestazioni (art. 1288);
impossibilità colposa di una delle prestazioni (art. 1289);
impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss.);
perdita e deterioramento della cosa locata (art. 1588);
perdita non imputabile della detenzione della cosa (art. 1780);
impossibilità o notevole difficoltà di restituzione della cosa (art. 1818);
restituzione di cosa determinata (art. 2037);
perimento del bestiame (art. 2175).
Art. 1334. del C.C. (Efficacia degli atti unilaterali).
Gli atti unilaterali ( 1324, 1414³) producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza (1135)
della persona alla quale sono destinati (1724).
Art. 1335. del C.C. (Presunzione di conoscenza).
La proposta, l’accettazione (1326), la loro revoca (1328) e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata
persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinataraio, se questi non
prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Art. 1464 del C.C. (Impossibilità parziale).
Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile (1258), l’altra parte ha diritto a
una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora
non abbia un interesse (1174, 1255, 1256², 1322², 1384, 1421, 1457¹) apprezzabile all’adempimento parziale
(1181, 1672, 2228).
84
Art. 2096. del C.C. (Assunzione in prova).
Salvo diversa disposizione delle norme corporative (¹), l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di
prova deve risultare da atto scritto (2725).
L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che
forma oggetto del patto di prova (2241).
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto (1373), senza obbligo di preavviso
o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine (²).
Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene e il servizio prestato si computa nell’anzianità del
prestatore di lavoro (2120).
(¹) L’espressione <<salvo diversa disposizione delle norme corporative>> è da ritenersi abrogata a seguito
della soppressione dell’ordinamento corporativo disposta dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e dal D.L.G.T.
23 novembre 1944, n. 369.
(²) la Corte costituzionale, con sentenza 16 dicembre 1980, n. 189, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
del terzo comma, nella parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità di cui agli artt. 2120 e
2121, al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova
medesimo.
Art. 2103. del C.C. (¹) (Prestazione del lavoro).
Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (96 att.) o a quelle
corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti
alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a
mansioni superiore il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione
stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non
superiore a tre mesi.
Egli non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive (²).
Ogni patto contrario è nullo.
(¹) Articolo così sostituito dall’art. 13 della L. 20 maggio 1970, n. 300statuto dei lavoratori.
(²) Si riporta l’art. 6 della L. 13 maggio 1985, n. 190, riconoscimento giuridico dei quadri intermedi, come
sostituito dall’art. 1 della L. 2 aprile 1986, n. 106:
<<6. In deroga a quanto previsto dal primo comma dell’art. 2103 del c.c., come modificato dall’art. 13
della L. 20 maggio 1970, n. 300, l’assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori di cui all’art. 2 della
presente legge ovvero a mansioni dirigenziali, che non sia avvenuta in sostituzione di lavoratori assenti con
diritto alla conservazione del posto, diviene definitiva quando si sia protratta per il periodo di tre mesi o per
quello superiore fissato dai contratti collettivi>>.
85
L’art. 2 della citata L. 13 maggio 1985, n. 190, dispone:
<<2. La categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo
alla categoria dei dirigenti, svolgano funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello
sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa.
<<I requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri sono stabiliti dalla contrattazione collettiva
nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare natura organizzativa
dell’impresa.
<<Salvo diversa espressa disposizione, ai lavoratori di cui al comma 1 si applicano le norme riguardanti la
categoria degli impiegati>>.
Art. 2104. del C.C. (Diligenza del prestatore di lavoro).
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse
dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale (1176).
Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite
dall’imprenditore (2086) e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende (2094, 2106).
Art. 2105. del C.C. (Obbligo di fedeltà).
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore,
né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo
da poter recare ad essa pregiudizio (2125).
Art. 2106. del C.C. (Sanzioni disciplinari).
La inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all’applicazione di
sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione (96 att.) (¹) e in conformità delle norme corporative
(²).
(¹) Si veda la disciplina generale contenuta nell’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, statuto dei lavoratori.
(²) L’espressione <<e in conformità delle norme corporative>> è da ritenersi abrogata a seguito della
soppressione dell’ordinamento corporativo fascista disposta dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e dal
D.L.G.L.T. 23 novembre 1944, n. 369.
Art. 2118. del C.C. (Recesso dal contratto a tempo indeterminato).
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato (1373), dando il
preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative (¹), dagli usi o secondo equità (1750²,
2109, 2110², 2244; 98 att.) (²).
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In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo
della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso (2276, 2751 bis, n. 4, 2948, n. 5; 98 att.).
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore
di lavoro (2122).
(¹) L’espressione <<dalle norme corporative>>, è da ritenersi abrogata a seguito della soppressione
dell’ordinamento corporativo fascista disposta dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.
(2) Si veda la L. 15 luglio 1966, n. 604, sui licenziamenti individuali, modificata con L. 11 maggio 1990, n.
108, disciplina dei licenziamenti indiv iduali. Altre norme sono dettate dalla L. 20 maggio 1970, n. 300,
Statuto dei lavoratori.
Art. 2119. del C.C. (Recesso per giusta causa).
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo
determinato (¹), o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato (2097), qualora si verifichi una
causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete
l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente (2244).
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento (11.fall.) dell’imprenditore (2221) o la
liquidazione coatta amministrativa dell’azienda (1941 fall.).
(¹) Si veda la L. 18 aprile 1962, n. 320, disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato.
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